Spinta alla mediazione grazie agli incentivi fiscali per gli avvocati

Spinta alla mediazione grazie agli incentivi fiscali per gli avvocati

Gli emendamenti presentati il 16 giugno scorso al DDL sulla riforma del processo civile sono stati accompagnati da un relazione tecnica che evidenzia alcuni incentivi fiscali per gli avvocati e in caso di ricorso alla mediazione.

Il DDL di riferimento è l’AS (Atto Senato) 1662, firmato dal ex-guardasigilli Bonafede e ancora all’esame della commissione Giustizia del Senato.

LA MEDIAZIONE E GLI INCENTIVI FISCALI PER GLI AVVOCATI

La novità principale è contenuta nell’art. 2, nella nuova lettera a) proposta dagli emendamenti e relativa proprio alle ADR. Vengono elencati tutti gli incentivi fiscali che verranno rivisti e semplificati per incentivare le parti a scegliere la mediazione.
Gli incentivi fiscali previsti sono:

1) Ampliamento dell’applicazione dell’esenzione dall’imposta di registro (ex art. 17, comma 3, D.Lgs. 28/2010), per un costo pari a 6 milioni l’anno.
2) Aumento da 500 a 600 euro del limite massimo per il credito di imposta (ex art. 20, D.Lgs 28/2010) ed estensione dello stesso ai compensi pagati agli avvocati, evenienza era fin qui solo alla remunerazione pagata all’organismo di mediazione. Il tutto per un costo di 47,6 milioni di euro l’anno.

Le risorse per coprire tali costi verranno dal Fondo per interventi strutturali di politica economica (Dl 282/2004), dal Fondo del Mef per le esigenze indifferibili che si manifestano in corso di gestione (ex art. 1, comma 200, legge 190/2014), dal Fondo speciale legato al programma “Fondi di riserva e speciali” della Missione “Fondi da ripartire”.

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Separazione, affido condiviso: modelli di Brindisi

Il Tribunale di Brindisi propone un facsimile di ricorso per separazioni consensuali e giudiziali

Era il 2017, quando il Tribunale di Brindisi elaborava proprie linee guida e modelli in grado di orientare la giurisprudenza. Oggi, il medesimo gruppo di lavoro, aggiunge al precedente documento un fac-simile di ricorso unilaterale per la separazione. In esso si trovano: regolamentazione delle condizioni della separazione e regolamento e specificazione spese straordinarie per i figli minori.

Piano genitoriale: l’affidamento dei minori deve basarsi sulla pariteticità dei genitori

La separazione tra coniugi è un momento complesso: bisogna bilanciare gli interessi contrapposti delle parti, rispettando l’ordinamento legislativo vigente. In questo quadro, si inseriscono il documento del 2017, e poi quello dell’8 aprile scorso, ad opera del Tribunale di Brindisi. In effetti, si tratta dello stesso gruppo di lavoro che elabora un documento basato sulla pariteticità -sia teorica che pratica- dei genitori (art.337-ter c.c.).

Dunque, al centro c’è la garanzia del diritto alla bigenitorialità: “il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”. Non solo: “di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. A tal fine, il documento contiene un fac-simile di ricorso unilaterale per la separazione con la regolamentazione delle condizioni e spese per figli minori.

Infatti, secondo il Tribunale, la via ordinaria e principale di separazione dev’essere l’affidamento rivolto ad entrambi i genitori in maniera condivisa. Quindi, salvo specifiche eccezioni, anche dal punto di vista economico, ciascun genitore deve contribuire direttamente al mantenimento del figlio minore. Infine, al documento, è affiancato un modello di Piano Genitoriale (PG), da redigere -congiunto o disgiunto- per impegnare pariteticamente, con pienezza e continuità, entrambi i genitori.

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Riprendiamo gli interessanti contenuti dell’articolo “Semplificazioni, la febbre che può legare le mani (anche) all’avvocato” apparso su Il Dubbio in cui si esamina il futuro nebuloso che incombe sul lavoro dell’avvocato.

