Il ruolo dei bias cognitivi nei casi di ingiusta detenzione

È recente la decisione della Corte d’Appello di Milano di riconoscere oltre 303mila euro di risarcimento a causa dell’ingiusta detenzione di Stefano Binda. L’uomo, nel 2018 era stato condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda è stato assolto in via definitiva nel 2021.

Macchi fa brutalmente uccisa a 21 anni nel 1987 a Cittiglio, località in provincia di Varese. Il responsabile dell’omicidio non è ancora stato trovato.

Binda è stato in carcere per tre anni e mezzo, tra il 2016 e il 2019. Ha presentato una richiesta di risarcimento lo scorso maggio, per una somma di 350mila euro, per i giorni che ha trascorso ingiustamente in carcere.

Mercoledì 12 ottobre 2022 la Corte d’Appello ha accolto la sua istanza (in parte).

Il caso Macchi

Lidia Macchi, il 5 gennaio 1987 era andata all’ospedale di Cittiglio a trovare un’amica, ma quella sera non tornò mai a casa. Il suo corpo fu ritrovato in un bosco due giorni dopo, parzialmente svestito e ricoperto da cartoni.

Secondo la Procura, la donna è morta nella notte tra il 5 e il 6 gennaio dopo essere stata accoltellata per 29 volte. In Italia, il caso Macchi fu il primo ad utilizzare il test del DNA, anche se gli indizi e il materiale organico che è stato trovato sul suo corpo non portò a nessun riscontro.

Nel 2016, però, dopo trent’anni dall’omicidio, Binda, un ex compagno di scuola, fu incriminato, nonostante le scarse prove contro di lui.

I bias cognitivi

Soltanto nel 2018, in Italia sono stati spesi 33 milioni di euro per 895 casi di ingiusta detenzione, mentre per gli errori giudiziari sono stati versati 48 milioni di euro.

Questi fenomeni non avvengono in mala fede. Per esempio, nel 1976 è stato condotto un esperimento dove due psichiatri che non si conoscevano furono messi l’uno di fronte all’altro. A ciascuno dei due fu detto che l’altra persona soffriva di un disturbo mentale che lo portava a credere di essere uno psichiatra. Entrambi trovarono che il comportamento dell’altro andasse a confermare la (finta) diagnosi.

In questi processi sono protagonisti i nostri bias cognitivi.

Le scorciatoie del nostro cervello

Se ci pensiamo bene, in 24 ore prendiamo un sacco di decisioni; molte avvengono senza prestare troppa attenzione, mentre altre richiedono un processo lungo e talvolta faticoso. Il nostro cervello non ama particolarmente consumare energia per questi lunghi processi decisionali, che si basano su scorciatoie di pensiero in grado di semplificare la realtà e di prendere decisioni senza effettuare particolari sforzi.

Ma questo non è tutto. Perché se è vero che da una parte le euristiche ci permettono di prendere delle decisioni in maniera rapida, con basso dispendio di energia, è altresì vero che ci potrebbero portare ad errori di giudizio, i bias cognitivi.

Ti è mai capitato di dire: «Ecco, sapevo che sarebbe successo!» oppure di andare a ricercare delle informazioni a supporto della tua opinione? Questi sono esempi di bias cognitivi molto diffusi.

Conclusioni errate

Il termine fu utilizzato per la prima volta negli anni ’80, dagli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman, per indicare gli errori inconsci e sistemici della nostra mente, che avvengono quando prendiamo delle decisioni in circostanze incerte e avendo poche risorse a nostra disposizione.

In questo tipo di situazioni ci ritroviamo ad utilizzare dei processi mentali sbrigativi ed intuitivi, per costruire un’idea generica su un dato argomento senza compiere troppi sforzi. Queste scorciatoie mentali non hanno sempre successo, anzi, potremmo incorrere in un bias, ovvero una distorsione, uno stereotipo o una percezione errata che ci porta a delle conclusioni errate.

Gli errori cognitivi sono il risultato della nostra mente, che va a semplificare tonnellate di informazioni che ci arrivano ogni secondo (che riusciamo a processare soltanto in minima parte). Di solito i bias si presentano nei processi decisionali che hanno a che fare con l’attenzione, la memoria e la stima di probabilità.

Esempi di bias cognitivi

Bias di conferma

Ci troviamo di fronte alla tendenza di interpretare le informazioni che ci arrivano come conferma delle nostre opinioni e delle nostre credenze. Questa tipologia di errore è molto presente nei social media, che spesso favoriscono questo comportamento.

