La prima causa penale di Amazon contro le recensioni false

Sapevate che esistono broker che alimentano il mercato delle recensioni fake su Amazon? Ovviamente si tratta di un reato, a più livelli. Amazon, infatti, ha presentato due denunce in Italia – le prime in tutta Europa. Negli USA, invece, le azioni legali hanno bloccato completamente il mercato delle recensioni false.

Commissionare recensioni false

Il fenomeno prende il nome di boosting illecito e consiste nel commissionare recensioni false (o non del tutto veritiere) per far salire il valore di un prodotto su Amazon o su ecommerce simili – anche se il prodotto che viene recensito meglio e di più non risulta necessariamente il migliore.

Amazon, ora, rischia di perdere alcune fasce di mercato in quanto aumentano sempre di più i soggetti che selezionano in maniera più efficace i prodotti presenti sulla piattaforma. Le condizioni di utilizzo, in realtà, vietano tassativamente questo modo di far salire i prodotti nelle classifiche.

Per questi motivi Amazon ha cominciato a sentire la necessità di interrompere in qualche modo il commercio delle recensioni commissionate dai produttori.

Amazon denuncia le recensioni false

In Spagna, Amazon si è esposta con una causa civile verso un soggetto ben identificato. In Italia, invece, ha depositato una denuncia penale contro un soggetto di cui non si conosce l’identità o la ragione sociale.

Sarà la Procura della Repubblica di Milano a svolgere le indagini che non si preannunciano così semplici. Siamo di fronte, infatti, a 11.000 siti web e gruppi/canali social (come Telegram), dove gli utenti vendono recensioni a cinque stelle, per un corrispettivo in denaro o per uno degli stessi prodotti recensiti.

Comprare una recensione: è reato?

Sono stati ipotizzati molteplici reati, anche se quello più immediato è il delitto di truffa.

Bisognerebbe ipotizzare la sussistenza di tre elementi strutturali del reato:

  • induzione in errore;
  • ingiusto profitto;
  • altrui danno.

Se osserviamo il lato dell’utente, non è detto che le cinque stelle inducano ad acquistare un bene, che, messo in relazione al suo prezzo, non ha valore e non funziona come dovrebbe.

Per quanto riguarda l’ingiusto profitto, dobbiamo tener presente che acquistare un bene non determina per forza l’indebolimento del patrimonio dell’utente, che acquista un bene che ha il valore del prezzo pagato.

Un ragionamento parallelo si può fare per un danno ingiusto: infatti, se compro un bene funzionante e con il valore del prezzo pagato, allora non c’è alcun danno. Ciò che viene leso è il bene giuridico, che la Cassazione spesso ritiene irrilevante a livello penale, anche se idoneo a creare una controversia civile (libera determinazione a contrarre).

Frode informatica

Molto probabilmente ci troviamo nel campo della frode informatica. Amazon opera con un sito internet, e le recensioni false vengono effettuate andando contro le condizioni di contratto e di utilizzo, alterando le informazioni sui prodotti che vengono messi in vendita.

C’è, quindi, un’alterazione effettuata senza diritto su un sito internet: la frode informatica, dunque, è pienamente integrata, e l’ipotesi di reato sembra decisamente solida, rispetto alla truffa aggravata.

Chi fa la recensione fake rischia qualcosa?

Certamente un singolo soggetto che ha scritto una recensione a cinque stelle con qualche forma di retribuzione è punibile in concorso con chi effettua il servizio di brokeraggio.

Tuttavia, è difficile ipotizzare che la Procura della Repubblica di Milano riesca a perseguire migliaia di utenti che si sono fatti coinvolgere nel traffico delle recensioni fake.

Oltre al concorso è altresì ipotizzabile un delitto di sostituzione di persona, come previsto dal Codice Penale. Ma questo soltanto nelle ipotesi in cui il soggetto che ha scritto una recensione falsa abbia anche utilizzato un account falso. 

Una singola azione per sconfiggere il sistema

La Procura della Repubblica di Milano potrebbe agire rapidamente in maniera preventiva, andando a sequestrare canali e siti dove viene effettuato il commercio illecito delle recensioni.

Una singola azione di questo tipo potrebbe bloccare il fenomeno intero. Gli utenti che hanno scritto le recensioni false, a quel punto, difficilmente continuerebbero a farlo, considerando di rischiare un procedimento penale.

Sarà interessante verificare l’ipotesi di reato che verrà contestata. I rapporti tra la frode informatica e la truffa sono tutt’ora oggetto di indagine tra gli addetti ai lavori.

Come riconoscere una recensione falsa

Ecco alcuni consigli per capire se la recensione che stiamo leggendo potrebbe essere falsa:

  • occhio ai voti troppo alti: se ci troviamo di fronte a una sproporzione di voti massimi rispetto agli altri, forse questo dovrebbe metterci in allerta;
  • attenzione anche alle date delle recensioni. Se ce ne sono molte di 5 stelle, concentrate in pochi giorni, probabilmente fanno parte di una campagna di boosting;
  • se ci sono tantissimi pareri a 5 stelle, controlliamo i profili degli utenti che le hanno rilasciate;
  • troppi complimenti destano sospetto;
  • attenzione anche alla lunghezza: i commenti brevi potrebbero essere quelli più veritieri. Infatti, i broker di recensioni fake non pagano al di sotto di 30 parole.

Recensioni negative

Ma anche chi scrive recensioni negative e offensive corre i suoi rischi, a prescindere dal fatto che il commento sia stato rilasciato mediante retribuzione o che sia spontaneo. Questo non significa che tutte le recensioni negative vadano ad integrare il reato previsto dall’art. 595 del Codice Penale, ma soltanto quelle che ledono la dignità del venditore, andando oltre al “diritto di critica”.

Offendere la reputazione di qualcuno con recensioni o commenti integra la diffamazione aggravata, in quanto potrebbero essere letti da tutti con una diffusione incontrollata. Se il giudice dovesse riconoscere la colpevolezza di chi ha scritto la recensione, oltre alle conseguenze penali si aggiungono quelle civili, come l’obbligo di risarcire i danni economici e morali.

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Il registro pubblico delle opposizioni non funziona come dovrebbe

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Il registro pubblico delle opposizioni non funziona come dovrebbe

Il Registro pubblico delle opposizioni, ovvero il servizio a cui iscriversi per bloccare le telefonate di telemarketing indesiderate, non funziona come dovrebbe. Secondo alcune associazioni dedicate alla tutela dei consumatori e secondo le segnalazioni degli stessi utenti, molte persone, anche se iscritte al registro, continuano a ricevere telefonate di telemarketing.

In base ad un recente sondaggio organizzato dall’Unione Nazionale Consumatori, il 57,5% degli iscritti al servizio dichiara che le telefonate sono certamente diminuite, ma non sono cessate completamente. Il 37%, invece, afferma che sono scomparse del tutto e per il 5% non è cambiato assolutamente nulla.

15 giorni di tempo

Il Registro pubblico delle opposizioni è attivo già dal 2010, ma dallo scorso luglio, grazie al Dpr 26/2022 era stato esteso anche ai numeri di cellulare. Teoricamente, se ci si iscrive al registro, entro 15 giorni le chiamate di telemarketing vengono interrotte.

Con l’iscrizione si annullano in maniera automatica tutti i consensi che sono stati rilasciati in precedenza, tranne quelli con i gestori delle utenze telefoniche. Restano validi, invece, quelli che vengono attivati dopo l’iscrizione al registro.