La gestione dell’emergenza COVID lascerà infatti tracce in molti ambiti dell’esistenza delle persone e porterà dei cambiamenti inevitabili, alcuni dei quali riguardano la professione dell’avvocato.

I cambiamenti maggiori toccheranno probabilmente di più i legali che si occupano di diritto delle imprese, di opere pubbliche e di contrattualistica. Questo perché l’impianto normativo a favore della ripresa economica e il Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale stanno puntando a una forte semplificazione che da un lato riduce i margini di errore concessi alle PA, ma dall’altro va a modificare in modo inedito il lavoro degli avvocati.

LE OPINIONI SULLE SEMPLIFICAZIONI E GLI EFFETTI SUL LAVORO DEGLI AVVOCATI

Nell’articolo vengono riportate le parole di alcuni esponenti del mondo legale.

Il Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Raffaele Greco, spiega che:

«Sia con il decreto Semplificazioni dello scorso anno, il Dl 76, sia con il Dl 77/2021 da poco emanato, e noto come decreto Governance, è stata affievolita, per il giudice amministrativo, la possibilità di incidere sui contratti per appalti e servizi stipulati dalle pubbliche amministrazioni con i privati. Prima per le gare legate all’emergenza covid e in generale fino al 31 dicembre 2021, poi con estensione fino tutto il 2023.
Lo si fa in nome dell’idea secondo cui il controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni rallenterebbe l’economia.
Credo che noi magistrati e gli avvocati siamo d’accordo nel ritenere che una tutela ridotta non sia nell’interesse neppure delle imprese. Un contratto che continua a dispiegare i propri effetti nonostante un Tar ne abbia riconosciuto l’illegittimità sembra contrastare innanzitutto con il buon funzionamento dell’amministrazione, ma anche con quel modello di crescita che l’Europa si aspetta dal nostro Paese, basato sui principi di correttezza e trasparenza. Ecco, a me pare che non si consideri con attenzione tale aspettativa. E che anzi si rischi di vedere alcune delle norme cosiddette semplificatorie introdotte negli ultimi mesi finire dinanzi alla Corte di giustizia dell’Ue».

La consigliera Cnf, Isabella Stoppani, coordinatrice della commissione Diritto amministrativo, la vede così:

«Di fronte a un contratto che, pur dichiarato illegittimo, non può più essere travolto dalla decisione del giudice, si aprirebbero ipotesi di ulteriori contenziosi. Alcune attività difensive potrebbero dirottarsi dall’ambito amministrativistico a quello ordinario. Ma dal punto di vista delle istituzioni forensi non sembra questo il cuore della questione: piuttosto, non possiamo tacere sul rischio che si arrechino danni alla collettività, innanzitutto.
Già sono stati eliminati diversi controlli interni alle amministrazioni, per esempio quelli preventivi del Coreco; ora si rischia di limitare l’accesso materiale alla giurisdizione, e in ultima analisi di favorire il malcostume, sotto varie forme.
Di sicuro, la tutela dei cittadini è garantita fino a quando lo è l’accesso alla giustizia.
Ogni scorciatoia viola gli articoli 24 e 111 della Costituzione e danneggia tutti. Credo sia questa la considerazione da fare».

Stefano Bigolaro, consigliere dell’Unione nazionale amministrativisti, ribadisce come la

«monetizzazione della tutela», cioè «la possibilità per chi è illegittimamente escluso da una gara o da un contratto, di ottenere almeno un risarcimento, non si possa mettere sullo stesso piano dell’effetto caducatorio di una sentenza del Tar.
Con le nuove norme, le opere e le forniture di servizi appaltate dalle Pa ai privati andranno avanti anche se la procedura è stata dichiarata illegittima da un giudice, ad esempio perché l’impresa vincitrice era priva dei requisiti.
Se un avvocato può dire al proprio assistito “abbiamo buone possibilità di ottenere la riassegnazione dell’opera”, è un conto. Altro è potergli prefigurare solo un esito risarcitorio. Innanzitutto perché quell’imprenditore nel frattempo non lavora, e la prospettiva del ristoro economico è spesso incerta e lontana. Inoltre, se l’illegittimità dipende non solo da un errore della stazione appaltante ma anche da una specifica condotta del privato aggiudicatario, l’azione contro quest’ultimo dovrà essere necessariamente avviata dinanzi al giudice ordinario.
Avremo magari due procedimenti paralleli con due diversi magistrati e tutti i problemi legati alla necessità che si parlino fra loro».

