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La guerra dei chip si fa sempre più dura: ecco che cosa sta succedendo in Cina

Il ministero del Commercio Cinese ha annunciato che dal mese di agosto la Cina limiterà l’esportazione di germanio e di gallio, ovvero due metalli fondamentali per i semiconduttori, utili per la produzione di microchip, che stanno alla base dei prodotti tecnologici di uso quotidiano.

L’obiettivo, secondo le autorità cinesi, è quello di proteggere l’interesse e la sicurezza nazionale. Si tratta di una decisione che si inserisce nel contesto di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, in cui le parti limitano l’esportazione di tecnologia all’altra parte.

Infatti, gli Stati Uniti, stanno esortando tutti i paesi alleati a seguire la stessa decisione.

Nel caso del germanio e del gallio, comunque, la Cina non ha dichiarato un divieto assoluto di esportazione, visto che le aziende cinesi continueranno a vendere all’estero tutti questi materiali, anche se prima dovranno ottenere un permesso apposito dal ministero.

Secondo alcuni media statunitensi l’annuncio è stato diffuso nel momento in cui il governo degli Stati Uniti stava valutando di bloccare le esportazioni verso la Cina di chip, solitamente utilizzati per la costruzione di software di Intelligenza Artificiale, e dopo la decisione del governo olandese di limitare le esportazioni in Cina da parte dell’azienda ASML, produttrice di apparecchiature per la produzione di semiconduttori.

Il primato della Cina

Si tratta di decisioni che hanno un impatto concreto, non soltanto a livello di mercato di semiconduttori, ma anche per la produzione di oggetti di utilizzo quotidiano.

I semiconduttori sono componenti fondamentali per la produzione di microchip, a loro volta essenziali per il funzionamento di pc e di smartphone, o di altri apparecchi con componenti elettroniche, quali le automobili.

Ci potrebbero essere delle conseguenze per quanto riguarda la decisione di limitare le esportazioni di germanio e di gallio, visto che la Cina è il primo Paese al mondo per l’estrazione e per la quasi totalità dell’offerta dei due metalli.

Uno studio effettuato della Commissione europea stima che la Cina produca il 94% di tutto il gallio in circolazione e l’83% del germanio. L’UE, per esempio, importa il 71% del gallio e il 45% del germanio proprio dalla Cina.

Il primato detenuto dalla Cina non è dovuto al fatto che tali metalli siano rari e difficili da reperire, ma in quanto è riuscita a mantenerli a buon mercato, nonostante il processo di estrazione costoso.

A che cosa servono germanio e gallio

Germanio e gallio non si trovano in natura: sono il sottoprodotto di altre lavorazioni, come zinco e alluminio. Sono due metalli strategici per un’ampia gamma di produzioni, partendo da quella dei chip, ma anche a quella di apparecchiature per le telecomunicazioni e per la difesa.

Il gallio viene utilizzato nei semiconduttori composti, che vanno a combinare diversi elementi al fine di migliorare efficienza e velocità di trasmissioni, negli schermi degli smartphone delle smart TV, nei radar e nei pannelli solari.

Il germanio, invece, si utilizza per le comunicazioni in fibra ottica, per la produzione di occhiali per la visione notturna e per materiali finalizzati all’esplorazione dello spazio: si pensi che la maggior parte dei satelliti è alimentata con celle solari basate sul germanio.

Leggi anche: Gli effetti della guerra dei Chip tra USA e Cina

La Cina, da tempo tenta di raggiungere il dominio tecnologico, soprattutto nel campo della produzione di chip e di semiconduttori. Nel corso degli ultimi tre anni, infatti, ha deciso di investire soldi ed energia per la costruzione di un settore domestico di microchip, capace di competere con quello statunitense e con quello degli altri paesi asiatici.

Per i maggiori esperti, non sarebbe ancora giunta all’obiettivo finale, e l’attuale guerra commerciale con gli USA rallenterà il suo percorso.

Le decisioni prese dagli USA nel corso dell’ultimo anno non hanno precedenti, e sono indicative del fatto che la Cina è molto avanti in tale processo di autosufficienza tecnologica. Per molti esperti, questa è la prima volta in assoluto che il governo americano cerca, in modo così esplicito, di contenere lo sviluppo tecnologico ed economico cinese.

