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Stretta sul sequestro di smartphone e pc: il pm deve indicare le ragioni dell’atto

In arrivo una stretta per quanto riguarda il sequestro di cellulari e di pc durante le inchieste giudiziarie. Questo è quanto previsto dal disegno di legge presentato il 19 luglio in senato da Bongiorno e Zanettin.

Nel testo si vogliono disciplinare i sequestri da parte delle Procure su memorie e sistemi digitali, come pc e smartphone, introducendo anche un articolo pensato ad hoc, il 254 ter del c.p.p.

La proposta di legge deve ancora essere discussa, e segue il giro di vite garantista sulle intercettazioni volute dal Guardasigilli Nordio, che nella sua Riforma amplia il divieto di pubblicare i contenuti delle intercettazioni per determinate fattispecie.

Per i firmatari del dl, il sequestro di smartphone e pc è un’intercettazione telefonica, che «dovrebbe essere circondata da garanzie al pari delle intercettazioni». La selezione dei loro contenuti, invece, «dovrebbe essere assistita da un contraddittorio tra le parti per decidere cosa sia rilevante a fini processuali, anche in relazione alla conservazione dei dati nell’archivio digitale delle intercettazioni».

Bongiorno e Zanettin citano anche la Cassazione con la sentenza 17604/2023, che stabilise l’illegittimità  del sequestro a fini probatori di questi dispositivi per la «violazione del principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità», ove non siano chiare le ragioni specifiche «a un’indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute».

Dunque, con la nuova legge, il pm dovrebbe riuscire ad indicare «le ragioni che rendono necessario il sequestro, in relazione al nesso di pertinenza fra il bene appreso e l’oggetto delle indagini», specificando «le operazioni tecniche da svolgere sullo smartphone e i criteri che verranno utilizzati per selezionare, nel rispetto del principio di proporzione, i soli dati effettivamente necessari per il prosieguo delle indagini».

Se ci fosse il «sospetto che il contenuto dei dispositivi possa essere cancellato, alterato o modificato», nel dl è previsto che l’autorità giudiziaria impartisca «le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne a chiunque l’analisi e l’esame sino all’espletamento».

Si procederà dunque alla duplicazione integrale dei dispositivi su supporti informatici, andando ad assicurare che la copia è conforme all’originale e che non può essere modificata.

Dopo cinque giorni dal sequestro, il pm dovrà avvisare «la persona sottoposta alle indagini, la persone alla quale la cosa è stata sequestrata, la persona alla quale la cosa dovrebbe essere restituita e la persona offesa dal reato e i relativi difensori».

Un’altra tempistica che prevede il dl è quella che riguarda il rispetto dei principi di proporzione e di necessità nel processo di selezione dei dati: il pm, infatti, dovrà decidere «entro 48 ore con decreto motivato».


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Inviare un messaggio diffamatorio a più PEC: no all’aggravante della diffusione su internet

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Avvocati, compensi più alti: quando si possono richiedere?

Un avvocato potrà richiedere un compenso più alto rispetto a quello concordato soltanto se ha previsto espressamente tale possibilità, specificando l’importo aggiuntivo se non viene effettuato il pagamento tempestivo del cliente.

Il CNF conferma tale regola nella sentenza 36/2023, dopo aver esaminato il caso di due avvocati che hanno ricevuto una sanzione dal CDD del Veneto per aver richiesto un compenso più alto senza avvisare il cliente della possibilità di maggiorazione.

Questo provvedimento disciplinare ha avuto origine da un esposto presentato da un cliente che aveva affidato agli avvocati l’incarico di gestire la separazione dalla moglie.

Il cliente aveva affermato come l’accordo iniziale sul compenso era successivamente stato modificato dagli avvocati, che avevano richiesto una somma molto più alta.

Dopo che il cliente ha deciso di revocare l’incarico, andando a sostenere un lavoro considerato non soddisfacente da parte degli avvocati, questi avrebbero sollecitato il pagamento del compenso attraverso preavvisi di parcella.

Il cliente ha deciso di contestare la legittimità dei pagamenti, andando a sostenere che questi sarebbero dovuti soltanto al completamento del giudizio. Gli avvocati, invece, hanno ottenuto un parere favorevole da parte del COA veneziano nei confronti delle parcelle relative all’attività che è stata svolta.