Difficile al momento capire quali saranno i reali effetti sulla professione legale.

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Avvocati responsabili dei compiti dei sostituti

E’ responsabile disciplinarmente l’avvocato che affida compiti alla sostituta senza controllarne l’esecuzione

Il CNF si è recentemente espresso riguardo il caso di responsabilità di un avvocato sui compiti lavorativi della sua sostituta. Infatti, se il legale sollevava motivi di responsabilità diretta da parte della stessa sostituta, la sentenza n.219/2020 non lascia margini di dubbio. Infatti, si definisce “violazione deontologica” il caso in cui un avvocato affidi “a collaboratori compiti che avrebbe dovuto svolgere personalmente […] omettendo di verificarne l’esecuzione”. 

Violazione deontologica avvocato: egli è responsabile anche per il fatto del sostituto

Succede che all’Auls della Romagna venga notificato, a istanza di un avvocato -creditore precedente, un atto di pignoramento presso terzi. Poi, succede che all’avvocato venga comunicato via pec l’avvenuto pagamento della somma, prima ancora della stessa notifica dell’atto. Perciò, avendo assolto al suo obbligo di legge, il terzo -debitore- non compare all’udienza indicata in suddetto atto.

Tuttavia, nel corso dell’udienza, non viene dato atto di tale comunicazione, dunque il Giudice emette ordinanza di assegnazione (art. 553 c.p.c.). A questo punto, l’Ausl diffida l’avvocato dal procedere esecutivamente nei suoi confronti, però tale diffida rimane senza effetto. A questo punto, il Consiglio Distrettuale di Disciplina avvia un procedimento nei confronti dell’Avvocato.

Ed è proprio lo stesso CDD a dichiarare l’Avvocato responsabile della violazione “del dovere di esercitare l’attività professionale con lealtà e correttezza e del dovere di verità”. Inoltre, se la mancata produzione fosse effettivamente addebitabile al sostituto, l’avvocato avrebbe avuto comunque molteplici occasioni per rimediare. La sentenza successiva, del CNF, conferma tale provvedimento evidenziando la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e verità da parte dell’Avvocato.

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Green Pass, privacy e App IO. Il Garante dice sì

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Il problema della privacy legato all’App IO sembra essersi risolto, con il Garante che finalmente ha dato parere positivo sul suo uso per il recupero del Green Pass.  in conformità al Dpcm dello scorso 17 giugno 2021.

Il parere giunge dopo le modifiche apportate da PagoPA a seguito delle segnalazioni dello stesso Garante.

PRIVACY E APP IO: I PROBLEMI EVIDENZIATI DAL GARANTE

Il Garante della Privacy aveva individuato alcune criticità relative alla privacy degli utenti.

Creazione di un identificativo univoco (Google)

Al primo avvio su un dispositivo Android, l’App IO avvia automaticamente i servizi Firebase di Google, creando un identificativo legato in modo univoco all’utente, senza informare quest’ultimo. Non viene data all’utente alcuna libertà di scelta e manca chiarezza sulle finalità del trattamento.

Il tracciamento (Mixpanel)

All’interno dell’App IO sono presenti librerie di tracciamento di Mixpanel.
Tali librerie inviano automaticamente dati sull’utilizzo dell’app da parte degli utenti ai sistemi di Mixpanel attraverso la creazione di un identificativo univoco.
Anche in questo caso, l’utente non è informato ed è impossibilitato dall’esprimere un consenso conforme all’art. 122 del Codice della Privacy. Inoltre, la profilazione risulta essere non conforme a quanto indicato nell’art.4 n.4 e nel considerando 71 del GDPR.

Attivazione automatica dei servizi

Al primo accesso, tutti i servizi messi a disposizione da ogni ente nazionale o locale tramite l’App IO vengono attivati come impostazione predefinita. È compito dell’utente disattivarli uno per uno.