Per esempio, tra i provvedimenti approvati nel corso dei mesi scorsi troviamo:

  • divieto di vendere ad aziende cinesi chip avanzati prodotti in USA;
  • divieto di vendere chip avanzati, prodotti in altri paesi, con tecnologie e software americani;
  • divieto di vendere tecnologie ad aziende che appartengono alla “lista non verificata” se si vogliono avere rapporti commerciali con gli Stati Uniti;
  • divieto di lavorare in aziende cinesi del settore dei semiconduttori se si è cittadini statunitensi.

Critical Raw Materials Act

Gli Stati Uniti stanno esortando gli alleati presenti in Europa e in Asia e seguire questi provvedimenti, riscontrando anche un buon successo. Per esempio, la decisione del governo olandese di limitare le proprie esportazioni in Cina segue tale direzione.

In ogni caso, l’Ue non ha intenzione di rivivere le disastrose conseguenze economiche vissute quando la Russia ha deciso di invadere l’Ucraina. Alcune nazioni, inoltre, non sono disposte a mettere a rischio le relazioni commerciali per le forniture strategiche in campo di transizione energetica, come nel caso delle terre rare e dei metalli come germanio e gallio.

Di recente, l’Ue ha proposto il Critical Raw Materials Act, al fine di facilitare i vari finanziamenti e le autorizzazione per tutti i nuovi progetti di raffinazione e di estrazione, oltre che per riuscire a stringere alleanze commerciali, con l’ottica di ridurre la propria dipendenza dai fornitori cinesi.


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Concorso per la selezione di 8 avvocati dello Stato

È stata indetta la selezione pubblica per l’esame teorico e pratico per la selezione di 8 avvocati dello Stato. La scadenza delle domande è stata fissata per il 19 agosto 2023, come riportato sulla Gazzetta Ufficiale n.46 del 26/06/2023.

Per poter essere ammessi al concorso è necessario rientrare in almeno una delle seguenti categorie:

  • Procuratori dello Stato con due anni di effettivo servizio;
  • Magistrati ordinari, nominati a seguito di un concorso;
  • Magistrati della giustizia militare, con qualifica equiparata a quella di magistrati ordinari;
  • Avvocati con anzianità di iscrizione che non sia inferiore a sei anni;
  • Dipendenti dello Stato che appartengono ai ruoli delle ex carriere direttive che abbiano almeno cinque anni di servizio, con superamento dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione;
  • Assistenti universitari di materie giuridiche, che hanno superato l’esame di abilitazione;
  • Dipendenti di ruolo di enti locali, regioni, enti pubblici con almeno cinque anni di servizio effettivo nella professione legale o nella carriera direttiva, che abbiano superato l’esame di abilitazione.

Per inviare la richiesta di partecipazione è necessario che il candidato sia in possesso di un indirizzo PEC. L’invio della domanda, dunque, dovrà avvenire esclusivamente in modalità telematica, accedendo al portale dell’Avvocatura dello Stato, presente sul sito istituzionale, seguendo la procedura indicata. Si può accedere anche con SPID, CIE o CNS.

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Per selezionare i candidati ci saranno 4 prove scritte e 2 prove orali, che si svolgeranno in due giorni differenti.

Le prove scritte prevedranno:

  • La stesura di un atto difensivo di diritto e di procedura civile;
  • Lo svolgimento di un tema teorico di diritto civile, con riferimento al diritto romano;
  • La stesura di un atto difensivo o lo svolgimento di un tema teorico in diritto tributario o amministrativo;
  • La stesura di un atto difensivo o lo svolgimento di un tema teorico in diritto e procedura penale;

Per quanto riguarda le prove orali, invece, i candidati dovranno superare un esame e sostenere una difesa. L’esame verterà intorno alle seguenti materie:

  • diritto civile;
  • procedura civile;
  • diritto del lavoro;
  • legislazione sociale;
  • diritto regionale;
  • diritto dell’Unione europea;
  • diritto penale;
  • procedura penale;
  • diritto costituzionale;
  • diritto amministrativo;
  • diritto tributario;
  • contabilità di Stato;
  • diritto ecclesiastico;
  • diritto internazionale pubblico e privato;
  • diritto romano.