I call center e gli operatori dovranno consultare ogni mese il Rpo; lo devono fare anche prima di svolgere qualsiasi nuova campagna pubblicitaria telefonica.

Poche iscrizioni

Le iscrizioni, però, non sono state molte, almeno non quante ci si aspettava. Il presidente del Codacons, Gianluca Di Ascenzo, ha spiegato che «molti cittadini non conoscono ancora l’Rpo e non sanno quindi della possibilità di sottrarsi al telemarketing indesiderato. Servono maggiori campagne di informazione».

L’ultimo dato disponibile risale a metà settembre: 2,6 milioni di iscrizioni al registro. Si pensi che in Italia ci sono circa 80 milioni di cellulari. Dunque, il rapporto tra iscrizioni al registro e numeri telefonici attivi è molto basso.

Anche gli operatori devono iscriversi

Il problema non è stato soltanto il numero basso di iscrizioni da parte dei cittadini, perché anche gli operatori tardano ad iscriversi. Dovranno farlo, in ogni caso, se non vogliono incorrere in sanzioni importanti.

Per fare telemarketing, infatti, è necessaria l’iscrizione; dunque, tutti i call center dovranno iscriversi. Le sanzioni che sopraggiungono per mancata osservanza del Rpo, che potrebbero arrivare anche a 20 milioni di euro, sono disciplinate dal Regolamento generale sulla protezione dei dati e dal Codice in materia di protezione dei dati personali.

Aggirare i controlli all’estero

Gli operatori che hanno intenzione di aggirare i controlli potranno farlo molto facilmente. Moltissimi call center, infatti, si trovano all’estero: purché rispettino alcune norme, per loro sarà più semplice procedere con il telemarketing.

All’estero, i call center sono obbligati a seguire le regole del paese a cui appartiene il numero che riceve la telefonata. Spesso, però, questo non avviene. In Albania, per esempio, è difficile applicare sanzioni.

Agostino Ghiglia, componente del Garante dei dati personali, spiega a Today come la maggior parte delle telefonate avvenga con dei numeri camuffati, ovvero con la tecnica dello spoofing. Tecnica che rende piuttosto difficile comprendere chi c’è dietro una chiamata.

Numeri usa e getta

I call center che si appoggiano a questi metodi creano dei numeri “usa e getta” con alcuni software dedicati. Infatti, quando vengono richiamati, risultano inesistenti o non attivi. Lo stesso identico sistema viene utilizzato per alterare anche l’identificativo dei messaggi di testo.

Chi invia il messaggio potrebbe spacciarsi per una famosa azienda, considerata affidabile. In questo modo, l’utente che riceve l’sms dannoso sarà maggiormente spinto a cliccare su un link che porta a pagine che richiedono informazioni riservate.

Agcom ha chiesto agli operatori telefonici di adottare un sistema per bloccare le chiamate che non hanno un identificativo in formato E.164, ovvero lo standard del “Piano di numerazione delle telecomunicazioni pubbliche internazionali”. Tale standard definisce un formato generale per tutti i numeri di telefono.

I numeri che risultano conformi al piano dovranno avere meno di 15 cifre, e la prima parte deve contenere il prefisso del paese da cui chiamano (come il +39 per l’Italia).

Ulteriori precisazioni

Alcuni operatori, come Wind Tre, sono più avanti rispetti ad altri per quanto riguarda lo sviluppo di un sistema di filtraggio. In ogni caso, tutti gli operatori hanno fatto sapere che hanno intenzione di adeguarsi alle soluzioni decise durante il lavoro che viene svolto con Agcom.

Il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona, ha detto che «va precisato che non è assolutamente detto che l’impresa nominata dall’operatore, cioè che l’addetto cita per presentarsi, sia però effettivamente quella che ha commissionato la chiamata».

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Fermo sistemi settore civile per attività di straordinaria manutenzione

Nell’ambito di un’attività straordinaria di aggiornamento, miglioramento ed upgrade tecnologico dei sistemi giustizia sono programmate attività tecniche per migliorare l’usabilità e le prestazioni dei servizi informatici sugli Uffici giudiziari del distretto di Firenze.

Pertanto, a partire

dalle ore 12:00 di venerdì 21.10.2022 alle ore 10:00 di lunedì 24.10.1022

si procederà al fermo dei servizi informatici, settore civile, del distretto di Firenze.

L’attività di manutenzione renderà indisponibili i relativi servizi informatici esposti e, in particolare:

Eventuali attività urgenti ed indifferibili dovranno essere gestite secondo quanto previsto dall’art. 8 DM 264/2000.

Durante le attività rimarranno attivi i servizi di posta elettronica, sia ordinaria sia certificata, e saranno quindi disponibili le funzioni di deposito telematico da parte degli Avvocati e degli altri soggetti abilitati esterni, anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici e all’intervento manuale della Cancelleria perverranno solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Le modifiche potrebbero interessare l’intero territorio nazionale.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida disponibile al seguente link LINK GUIDE

Come organizzare la scrivania per lavorare meglio

Tutto comincia dalla scrivania. Quella di Albert Einstein era nota per la grande quantità di libri, documenti e appunti. Una confusione che non preoccupava il premio Nobel, tanto che un giorno disse: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa sarà segno allora una scrivania vuota?».

Pregiudizi 

Non è affatto vero che i geni, prima di arrivare alle loro idee rivoluzionarie, vivessero nel caos, ma questa visione della scrivania come simbolo di creatività non si adatta bene all’ambiente lavorativo, che sia in smart working o in ufficio. Un tavolo curato, gradevole e funzionale facilita il benessere e l’attività lavorativa.

Sabrina Toscani, fondatrice di Organizzare Italia, ha detto che è necessario «per la nostra mente dedicare un’area chiara e ufficialmente rivolta al lavoro in termini di spazio e di tempo, per evitare la sovrapposizione con la vita privata e domestica».

Una scrivania tanto bella quanto efficiente

Il primo consiglio «è quindi di dedicare un tavolo o una scrivania che possa accogliere nel migliore dei modi, quindi in una posizione con sufficiente luce, con spazio necessario per sedersi in maniera ergonomica e lavorare al computer rispettando gli appoggi corretti di mani, braccia, gambe e piedi. L’area dovrebbe inoltre essere sgombra per poter ospitare pensieri, creatività, flusso di lavoro».

Continua: «Qualsiasi cosa superflua e non utile a questi fini rischia di ostacolare un modo fluido e organizzato di lavorare. Quindi la cosa migliore è tenere a portata di mano solo ciò che serve e allontanare ciò che può prendere la nostra attenzione in maniera non funzionale».

Creare una scrivania tanto bella quanto efficiente ha più impatti: essere accolti in un’area gradevole e funzionale crea uno stato d’animo migliore al fine di affrontare al meglio una giornata di lavoro. L’area di lavoro così organizzata, soprattutto in un ambiente domestico, assume un valore ufficiale per tutti.

L’impatto, a livello mentale, di un buon setting organizzativo, influenza direttamente i comportamenti e il modo di lavorare. Dunque, sia che si segua uno stile metodico, sia che si segua uno stile più creativo, è necessario avere il giusto spazio per mettere in campo abilità e talenti, che nella confusione potrebbero andar persi o non essere valorizzati.

Il decluttering

Hai mai sentito il termine “decluttering”? Letteralmente, significa “eliminare ciò che ingombra”; è una pratica che può essere utilizzata in qualsiasi ambito della propria vita, e si sposa perfettamente con il voler far ordine sulla propria scrivania.