Notifiche push

Per informare gli utenti della ricezione di messaggi all’interno dell’App IO, la stessa si basa sulle notifiche push. Per funzionare, tale sistema necessita del trasferimento di alcuni dati personali ai gestori dei sistemi operativi dei dispositivi (Google o Apple).

IL PARERE POSITIVO DEL GARANTE

Con il provvedimento del 9 giugno, Il Garante ha chiesto a PAgoPA di bloccare provvisoriamente alcune forme di trattamento dei dati tramite l’App IO e di risolvere le criticità evidenziate.

Di contro, il Ministero dell’Innovazione ha emesso un comunicato con cui ha smentito le accuse e ha sottolineato il ruolo dell’app come pilastro per la trasformazione digitale della PA.

PagoPA ha provveduto subito a disattivare l’invio di dati a Google e Mixpanel. In relazione a quest’ultima azienda, i dati potranno essere conservati per un massimo di 10 giorni.

Dal 9 luglio verrà anche introdotta la modalità opt-in per l’attivazione consapevole dei singoli servizi.

Il Garante della Privacy ha dunque dato il via libera all’uso dell’app IO per la visualizzazione del Green Pass.

GREEN PASS, COME FUNZIONA L’APP IO E COME OTTENERLO

Alla richiesta dell’utente, l’app invia una notifica push sotto forma di sms o mail contenente un codice che permette di recuperare la certificazione verde dal sito www.dgc.gov.it. È necessario inserire le cifre della tessera sanitaria e si ottiene un codice QR contenente le informazioni su tamponi, vaccinazioni o eventuale guarigione.

È possibile scaricare il Green Pass anche tramite il Fascicolo Sanitario Elettronico, oppure chiedendolo al medico di famiglia o alla farmacia.

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Assegno unico figli: attuato decreto ponte

Ne beneficeranno coloro che ad oggi non hanno alcun diritto all’assegno

Dal primo luglio, entra in vigore il decreto ponte sull’assegno unico per i figli approvato nel CdM del 4 giugno. E’ un provvedimento a copertura del periodo 1 luglio- 31 dicembre 2021, in attesa dell’effettivo assegno unico che partirà il 1 gennaio 2022. La grande novità della misura riguarda la platea dei beneficiari: l’esecutivo ne prevede attorno ai 1,8 milioni.

Assegno unico: che cos’è, come ottenerlo e quali sono gli importi

Assegno Unico: misura messa del Governo per “riordinare, semplificare e potenziare, anche in via progressiva, le misure a sostegno dei figli a carico […]”. Si tratta di una misura innovativa in quanto ci si aspetta che ne beneficeranno 1,8 milioni di famiglie italiane. Tuttavia, dopo un avvio più volte rimandato, il prossimo 1 luglio parte il decreto ponte, rivolto ad una platea specifica.

Infatti, tale misura si rivolge alle famiglie prive dei presupposti per ricevere gli assegni familiari, colmando il vuoto lasciato dalla normativa precedente. Inoltre, per accedere al beneficio, è necessario che il nucleo familiare del richiedente non superi i 50 mila euro annui di Isee. Oltre a ciò, il richiedente deve necessariamente essere residente in Italia da almeno due anni e i figli devono essere minorenni.

L’importo dell’assegno ponte viene corrisposto per ogni figlio: in base al numero di figli; secondo la situazione economica (Isee). Infatti, all’aumentare del livello dell’Isee diminuisce il valore dell’assegno: la forbice va da 30 euro a circa 217euro per ciascun figlio. Infine, l’assegno ponte è compatibile: con il Reddito di cittadinanza; con la fruizione di eventuali altre misure economiche erogate da Regioni e Comuni a sostegno dei figli a carico. 

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I Ministri delle Finanze dei sette paesi più industrializzati hanno dichiarato l’intenzione di fissare un’aliquota minima globale da applicare alla tassazione delle multinazionali.

La misura dovrebbe colpire tutte quelle grandi aziende che approfittano di regimi fiscali agevolati, prime fra tutte le “Big Tech” come GoogleFacebook.