La difesa orale che si dovrà affrontare, invece, sarà relativa ad una contestazione giudiziale, con un tema assegnato al candidato in anticipo rispetto alla prova.

Dopo il superamento della prova, per i candidati sarà predisposta una graduatoria: i vincitori, basandosi sulla graduatoria, saranno nominati avvocati dello Stato con stipendio di Classe I.

Cliccate qui sopra per leggere il bando del concorso.


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Avvocati insultati e presi a schiaffi per una condanna considerata troppo “lieve”

Lo scorso 26 giugno, dinanzi all’esito della Corte di Assise di Appello di Napoli, «il presidente della Corte è stato costretto a interrompere la lettura del dispositivo, atteso che alcuni familiari delle persone offese, presenti in aula, hanno iniziato ad inveire pesantemente, anche con frasi e toni minatori, così protestando avverso la decisione di condannare gli imputati “solo” alla pena di anni 18 e anni 9 e mesi 6 di pena, peraltro, ridotta per il rito abbreviato».

Soltanto a seguito dell’intervento delle forze dell’ordine, come richiesto dalla Corte, si è stati in grado di ripristinare le condizioni ottimali al fine di consentire ai giudici la pubblicazione del dispositivo.

A seguire, «alcuni degli avvocati impegnati nel processo, dopo essere usciti dalla sede del Palazzo di Giustizia, venivano avvicinati dai familiari delle vittime e aggrediti verbalmente. Il professor Carlo Taormina era aggredito e anche fisicamente colpito al volto con alcuni schiaffi».

Questo è quanto è stato reso noto dalle camere penali di Torre Annunziata e Napoli. La prima ha deciso di proclamare «lo stato di agitazione per i gravi fatti accaduti, preannunciando ogni iniziativa volta a ribadire l’intangibilità del diritto di difesa, in ogni sua declinazione».

La seconda, invece, ha scritto attraverso un lungo documento di critica quanto accaduto, ovvero «un tragico ed incivile format che si auto-alimenta e che sta inesorabilmente avvelenando la qualità del processo penale e della nostra democrazia. E che se non tempestivamente interrotto è potenzialmente idoneo ad arrecare seri rischi all’incolumità, anche fisica, dei protagonisti della giurisdizione (in particolare degli avvocati che non hanno neppure lo scudo dell’istituzione statale)».

Scrivono i penalisti, che vedono alla guida Marco Campora: «Se da un lato è comprensibile, forse anche fisiologico che, chi amava una persona provi un profondo rancore nei confronti di chi quella persona gliel’ha portata via», dall’altro «noi tutti abbiamo il dovere di non cedere a pulsioni irrazionali, di ricordare che la giustizia non può mai essere vendetta e che la qualità ed il valore della funzione giurisdizionale non si misura sulla base degli anni di galera che vengono inflitti».

Si tratta di «concetti basilari che, tuttavia, negli ultimi anni sono costantemente messi in discussione da un populismo penale che sembra ormai aver smarrito anche un qualsivoglia sub-strato ideologico per degradare a mero istinto brutale o riflesso di maniera».

Il rischio non è «soltanto il panpenalismo, ma anche la reiterazione senza fine dello statuto della vittima, atteso che il processo penale non può, per sua natura, che produrre delusione rispetto alla propria aspettativa di risarcimento assoluto».

Non ci sono dubbi che «nei limiti della continenza e del rispetto dei ruoli, le sentenze siano sempre criticabili ed ognuno può legittimamente ritenere che la pena irrogata sia troppo bassa o che il titolo di reato sia sbagliato».

Occorre, tuttavia, «registrare che la critica è sempre unidirezionale e colpisce unicamente le sentenze di assoluzione o le sentenze di condanna ad una pena non draconiana. Nessuno mai, salvo rarissime eccezioni, si azzarda a criticare una sentenza che ad esempio condanna all’ergastolo, mentre costituiscono ormai un topos le grida dei familiari o amici della vittima, spalleggiate non di rado da “agitatori” politici o dell’informazione, alla lettura dei dispositivi che assolvono l’imputato o che lo condannano ad una pena non ritenuta abbastanza severa».

In un quadro del genere «è la stessa istituzione del processo che rischia di crollare».