Gli avvocati, in seguito, hanno inviato una diffida di pagamento delle parcelle, andando a richiedere un compenso complessivo sette volte più alto rispetto all’accordo previsto inizialmente.

Il CDD sottolinea come gli avvocati hanno deciso di richiedere un compenso più alto senza formulare la riserva di maggiorazione necessaria, andando a violare le norme deontologiche. Gli avvocati hanno dunque impugnato la decisione del CDD, che li aveva sanzionati attraverso un avvertimento per un compenso «circa sette volte maggiore di quello precedentemente concordato».

Il CNF, tuttavia, respinge queste argomentazioni in quanto infondate, ritenendo invece convincente la ricostruzione dei fatti effettuata dal CDD, che si basa su solide prove documentali.

Gli accordi presi sul compenso sembrano essere stabiliti sin dall’inizio dell’incarico, e per questo l’art. 29 del Codice Deontologico Forense ha enfatizzato la necessità che l’avvocato debba esprimere la sua riserva di maggiorazione, al fine di informare adeguatamente i clienti delle possibili conseguenze.

Gli avvocati accusati hanno tentato di difendersi andando a sostenere che la riserva era stata formulata verbalmente. Tuttavia, l’assenza di prove scritte e la corrispondenza formale non hanno convinto il CNF.

La complessità dell’incarico, oltretutto, non potrà essere utilizzata in quanto giustificazione, visto che una strategia concordata e un’analisi attenta avrebbero dovuto stabilire i parametri del compenso.


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Inviare un messaggio diffamatorio a più PEC: no all’aggravante della diffusione su internet

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Inviare un messaggio diffamatorio a più PEC: no all’aggravante della diffusione su internet

Inviare una PEC, anche a più di un destinatario, non costituisce l’aggravante dal terzo comma dell’art. 595 c.p., che punisce la diffamazione.

La norma prevedeva inizialmente l’aggravante per una condotta commessa a mezzo stampa, ma oggi la nozione è quella della pubblicità potenziale, che, visti i nuovi mezzi di comunicazione, potrebbe raggiungere un contenuto diffamatorio.

Tuttavia, immettere su Internet un messaggio è una condotta che la giurisprudenza vede come presunzione di un rischio alto di diffusione di contenuti condivisi. Tuttavia, non è l’utilizzo in sé della rete a dare il via all’aggravante, ma lo strumento utilizzato al fine di comunicare l’opinione considerata diffamatoria.

Siti web e commenti che vengono postati sui social sono considerati molto pericolosi per questa diffusività, anche se lo stesso non possiamo dire per la posta elettronica.

La moderna giurisprudenza ha individuato, come mezzi che danno ampia pubblicità a contenuti diffamatori, la posta elettronica, la PEC o internet. Secondo la Suprema Corte, pubblicare un messaggio attraverso PEC, mail o su siti web comporta diverse potenzialità offensive.

Per i giudici, se si pubblica su un sito o su un social il messaggio offensivo questo verrà diffuso ad un numero indeterminato di destinatari, e dunque, la diffamazione risulta aggravata. Tale presunzione non scatta se si invia una mail o una PEC anche a più di un destinatario.

L’accesso riservato, infatti, tramite credenziali, fa presumere che una comunicazione del genere sia rivolta a una persona specifica. Nella sentenza tuttavia, si prende atto che l’invio di una mail diffamatoria ad una mail a cui possono accedere più soggetti integra l’aggravante.

L’aggravante, in questo caso, è costituita dalla pubblicità data al contenuto diffamatorio verso una platea di persone più ampia. Dunque, la giurisprudenza ha ampliato le ipotesi in cui l’aggravante possa scattare, andando a ricomprendere le nuove tecnologie informatiche e telematiche.


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Come capire se un testo è stato scritto da un’Intelligenza Artificiale?

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capire se testo è stato scritto da AI

Come capire se un testo è stato scritto da un’Intelligenza Artificiale?

Nel corso degli ultimi anni, modelli di linguaggio di intelligenza artificiale quali ChatGPT, Bard e Claude hanno fatto dei grandissimi passi da gigante nell’elaborare testi credibili e coerenti. Per un occhio inesperto, infatti, potrebbe essere quasi impossibile distinguere se un contenuto è stato scritto da un umano o da un’intelligenza artificiale.