COSA PREVEDE L’ACCORDO SULL’ALIQUOTA MINIMA GLOBALE

Sono due i punti fondamentali previsti:

• un’aliquota minima globale di almeno il 15%, che ricade su tutte le multinazionali, applicata Paese per Paese;
• le imprese più grandi, con margini di profitto superiori al 10%, pagheranno le tasse in ogni Paesi in cui operano e non solo dove hanno la sede. 
I ricavi eccedenti il 10% vengono tassati almeno al 20% nei Paesi in cui le multinazionali operano.

L’obiettivo dell’accordo è limitare l’elusione delle regole fiscali ma anche la concorrenza tra gli stati con fiscalità diverse.

Per puntare davvero un’effettività globale, la proposta verrà sottoposto anche ai membri del G20 in programma a luglio e aggiustata. La sua attuazione richiederà comunque qualche anno.

I COMMENTI

Il Ministro del Tesoro USA, Janet Yellen, descrive questo accordo come “un impegno senza precedenti, che metterà fine alla corsa al ribasso nella tassazione aziendale, assicurando equità per i lavoratori negli Stati Uniti e in tutto il mondo.”

Anche Mario Draghi è soddisfatto, considerandolo “un passo storico verso una maggior equità e giustizia sociale per i cittadini”.

Anche i portavoce di Facebook e Google hanno accolto con favore l’accordo sull’aliquota minima globale.

I DUBBI

La proposta iniziale di un’aliquota minima globale prevedeva una tassazione al 21%, abbassata poi al 15% per andare incontro a quei paesi UE che devono parte della loro ricchezza alla concessione di regimi fiscali agevolati alle multinazionali (Cipro, Irlanda, Lussemburgo e Olanda).

Gabriel Zucman, direttore dell’EUTO, l’Osservatorio Fiscale Europeo, definisce l’accordo inadeguato.
Il primo rapporto dell’Osservatorio mostra infatti a quanto ammonteranno le perdite dei Paesi UE se l’aliquota minima globale rimanesse al 15% invece che essere portata al 25% come proposto anche dall’Icrict, la Commissione Indipendente per la Riforma della Tassazione Aziendale Internazionale.
A grandi linee si parla di 120 miliardi di euro.
Con un’aliquota minima al 25% i ricavi dell’Unione europea salirebbero di quasi 170 miliardi; con l’aliquota al 15% di soli 50 miliardi. In particolare, l’Italia passerebbe da 11,1 miliardi a 2,7.

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Attualmente, in Italia, per rimanere iscritti all’albo, vige l’obbligo di esercitare la professione forense in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente. Ciò si concretizza con il vincolo dei cinque affari annui: se si scende sotto questa soglia, si è esclusi dall’albo. Tuttavia, dopo le raccomandazioni dell’Ue, il ministero sembrerebbe voler modificare il decreto, non senza polemiche da parte del CNF.

Il vincolo dei cinque affari annui è destinato ad avere vita breve.

In Italia, per rimanere iscritti all’albo, vige l’obbligo di esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione forense. Ne consegue l’obbligatorietà di trattare almeno cinque affari l’anno, pena esclusione dall’albo nazionale. Tuttavia, secondo la Commissione dell’Unione Europea, questa norma limiterebbe la flessibilità intrinseca alla professione stessa dell’avvocato.

Infatti, secondo l’Ue: “non sembra esservi alcun nesso tra l’obbligo di trattare almeno cinque affari per ciascun anno e la garanzia del corretto esercizio della professione di avvocato”. Al contrario, si rivelerebbero molto più utili al mantenimento della competenza, i corsi di formazione continua, per aggiornamenti. Dunque, al fine di scongiurare un aggravamento della procedura di infrazione, il Ministero della Giustizia decide di modificare il decreto.

Tuttavia, alla decisione di modifica del decreto, si contrappone la volontà del CNF, a favore della soglia minima dei cinque affari. In questo quadro, si inserisce il parere del Consiglio di Stato: viene adottato il decreto, in linea con l’impegno europeo. Infine, considerando la formulazione della nuova norma, i giudici amministrativi specificano che non compromette la tutela dei destinatari dei servizi.