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Rovigo, atti bloccati e computer impallati: si ritorna alla carta

Nella sede del Giudice di Pace di Rovigo, in corso del Popolo, la situazione è degenerata talmente tanto da dover richiedere l’intervento della Polizia Locale, non per problemi collegati alla condotta di qualcuno, ma per difficoltà di sistema.

Tutto questo sembra essere effetto della Riforma Cartabia, che ha causato risultati divergenti rispetto agli obiettivi desiderati.

Questo potrebbe essere il caso delle norme contenute nel DL 188/2021, riguardante la presunzione d’innocenza, che ha reso difficile, se non impossibile, per i giornalisti, l’attività di verifica con le forze dell’ordine e con la magistratura delle notizie di cronaca giudiziaria e di cronaca nera.

Il problema, in questo caso, è nato a seguito delle disposizioni riguardo la giustizia digitale, grazie alle quali dal 30 giugno è entrato in vigore l’obbligo del deposito telematico degli atti del processo telematico presso gli Uffici del Giudice di Pace, sia per i nuovi procedimenti che per quelli pendenti.

L’OCF aveva già messo in guardia su una “drammatica situazione”, richiedendo il rinvio dell’applicazione della norma, visto che «gli Uffici dei Giudici di Pace sono del tutto impreparati all’adozione del nuovo sistema che procurerà notevoli difficoltà agli avvocati e dunque ai cittadini».

Quello che è accaduto a Rovigo è stata la conferma di tutto questo. I computer degli Uffici del Gdp si sono completamente impallati, e questo ha bloccato il deposito degli atti nelle udienze dei Giudici Patrizia Prando e Marco Bresciani.

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Per questo, un avvocato ferrarese, esasperato da questa situazione, ha deciso di chiamare la Polizia Locale affinché venisse verbalizzato quello che stava accadendo. La soluzione è stata… la carta.

Il presidente del Tribunale Angelo Risi è infatti intervenuto, firmando un decreto in cui scriveva:

«Rilevato che, allo Stato, presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Rovigo sussistono e permangono oggettive e, allo stato, non superabili problematiche relative all’utilizzo del Pct sia da parte delle cancellerie che da parte dei Gop, carenza di hardware all’interno degli uffici, mancata consegna dei nuovi portatili, obsolescenza di quelli già in dotazione, formazione ancora insufficiente, assenza delle firme digitali, vista la segnalazione giunta in tal senso dai Gop, in attesa della regolarizzazione delle situazioni di difficoltà e ferma la possibilità delle parti e degli ausiliari di procedere al deposito telematico dei propri atti, autorizza le parti, sino a regolarizzazione del servizio che verrà comunicato agli interessati con congruo anticipo, al deposito con modalità non telematiche degli atti processuali e dei documenti allegati, compresa la nota di iscrizione a ruolo. Autorizza altresì i Gop a celebrare le udienze ed a redigere e depositare i provvedimenti in modalità cartacea».


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ChatGPT sta lentamente diventando l’assistente virtuale preferito di aziende e di privati. Lo strumento di OpenAI è un punto di riferimento per molti professionisti, ma ora sta sollevando parecchie polemiche per quanto riguarda i suoi rischi.

Sotto la superficie, infatti, si nascondono tanti pericoli, alcuni molto chiari alle aziende che operano nel settore tech. Forse sarebbe meglio individuarli, per capire perché le aziende vietano l’utilizzo di ChatGPT ai propri dipendenti.

ChatGPT, sin dal suo debutto, è riconosciuto tra i lavoratori come un perfetto aiutante per la ricerca delle informazioni, nella scrittura di testi, nella programmazione e in molto altro.

Si tratta dell’assistente numero uno per tantissime persone, un asso nella manica che viene utilizzato con il fine di velocizzare alcune attività, ottenendo risultati convincenti nel giro di poco tempo.

Tuttavia, la gioia di terminare il lavoro in anticipo ha messo in secondo piano la necessità di prestare attenzione alle informazioni condivise con il chatbot. ChatGPT, infatti, non è una scatola chiusa nella quale condividere dati a proprio piacere, convincendosi che al termine della conversazione tali dati verranno eliminati.

OpenAI, al contrario, continua con il monitoraggio delle Chat dietro le quinte, andando a raccogliere qualsiasi elemento che aiuti il modello di linguaggio GPT a migliorare.

