prescrizione

Processi e prescrizione: la situazione dei tribunali italiani

Per parlare di prescrizione dobbiamo prima fare il punto della situazione in cui ci troviamo ora, maggio 2020:

  • durante il lockdown la Giustizia è rimasta (quasi) completamente ferma;
  • ora che la Fase 2 è iniziata, la Giustizia arranca e, a causa della mancanza di regole condivise a livello nazionale, la vera e propria ripresa sembra spostarsi a settembre;
  • permane l’incognita di possibili nuovi lockdown che possano bloccare nuovamente l’attività giudiziaria.

Ne consegue che tutti i procedimenti che non sono stati -e non saranno- svolti durante questo periodo di emergenza andranno ad aggiungersi all’arretrato che già da molto tempo ingolfa il sistema italiano.

LA RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE

Presi dalle vicende del coronavirus ci siamo un po’ dimenticati della riforma della prescrizione voluta dal Ministro Bonafede ed entrata in vigore il 1 gennaio 2020.
Lo scopo della riforma è alleggerire il carico di lavoro delle Corti.

Esattamente, quanto grave è la situazione della prescrizione in Italia?

Trovare dati precisi e aggiornati non è semplice.
In questo articolo ci rifaremo a quelli emessi dalla Direzione generale di statistica e analisi organizzativa del Ministero della Giustizia (rielaborati da altre fonti che vi indichiamo alla fine del testo) che però si fermano al 2017.

All’epoca, le sentenze di prescrizione sono state 125.659, circa 20.000 in più rispetto all’anno precedente.

Di tutti questi processi:
– circa 65.000 sono stati prescritti davanti al Giudice per le indagini preliminari (Gip) o al Giudice dell’udienza preliminare (Gup);
– poco meno di 30.000 sono stati interrotti davanti al tribunale ordinario;
– circa 2.500 davanti al giudice di Pace;
– circa 28.000 in Corte di appello;
670 in Cassazione.

Questi dati hanno poco senso se non consideriamo il numero totale dei procedimenti definiti che, nel 2017, ha raggiunto quasi il milione. Ciò significa che i processi finiti in prescrizione sono stati circa il 12%.

PRESCRIZIONE E DIFFERENZE GREOGRAFICHE

Secondo i dati del Ministero della Giustizia, sempre relativi al 2017, si evince quanto segue:

  • – i distretti con la più alta quota di processi prescritti in fase di indagine sono stati Brescia (19%), Cagliari (14%), Venezia (13%), e Milano (11%);
  • – i distretti con la più alta quota di prescrizioni dopo il rinvio a giudizio ma prima della sentenza di primo grado sono stati Salerno (30%), Cagliari (17%) e Reggio Calabria (15%);
  • – i distretti con la più alta quota di prescrizioni in corte d’appello sono stati Trento (40%), Catanzaro (38%) e Potenza (37%).

La lentezza dei processi è uno dei difetti principali della giustizia italiana, non solo nel penale ma anche nel civile. Basti pensare che, ancora 10 anni fa, per concludere una causa civile nel nostro paese erano necessari 564 giorni, 238 in più della media dei paesi OCSE.

COSA CI ASPETTA?

Alla luce dei cambiamenti che COVID-19 sta portando alla Giustizia – cambiamenti tecnologici, procedurali e anche comportamentali – ci riesce difficile giungere a una qualsiasi previsione partendo da dati che, ormai, si riferiscono a un mondo assai diverso da quello in cui viviamo oggi.

L’unica certezza, come già suggerito, è che il problema degli arretrati non ha giovato né dello stop dovuto alle misure di contenimento né alle difficoltà che caratterizzano la ripartenza della Giustizia.

[Fonti: TrueNumbers-prescrizione; TrueNumbers-tribunali; AGI
Approfondimenti: Numero di procedimenti penali 2003 -2019, Ministero della Giustizia]

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Smart working: l'accesso da remoto ai registri della cancelleria

Smart working: l’accesso da remoto ai registri della cancelleria

Pochi giorni fa, sul sito dedicato al processo civile telematico è stato pubblicato un intervento firmato da Enrico Consolandi, Presidente della sezione Famiglia del Tribunale di Brescia, in cui spiega come potrebbe essere possibile garantire l’accesso da remoto ai registri della cancelleria.
I contenuti dell’intervento sono stati ideati nella prima fase dell’emergenza COVID-19, ma continuano a rimanere validi anche ora che la Fase 2 della Giustizia è stata avviata.

La ripartenza della Giustizia non è iniziata con le migliori premesse, data la mancanza di un protocollo condiviso a livello nazionale che ha portato ogni ufficio giudiziario ad adottare le proprie regole.