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Hanno gli avvocati il potere di eseguire autenticazioni? Sì.

Il riferimento normativo si trova nelle modifiche all’articolo 14 della legge 53/1990 introdotte con l’art. 16 bis del decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020, convertito in legge n.120 del 11 settembre 2020, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale».

Le modifiche riguardano i termini  «segretari delle procure della Repubblica» a cui ora seguono i termini «gli avvocati iscritti all’albo che abbiano comunicato la loro disponibilità all’ordine di appartenenza, i consiglieri regionali, i membri del Parlamento».

La modifica va a introdurre la facoltà per gli avvocati di autenticare alcune tipologie di sottoscrizioni, come quelle relative a proposte di legge di iniziativa popolare, referendum o elezioni.

AVVOCATI E AUTENTICAZIONI: IL TESTO DELL’ARTICOLO MODIFICATO

Qui di seguito il testo dell’articolo 14 della legge 53/1990 modificato che amplia agli avvocati la facoltà di eseguire autenticazioni:

“Sono competenti ad eseguire le autenticazioni che non siano attribuite esclusivamente ai notai e che siano previste dalla legge 6 febbraio 1948,n. 29 , dalla legge 8 marzo 1951, n.122 , dal testo unico delle leggi recanti norme per la elezione alla Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 , e successive modificazioni, dal testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 , e successive modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1968,n. 108 , dal decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161 , convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 1976, n.240, dalla legge 24 gennaio 1979,n. 18 , e successive modificazioni, e dalla legge 25 maggio 1970, n.352, e successive modificazioni, nonché per le elezioni previste dalla legge 7 aprile 2014, n.56, i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello, dei tribunali e delle preture, i segretari delle procure della Repubblica, gli avvocati iscritti all’albo che abbiano comunicato la loro disponibilità all’ordine di appartenenza, i consiglieri regionali, i membri del Parlamento, i presidenti delle province, i sindaci metropolitani, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i componenti della conferenza metropolitana, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia. Sono altresì competenti ad eseguire le autenticazioni di cui al presente comma i consiglieri provinciali, i consiglieri metropolitani e i consiglieri comunali che comunichino la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco” .

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“Non possiamo promuoverli tutti, stiamo bassi” sottoposto alle verifiche del ministero della Giustizia

Non c’è pace per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato in questo 2021. In effetti, stanno facendo polemica le affermazioni da parte dei commissari di Lecce agli orali di Brescia. L’audio è ora sottoposto alle verifiche del ministero della Giustizia, dopo che le associazioni dei praticanti hanno chiesto aiuto alla Cantabria.

Un sistema volto al contingentamento all’accesso secondo uno standard di spazio

Nel corso di questi ultimi mesi ci è capitato di scrivere in merito all’esame di abilitazione per aspiranti avvocati. Tuttavia, se pensavamo che le problematiche e successive polemiche ad esso connesse fossero concluse, ci sbagliavamo. Infatti, qualche giorno fa è emerso, fragoroso, il caso dell’audio di Brescia finito sul web e nella chat.

Nello specifico, lo scorso 4 giugno, i commissari di Lecce inviati a Brescia, valutando un aspirante avvocato, dimenticano l’audio accesso. Dunque, tutti i collegati hanno ascoltato in diretta affermazioni quali: «Quanti ne avete promossi fino ad ora? Non possiamo promuoverli tutti, stiamo bassi». Infine, l’audio finisce dapprima sul web e nelle chat, successivamente nelle mani del ministero della Giustizia, per verifiche.

A tal proposito si esprime il Coordinamento dei giovani giuristi italiani, esplicitando la consapevolezza che non tutti possano abilitarsi alla professione forense. Tuttavia, si tiene a precisare altresì che questo è “un sistema volto al contingentamento all’accesso non secondo uno standard di merito”. Infatti, anche nella sua versione di “orale rafforzato”, l’esame per l’esercizio della professione palesa una realtà basata su criteri di “spazio”.

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