Dunque, dovrebbe essere scontato che il trasferimento dei dati che riguardano il lavoro ad un sistema di IA di terze parti potrebbe minacciare la privacy e la sicurezza. Ma non per tutti questo è ovvio.

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I dipendenti delle aziende, anche di colossi quali Amazon ed Apple, stanno facendo affidamento sul chatbot senza considerare la diffusione delle informazioni riservate dei dipendenti sui server chiusi e controllati da parti terze.

Alcuni amministratori potrebbero infatti essere interessati ad alcuni codici o a minacciare la società andando a richiedere una somma importante di denaro al fine di cancellare i dati oppure bloccarne la fuga.

Nel caso di OpenAI, vista la fama di ChatGPT, sicuramente tutto questo non avverrà. Tuttavia, in generale, il problema rimane: i dati sensibili forniti finiranno all’interno dei server.

I colossi di vari settori hanno deciso di imporre un blocco generale, dichiarando pubblicamente l’intenzione di dar vita ad un assistente di intelligenza artificiale proprietario, in modo tale che i dipendenti possano poi lavorare con server interni, proteggendo i dati.

Leggi anche: ChatGPT e lo scenario Terminator: le IA uccideranno il lavoro dell’avvocato?

Tutto il mondo sta guardando con interesse e paura le capacità dell’intelligenza artificiale. Le IA generative, ormai, stanno crescendo sempre più, e oggi sono a piede libero. La soluzione potrebbe essere l’accoglienza, per semplificare e ottimizzare le attività, visto che la loro condanna non giova proprio a nessuno.

E’ necessario, comunque, implementarle correttamente educando il pubblico, affinché non rappresentino una minaccia per gli utenti ma un valido aiuto.


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In vigore il Nuovo Codice degli Appalti: il problema della qualificazione delle stazioni appaltanti

Dal 1° luglio 2023 è entrato in vigore il nuovo Codice degli appalti pubblici, nonostante il problema della qualificazione delle stazioni appaltanti, requisito obbligatorio per bandire le gare dei lavori al di sopra dei 500mila euro e dei servizi sopra i 140mila.

La qualificazione delle stazioni appaltanti rischia di frenare le procedure di evidenza pubblica sin dall’entrata in vigore del codice. Secondo l’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, su 26mila stazioni appaltanti 2.404 hanno inviato la domanda, e soltanto 1.571 sono state qualificate.

Altre 286 lo sono state, ma con riserva. Soltanto un piccolissimo numero, dunque, riceverà il Cig, il codice per bandire le gare. Nelle prossime settimane capiremo quanto e in che modo questi numeri impatteranno sull’andamento degli appalti.

Spiega Andrea Mascolini, il direttore generale Oice: «Abbiamo il precedente nel 2016 in cui assistemmo a una riduzione del valore dei bandi nel primo mese recuperata nel secondo: l’auspicio è che sia un impatto limitato, però il punto è che questa volta mancano le Linee guida Anac e c’è il grande tema dell’obbligatorietà della qualificazione delle stazioni appaltanti e infine diversi problemi di diritto transitorio».

«Il nostro osservatorio, da una media di 45 bandi al giorno, ha osservato uscite quotidiane per 70 gare nelle scorse tre settimane e culminati a 140 negli ultimi 4 giorni. Al punto che i siti delle amministrazioni non riescono a stargli dietro», continua Mascolini,

Valide le deroghe del Codice

L’Anac, guidata da Giuseppe Busia, ha deciso di diramare una circolare per far presente che «la presentazione della domanda di qualificazione può avvenire anche successivamente a tale data poiché al momento non sussiste alcuna finestra temporale di presentazione».

Sino a tale momento sono valide le deroghe del Codice. Oltre alle soglie fissate, dunque, si potrà procedere a bandi, entro il milione di euro, per la manutenzione ordinaria. Un’altra eccezione è quella che interessa le città metropolitane e le province, per cui vale una qualificazione d’ufficio in un elenco speciale per la durata di un anno.

Tra le varie novità troviamo anche un primo passo verso ulteriori scadenze: per esempio, nel gennaio 2024 scatterà la parte del Codice riguardante la digitalizzazione degli appalti.