Leggi l’articolo “La Fase 2 della Giustizia: una vera e propria babele”

E poi, come è noto a tutti che, nonostante siano passati due mesi dall’imposizione delle misure di contenimento per limitare la diffusione del coronavirus e dalla “conversione” allo smart working, non è ancora la possibilità di accede in remoto ai registri della cancelleria.

Enrico Consolandi propone quindi una sua soluzione: «una proposta di evoluzione tecnologica della giustizia nella direzione di rendere effettiva e concreta la possibilità di consentire ai cancellieri di tutta Italia di poter lavorare senza dover accedere fisicamente sul luogo di lavoro, con un progetto che si auspica trovi ampia condivisione e adesione.»

FINALITÀ DELLO SMART WORKING

La proposta si basa su un’evoluzione tecnologica che consenta il telelavoro.
Le finalità sono 3:

– GESTIRE L’EMERGENZA

Al fine di garantire una riduzione delle presenza presso gli uffici giudiziari, si dovrebbe permettere l’accettazione di atti difensivi e provvedimenti giurisdizionali depositati in via telematica da parte del personale in smart working o sottoposto a quarantena.
In questo modo, anche in caso di nuovi lock down, l’attività giudiziaria proseguirebbe.

– RISOLVERE CARENZE TERRITORIALI
Una volta passata l’emergenza sanitaria, si dovrebbe continuare con il lavoro da remoto in modo da favorire la flessibilità del personale e risolvere la «disomogeneità territoriale fra domanda di lavoro e necessità degli uffici giudiziari, alla base di una ormai strutturale carenza negli uffici del Nord Italia».

– MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI LAVORO
Lo smart working permetterebbe di ridurre gli spostamenti del personale. A fronte di una riduzione dei costi ad esso correlati, dovuti alla non-presenza in sede, i lavoratori potrebbe godere di un migliore rapporto tra vita lavorativa e vita privata.

COSA MANCA PER FARE IL SALTO DI QUALITÀ

GARANTIRE SICUREZZA, RISERVATEZZA E CONFIDENZIALITÀ

È necessario impostare delle regole che indichino al lavoratore quali comportamenti deve adottare per far sì che il suo lavoro non venga esposto a rischi.
Un esempio di rischio si avrebbe nel caso in cui il computer utilizzato per lo smart working fosse lo stesso utilizzato da altri membri del nucleo familiare.

AFFRONTARE GLI ASPETTI TECNICI/TECNOLOGICI

Ai lavoratori in remoto devono essere dati gli strumenti adeguati per svolgere le loro mansioni. Soprattuto, servono computer personali ottimamente configurati (ve ne sono di dismessi e riutilizzabili), collegamenti sicuri alla rete della giustizia (VPN ed Endpoint), accesso a internet veloce (con la consegna di modem portatili, le “saponette, i cui contratti sono stipulati dall’amministrazione e non dal lavoratore).
La stessa amministrazione deve potenziare la propria infrastruttura e le proprie misure di sicurezza e dotarsi di una rete di tecnici informatici pronti a intervenire.

QUANDO L’ACCESSO DA REMOTO AI REGISTRI DELLA CANCELLERIA?

L’articolo si conclude riportando il testo integrale della circolare del Ministero della Giustizia del 2 maggio 2020 in cui vengono spiegate le misure effettivamente intraprese nel periodo emergenziale per remotizzare il processo civile telematico:

In soli 15 gg si è operata una remotizzazione per alcuni applicativi in uso per il nostro personale per una platea assolutamente significativa:

  oltre 7.600 gli abilitati ad oggi che sugli applicativi da remoto di tipo “amministrativo”

  circa 26.000 gli utilizzatori ad oggi della piattaforma e-learning 

  circa 30.000 gli utenti oggi abilitati all’utilizzo dell’applicativo Teams per la videoconferenza (Licenze Microsoft Office 365 E1), comprensivi anche di magistrati ordinari e onorari e  di altra platea di utenti. 

Il Ministero spiega che «ciò precisato si sottolinea quindi alle SS.LL. la platea di soggetti abilitati da remoto sino ad oggi raggiunta, unita a quella che seguirà con l’ulteriore espansione degli applicativi da remoto, sia assolutamente sufficiente a supportare logiche di ampio uso dello smart working anche in fase due, specie se connesse al ventaglio di soluzioni organizzative per il lavoro in tale contesto suggerite nei paragrafi che precedono».