Ma ci sono alcuni strumenti e alcune tecniche che potrebbero aiutarci a capirlo.

In genere, i modelli di AI vengono addestrati attraverso dati testuali creati dagli esseri umani, generando poi dei contenuti in grado di imitare quelli prodotti dagli umani.

Si tratta di una mole di dati pazzesca, che consente all’AI di raggiungere un certo grado di fluidità e di naturalezza. Tuttavia, grazie ad un’attenta analisi, sarà possibile individuare alcune tipiche caratteristiche dei testi generati dalle AI.

Per prima cosa, prestiamo attenzione al lessico: ChatGPT, Bard e Claude hanno un vocabolario ripetitivo e limitato, e alcuni temi sono ossessivamente ricorrenti. È difficile che in un testo generato da un’intelligenza artificiale ci siano sfumature, espressioni colloquiali o doppi sensi.

Attenzione anche alla sintassi: le frasi generate dall’intelligenza artificiale hanno una struttura più semplice, non c’è traccia della naturale imprevedibilità e complessità che contraddistingue il modo di parlare umano.

Nei testi generati dall’AI, inoltre, manca la creatività e la brillantezza delle idee originali, che vengono espresse anche con lunghi e imperfetti giri di parole, ma piacevoli alla lettura.

Un altro campanello d’allarme è l’assenza di errori di battitura e grammaticali. Questi testi sembrano quasi perfetti, soprattutto in lingua inglese. Quelli umani, invece, hanno delle imperfezioni. Secondo il linguista Noam Chomsky «tali programmi sono bloccati in fase preumana o non umana dell’evoluzione cognitiva. La vera intelligenza si dimostra nella capacità di pensare ed esprimere cose improbabili ma perspicaci».

In ogni caso, nonostante le indicazioni, riuscire a smascherare un testo generato da un’AI potrebbe essere veramente difficile anche per i più esperti, e per questo i ricercatori di tutto il mondo, stanno attualmente lavorando a nuovi strumenti automatici per il rilevamento dei testi creati dall’intelligenza artificiale.

Creatività, coscienza ed empatia

In ogni caso, Tom Goldstein, un docente di informatica presso l’Università del Maryland, è fermamente convinto che tali tool diverranno sempre meno efficaci, visto che l’elaborazione del linguaggio naturale diventerà sempre più sofisticata.

«Questi tipi di rilevatori si basano sul fatto che esistono differenze sistematiche tra testo umano e testo macchina. Ma l’obiettivo di queste aziende è quello di rendere il testo macchina il più vicino possibile al testo umano», spiega.

Dunque, ad oggi non esiste un metodo infallibile per riuscire a determinare con certezza assoluta se un testo proviene da un’AI o da una mano umana. Di certo, per quanto possa progredire la tecnologia, la creatività, la coscienza e l’empatia restano ancora oggi elementi caratteristici degli umani.


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Autorizzata la presentazione alle Camere del ddl Nordio

Avvocato e odontoiatra: per il CNF l’iscrizione ai due albi è incompatibile

ddl nordio

Autorizzata la presentazione alle Camere del ddl Nordio

Sergio Mattarella ha autorizzato la presentazione alle Camere del ddl Nordio sulle “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”.

Il testo era già stato approvato il 15 luglio dal Cdm, su proposta del Guardasigilli Carlo Nordio. Ora il testo approda in Senato. Il Governo, infatti, aveva richiesto alle Camere una sollecita calendarizzazione.

Nell’intervento è prevista l’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio (art.323 c.p.) e una maggior tipizzazione del delitto di traffico di influenze (art. 346 bis c.p.).

Cancella anche l’appello del Pm contro le sentenze di assoluzione, imponendo una stretta sulla stampa per quanto riguarda la pubblicazione delle intercettazioni, che prevedono maggiori garanzie per gli indagati per quanto riguarda la custodia cautelare, introducendo il contraddittorio preventivo.

Novità anche per quanto riguarda i concorsi in magistratura: vengono ridotti i tempi delle procedure, consentendo maggior rapidità per l’entrata in servizio dei magistrati.