Quali sono le soglie

150mila, affidamento diretto: nel testo del Codice è previsto che entro tale soglia le stazioni appaltanti, anche se non qualificate, dovranno ricorrere obbligatoriamente all’affidamento diretto degli appalti. In sostanza, si tratta della scelta di un contraente senza nessuna procedura competitiva.

Viene prescritto l’affidamento diretto dei lavori che hanno un importo inferiore a 150.000 euro, senza consultazione di vari operatori economici, «assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante».

500mila, i Comuni: Si tratta della soglia entro cui ogni stazione appaltante non qualificata potrà affidare appalti di lavori senza gare.

1 milione, la negoziazione: Dai 150mila euro al milione di euro del valore del contratto è prevista la procedura di negoziazione con 5 operatori.

Questo il testo dell’articolo 50: «Procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 1 milione di euro».

5,3 milioni, la soglia comunitaria: Si tratta del tetto massimo stabilito dall’Unione europea per gli appalti dei lavori entro il quale sarà possibile ricorrere alla procedura negoziata, con 10 operatori. Salta, in questo caso, la previsione di dover motivare necessariamente il ricorso alla procedura competitiva.


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Nuovo accordo per la ricerca telematica dei beni da pignorare

Accordo Zaia-Nordio: protocollo d’intesa per una maggior efficienza della PA nel settore Giustizia

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Nuovo accordo per la ricerca telematica dei beni da pignorare

«Il 23 giugno è stata stipulata una convenzione tra il ministero della Giustizia e il direttore dell’Agenzia delle Entrate, con l’approvazione del Garante per la protezione dei dati personali, che consente agli ufficiali giudiziari di accedere alle banche dati dell’amministrazione finanziaria, così da rendere agevole la ricerca telematica dei beni da pignorare. Questa è una cosa quasi rivoluzionaria», afferma Carlo Nordio.

Il Guardasigilli Carlo Nordio ed Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, hanno siglato una convenzione per consentire agli ufficiali giudiziari l’accesso alle banche dati dell’amministrazione finanziaria, per rendere più agevole la ricerca telematica dei beni da pignorare.

L’accordo ha ottenuto l’ok da parte del Garante Privacy, e avrà validità per cinque anni. Gli ufficiali giudiziari potranno utilizzare il servizio nell’ambito dei compiti d’ufficio, per poter acquisire informazioni utili per individuare beni da sottoporre ad esecuzione.

L’accesso avverrà attraverso modalità sicure, con un servizio di cooperazione informatica che si appoggia al Sistema di interscambio dati. L’ufficiale giudiziario potrà dunque richiedere l’accesso per tutti i soggetti per cui verrà presentata un’apposita istanza o dopo un’autorizzazione specifica da parte del tribunale.

Successivamente, l’Agenzia verificherà la regolarità della richiesta, inviando la risposta con tutte le informazioni al Ministero. Gli accessi al servizio saranno tracciati, da entrambe le parti.

Una convenzione quasi rivoluzionaria

«Prima della stipula di questa convenzione era previsto che, in mancanza delle strutture tecnologiche necessarie a consentire l’accesso diretto, il creditore istante potesse ottenere direttamente dai gestori delle banche dati le informazioni contenute nelle banche dati stesse», dichiara Nordio.

«Con questa novella dell’articolo 155, che è stata introdotta nell’ottobre del ’22, è stato previsto che a decorrere dal 28 febbraio 2023, fosse l’ufficiale giudiziario ad attestare che l’accesso diretto alle suddette banche dati non è attuabile per il mancato funzionamento delle strutture tecnologiche. Ecco perché, a seguito della stipula della convenzione gli ufficiali giudiziari possono utilizzare direttamente il servizio di accesso alle banche dati dell’amministrazione finanziaria, nell’ambito dei propri compiti di ufficio, al fine di acquisire tutte le informazioni utili a individuare i beni da sottoporre a esecuzione forzata nell’ambito delle procedure sia mobiliari che immobiliari, nonché nell’ambito delle procedure concorsuali».

Conclude: «Ciò permetterà una più rapida verifica sui beni di proprietà del debitore, consentendo al creditore di velocizzare il recupero del credito vantato; il vantaggio consisterà nella certezza e nella celerità delle ricerca dei beni da pignorare assicurando, quindi, un iter più spedito nella esecuzione dei provvedimenti del giudice in materia civile».