E aggiunge: «in una prospettiva di supporto al lavoro agile anche in vista di una fase tre, ma soprattutto in una ben diversa di approntamento di strumenti per un vero e proprio piano organizzativo per l’emergenza in generale, sta ragionando con gli interlocutori istituzionali anche a logiche di remotizzazione di larga parte dei servizi che possano consentire un rapido approntamento di remotizzazione di servizi mappati in casi di emergenza (terremoti, alluvioni ecc.), anche con garanzia di sicurezza che siano condivise doverosamente anche da altre competenti istituzioni (Dipartimento per l’Informazione e la sicurezza, Dipartimento per l’innovazione e la digitalizzazione e Agenzia per l’Italia digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e che tengano conto  dell’inserimento  di  alcuni  servizi  Giustizia nel  perimetro di servizi critici a  seguito dell’inserimento del Ministero della Giustizia nel perimetro di Sicurezza Nazionale.
L’acquisto di strumentazione hardware dedicata al lavoro agile è peraltro uno dei prerequisiti per una differente modalità di accesso ai registri informatizzati nel  rispetto delle politiche di sicurezza adottate dal Ministero della Giustizia».

Non è presente una risposta sul perché non sia ancora possibile  l’accesso da remoto ai registri della cancelleria (e se mai davvero lo sarà).

Qui il testo dell’articolo di Enrico Consolandi.

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La digitalizzazione della Giustizia: quale futuro?

[EVENTO ONLINE 14 MAGGIO] Food and Wine Law – nuovi scenari aziendali per le cantine e per l’enoturismo

L’emergenza COVID-19 apre nuovi scenari per le cantine e l’enoturismo. Cosa aspettarci?

Questo evento online sarà il primo di una serie di corsi altamente professionalizzanti tramite teledidattica e – pandemia permettendo – anche dal vivo presso i luoghi di produzione.

Il primo evento è aperto a tutti e sarà trasmesso in diretta sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di AVVOCATI.

L’iniziativa è organizzata in collaborazione con Servicematica.

Introduce:

Stefano Franchi, presidente AIGA Teramo

Intervengono:

Andrea Borroni, Professore di diritto comparato,
studioso di protezione delle tipicità agroalimentari,

Giorgio Liserre, esperto di diritto vitivinicolo e founder App Cantinaconforme

Presenta e conduce:

Rosa Colucci, direttore responsabile della rivista Avvocati

food and wine

Digitalizzazione della Giustizia

La digitalizzazione della Giustizia: quale futuro?

La digitalizzazione della Giustizia ha subito una forte e inaspettata accelerazione durante gli ultimi mesi caratterizzati dall’epidemia da COVID-19.
Una digitalizzazione un po’ forzata e caotica.

La Fase 2 della Giustizia, iniziata oggi 12 maggio 2020, sta avvenendo con alcune difficoltà, generata soprattutto dall’assenza di linee guida nazionali.
Il risultato è che ogni ufficio giudiziario ha ora le proprie regole, diverse da quelle degli altri. Come l’ha definita l’OCF: “una vera babele“. 

Ma oltre ai problemi organizzativi legati al rispetto delle misure di contenimento, c’è poi una marcata serie di problemi tecnici. Giusto per fare un esempio: se, da un lato, si vuole favorire lo smart working per garantire il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti, dall’altro, il personale amministrativo non ha ancora modo di poter accedere in remoto ai fascicoli e ai registri.

La digitalizzazione della Giustizia, con le sue incertezze e le sue potenzialità, ha suscitato un discreto dibattito fra coloro che sostengono che sia un bene e altri che la percepiscono come una minaccia.

IL PASSATO E IL FUTURO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA

La digitalizzazione della Giustizia non è certo una novità di questo periodo.

Già nel Piano d’azione in materia di Giustizia elettronica europea del 2009 si suggeriva l’uso della videoconferenza.
In Italia questa tecnologia è stata usata principalmente per i processi penali che coinvolgono detenuti pericolosi per i quali è auspicabile evitare qualsiasi spostamenti dal carcere alle aule giudiziarie [agenda digitale]

Considerando la situazione attuale, anche cercando di essere ottimisti, dobbiamo considerare tre elementi:

  • – con le attuali misure di contenimento non sarà possibile garantire gli stessi volumi di lavoro dell’epoca pre-coronavirus;
  • – vi è sempre la possibilità che i contagi tornino ad aumentare e che vengano imposte nuove misure restrittive alle attività giudiziaria,
  • – al già mastodontico arretrato che la Giustizia aveva prima dell’emergenza, si aggiungerà anche quello di questi mesi di stop, rendendo il sistema ancor più costipato.

È proprio alla luce di ciò che, forse, la digitalizzazione della Giustizia diventa necessaria.
La tecnologia e la dematerializzazione dei processi potrebbero infatti  apportare benefici in termini

  • – di tempo, con una riduzione dei tempi morti
  • – di costi, grazie, per esempio, alla riduzione degli spostamenti
  • – di accesso alla Giustizia, che sarà garantito anche in caso di nuovi lock down.