L’Anm si era espressa criticamente per quanto riguarda l’eliminazione dell’abuso d’ufficio. Il presidente Santalucia aveva infatti commentato: «Il ministro Nordio sembra dimenticare che la riforma del 2020 punisce la violazione dolosa della legge, non di altre norme, quando la legge non consente alcuna valutazione discrezionale: cioè dice al pubblico ufficiale deve fare questo o devi omettere di fare quest’altro»

Continua: «Come si può pensare che un comportamento di questo tipo in palese violazione di legge, fatta per avvantaggiare se stesso o i propri amici o per danneggiare altri, possa sfuggire alla norma penale, io sinceramente non capisco».

Invece, il giudizio degli avvocati è positivo. Per il CNF, l’OCF e Aiga, «il pacchetto di norme rappresenta un’importante passo avanti sul terreno delle garanzie, ma di strada da fare ce n’è ancora. Soprattutto occorre rimuovere il limite alla possibilità di accedere alle impugnazioni determinate dalla necessità di rilascio di ulteriori procure e dichiarazione di elezione di domicilio dopo il provvedimento contro il quale si intende proporre ricorso».

Per i penalisti, dopo una prima lettura del dl si potranno «apprezzare alcuni primi passi importanti di riforma in tema di impugnazioni del pm, di misure cautelari e di reati contro la Pa. Del tutto deludente, invece, l’intervento in tema di intercettazioni, ed il mancato intervento, sul quale il ministro Nordio si era pubblicamente impegnato con noi, in tema di condizioni di ammissibilità delle impugnazioni del difensore».


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Avvocato e odontoiatra: per il CNF l’iscrizione ai due albi è incompatibile

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Avvocato e odontoiatra: per il CNF l’iscrizione ai due albi è incompatibile

Un avvocato iscritto all’albo degli odontoiatri per ragioni di studio? Secondo il CNF questo proprio non può essere possibile.

Secondo l’art. 18 della legge n.247/2012, la professione dell’avvocato risulta incompatibile con «qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l’esercizio dell’attività di notaio».

Le uniche eccezioni ammesse sono le iscrizioni «nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell’elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell’albo dei consulenti del lavoro». Si tratta, comunque, di un numerus clausus, che non può essere assoggettato ad alcuna interpretazione analogica, a prescindere dall’esercizio effettivo dell’attività incompatibile.

Infatti, è sufficiente soltanto l’iscrizione in un albo professionale differente da quelli elencati esplicitamente. In sintesi, questo è il contenuto della sentenza n.46 del 27 marzo 2023, con cui il CNF ha confermato la decisione del COA di Milano.

Secondo il ricorrente, che aveva richiesto l’iscrizione all’Albo degli Odontoiatri di Torino come odontoiatra estero spagnolo attraverso la PEC dell’Ordine degli Avvocati di Milano, la decisione presa dalle Sezioni Unite, n. 26996/2016 avrebbe forzato il dato prescrittivo della legge professionale.

Questa, infatti, si limiterebbe ad un’incompatibilità della professione con «qualsiasi altra attività di lavoro», e, dunque, con l’esercizio effettivo dell’attività e non con l’iscrizione in un albo. Inoltre, in questo caso specifico, l’arte medica rientra nelle «attività di carattere scientifico…e culturale», ammesse all’art. 18 comma 1 della legge professionale.

Per il ricorrente, l’iscrizione sarebbe necessaria al fine di «proseguire gli studi e la formazione in siffatto ambito culturale e scientifico».

Il parere del CNF

Non la pensa così il CNF, che afferma che la norma, «fissando il regime delle incompatibilità ostative all’esercizio della professione di avvocato, esplicitamente tratteggia, per di più, le eccezioni, che, costituendo un numerus clausus, non sono assoggettate ad interpretazione analogica».

Prosegue: «I soli casi nei quali è, quindi, consentita la coeva iscrizione sono quelli attinenti agli albi dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dei consulenti del lavoro, all’elenco dei pubblicisti ed al registro dei revisori contabili».

Di conseguenza, esiste incompatibilità tra l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e quella degli Odontoiatri, «in quanto siffatta ipotesi non è annoverata tra quelle che rendono possibile la contemporanea iscrizione».