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Accordo Zaia-Nordio: protocollo d’intesa per una maggior efficienza della PA nel settore Giustizia

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Accordo Zaia-Nordio: protocollo d’intesa per una maggior efficienza della PA nel settore Giustizia

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha sottoscritto un protocollo d’intesa insieme a Carlo Nordio, Ministro della Giustizia. Si tratta di un protocollo d’intesa finalizzato a rendere maggiormente efficiente la PA nel settore della giustizia, cercando di intervenire sulla carenza del personale.

Spiega il Presidente Zaia: «Questo protocollo, primo in Italia nel suo genere per cui ringrazio il Ministro Nordio, è un modello. È un accordo che parte dal presupposto che un territorio come il Veneto ha bisogno di tribunali e di sedi giudiziarie efficienti e per avere la garanzia che questo avvenga sottoscriviamo un accordo quadro che darà il via a una serie di convenzioni per condividere graduatorie e concorsi fra Regione e tribunali veneti».

«Non resterà una dichiarazione di intenti ma, un attimo dopo averlo siglato, sarà attivato il primo provvedimento. Inizieremo cedendo alla Giustizia una lista già formata di 105 candidati a ruoli amministrativi, dalla quale, da subito, il Ministero potrà attingere. Seguiranno ulteriori graduatorie per altri 300 amministrativi. Entro i primi di settembre i tribunali del Veneto avranno, quindi, 100 operatori in più», prosegue Zaia.

Se il candidato contattato non accetta la proposta del Ministero, resterà collocato nella graduatoria regionale, senza essere depennato ma nemmeno senza aver certezza riguardo una chiamata. La prima graduatoria avrà validità biennale, con scadenza il 13/06/2024.

Sottolinea Zaia: «Il futuro vedrà in Veneto molte graduatorie condivise con il Ministero della Giustizia. Possiamo ben dire che queste sono prove tecniche di efficienza veneta».

Dichiara il ministro Nordio: «Questo è un modello che intendiamo riprendere ed estendere a livello nazionale. Per questo protocollo ringrazio la Regione Veneto e lo staff ministeriale che hanno lavorato a questo risultato. Abbiamo l’obiettivo di rendere la giustizia efficiente attraverso una modernizzazione e una accelerazione dei processi».

«Di fronte alla carenza di organico abbiamo procedure ottocentesche che cerchiamo di scalfire, ma sappiamo che nulla si può sostituire alle intelligenze umane, per questo è necessario partire dalle risorse di personale. Il protocollo di oggi rappresenta un risultato davvero straordinario nel segno dell’efficienza della macchina della giustizia», conclude.


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Obbligo di deposito telematico al Gdp: per l’OCF va rinviato a settembre

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Italia prima in Europa per over65 in cella e problemi di sovraffollamento

In Europa, la durata media delle detenzioni è di 11 mesi, mentre in Italia si parla di una media di 18 mesi.

Le percentuali più alte di detenuti over65 si trovano sempre nel nostro Paese: questo è quanto emerge dal rapporto Space, ovvero delle Statistiche annuali penali effettuate dal Consiglio d’Europa riguardo la popolazione carceraria.

Tra il 2021 e il 2022 è aumentato il tasso di detenzione in molti paesi europei: per esempio, in quelli che superano il milione di abitanti, si è registrato un aumento del 2,3%.

Soltanto Estonia, Germania e Bulgaria hanno registrato una diminuzione dei tassi si detenzione. In Italia, invece, si riportano casi in cui la densità carceraria supera i 100 detenuti per 100 posti, registrando uno dei peggiori sovraffollamenti in tutta Europa.

L’età media dei detenuti all’interno degli istituti penitenziari è di 38 anni. Le età medie più basse si trovano in Danimarca (34), in Bulgaria (31) e in Francia (34,5), mentre quelle più alte sono in Portogallo (41), Spagna (40), Estonia (40), Italia (42) e Georgia (44).

Il 16% dei detenuti ha più di 50 anni mentre il 3% ha più di 65 anni. Nei paesi che hanno più di un milione di abitanti, la percentuale più alta di detenuti over 50 si trova in Italia (28%), che risulta anche tra i Paesi con le percentuali più elevate di detenuti over 65, appartenente alla criminalità organizzata con condanna all’ergastolo.