Cerchiamo informazioni online e leggiamo articoli che vadano a confermare le nostre opinioni, ignorando, invece, tutto quello che le contrasta. Questo avviene perché da un lato la nostra mente si concentra su una cosa alla volta, evitando di andare a considerare diversi scenari e ipotesi nello stesso momento.

D’altro canto, tale tendenza potrebbe rinforzare le nostre idee e proteggere la nostra autostima.

Self-serving bias

Questo bias è collegato al concetto di autostima. È un errore che ci porta ad attribuire a noi stessi gli eventi positivi, mentre quelli negativi a fattori esterni.

Per esempio: stai guidando, quando d’un tratto la macchina davanti a te decide di tagliarti la strada nel momento in cui il semaforo diventa verde. Subito penserai che quella persona non è in grado di guidare (se non di peggio). Tuttavia, se sei tu la persona che taglia la strada perché sei in ritardo e hai un impegno importante, giustificherai la tua azione a causa del ritardo.

Questo bias ci porta ad ignorare i nostri errori e ad avere una visione semplicistica delle persone intorno a noi.

Bias dell’ancoraggio

Ti farò due domande: prova a rispondere soltanto alla seconda.

  1. Gandhi aveva più di 112 anni quando morì?
  2. A che età è morto Gandhi?

È probabile che tu abbia scelto come risposta un numero alto. La maggior parte di noi non crede che Gandhi abbia vissuto così tanto, ma la prima frase ci ha dato l’impressione che fosse un uomo molto anziano.

Capita, infatti che ci affidiamo eccessivamente alla prima informazione che ci viene presentata, che prende il nome di ancora. Se l’ancora, nel nostro esempio, fosse stata un numero più basso, è probabile che anche la stima dell’età sarebbe stata più bassa. Dunque, il nostro giudizio può venire influenzato da un punto di riferimento che ci è stato fornito.

Chi lavora nel campo delle vendite conosce molto bene questo bias: utilizzare lo sconto affiancandolo al prezzo iniziale va a sfruttare questo errore mentale – nello stesso modo in cui un agente immobiliare mostra la prima casa ad un prezzo altissimo, proponendo una seconda casa ad un prezzo altrettanto alto, ma che risulta un affare, rispetto al primo.

Bias della disponibilità

Tendiamo a sovrastimare gli accadimenti che sono più disponibili in memoria. Ovvero, stimiamo la frequenza con cui un evento particolare potrebbe accadere, basandoci su quanto riusciamo a portare più facilmente e velocemente nella nostra memoria.

Le coppie, se vengono interrogate sulla qualità della loro relazione, valutano quello che è successo nelle ultime due settimane, in quanto più semplice da ricordare.

Bias dell’aspettativa sociale

Questa tendenza ci porta ad agire (oppure a non agire) in un determinato modo, in base a quello che le altre persone si aspettano da noi. È un comportamento molto pericoloso, che potrebbe far perdere opportunità importanti. Oppure a spingerci verso strade che non ci appartengono.

Effetto alone

La prima impressione è quella che conta? In un certo senso, sì.

Se la prima impressione che abbiamo dato ad una persona appena conosciuta è positiva, possiamo stare tranquilli. Tuttavia, in caso contrario, l’impressione negativa potrebbe prevalere su tutte le nostre caratteristiche personali.

Bias dell’avversione alle perdite

Preferiamo evitare le perdite, piuttosto che ottenere dei guadagni più elevati.

È un bias cognitivo alla base di una teoria molto famosa, La teoria del Prospetto. Noi attribuiamo un valore soggettivo ad un oggetto, molto più forte rispetto al suo valore reale, oggettivo. Tutto questo ci rende maggiormente sensibili alla paura della perdita, rispetto alla possibilità di vincere.

Aver paura di sbagliare e di fallire potrebbe impattare sulla nostra crescita personale e professionale.

La consapevolezza aiuta

I bias non sono sempre negativi: senza tale meccanismo, sarebbe stato molto più complesso il processo di evoluzione e sopravvivenza dell’uomo. In situazioni di pericolo e di emergenza, quando il tempo per prendere una decisione è pochissimo, è importante che il nostro cervello sia capace di processare gli avvenimenti con rapidità.

Tranne nei pochi casi in cui i bias si rivelano preziosi, dobbiamo sempre tener presente che sono molti gli errori mentali che potrebbero farci agire irrazionalmente quando dobbiamo prendere delle decisioni importanti. Tuttavia, la conoscenza di questi errori aiuta a prendere consapevolezza di noi stessi e a contrastare i nostri pregiudizi.

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