Per la norma, la simultanea iscrizione ad un altro albo professionale è di per sé ostativa, e «non occorre neanche verificare la continuità dell’esercizio in concreto della professione ritenuta incompatibile», essendo sufficiente l’iscrizione in un albo differente per poter determinare l’incompatibilità con quello degli avvocati. Non è necessario, invece, che l’attività di odontoiatra sia effettivamente esercitata.

Inoltre, se consideriamo che l’incompatibilità assicura professionalità all’avvocato indipendentemente dall’esercizio dell’attività, allora non ricorrono condizioni al fine di sollevare una questione di legittimità costituzionale e non sussistono dubbi di compatibilità con i principi Ue.


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specializzazione avvocato

CNF: gli avvocati specialisti oggi sono realtà

Gli avvocati specialisti diventano ufficialmente realtà. Così come comunicato dal CNF, quattro professionisti hanno raggiunto questo traguardo, ottenendo una specializzazione in diritto civile, in diritto internazionale e in diritto dell’Unione Europea.

Sono i primi professionisti ad aver ottenuto un riconoscimento di un percorso cominciato nel 2015 con il Dm 144: il 60% dei professionisti che hanno sostenuto l’esame sono stati promossi per affrontare l’esame orale.

Spiegano dal CNF: «Questi esami rappresentano il momento attuativo della norma transitoria del decreto ministeriale sulle specializzazioni forensi per cui gli avvocati, che nei cinque anni precedenti hanno frequentato un corso di alta formazione biennale, possono ottenere, superando una prova scritta e una prova orale, il titolo di specialista».

Ad oggi ci sono state 490 richieste inviate dagli avvocati al CNF per essere ammessi alle prove scritte, tenutesi a maggio. La commissione d’esame hanno da poco ultimato le correzioni degli scritti, ammettendo alle valutazioni orali 139 avvocati.

Fino al 26 luglio saranno valutati dalle commissioni d’esame del CNF gli avvocati che hanno scelto il diritto di famiglia, il diritto penale, il diritto tributario e il diritto del lavoro come settore di specializzazione.

Prosegue anche l’iter delle specializzazioni per gli avvocati dottori di ricerca che ne fanno richiesta al CNF. 234 specialisti sono già stati riconosciuti in quanto tali, e andranno a sommarsi ai primi 4 professionisti specializzati, secondo il Dm del 2015.

Per Francesco Greco, «le specializzazioni forensi possono fare da volano per restituire agli avvocati la fiducia nel futuro della professione, e rappresentano lo strumento, altamente qualificante, attraverso il quale i professionisti possono aumentare conoscenze e competenze. Confidiamo che presto possano prendere avvio i corsi di specializzazione di alta formazione».

Le specializzazioni forensi sono state introdotte nell’ordinamento italiano con la legge 247/2012. In particolar modo, nell’articolo 9 si stabilisce che «è riconosciuta agli avvocati la possibilità di ottenere il titolo di specialista».

Dopo tre anni venne pubblicato il decreto n. 144, che andava ad attuare quanto già previsto dalla legge 247. Tale decreto venne tuttavia bocciato sia dal Tar che dal Consiglio di Stato, e dunque si allungò il percorso della nuova norma, con il nuovo regolamento arrivato a dicembre 2020.

Infine, da qualche mese, il ministero della giustizia ha pubblicato le nuove linee guida sul tema. Come accennato, il nuovo regolamento individua sette settori di specializzazione, a loro volta suddivisi in una serie di indirizzi.

Ogni avvocato potrà specializzarsi in un massimo di due settori e di tre indirizzi.


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Settore legale sempre più sostenibile: aumentano le opportunità per avvocati con competenze green

Nel corso degli ultimi anni, il settore legale nell’ambito dell’energia ha subìto alcuni importanti cambiamenti. Si è assistito all’emergere di nuove figure professionali, nelle aziende e negli studi legali.

Si tratta di sviluppi alimentati da una crescente complessità normativa e da dinamiche in continua evoluzione nel mercato energetico.

Spiega Aurora Santese, manager divisione Finance & Legal di Hunters: «Il settore legale nell’ambito dell’energia è stato influenzato da una serie di fattori, tra cui la transizione verso fonti energetiche più pulite e sostenibili, la liberalizzazione dei mercati energetici e l’aumento delle normative ambientali».

Tali cambiamenti hanno reso necessaria la presenza di avvocati specializzati in risorse ed energie naturali, in grado di affrontare specifiche sfide legali e regolamentari in questo settore che evolve continuamente.