Insomma, la tecnologia permette di tutelare i  principi costituzionali del diritto di difesa (art.24) e del buon andamento dell’amministrazione (art.97). [agenda digitlae]

A proposito di diritti costituzionali e digitalizzazione della Giustizia, Salvatore Scuto, su Il Sole 24 Ore, scrive: “Il problema, infatti, più che sul piano tecnologico si pone sul piano della tutela del contraddittorio, dell’oralità, dell’immediatezza, della riserva di legge che costituiscono la più alta espressione di una regola epistemologica per la formazione della prova, riconosciuta come valida dalla collettività al punto da essere contenuta in Costituzione.”

Questo elemento è stato particolarmente sentito da molti avvocati penalisti che hanno vissuto come un limite l’imposizione delle udienze da remoto.

La questione è certamente delicata, ma è chiaro che sarà davvero difficile tornare alla Giustizia di un tempo.

LE SOLUZIONI?

Le opinioni dell’avvocatura sulla digitalizzazione della Giustizia sono variegate.

C’è chi accoglie con grande entusiasmo le novità, chi con grande timore.
C’è chi sostiene che l’unico modo per far ripartire la Giustizia ora sia depenalizzando alcuni reati e favorendo i riti alternativi, chi invece dice che agli avvocati dovrebbe essere revocato il periodo feriale estivo di quest’anno. 

Da un punto di vista puramente informatico, noi siamo d’accordo con chi sostiene che se si vuol davvero digitalizzare la Giustizia, allora bisogna:

  • – impostare delle regole omogenee e condivise (per esempio, stabilire quali comportamenti le parti devono tenere durante una videoconferenza),
  • modernizzare l’infrastruttura tecnologia a disposizione di tutti i soggetti coinvolti,
  • – impostare procedure e strumenti per la tutela della privacy e per la sicurezza informatica.

Il cambiamento non è mai semplice.
Anche ai tempi dell’introduzione del Processo Civile Telematico si poteva assistere a una spaccatura tra chi lo accoglievano con favore e chi lo vedeva come una minaccia.
Ora però il PCT non fa più notizia e, anzi, c’è davvero qualcuno che tornerebbe indietro?

[Spunti e approfondimenti:

Il Sole 24 Ore: Giustizia, perché per riprendere servono soluzioni condivise

Panorama: La Giustizia al bivio. Ci salverà l’udienza virtuale.  

La Stampa: Depenalizzazione dei reati e riti alternativi. Per la giustizia è l’unica ripartenza possibile.

Agenda Digitale: Udienze a distanza causa coronavirus, come vanno e i problemi.

Starmag: La Giustizia non riparte. Che cosa non funziona. ]

 

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fase 2 della giustizia

La Fase 2 della Giustizia: “una vera e propria babele”

La Fase 2 della Giustizia inizia domani 12 maggio e terminerà il 31 luglio 2020.

Questa fase inizia dopo due mesi di stop in cui sono stati garantiti solo pochi procedimenti: nel civile, quelli relativi alla famiglia e alla tutela delle persone; nel penale, quelli per le convalide di arresto o quelli in cui i difensori dei detenuti hanno chiesto di procedere.

Queste trattazioni continueranno a essere garantire e, piano piano, altre verranno riprese, ma i procedimenti meno urgenti verranno posticipati a settembre.

Sarà possibile tornare alla realtà precedente a COVID-19? Non da subito e forse mai.

GLI OSTACOLI DELLA FASE 2 DELLA GIUSTIZIA

La riapertura delle attività della Giustizia non avviene certo a emergenza risolta.

Il coronavirus è ancora fra noi e molte sono le misure di sicurezza sanitaria alle quali avvocati, giudici, personale ausiliario e cittadini dovranno sottostare.
Misure che rendono l’operatività molto più complicata di un tempo e che non si limitano certo all’obbligo di mascherine, guanti, gel disinfettante ed eventuali barriere che possano limitare la diffusione del virus.

Chi di voi frequenta i palazzi della Giustizia sa, infatti, che molti non sono strutturati per garantire la distanza interpersonale ed evitare gli assembramenti.
A queste limitazioni ambientali si aggiungono alcune abitudini, come quella di fissare tutte le udienze alla medesima ora costringendo gli avvocati ad attendere il proprio turno in uno spazio apposito.
Questa abitudine è stata spazzata via dalle misure di contenimento dei mesi appena trascorsi, durante i quali si è preferita una programmazione delle udienze distanziate nel tempo.