Ergastolo

Nel rapporto c’è anche la diversità della pena a livello di ergastolo tra i Paesi europei.

Un detenuto condannato all’ergastolo in Svizzera è idoneo per la libertà dopo 10/15 anni, in Italia dopo 21/26 anni, in Danimarca dopo 12 anni, in Germania dopo 15 anni, in Svezia dopo 10 anni, in Francia dopo 18/22 anni, in Spagna dopo 25/35 anni e in Belgio dopo 15/23 anni.

Dal rapporto è emerso che il problema dei tempi della giustizia si riflette direttamente sulla popolazione carceraria. Per esempio, a fine gennaio 2022 sono stati censiti 54.372 detenuti, e circa il 30% non sta scontando pene definitive poiché in attesa di giudizio.

Sovraffollamento

Molto presente anche il problema del sovraffollamento. Da gennaio 2020 a gennaio 2021, in Europa era diminuito il numero complessivo dei detenuti, a seguito della riduzione della criminalità sulla strada, viste le restrizioni introdotte dalla pandemia.

Per Marcelo Aebi, professore responsabile del gruppo di ricerca Space, «negli ultimi 12 anni il tasso medio di detenzione in Europa è diminuito lentamente ma costantemente. Tale calo si è intensificato nel corso del 2020 come conseguenza delle misure di blocco per il Covid-19. Pertanto, l’aumento nel 2022 riflette un ritorno alla relativa normalità nella vita sociale e nel funzionamento dei sistemi di giustizia penale europei».

Nonostante tutto, il tasso di detenzione in Europa, nel 2022, risulta essere ancora inferiore rispetto a quello osservato poco prima della pandemia, anche se in Italia persiste un problema di grave sovraffollamento.


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Entra in pieno vigore l’attività del processo telematico per il deposito presso i Giudici di Pace in Italia. Tuttavia, l’Organismo Congressuale Forense, dopo un attento monitoraggio delle fasi di formazione e di sperimentazione, denuncia una situazione drammatica.

Sembrerebbe, infatti, che la formazione del personale, avvenuta principalmente attraverso video-tutorial o mediante corsi a distanza, abbia coinvolto soltanto una parte degli Uffici, mentre ad altri non è stata nemmeno comunicata la data del corso.

La fase di sperimentazione, prevista attraverso il deposito dei ricorsi per decreto ingiuntivo, «è stata resa vana dall’esiguo numero di ricorsi depositati causata dall’assenza di uno specifico ambiente di prova, con l’impossibilità di effettiva lavorazione degli atti e del conseguente deposito di provvedimenti da parte dei Giudici».

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Secondo l’Avvocatura, non c’è stata l’iscrizione dei Giudici e dei funzionari al REGINDE, un «presupposto indispensabile per accedere al sistema», con numerose «problematiche relative al mancato funzionamento della firma remota dei giudici o all’impossibilità di questi a collegarsi al portale operativo sul quale lavorare».

Individuato anche un problema tecnico a livello degli schemi ministeriali XSD, che con un errore bloccava il deposito dei ricorsi attraverso un decreto ingiuntivo. Il problema è stato risolto dal Ministero attraverso un nuovo rilascio nei giorni scorsi, con i tempi necessari di adattamento dei programmi di deposito delle Software House.

«L’avvio del processo telematico alla data del prossimo 30 giugno è dunque impossibile. Gli Uffici dei Giudici di Pace sono del tutto impreparati all’adozione del nuovo sistema che procurerà notevoli difficoltà agli Avvocati e dunque ai cittadini tutti perché, non riuscendosi ad effettuare un deposito telematico, si dovrebbe attendere l’autorizzazione del Capo dell’Ufficio primo di poter effettuare il deposito alternativo cartaceo; il tutto con evidente pericolo di mancato rispetto dei termini processuali, posto che dopo il 30 giugno tutti i tipi di atti, anche quelli endoprocessuali di cause già pendenti, dovranno essere effettuati in via esclusivamente telematica».

L’OCF chiede di rinviare l’entrare in vigore dell’obbligo telematico degli atti civili presso il Giudice di Pace, almeno fino al 30 settembre 2023, per permettere una sperimentazione adeguata.


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