Studi legali e aziende energetiche si sono dovute adattare a questa nuova realtà, andando a fornire delle consulenze altamente specializzate, al fine di navigare tra complesse norme ambientali, contrattualistica energetica, procedure di autorizzazione e questioni di proprietà intellettuale.

Come spesso accade, si tratta di un trend che ha avuto impatti molto positivi anche sulle opportunità lavorative che sembrano essere cresciute del 30% nel corso dell’ultimo anno.

Quali sono le nuove figure professionali in azienda?

Avvocato specializzato in risorse naturali Si tratta di una figura responsabile di fornire consulenza legale e assistenza per quanto riguarda le questioni relative all’energia, alle fonti rinnovabili, alle autorizzazioni, all’efficienza energetica e alle normative ambientali.

L’avvocato che si specializza in energia lavora con le unità aziendali, fornendo il supporto legale richiesto al fine di elaborare contratti, conformità normativa e gestione dei rischi.

Consulente legale per l’energia – Il consulente legale per l’energia si occupa di fornire consulenza strategica alle aziende per quanto riguarda le politiche energetiche, modelli di business, la pianificazione aziendale, fusioni e acquisizioni nel settore energetico, gestione delle controversie e risoluzione dei conflitti.

Esperto in diritto delle energie rinnovabili – Visto l’aumento dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili, la figura dell’esperto in diritto delle rinnovabili è divenuta essenziale.

Tale professionista si occupa di specifiche questioni legali, che si ricollegano alle rinnovabili, come, per esempio, la negoziazione dei contratti di fornitura, la gestione dei finanziamenti o l’accesso alla rete.

Quali sono le nuove figure professionali negli Studi Legali?

Avvocato consulente in materia di energia– Gli Studi Legali stanno attualmente reclutando degli avvocati esperti per quanto riguarda l’energia, al fine di fornire consulenze specializzate a varie aziende nel settore energetico, per poter gestire le questioni legali, la negoziazione dei contratti o la conformità normativa.

Avvocato litigante nel settore dell’energia–  Visto l’aumento delle controversie di tipo legale nel settore energetico, gli studi stanno attualmente sviluppando una pratica dedicata alla gestione dei contenziosi e delle dispute per quanto riguarda l’ambito energetico.

L’avvocato litigante specializzato in energia si occupa di rappresentare i propri clienti in tribunale per negoziare accordi transattivi.

Esperto in diritto dell’energia sostenibile –  Gli Studi Legali, vista la crescente attenzione nei confronti dell’energia sostenibile e l’aumento del bisogno di promuovere una transizione verso fonti energetiche più green, cominciano a sviluppare competenze specifiche nel campo dell’energia sostenibile.

Ci troviamo, dunque, di fronte a professionisti che forniscono la loro consulenza legale su questioni quali politiche energetiche, incentivi governativi, finanziamenti sostenibili o legislazione ambientale.

Entrare a far parte del mondo dell’energia rinnovabile è sempre stata una priorità per Servicematica, ed ora possiamo dire che questo sogno è diventato realtà! Abbiamo installato i pannelli solari, quindi ora produciamo energia pulita, senza emissioni di CO2.


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Martedì 18 luglio 2023 il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato un decreto per istituire una fase sperimentale transitoria, al fine di consentire ai difensori il deposito degli atti sia in modalità telematica che in cartaceo.

Il decreto ha lo scopo di «assicurare, in sede di prima applicazione, le verifiche di piena funzionalità del portale del processo penale telematico». Dunque, l’obbligo del deposito soltanto mediante portale entrerà in vigore 15 giorni dopo la pubblicazione dei regolamenti, che sono già stati indicati nel DL del 10/10/2022.

L’Unione delle Camere Penali ha espresso un grande apprezzamento per la decisione presa dal Guardasigilli di modificare l’obbligo del deposito telematico, sottolineando anche l’accoglienza dei suggerimenti proposti dal vice Ministro On. Francesco Paolo Sisto e dai penalisti italiani.

Sarà ora possibile testare la reale funzionalità tecnica del portale, formando adeguatamente, nel frattempo, avvocati, magistrati e cancelleria, senza pregiudicare in alcun modo l’esercizio del diritto di difesa.