Proprio la necessità di garantire il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti, fa prevedere una Fase 2 della Giustizia caratterizzata da:
ingressi limitati,
prenotazioni,
turni e orari flessibili del personale,
utilizzo limitato agli spazi più grandi e aerati,
– udienze in remoto o a numero chiuso o a porte chiuse,
– promozione della trattazione scritta (nel civile ove non sia richiesta la presenza dei difensori),
– promozione delle videoconferenze,
– ulteriore spinta al processo civile telematico (già ampliato a tutti gli atti introduttivi e alla Cassazione).

Che dire poi delle carenze tecnologiche? Basti pensare che per il personale amministrativo in smart working è ancora impossibile accedere da remoto a registi e fascicoli

IL VERO PROBLEMA DELLA FASE 2

Ciò che abbiamo descritto non è certo insormontabile: con una buona organizzazione tutto può essere gestito, snellito, risolto.

Appunto, servirebbe un’organizzazione che favorisse una Fase 2 della Giustizia omogenea a livello nazionale.

Ma a poche ore dalla ripresa delle attività giudiziarie, questa organizzazione manca completamente.

Anzi, ciò che è successo è esattamente il contrario.

In assenza di un piano di azione condiviso, i capi degli uffici hanno potuto scegliere in modo autonomo le regole da applicare alle attività giudiziarie durante la Fase 2.

Ciò significa che da domani ci troveremo con una Giustizia che funziona in modo diverso da sede a sede: a Venezia varranno delle regole, a Roma altre, a Palermo altre ancora.

L’Organismo Congressuale Forense ha segnalato la presenza di “oltre duecento provvedimenti dei capi degli Uffici Giudiziari. Una vera e propria babele”.

L’OCG aveva già sottolineato la necessità di un piano nazionale condiviso che potesse far riprendere le attività giudiziarie in modo omogeneo in tutto il paese sia da un punto di vista di procedure, ma anche di risorse umane e materiali.

La conseguenza di questa disomogeneità è che molte sedi stanno posticipando l’avvio completo delle attività, mantenendo la situazione vista durante i mesi di emergenza, garantendo un ridotto numero di procedimenti a discapito dei cittadini.
Il timore è che la ripresa totale della Giustizia avvenga persino dopo l’estate.

Davanti a questa Fase due della Giustizia caotica e alle sue conseguenze, l’Organismo Congressuale Forense ha proclamato in via d’urgenza lo stato di agitazione dell’avvocatura, rimettendo all’Assemblea la decisione delle iniziative da prendere in tal senso.

[Fonti: Il Sole 24 Ore]

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prestazioni gratuite

Avvocati: l’offerta di prestazioni gratuite è un illecito disciplinare

Con la sentenza n. 148/2019 il Consiglio Nazionale Forense  ha stabilito che l’offerta di prestazioni gratuite o a un costo simbolico è un illecito disciplinare poiché si configura come accaparramento di clientela.

Nella sentenza si legge: «costituisce illecito disciplinare l’informazione, diffusa anche attraverso siti internet, fondata sull’offerta di prestazioni professionali gratuite ovvero a prezzi simbolici o comunque contenuti bassamente commerciali, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico».

IL CASO

Un avvocato viene condannato a tre mesi di sospensione dal Consiglio Distrettuale di Disciplina dell’Umbria. Tra le ragioni, anche l’aver proposto a una potenziale cliente il pagamento dell’onorario solo nel caso di vittoria della causa, richiedendo solo il pagamento degli oneri e delle spese processuali, allo scopo di ottenere l’incarico.

Successivamente, l’avvocato chiede e ottiene il pagamento dell’onorario precedentemente proposto solo in caso di vittoria, dichiarando, mentendo, che la somma riguarda solo alcune spese proporzionali al valore della causa.

Ancora, dopo la sospensione dall’esercizio della professione, l’avvocato convince la cliente a non revocargli il mandato, dichiarando, anche questa volta in mala fede, che la causa era la sua e la doveva gestire lui.

Infine, dopo l’esito negativo del giudizio di primo grado, l’avvocato propone alla cliente di ricorrere in appello ed eventualmente in cassazione, offrendo le proprie prestazioni gratuitamente.

L’avvocato ha poi fatto ricorso contro la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina adducendo tra i motivi la prescrizione dell’azione disciplinare, l’eccessività della sanzione ma anche l’insussistenza dell’illecito disciplinare di accaparramento della clientela.

Il CNF ha riconosciuto una parziale prescrizione e ha ridotto la sanzione a 2 mesi.