Non è il semplice gettare le cose che non servono più: è una vera e propria filosofia di pensiero, che aiuta ad eliminare tutto quello che è superfluo, ma riorganizzando le idee e focalizzandosi sui propri obiettivi.

Ma come organizzare la scrivania, seguendo il decluttering? Per prima cosa, sgombra completamente la scrivania e pulisci il piano di lavoro con un panno umido. Dopodiché, potrai cominciare ad eliminare tutto quello che non ti è utile. Sono veramente necessari tre block notes? O te ne basta soltanto uno?

Raccogli tutti i fogli sparsi: getta quelli inutili (oppure mettili da parte per riutilizzarli), mentre gli altri puoi riordinarli in cartelline apposite, suddividendoli per categorie.

Poi, comincia a sistemare i vari dispositivi elettronici e gli accessori, dato che sono gli elementi più importanti. Scegli pochi accessori, ma utili, come una lampada da tavolo, un organizzatore e un portapenne.

Le buone abitudini

La scrivania incarna la tua postazione di lavoro: dovrai, dunque, muoverti agevolmente. Ci dovrà essere uno spazio libero, dove collocare il pc e il mouse da utilizzare in piena comodità.

Tutti utilizzano un computer: per questo potresti ritrovarti sommerso da fili vari. La soluzione è quella di utilizzare delle scatole portacavi. Ce ne sono di diversi materiali e colori, dunque potrai scegliere quella che preferisci a seconda delle tue esigenze o gusti personali.

Ma non dimentichiamoci la pulizia: pulisci e spolvera almeno ogni due o tre giorni. Una scrivania pulita e in ordine aiuterà ad iniziare la giornata di lavoro con la mente sgombra da distrazioni e ostacoli.

E se vuoi evitare di generare di nuovo il caos nel giro di poco tempo, prendi l’abitudine di rimettere a posto subito gli oggetti ogni volta che li riutilizzi. All’inizio potrebbe sembrarti qualcosa di noioso, ma una volta che entra a far parte della tua routine ti semplificherà il processo di riordino.

Gli oggetti che non possono mancare sulla scrivania

Lampada da tavolo

Necessaria e immancabile, una lampada da tavolo aiuta a rendere funzionale la scrivania ma anche a decorarla. Scegline una dal design minimale per preservare un senso d’ordine. Ma soprattutto, scegli lampadine con toni caldi, per ottenere un’atmosfera rilassata, che non appesantisca gli occhi.

Organizer

Uno degli oggetti più utili per organizzare una scrivania è l’organizer. È una piccola struttura, di solito di legno, che è formata di più scompartimenti e livelli. All’interno c’è di tutto: forbici, post-it, tutto quello che è necessario per svolgere le tue attività.

Un altro oggetto immancabile è il portapenne, che puoi creare anche dando sfogo alla tua creatività: puoi dipingere un vecchio barattolo o una scatola delle scarpe. Certamente l’organizer può contenere anche delle penne, ma chi lavora in ufficio sa benissimo quanto sia fondamentale avere a portata di mano una penna per prendere appunti.

Organizer per cassetti

Mentre organizzi la tua scrivania non puoi non prendere in considerazione anche i cassetti. Non sono semplicemente un luogo dove buttare le cose che non servono più: devono essere organizzati secondo logica.

Il compito potrebbe risultarti più semplice se utilizzi dei divisori, per suddividere documenti, fascicoli e altro per categorie, in modo tale da sapere sempre dove trovarli.

Bacheche

Se lo spazio a disposizione è poco, sfrutta le pareti. Puoi fissare una bacheca, o un pannello portautensili dove agganciare i contenitori utili per lo svolgimento delle tue mansioni. Ma puoi anche appendere i fogli e i post-it che restano sparsi per la scrivania.

Piccole decorazioni

Non dimenticare che la tua scrivania ha bisogno di un po’ di leggerezza. Trova lo spazio per qualche foto o cartolina, oppure scrivi sulla bacheca qualche frase motivazionale, per darti una scossa nei momenti più stressanti.

Se ami la natura, potresti mettere una piantina per donare quel tocco verde al tuo angolo di lavoro: oltre a migliorare la qualità dell’aria, allevierà anche tutte le tensioni intorno a te.

Un ultimo consiglio importante è sistemare la scrivania tutte le sere, prima di tornare a casa (o se sei già a casa, prima di andare sul divano). Bastano meno di cinque minuti per evitare che si riformi velocemente il caos. Il giorno dopo, la tua mente sarà ovviamente più leggera, favorendo la concentrazione e il rendimento.

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VPN: che cos’è e perché è così importante per la nostra sicurezza

Una VPN (Virtual Private Network) è una rete virtuale privata che garantisce anonimato, sicurezza e privacy mediante un canale di comunicazione riservato (tunnel VPN).

“Virtual” significa che tutti i dispositivi che appartengono alla stessa rete non devono essere collegati necessariamente ad una rete LAN (Local Area Network), che copre al massimo un chilometro, ma possono essere trasferiti in qualsiasi parte del mondo.

Cos’è una VPN e chi la utilizza

Una VPN è un particolare servizio di rete che può essere utilizzato al fine di criptare il traffico di Internet. Di conseguenza, protegge anche la propria identità online.

In ambito aziendale, potrebbe essere paragonata ad un’estensione geografica della rete LAN. Quindi, permetterebbe di collegare tra di loro, in maniera del tutto sicura, i siti di un’azienda dislocati sul territorio.

Le VPN vengono spesso utilizzate dalle aziende e dalla PA, principalmente per contrastare i costi per la realizzazione di una rete personale protetta, creata sfruttando la rete pubblica. Ma sono molti gli utenti privati che utilizzano una VPN, per scambiare dati su Internet in modo sicuro e soprattutto senza restrizioni.

Ci sono diversi tipi di VPN

Le VPN possono essere suddivise in:

  • reti ad accesso remoto – consentono agli utenti di accedere ad un server su una rete privata attraverso la rete internet;
  • reti site-to-site – connettono in una rete privata più uffici dislocati in diverse sedi, consentendo una comunicazione sicura.

A livello concettuale, distinguiamo due sotto classi di VPN site-to-site:

  • intranet, che unisce differenti sedi di una stessa azienda;
  • extranet, che unisce aziende e uffici esterni all’organizzazione.

In base ai livelli di affidabilità e sicurezza, le VPN possono essere classificate ulteriormente in:

  • Trusted – l’ISP (Internet Server Provider) garantisce la creazione di percorsi dotati di precise caratteristiche di sicurezza, assegnando un determinato indirizzo IP e applicando una politica di sicurezza delle informazioni;
  • Secure – questa VPN, con protocolli di crittografia adeguati, garantisce la creazione di un tunnel, dentro il quale viaggiano dei dati che risultano inaccessibili alle persone che tentano di intercettarli;
  • Hybrid – è una particolare tipologia di rete privata mista, che si applica nei casi in cui un’azienda che usa una Trusted VPN ha bisogno anche di una Secure VPN.

Dal momento che le reti VPN sfruttano Internet, è necessario applicare dei meccanismi che superino i limiti di una rete pubblica non protetta, come: il tunneling, l’autenticazione e la crittografia.

Tunneling

Questo meccanismo prevede l’instaurazione di un tunnel sicuro tra due entità distanti tra loro ma entrambe abilitate a realizzare una VPN. Tecnicamente, non esiste nessun tunnel, ma un collegamento a livello logico tramite una rete IP.

Le due estremità del tunnel, anche se distanti, durante il processo divengono virtualmente adiacenti. Con il tunneling i dati vengono incapsulati; e quando entrano nel tunnel, vengono ulteriormente imbustati per essere spediti verso l’uscita. Arrivati a destinazione, l’imbustamento verrà rimosso.

Autenticazione

Il processo di autenticazione dipende dal tipo di protocollo adottato. È necessario al fine di autorizzare l’accesso, per assicurare la trasmissione e garantire il non ripudio.

A prescindere dal tipo di VPN utilizzata, per poter instaurare una connessione tra il client e il server i passi sono:

  1. il client si mette in contatto con il server;
  2. il server notifica la sua presenza;
  3. il client chiede al server di essere identificato;
  4. il server verifica che il tentativo di connessione sia stato autorizzato;
  5. il server autorizza la comunicazione con il client;
  6. comincia la comunicazione tra server e client.

Crittografia

La crittografia assicura la riservatezza delle informazioni, e trasforma un dato leggibile in un dato codificato, che non può essere compreso da chi non è autorizzato.

La tipologia di cifratura e di autenticazione utilizzata dipende dal protocollo di comunicazione adottato dal fornitore del servizio. Gli algoritmi di cifratura si classificano in:

  • simmetrici – utilizzano la stessa chiave per cifrare e decifrare i dati;
  • asimmetrici – utilizzano una chiave diversa per cifrare e decifrare i dati;
  • basati sull’hashing – utilizzano un hash, una funzione non reversibile che protegge la riservatezza e l’integrità dei dati.

Riassumendo

In conclusione, riassumiamo tutti i principali motivi per cui dovremmo affidarci ad una VPN.

Per un privato:

  • l’anonimato e la privacy;
  • accesso senza restrizioni a siti web e servizi;
  • maggior protezione dalle minacce informatiche, se utilizzata bene e affiancata da un antivirus.

A proposito, se hai bisogno di un buon antivirus ti possiamo aiutare noi: dai un’occhiata qui.

Per le aziende:

  • abbattimento dei costi;
  • miglior fruibilità delle comunicazioni;
  • adattabilità e flessibilità rispetto al cambiamento delle reti e nella realizzazione di reti private tra sedi fisse e remote;
  • sicurezza, grazie ai protocolli di tunneling.

Chiaramente, bisogna sempre avere consapevolezza che nessun software o hardware è sicuro al 100%. È sempre bene consultare la documentazione del servizio VPN che si vuole utilizzare, per conoscere in tempo protocolli e algoritmi, facendo attenzione a quei provider che forniscono VPN in maniera gratuita. Il conto, alla fine, si paga in termini di prestazioni e rischi per le vulnerabilità.

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I social che piacciono alla destra americana

Dopo le elezioni presidenziali del 2020 in USA, al primo posto delle classifiche delle app più scaricate c’era Parler, un social molto popolare nella destra americana. Nei giorni successivi alle elezioni presidenziali americane, Parler ha aumentato i suoi iscritti, passando da 4,5 a 8 milioni.

Il social è nato nel 2018 grazie a due programmatori del Colorado, tra cui troviamo John Matze. Lo scopo era quello di offrire alle persone un’alternativa “basata sulla libertà di parola” che, secondo Matze, i social tradizionali non garantiscono.

Gli utenti iscritti a Parler, infatti, possono postare «senza timore di essere banditi per le proprie opinioni». Ci sono soltanto due regole: non sono consentite attività spam o criminali. Grazie a questi principi, l’app ha raggiunto il primo posto nella classifica dei download negli ultimi mesi del 2020.

Parler ricorda un po’ Twitter: infatti, ci sono gli echoes, che equivalgono ai retweet. Al posto della spunta blu del “verificato”, troviamo invece una medaglia gialla. Addirittura, in alcuni casi i post banditi da Twitter sono ricomparsi quasi immediatamente su Parler.

L’esclusione di Parler dagli store

Nel gennaio del 2021 Amazon ha comunicato l’intenzione di escludere Parler dal suo servizio di web hosting, dato che violava le sue linee guida. Anche Google e Apple avevano deciso di togliere l’app dai loro store.

Si ritiene che Parler abbia avuto un ruolo importante nell’organizzazione dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, in segno di protesta contro la vittoria di Joe Biden. Avrebbe contribuito, inoltre, a diffondere la teoria del complotto di QAnon, secondo la quale il mondo sarebbe governato da pedofili satanisti legati al Partito democratico americano, che Trump avrebbe provato a sconfiggere durante il suo mandato.

In una nota, Google Play aveva dichiarato: «Per poter distribuire un’app attraverso Google Play abbiamo bisogno che le app implementino una forte moderazione per contenuti di grande valore. Alla luce di questa continua e urgente minaccia per la sicurezza pubblica, sospendiamo gli annunci dell’app dal Play Store fino a quando non affronterà questi problemi».

Matze aveva replicato dicendo: «Non cederemo alle aziende politicamente motivate e agli autoritari che odiano la libertà di parola!».

Apple aveva dato a Parler 24 ore di tempo «per rimuovere tutti i contenuti discutibili dalla propria app, così come qualsiasi contenuto che si riferisca a danni alle persone o ad attacchi alle strutture governative ora o in qualsiasi data futura».

Kanye West acquisterà Parler

Recentemente, Kanye West non ha perso l’occasione per far parlare di sé. Dopo essersi presentato ad una sfilata parigina del suo brand Yeezy con una t-shirt che riportava la scritta “White Lives Matter” e dopo essersela presa con gli ebrei su Twitter, il rapper americano ha deciso di acquistare Parler.

Per il momento, i dettagli economici della trattativa non si conoscono. Quello che sappiamo è che l’accordo verrà formalizzato entro la fine dell’anno.

Secondo West, acquisire Parler è un importante passo in avanti nella lotta contro la censura sui vari social: «In un mondo in cui le opinioni conservatrici sono considerate controverse, dobbiamo assicurarci di avere il diritto di esprimerci liberamente».

Anche secondo il CEO di Parler, George Farmer, l’accordo «cambierà il modo in cui il mondo pensa alla libertà di parola. Stiamo compiendo una mossa rivoluzionaria nello spazio dei media e della libertà di parola e gli utenti non dovranno più preoccuparsi di essere censurati».

Truth social

Ma le vie alternative ai social tradizionali non finiscono qui. Dopo essere stato bannato da Twitter e Facebook, Donald Trump ha deciso di fondare Truth Social, una «piattaforma libera, senza censure».

In questi giorni il social sta sbarcando negli USA su Google Play, dopo un accordo sulla moderazione dei contenuti. Lo scorso agosto, infatti, Google aveva respinto Truth Social dal suo store, poiché mancava una politica di moderazione dei contenuti che incitano alla violenza.

Ora che il problema è stato risolto, gli americani potranno scaricare l’app dallo store di Google; ma quanti lo faranno, effettivamente?

Gonfiare i numeri dell’app

Non esistono delle stime sulle iscrizioni a Truth Social, ma si parla di 2 milioni di nuovi iscritti al mese. Twitter, per esempio, conta 300 milioni di nuovi utenti al mese.

Truth sta cercano di nascondere in tutti i modi le poche interazioni. È addirittura impossibile accedere alla lista dei follower degli account, così come non si può accedere alla lista dei ReTruths (una cosa simile ai Retweets). Secondo gli esperti la mossa nasconderebbe la grossa presenza di account fake, che vengono utilizzati per gonfiare i numeri dell’app.