PERCHÈ L’OFFERTA DI PRESTAZIONI GRATUITE È UN ILLECITO DISCIPLINARE

L’offerta di prestazioni gratuite non è di per sé una violazione del codice deontologico, ma per il CNF questa condotta diventa un illecito disciplinare quando la gratuità viene utilizzata come leva per l’accaparramento di clientela che, altrimenti, non conferirebbe alcun mandato.
Ed è proprio ciò che ha fatto l’avvocato in questione. 

Nella sentenza il CNF rileva che «come, mentre i quattro canoni complementari dell’art. 19 del previgente CDF sono relativi a specifiche fattispecie incriminatrici che certamente – ed in tale misura in accordo con quanto dedotto dal ricorrente – non sono integrate dalle condotte qui in esame, il divieto generale previsto in apertura della medesima disposizione proibisce, invece, più genericamente, qualsiasi condotta finalizzata all’acquisizione di clientela che sia posta in essere con modalità non conformi alla correttezza e al decoro».

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praticantato

Praticantato ed esame di abilitazione: le tempistiche che non coincidono

Ve lo ricordate il Decreto Milleproroghe (D.L. 162/2019)? Sì, sembra storia antica considerando il numero di decreti ai quali ci siamo abituati in questi tempi di coronavirus…

Ebbene, all’epoca il Decreto aveva modificato l’art. 49, comma 1, della legge n. 247/2012 posticipando di altri due anni l’entrata in vigore del nuovo esame di abilitazione per diventare avvocato.

Questa ulteriore finestra dovrebbe consentire una revisione completa di tutta la disciplina relativa all’esame di abilitazione, permettendo anche di far combaciare la prova con le tempistiche del praticantato, requisito fondamentale (art. 43 della legge n. 247/2012).

In un certo senso, quello che si è voluto fare con la modifica è evitare che gli ordini forensi e i praticanti si ritrovino coinvolti in attività formative che potrebbero rivelarsi non coerenti con quella che sarà la prossima configurazione dell’esame per diventare avvocato.

Tralasciando questa visione futura, il rapporto tra praticantato ed esame di stato si è complicato non poco durante la pandemia da COVID-19.

RIDUZIONE DEL PRATICANTATO ED ESAME DI ABILITAZIONE

Nella versione finale del Decreto con le misure urgenti per la scuola dell’8 aprile 2020 vi è anche un articolo dedicato ai futuri avvocati.

L’articolo riduce la durata del praticantato da 18 a 16 mesi, consentendo a chi si laurea entro il 15 giugno di sostenere l’esame di abilitazione a dicembre 2021. 

Va notato che la data del 15 giungo è una proroga alle normali tempistiche della sessione di laurea di marzo, proroga disposta dal Decreto Cura Italia del 31 marzo per far fronte alla chiusura delle attività universitarie generata dal lock down.

Sembrerebbero misure adeguate ad aiutare i futuri avvocati, se non fosse per un effetto collaterale che non è stato considerato.

Il passaggio da 18 mesi a 16 di praticantato consentirebbe anche a chi si laurea a metà giugno di fare l’esame per diventare avvocato a dicembre 2021.
Appunto, “consentirebbe”…
In realtà, non è possibile perché il termine per l’iscrizione all’albo dei praticanti è il 10 maggio, ovvero 18 mesi prima a della normale scadenza del praticantato (il 10 novembre).

Il paradosso è ben spiegato in un articolo del Corriere che fa riferimento a un comunicato pubblicato da Link Coordinamento Universitario, portavoce nazionale di diverse realtà studentesche, nel quale si legge:

«Rispetto all’accesso alla pratica, c’è una difficoltà dei laureandi di iscriversi in tempo (10 maggio 2020) per accedere all’esame di abilitazione 2021.
Il Governo, gli Ordini locali e il CNF devono operare per permettere ai laureandi la possibilità di iscriversi successivamente al Registro dei Praticanti.
Se, a maggior ragione, si tiene conto del decreto legge che prevede l’estensione dell’anno accademico fino al 15 giugno, non possiamo permettere assolutamente che tantissimi studenti perdano inutilmente un intero anno, con la problematica conseguenza di essere costretti ad accedere all’Esame di Stato solo a partire dal 2022 a causa del COVID-19».

I RISULTATI DELLE PROVE SCRITTE DI DICEMBRE 2019

Nel frattempo, un’altra grossa incertezza avvolge la prova orale del 2020.

Infatti, non si hanno notizie sulle correzioni delle prove scritte già sostenute a dicembre 2019, sospese a causa del lock down.

Gli esaminandi degli anni passati avevano la certezza di conoscere, prima o poi, i loro risultati e l’unica incertezza era il QUANDO (più o meno tra giugno e luglio).