I ricercatori del Pew Research Center hanno scoperto che gli utenti che vengono bannati dai social tradizionali non sono interessati a Truth, ma ad altri social alternativi come Rumblr, BitChute, Telegram o Gettr.

La realtà è che Truth è un social simile a molti altri, che ha già bannato utenti e non conta una community dove confrontarsi sui temi cari alla destra americana. Si parla di Ucraina, Russia e inflazione: le stesse cose che troviamo su Twitter.

Musk libera Trump

La decisione di West arriva mentre la complessa operazione di Elon Musk per l’acquisizione di Twitter continua ad essere in prima pagina. Dopo aver fatto retromarcia, ora Musk ha rilanciato l’offerta iniziale per acquistare il social per 44 miliardi di dollari.

Se il processo di acquisizione andrà a buon fine, Musk ha promesso che allenterà le regole con cui Twitter regola la libertà di parola. Esiste anche la possibilità che venga sbloccato l’account di Trump. Chissà, staremo a vedere.

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Errore n.1: non ascoltare

La professione dell’avvocato, sotto certi aspetti, potrebbe essere paragonata a quella del medico. Prima di fare una diagnosi, infatti, il medico deve ascoltare con molta attenzione il paziente, analizzando a fondo i sintomi e successivamente elaborando una prima diagnosi.

Sei un avvocato – dunque, il tuo ruolo sarà quello di aiutare a risolvere i problemi legali di quelle persone che hanno deciso di rivolgersi a te. Come pensi di poterlo fare, se non presti attenzione al cliente, ai suoi problemi e ai risultati che spera di ottenere?

La prima parola d’ordine è empatia: devi metterti nei panni del tuo assistito, per cercare di comprendere le sue difficoltà, ma soprattutto le sue aspettative. Al tempo stesso non dovresti lasciarti coinvolgere emotivamente, in quanto questo potrebbe alterare la tua capacità di giudizio.

Errore n.2: essere poco professionali

Il cliente sta mettendo nelle tue mani dei pezzi della sua vita, e si rivolge proprio a te per avere un parere ma soprattutto un’assistenza specializzata.

Per questo si senterà al sicuro se avrà a che fare con qualcuno che gli ispira fiducia e competenza. Si sentirà in pericolo, invece, se avrà la sensazione di aver a che fare con un ciarlatano. Anche se tutti gli avvocati sono liberi professionisti, certamente non tutti sono professionali!

Un avvocato professionale è qualcuno che porta a termine il suo dovere a regola d’arte, con puntualità, correttezza, precisione e responsabilità. In parole povere: «L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza» (art. 9 del Codice Deontologico).

Errore n.3: utilizzare troppi tecnicismi

Utilizzare tecnicismi fini a se stessi per comunicare con un cliente non serve a nulla.

Il nostro rapporto con il cliente dovrà farci aspirare al massimo della serietà e professionalità, ma dimostrarsi troppo lontani dalla parte assistita potrebbe essere controproducente, proprio a partire dal linguaggio che utilizziamo.

Quando parliamo con il nostro dottore non vogliamo sentire dei termini incomprensibili che non riescono a rispondere al perché dei sintomi. Siamo dei semplici pazienti che hanno bisogno di una risposta comprensibile, e non di altre domande.

Un buon avvocato riesce a leggere la realtà, a tradurla in “legalese” e successivamente a rielaborarla per chi non conosce i termini giuridici.

Errore n.4: non fornire informazioni al cliente

Informare un cliente è, per prima cosa, un dovere. L’avvocato deve fornire informazioni chiare al cliente, sia nel momento dell’assunzione dell’incarico, sia durante l’esecuzione dello stesso. Ma oltre ad essere un dovere, è anche una manifestazione di buon senso.

È l’avvocato, infatti, ad essere l’unico responsabile della strategia di difesa. Una scelta errata potrebbe tradursi in un’importante negligenza professionale, in caso di assenza del “consenso informato” dell’assistito.

Se un cliente viene informato passo dopo passo, è certamente un cliente che si fida, e che consiglierà sicuramente l’avvocato a conoscenti e ad amici. Sicuramente tornerà da quell’avvocato quando ne avrà bisogno.

Errore n.5: fidarsi del cliente

Sembra l’esatto contrario di quanto detto precedentemente. Eppure, è un’accortezza doverosa, che dovrebbe assumere ogni professionista di qualsiasi ambito.

Ora, spetta a noi capire che cosa ci sta raccontando il cliente, che cosa vorrebbe ottenere e che cosa potrebbe aver omesso. Un’omissione potrebbe essere stata fatta in mala fede – ma anche in buona fede.

Tuttavia, se conosciamo più elementi sarà semplice svolgere il proprio incarico. Bisognerà semplicemente assicurarsi che il cliente dica tutto.

Errore n.6: inviare documenti sbagliati

Potrebbe essere banale, ma è necessario prestare attenzione sia al contenuto dei documenti, sia alla gestione di tali documenti. Ogni scritto dovrà essere necessariamente perfetto dal punto di vista sintattico, grammaticale e contenutistico.

Sbagliare un nome, un conteggio, un dato anagrafico o commettere errori grammaticali potrebbero danneggiare tantissimo la propria reputazione e il portafoglio. Ma prestiamo attenzione anche alla parte gestionale: abbiamo depositato la copia definitiva oppure la bozza, che conteneva molti errori?

Errore n.7: dimenticare le scadenze

Un cliente si fida del suo avvocato, dato che non se ne intende né di cavilli legali né di scadenze giuridiche. Il mondo del diritto per i non addetti ai lavori sembra un mondo tenebroso e oscuro, che noi dobbiamo illuminare per evitare che i clienti ne vengano danneggiati.

Una delle cose peggiori, inaccettabili agli occhi del cliente, è lasciar scadere un termine perentorio. Come spiegare, infatti, che il nostro assistito ha perso ogni possibilità di impugnare una multa o di richiedere un risarcimento perché abbiamo dimenticato la scadenza? Oppure che ci si è sbagliati?

Cosa dovremmo fare, per evitare queste situazioni? Un consiglio è quello di abbandonare l’agenda cartacea per servirsi di un gestionale dotato di agenda digitale, che calcoli e fissi automaticamente le scadenze, come Service1.

A proposito, sai che è disponibile anche la nuova app Giustizia Servicematica, l’unica app per smartphone con la quale possiamo avere tutto il mondo del Processo Civile Telematico a portata di click? Dai un’occhiata un po’ qui, se non ci credi.

Errore n.8: non essere presenti online

Al giorno d’oggi, non avere un sito web è come andare a cavallo al posto di prendere l’aereo. Se non sei online non esisti, c’è poco da fare. Soprattutto se non hai un cognome rinomato e sei alle prime armi.

Incaricare uno specialista per creare il tuo sito web è un ottimo passo verso il successo. Pensiamoci bene: da dove arrivano i clienti? Fino a 10 anni fa il canale principale era il passaparola e le Pagine Bianche. Ma oggi? A chi ci rivolgiamo per trovare qualsiasi cosa?

Semplice, ad Internet! Quindi, se la tua attività professionale non è sul web, è come se non esistesse. Il tuo sito deve essere semplice, intuitivo, con le foto dei collaboratori dello studio. Dai un volto alla tua professione!

Inserisci dei contenuti interessanti, spiega quali sono i servizi che offri e qual è la vision e la mission del tuo studio. Dunque, spiega quello che sai fare e come lo sai fare. Lo studio legale è un’attività, che deve vendere.

Errore n.9: circondarsi di collaboratori sbagliati

L’avvocato non lavora da solo. Ha bisogno di avvalersi di risorse umane affidabili, per dare qualità, credibilità e continuità al proprio operato.

È fondamentale scegliere con molta cura tutti i componenti del team, ognuno con il suo ruolo e la sua esperienza professionale. E soprattutto con qualità umane che contribuiscono alla buona riuscita dell’attività dello studio.

Un’ottima assistenza in segreteria significa avere un ottimo bigliettino da visita con colleghi e clienti. Se un praticante è preparato, motivato e stimolato, diventerà una preziosa risorsa nel supporto alle attività. Un collega esperto e specializzato ci può aiutare nella riuscita di una pratica complessa.

 

È normale commettere errori: siamo esseri umani, non siamo perfetti. È importante, tuttavia, avere cognizione degli errori che potrebbero impattare sulla clientela, ma che si possono prevenire facilmente con semplici accortezze.

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Il ruolo dei bias cognitivi nei casi di ingiusta detenzione

È recente la decisione della Corte d’Appello di Milano di riconoscere oltre 303mila euro di risarcimento a causa dell’ingiusta detenzione di Stefano Binda. L’uomo, nel 2018 era stato condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda è stato assolto in via definitiva nel 2021.

Macchi fa brutalmente uccisa a 21 anni nel 1987 a Cittiglio, località in provincia di Varese. Il responsabile dell’omicidio non è ancora stato trovato.

Binda è stato in carcere per tre anni e mezzo, tra il 2016 e il 2019. Ha presentato una richiesta di risarcimento lo scorso maggio, per una somma di 350mila euro, per i giorni che ha trascorso ingiustamente in carcere.

Mercoledì 12 ottobre 2022 la Corte d’Appello ha accolto la sua istanza (in parte).

Il caso Macchi

Lidia Macchi, il 5 gennaio 1987 era andata all’ospedale di Cittiglio a trovare un’amica, ma quella sera non tornò mai a casa. Il suo corpo fu ritrovato in un bosco due giorni dopo, parzialmente svestito e ricoperto da cartoni.

Secondo la Procura, la donna è morta nella notte tra il 5 e il 6 gennaio dopo essere stata accoltellata per 29 volte. In Italia, il caso Macchi fu il primo ad utilizzare il test del DNA, anche se gli indizi e il materiale organico che è stato trovato sul suo corpo non portò a nessun riscontro.

Nel 2016, però, dopo trent’anni dall’omicidio, Binda, un ex compagno di scuola, fu incriminato, nonostante le scarse prove contro di lui.

I bias cognitivi

Soltanto nel 2018, in Italia sono stati spesi 33 milioni di euro per 895 casi di ingiusta detenzione, mentre per gli errori giudiziari sono stati versati 48 milioni di euro.

Questi fenomeni non avvengono in mala fede. Per esempio, nel 1976 è stato condotto un esperimento dove due psichiatri che non si conoscevano furono messi l’uno di fronte all’altro. A ciascuno dei due fu detto che l’altra persona soffriva di un disturbo mentale che lo portava a credere di essere uno psichiatra. Entrambi trovarono che il comportamento dell’altro andasse a confermare la (finta) diagnosi.

In questi processi sono protagonisti i nostri bias cognitivi.

Le scorciatoie del nostro cervello

Se ci pensiamo bene, in 24 ore prendiamo un sacco di decisioni; molte avvengono senza prestare troppa attenzione, mentre altre richiedono un processo lungo e talvolta faticoso. Il nostro cervello non ama particolarmente consumare energia per questi lunghi processi decisionali, che si basano su scorciatoie di pensiero in grado di semplificare la realtà e di prendere decisioni senza effettuare particolari sforzi.

Ma questo non è tutto. Perché se è vero che da una parte le euristiche ci permettono di prendere delle decisioni in maniera rapida, con basso dispendio di energia, è altresì vero che ci potrebbero portare ad errori di giudizio, i bias cognitivi.

Ti è mai capitato di dire: «Ecco, sapevo che sarebbe successo!» oppure di andare a ricercare delle informazioni a supporto della tua opinione? Questi sono esempi di bias cognitivi molto diffusi.

Conclusioni errate

Il termine fu utilizzato per la prima volta negli anni ’80, dagli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman, per indicare gli errori inconsci e sistemici della nostra mente, che avvengono quando prendiamo delle decisioni in circostanze incerte e avendo poche risorse a nostra disposizione.

In questo tipo di situazioni ci ritroviamo ad utilizzare dei processi mentali sbrigativi ed intuitivi, per costruire un’idea generica su un dato argomento senza compiere troppi sforzi. Queste scorciatoie mentali non hanno sempre successo, anzi, potremmo incorrere in un bias, ovvero una distorsione, uno stereotipo o una percezione errata che ci porta a delle conclusioni errate.

Gli errori cognitivi sono il risultato della nostra mente, che va a semplificare tonnellate di informazioni che ci arrivano ogni secondo (che riusciamo a processare soltanto in minima parte). Di solito i bias si presentano nei processi decisionali che hanno a che fare con l’attenzione, la memoria e la stima di probabilità.

Esempi di bias cognitivi

Bias di conferma

Ci troviamo di fronte alla tendenza di interpretare le informazioni che ci arrivano come conferma delle nostre opinioni e delle nostre credenze. Questa tipologia di errore è molto presente nei social media, che spesso favoriscono questo comportamento.

Cerchiamo informazioni online e leggiamo articoli che vadano a confermare le nostre opinioni, ignorando, invece, tutto quello che le contrasta. Questo avviene perché da un lato la nostra mente si concentra su una cosa alla volta, evitando di andare a considerare diversi scenari e ipotesi nello stesso momento.

D’altro canto, tale tendenza potrebbe rinforzare le nostre idee e proteggere la nostra autostima.

Self-serving bias

Questo bias è collegato al concetto di autostima. È un errore che ci porta ad attribuire a noi stessi gli eventi positivi, mentre quelli negativi a fattori esterni.

Per esempio: stai guidando, quando d’un tratto la macchina davanti a te decide di tagliarti la strada nel momento in cui il semaforo diventa verde. Subito penserai che quella persona non è in grado di guidare (se non di peggio). Tuttavia, se sei tu la persona che taglia la strada perché sei in ritardo e hai un impegno importante, giustificherai la tua azione a causa del ritardo.

Questo bias ci porta ad ignorare i nostri errori e ad avere una visione semplicistica delle persone intorno a noi.

Bias dell’ancoraggio

Ti farò due domande: prova a rispondere soltanto alla seconda.

  1. Gandhi aveva più di 112 anni quando morì?
  2. A che età è morto Gandhi?

È probabile che tu abbia scelto come risposta un numero alto. La maggior parte di noi non crede che Gandhi abbia vissuto così tanto, ma la prima frase ci ha dato l’impressione che fosse un uomo molto anziano.

Capita, infatti che ci affidiamo eccessivamente alla prima informazione che ci viene presentata, che prende il nome di ancora. Se l’ancora, nel nostro esempio, fosse stata un numero più basso, è probabile che anche la stima dell’età sarebbe stata più bassa. Dunque, il nostro giudizio può venire influenzato da un punto di riferimento che ci è stato fornito.

Chi lavora nel campo delle vendite conosce molto bene questo bias: utilizzare lo sconto affiancandolo al prezzo iniziale va a sfruttare questo errore mentale – nello stesso modo in cui un agente immobiliare mostra la prima casa ad un prezzo altissimo, proponendo una seconda casa ad un prezzo altrettanto alto, ma che risulta un affare, rispetto al primo.