Gli esaminandi di quest’anno si trovano in una situazione straordinaria, nella quale non sanno nemmeno SE conosceranno il risultato della loro prova, con tutto ciò che ne può conseguire…

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Esame Avvocato: il Decreto “Rilancio” sblocca la situazione

Fase 2: Bonus Sanificazione per aziende e studi professionali

trattamento dei dati personali

Fase 2 e privacy: il trattamento dei dati personali in studi e aziende

Se si pensa alla Fase 2 in relazione a privacy e trattamento dei dati personali si potrebbe credere che la questione riguardi solo Immuni, la app di tracciamento di massa non ancora disponibile nonostante le riaperture.

Invece, non è così.

Proprio le riaperture di studi professionali e aziende richiedono il rispetto di numerose regole comportamentali e una vigilanza constante della situazione interna al fine di evitare una nuova e ingestibile escalation dei contagi da COVID-19.

La situazione del tutto inedita però fa sorgere dubbi su quale sia il più adeguato trattamento dei dati personali di dipendenti, collaboratori, clienti, fornitori e altri soggetti.

Un esempio? Come si gestisce la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso della sede? Come va conservato il dato raccolto?

Il Garante della Privacy ha cercato di dare le risposte a queste e altre domande.

Noi vi riportiamo alcuni dei quesiti più interessati e le relative soluzioni.

“TRATTAMENTO DEI DATI NEL CONTESTO LAVORATIVO PUBBLICO E PRIVATO NELL’AMBITO DELL’EMERGENZA SANITARIA”

 

1) Può il datore di lavoro misurare la temperatura corporea del personale e di altri soggetti all’ingresso della propria sede?

Il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro stipulato tra Governo e parti sociali il 14 marzo 2020 inserisce la rilevazione della temperatura corporea tra le misure da adottare.

La rilevazione riguarda i dipendenti, ma anche clienti, fornitori e visitatori, soprattutto quando non vi sia un ingresso separato (cfr. Protocollo par. 2 e 3 e nota n. 1).

Quando alla rilevazione della temperatura corporea si associa l’identità del dipendente, allora l’azione ricade nel trattamento dei dati personali secondo il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR).

In questo caso, il datore non può registrare il dato della temperatura corporea ma solo l’eventuale superamento della soglia stabilita per legge (37,5°) e solo quando questo dato è necessario a documentare il mancato accesso al luogo di lavoro.
Nel caso della rilevazione della temperatura corporea di visitatori, qualora fosse superiore alla soglia non serve registrare il motivo del mancato accesso.

2) Il titolare può chiedere ai propri dipendenti di rilasciare un’autodichiarazione relativa all’eventuale esposizione al COVID-19 come condizione per entrare in studio o in azienda?

Anche prima del coronavirus i dipendenti avevano l’obbligo di comunicare al datore di lavoro l’esistenza di situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza a lavoro (art. 20 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Le cose non sono cambiate.

I dipendenti che negli ultimi 14 giorni siano stati in contatto con soggetti positivi a COVID-19 o siano stati in zone a rischio non possono accede allo studio o in azienda.

Secondo il Protocollo condiviso è possibile richiedere una dichiarazione che attesti tali circostanze non solo ai dipendenti ma anche ad altri soggetti che accedono alla sede.

Il datore deve però limitarsi a raccogliere solo i dati “necessari, adeguati e pertinenti alla finalità, cioè la prevenzione dei contagi, e non può chiedere dettagli su l’eventuale persona positiva, sulla  località visitata o qualsiasi altro dettaglio rientri nella sfera privata.

3) Quali dati personali può trattare il medico competente in questo nuovo contesto?

Come sempre, il trattamento dei dati personali raccolti dal medico prevede il divieto assoluto di comunicare al datore le patologie specifiche dei lavoratori.

Il medico può però predisporre visite straordinarie a fini preventivi.

Inoltre, deve segnalare al datore di lavoro “situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti per suggerire modifiche all’attività lavorativa volte a ridurre il rischio che i dipendenti si ammalino (cfr. paragrafo 12 del predetto Protocollo).

Il datore di lavoro può trattare i dati sanitari dei dipendenti sempre nel rispetto dei principi del GDPR (art. 5), sempre se ciò è previsto dalle normative vigenti, su specifica segnalazione del medico competente e sempre al fine di garantire un’adeguata sorveglianza sanitaria.

4) In caso di dipendenti positivi a COVID-19, il datore di lavoro a chi può comunicare i dati dei contagiati?

In caso di personale contagiato il datore di lavoro deve comunicare i nominativi alle autorità sanitarie competenti e offrire la propria collaborazione per individuare i “contatti stretti” e permettere una veloce attività di contenimento del contagio.

Il datore di lavoro non può comunicare i nominativi dei positivi né agli altri dipendenti né all’eventuale Rappresentante dei lavoratori.

La comunicazione di informazioni sulla salute di un dipendente o di un collaboratore, all’interno o all’esterno dello studio o dell’azienda, è concessa solo se ammessa dalle normative vigenti o se disposta dalle autorità competenti e sempre ai fini della prevenzione dei contagi.

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accaparramento di clientela

CNF: sanzioni per l’accaparramento di clientela contro i medici

In un precedente articolo intitolato Accaparramento di clientela e avvocati che sfruttano COVID-19 vi abbiamo parlato di come alcuni avvocati stessero cavalcando l’onda emotiva generata dalle morti per COVID-19 per fare affari.
In particolare, i professionisti in questione si proponevano ai parenti delle vittime, intenzionati a muovere battaglia contro i medici ritenuti responsabili della loro perdita, promettendo cospicui risarcimenti economici. 

C’è da sottolineare che questa attività di accaparramento della clientela basata sulle emozioni altrui e non si è limitata al solo aspetto sanitario. Non sono mancate infatti le proposte di gestione dei divorzi generati dalla convivenza forzata durante il lock down, o l’assistenza per ricorsi nel caso si fosse stati esclusi dalle misure di sostegno economico previste dal governo.

Certamente però, la scelta di “prendere di mira” i medici, la categoria in prima linea nella lotta contro il coronavirus, ha generato più sconcerto.

All’epoca, poco più di un mese fa,  Filippo Anelli, presidente della FNOMCEO, Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, ha scritto una lettera al presidente del CNF Andrea Mascherin per chiedere maggiore vigilanza su comportamenti scorretti di questi avvocati particolarmente intraprendenti.

Parallelamente, alcuni ordini forensi locali, come Napoli, Palermo e Roma, hanno preso posizione contro tale accaparramento di clientela, mentre l’Avv. Malinconico, presidente dell’Organismo Congressuale Forense, ha inviato ai COA una comunicazione sul fenomeno.

Cosa è successo poi?

ACCAPARRAMENTO DI CLIENTELA:CNF PROMETTE VIGILANZA E SANZIONI CONTRO CHI SPECULA

Pochi giorni dopo la lettera di Anelli, il CNF ha pubblicato un comunicato sul proprio sito ufficiale nella quale esprimeva una forte condanna per iscritti che violano principi etici dell’avvocatura, promettendo alla FNOMCEO un’attenta vigilanza per individuare quegli iscritti che si fossero macchiati di un comportamento contrario all’etica professionale.

Oltre alla condanna, il CNF ha dichiarato di voler sanzionare gli avvocati che speculano sul dolore, sopratutto coloro che offrono assistenza contro i medici impegnati a combattere il COVD-19.

Del resto, il problema dell’accaparramento di clientela non è solo una pura questione deontologica. Nella situazione specifica generata da COVID-19, ha anche una valenza sociale.

Come si legge nel comunicato del CNF, i comportamenti di questi avvocati “minano così anche l’immagine dell’avvocatura tutta, che invece, anche e soprattutto in queste circostanze, ancora una volta, sta dimostrando piena consapevolezza del ruolo sociale a cui è chiamata e a cui non intende sottrarsi”. 

La Fase 2 è iniziata, ma non si possono escludere nuovi picchi nei contagi, con nuove chiusure e un nuovo aumento del carico di lavoro per i medici.
In un contesto simile sarebbe bene generare unità tra le varie categorie e le componenti sociali, non certo speculare.

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[EVENTO ONLINE 4 maggio] Diritto per mare e per terra – criticità attuali e prospettive future dei comparti nautico e agricolo

Cosa lega due settori fondamentali dell’economia italiana come agricoltura e nautica?

Quali sono le sfide che i due comparti dovranno affrontare a seguito dei cambiamenti prodotti da COVID-19?

Di questo è altro si parlerà durante l’evento online “Diritto per mare e per terra” in programma lunedì 4 maggio 2020, ore 18:30, organizzato dalla rivista AVVOCATI in collaborazione con Servicematica.

Il webinar verrà trasmesso in diretta sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di AVVOCATI.

Introduce:

Gianna Gancia, europarlamentare

Intervengono:

Luca Lazzaro, Presidente di Confagricoltura Puglia,

Antonio Bufalari, docente di diritto marittimo e della nautica da diporto,

Giorgio Liserre, esperto di diritto vitivinicolo e founder App Cantinaconforme

Presenta e conduce:

Rosa Colucci, direttore responsabile della rivista Avvocati

evento diritto per mare e per terra

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