Bias della disponibilità

Tendiamo a sovrastimare gli accadimenti che sono più disponibili in memoria. Ovvero, stimiamo la frequenza con cui un evento particolare potrebbe accadere, basandoci su quanto riusciamo a portare più facilmente e velocemente nella nostra memoria.

Le coppie, se vengono interrogate sulla qualità della loro relazione, valutano quello che è successo nelle ultime due settimane, in quanto più semplice da ricordare.

Bias dell’aspettativa sociale

Questa tendenza ci porta ad agire (oppure a non agire) in un determinato modo, in base a quello che le altre persone si aspettano da noi. È un comportamento molto pericoloso, che potrebbe far perdere opportunità importanti. Oppure a spingerci verso strade che non ci appartengono.

Effetto alone

La prima impressione è quella che conta? In un certo senso, sì.

Se la prima impressione che abbiamo dato ad una persona appena conosciuta è positiva, possiamo stare tranquilli. Tuttavia, in caso contrario, l’impressione negativa potrebbe prevalere su tutte le nostre caratteristiche personali.

Bias dell’avversione alle perdite

Preferiamo evitare le perdite, piuttosto che ottenere dei guadagni più elevati.

È un bias cognitivo alla base di una teoria molto famosa, La teoria del Prospetto. Noi attribuiamo un valore soggettivo ad un oggetto, molto più forte rispetto al suo valore reale, oggettivo. Tutto questo ci rende maggiormente sensibili alla paura della perdita, rispetto alla possibilità di vincere.

Aver paura di sbagliare e di fallire potrebbe impattare sulla nostra crescita personale e professionale.

La consapevolezza aiuta

I bias non sono sempre negativi: senza tale meccanismo, sarebbe stato molto più complesso il processo di evoluzione e sopravvivenza dell’uomo. In situazioni di pericolo e di emergenza, quando il tempo per prendere una decisione è pochissimo, è importante che il nostro cervello sia capace di processare gli avvenimenti con rapidità.

Tranne nei pochi casi in cui i bias si rivelano preziosi, dobbiamo sempre tener presente che sono molti gli errori mentali che potrebbero farci agire irrazionalmente quando dobbiamo prendere delle decisioni importanti. Tuttavia, la conoscenza di questi errori aiuta a prendere consapevolezza di noi stessi e a contrastare i nostri pregiudizi.

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meta

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Il Metaverso diventerà un’esperienza sociale. Ad un anno del cambiamento del nome da Facebook a Meta, Zuckerberg prova a spingersi oltre, lanciando un nuovo visore, che costa quanto un iPhone. La novità farà diventare la piattaforma Horizon Workrooms un “ufficio virtuale”, con degli avatar sempre più verosimili e con controller che sostituiranno le mani.

Il nuovo visore si chiama Meta Quest Pro, e sarà disponibile in Italia dal 25 ottobre. Il target sono professionisti quali ingegneri, architetti, designer e costruttori. Spiega Zuckerberg: «Diventerà come i tablet e i computer portatili che usano ora le persone. Il metaverso è un’incredibile tecnologia, sarà una nuova era del computing. Crediamo in questa visione, ora ci sono più persone e creator nella realtà virtuale e più marchi nel metaverso, è il segno che il futuro non è così lontano. Noi ci siamo stati dall’inizio, sarà un’esperienza sociale».

Il metaverso, però, non sarà costruito da un’azienda sola. Durante l’evento è intervenuta anche Satya Nadella, CEO di Microsoft; l’azienda, infatti, lancerà sui visori Meta Quest anche il servizio Xbox Cloud Gaming nella versione beta. «Il metaverso cambierà ogni cosa, dal gioco alla produttività. E se lo facciamo insieme sono convinto che possiamo plasmare il futuro della realtà virtuale per rendere il suo utilizzo più interessante che mai».

Horizon Workrooms: il nuovo ufficio virtuale

Ma i visori saranno soltanto la porta che permette di accedere alla piattaforma Horizon Workrooms, che diventerà un ufficio virtuale con gruppi di discussione, schermi multipli virtuali, note adesive per la lavagna, modelli 3d e integrazione con Zoom.

Spiega la società: «Invece di essere confinati alle dimensioni della vostra scrivania potete creare un grande spazio di lavoro virtuale con più schermi sparsi intorno a voi, pur continuando ad usare la vostra tastiera e il vostro mouse». Gli avatar che ci rappresentano all’interno del metaverso somiglieranno di più a noi, muovendosi sulle loro gambe (prima erano dei busti sospesi nel vuoto) e con espressioni simili a quelle che abbiamo nella realtà.

Facebook sempre meno attraente

Circa un anno fa il gruppo Facebook annunciò di aver intenzione di cambiare il proprio nome in Meta, ufficializzando l’investimento della società nel metaverso. A spingere Zuckerberg a cambiare il nome fu principalmente l’indebolimento del marchio di Facebook, che diventava sempre meno attraente per i più giovani ma anche associabile agli scandali degli ultimi anni.

Ma la svolta in direzione del metaverso non fu soltanto un annuncio pubblicitario. Nell’ultimo anno, infatti, Meta ha deciso di investire dieci miliardi di dollari per sviluppare delle tecnologie collegate alla realtà virtuale e per la creazione di software e ambienti virtuali.

Lo sforzo economico è coinciso con un periodo decisamente difficile per il gruppo, che ha perso il 60% del suo valore. Secondo CNBC: «Solo quattro titoli di borsa stanno avendo un anno peggiore di Meta in tutto l’indice S&P 500», ovvero il più importante indice azionario degli USA.

Il metaverso, questo sconosciuto

The Verge ha recentemente pubblicato un documento sullo stato di Horizon Worlds, dove il responsabile del gruppo per il metaverso si lamenta che le stesse persone che ci lavorano non utilizzano la piattaforma. Per Zuckerberg «tutti in questa organizzazione dovrebbero avere l’obiettivo di innamorarsi di Horizon Worlds», nonostante l’ammissione che il processo di inserimento per i nuovi utenti desti molta confusione e frustrazione.

È il concetto stesso di metaverso che sembra sfuggire a molte persone, nonostante sia qualcosa di relativamente semplice. Parliamo infatti di un software in grado di riprodurre un mondo virtuale nel quale ci si può muovere e fare attività, collegate sia al lavoro che allo svago, indossando un apposito visore.

Nei vari metaversi si può interagire con amici e sconosciuti attraverso un “avatar”, ossia una specie di pupazzetto che riproduce le caratteristiche fisiche dell’utente.

Una tecnologia in fase sperimentale

La settimana scorsa il New York Times ha pubblicato il riassunto di una dozzina di interviste ai dipendenti di Meta e alcuni documenti interni. Tutto lasciava intendere che la transizione verso il metaverso abbia generato confusione e rabbia tra le persone. Addirittura, un intervistato ha detto che la somma di denaro che è stata investita nel progetto gli dà il “voltastomaco”.

Il numero degli utenti di Horizon Worlds, nonostante stia crescendo, è comunque minuscolo se messo a confronto con altre realtà di Meta.

Tra le principali ragioni troviamo la tempistica di Zuckerberg, che ha scelto di investire massivamente nel breve periodo, nonostante questo tipo di tecnologia sia in fase sperimentale. Alcune stime parlano di anni di investimenti e sviluppi per arrivare ad una tecnologia che può essere adottata su larga scala.

Chi frequenta il metaverso

La giornalista Kashmir Hill ha pubblicato il suo resoconto dopo un mese passato sul metaverso di Meta, definendolo come un luogo poco popolato, ma frequentato da utenti di tutti i tipi: appassionati di videogiochi, neogenitori che non possono uscire di casa, persone non autosufficienti e troppi bambini.

Horizon Worlds ha fatto nascere amicizie e relazioni, e ha avuto un impatto significativo sulla vita di alcune persone. Per esempio, un’illustratrice di 25 anni ha detto che la realtà virtuale l’ha aiutata molto in un periodo delicato della sua vita, sostenendo che se non avesse comprato «un visore per la VR, oggi probabilmente sarei morta».

Non è il momento del metaverso

Nemmeno le poche buone notizie che provengono dal metaverso non sembrano sufficienti a giustificare una spesa così grande in un periodo così travagliato. Infatti, anche Instagram (che fa parte di Meta) sta avendo i suoi problemi: comincia a perdere utenti, ed è costretta a cambiare la propria interfaccia per inseguire TikTok.

Ma anche gli altri progetti di questo tipo non brulicano di vita. Decentraland e The Sandbox sono tra i metaversi più famosi e hanno, insieme, meno di mille utenti al mese, con quotazioni che superano il miliardo di dollari.

Secondo l’investitore Sasha Fleyshman è ancora troppo presto per questa frontiera del web. Piattaforme simili «varranno molto di più quando funzioneranno come previsto».

Fantascienza

Il concetto alla base di Meta deriva dal romanzo fantascientifico Snow Crash, scritto nel 1992 dall’autore Neal Stephenson (pubblicato in italiano da Mondadori).

Nel romanzo, il metaverso è una realtà virtuale, connessa sulla rete mondiale in fibra ottica, dove le persone fuggono dal mondo reale ormai in rovina attraverso dei terminali pubblici, dove possono interagire con altre persone con degli avatar.

Attualmente, il metaverso è uno spazio che collega la realtà digitale e quella fisica, che si basa su standard e protocolli condivisi che garantiscono un margine molto ampio di interoperabilità per tecnologie e piattaforme di aziende diverse.

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Avvocato, ti è mai capitato di avere un cliente difficile? Maleducato, aggressivo, che fornisce poche informazioni; oppure che sparisce magicamente, parla male di noi e si lamenta. O, ancora, sembra sempre indeciso e non sa cosa vuole.

Come gestisci, di solito, clienti del genere? Ma soprattutto, come potresti evitare di farti inglobare in dinamiche negative e restare intrappolato in un’escalation selvaggia di aggressività?

Il nostro pensiero influenza la realtà che ci circonda: se pensiamo che il cliente sia un rompiscatole, ti comporterai di conseguenza, trattandolo come tale.

Il principio 90/10

Dunque, la prima regola da seguire per gestire i clienti difficili è non considerarli come tali!

A tal proposito, hai mai sentito parlare del principio 90/10 di Stephen Covey? In sostanza, quello che accade nella nostra vita dipende principalmente da noi. Almeno per il 90% degli eventi, rispetto agli imprevisti che non superano il 10%.

Ma anche davanti a questo 10%, tutto ciò che ne deriva dipende sempre dalle nostre reazioni. Chiunque potrà fermarsi a riflettere, dominando i suoi impulsi e condizionando positivamente la sua vita e le sue relazioni.

Dunque: ci sono cose nella vita che inevitabilmente accadono. Non abbiamo controllo, per esempio, sul ritardo del treno, sul semaforo rosso o su un temporale improvviso. Possiamo, però, scegliere come reagire di fronte a queste situazioni, determinando il 90% di quello che succede dopo.

Una tazzina di caffè

Covey fa un esempio pratico del principio 90/10, in cui tutti si possono identificare.

Sei seduta/o a tavola per fare colazione, quando per sbaglio tua figlia ti rovescia sulla camicia una tazzina di caffè. Non puoi controllare il rovesciamento del caffè (10%), anche se la tua reazione andrà a determinare tutto quello che succederà dopo (90%).

Ti arrabbi con tua figlia, ti metti ad urlare e lei comincia a piangere. Poi te la prendi con il tuo partner, perché ha messo la tazzina del caffè troppo vicino al bordo della tavola. Vai a cambiarti la camicia, e quanto torni in cucina trovi tua figlia ancora in lacrime. Per questo motivo perde il pulmino per andare a scuola e il tuo partner va a lavorare nervoso.

Ora dovrai accompagnare tua figlia a scuola con la tua macchina. Ma è tardissimo! Arriverai in ritardo anche a lavoro! Ti metti in macchina e spingi sull’acceleratore, e per questo il vigile ti ferma e ti fa una multa per eccesso di velocità. Arrivi a scuola di tua figlia con un quarto d’ora di ritardo. Lei scende dalla macchina e non ti saluta.

Arrivi a lavoro, finalmente, ma in ritardo di 20 minuti. Ti accorgi anche che nella fretta hai dimenticato anche la ventiquattrore a casa. Ma non è finita qui, perché la giornata continua sempre peggio.

Non vedi l’ora che tutto finisca, ma quando arrivi a casa trovi il gelo: nessuno ti rivolge nemmeno lo sguardo, sono tutti arrabbiati con te e non hanno intenzione di parlarti. La tua giornata è stata così disastrosa per colpa del caffè? Per colpa di tua figlia? O per colpa tua?

Reazioni diverse

Tutta la tua giornata è dipesa dal modo in cui hai reagito dopo che tua figlia ti ha rovesciato addosso la tazzina del caffè. Dunque, bastano pochi secondi per rovinare una giornata intera.

Ma se la tua reazione fosse stata diversa, cosa sarebbe successo? Tua figlia ti rovescia addosso la tazzina del caffè, non ti arrabbi ma le dici: «Non preoccuparti, magari cerca di essere un po’ più attenta».

Quindi vai a cambiarti la camicia e nel frattempo tua figlia va a prendere il pulmino. Il tuo partner va a lavorare serenamente e tu arrivi in ufficio puntuale. Uno scenario completamente differente, quindi. E tutto questo soltanto perché hai reagito in maniera diversa ad una semplice tazzina del caffè sulla camicia!

Basta veramente poco

Potremmo fare molti esempi di come le nostre reazioni influiscano in maniera decisiva e fondamentale sugli eventi della nostra vita. Basta pensare a tutte le volte in cui abbiamo reagito male e il nostro atteggiamento ha condizionato in maniera negativa la nostra giornata, influenzando anche l’umore delle persone intorno a noi.

Sei in ritardo e sei rimasto bloccato nel traffico? Ti puoi innervosire, cominciare a urlare come un pazzo e a suonare il clacson. Oppure potresti accendere lo stereo e canticchiare una canzone.

Alle volte una reazione sbagliata potrebbe avere conseguenze disastrose: basta veramente poco per evitare molte tensioni o complicazioni. Possiamo decidere come comportarci di fronte a qualsiasi evento, in quanto siamo noi gli unici padroni delle nostre reazioni. Decidiamo noi come controllare i nostri pensieri o dove dirigere la nostra attenzione.

Ogni tanto basta soltanto cambiare il modo in cui osserviamo le cose. Che cosa c’è di positivo nel caffè che macchia tua camicia bianca preferita? Cosa c’è di positivo in un cliente rompiscatole? Nulla, ma tu puoi decidere che tipo di reazione avere, determinando il 90% di ciò che accadrà in seguito.

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