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Dichiara l’UCP: «Sappiamo che la nostra proposta era ed è condivisa da larghissima parte della magistratura e dalla totalità del personale amministrativo. Vogliamo tutti accelerare la Informatizzazione dell’accesso alla giustizia, ma nei tempi e modi ragionevoli che l’esperienza quotidiana ci ha saputo indicare».

Con il dm del 18 luglio 2023 il Guardasigilli ha disposto:

«L’efficacia del decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, nella parte in cui dispone che il deposito da parte dei difensori degli atti indicati nell’elenco di cui all’art. 1 dello stesso decreto avviene esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico, decorre dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 87 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.150. Sino alla scadenza del termine di cui al periodo che precede, negli uffici indicati dal decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, è possibile, in via sperimentale, il deposito da parte dei difensori degli atti elencati nell’art.1 del medesimo decreto anche mediante il portale del processo penale telematico con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia».


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Semplificare le comunicazioni legali: al via SEND, il Servizio Notifiche Digitali

Il Dipartimento per la Trasformazione Digitale e PagoPA hanno annunciato la partenza del progetto SEND, il Servizio Notifiche Digitali.

Si tratta di una nuova piattaforma realizzata da PagoPA, ora a disposizione degli enti pubblici al fine di semplificare e digitalizzare la notificazione a valore legale degli atti amministrativi, con notevole risparmio nella spesa pubblica, oneri minori di notifica per i cittadini ed un’esperienza utente molto più efficace.

Dopo una settimana dall’avvio di SEND, già quattro Comuni italiani hanno inviato le loro prime notifiche digitali, ovvero Gattinara, Mortara, Misano Adriatica e Verona. Altri 100 enti saranno operativi entro la fine del mese di luglio.

Analogico e digitale

Il sistema standard di SEND, fruibile con le stesse identiche modalità su tutto il territorio italiano, consentirà di affiancare il processo analogico con quello digitale, ampliando le possibilità di invio, di ricezione, di gestione, di controllo e di conservazione delle comunicazioni con valore legale, attraverso una maggior efficienza e una maggior sicurezza, in favore delle amministrazioni e degli utenti.

SEND, da un lato, solleverà gli enti dagli adempimenti collegati al processo di notificazione, garantendo certezza nella reperibilità del destinatario. È la stessa piattaforma che avrà il compito di mettere in atto il perfezionamento della notifica, sin dal momento del deposito dell’atto in formato digitale, con un conseguente risparmio di tempi e di costi di gestione.

SEND, inoltre, è integrata nativamente con INAD, l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali, e quindi la sua adozione risparmierà agli enti un’attività di integrazione dedicata.

SEND, d’altro canto, assicurerà una piena inclusività: nella sua prima fase, i cittadini con divario digitale riceveranno le notifiche dell’atto in formato cartaceo, mentre nella seconda fase, chi non è digitalizzato riceverà un avviso, e potrà ritirare l’atto in migliaia di punti fisici dislocati su tutto il territorio nazionale, anche nelle zone più remote.

I cittadini, vista l’adozione progressiva della nuova piattaforma sul territorio nazionale, potranno scegliere la gestione completamente digitale della ricezione del pagamento degli importi relativi, e se previsto, le notifiche verranno inviate dai Comuni e dagli enti centrali attraverso SEND.

Basterà avere un indirizzo PEC inserito in un registro pubblico quale INAD, oppure indicato dal destinatario a SEND tramite CIE o SPID dal sito notifichedigitali.pagopa.it oppure attivando il servizio sull’App IO per poter essere informati della presenza di una notifica attraverso un avviso di cortesia, dalla quale visualizzare l’atto e pagare eventuali importi dovuti.

Gli utenti potranno indicare anche un indirizzo mail o un numero di cellulare sul quale ricevere gli avvisi di cortesia, contenenti le istruzioni per l’accesso a SEND. Il sistema, se non sono presenti recapiti digitali, invierà la notifica con una raccomandata cartacea.

Hai bisogno di una PEC? Servicematica può aiutarti. Clicca qui sopra per avere maggiori informazioni.

Anche se il destinatario riceverà la comunicazione in forma cartacea saremo di fronte ad un atto nativo digitale, depositato in forma digitale sulla piattaforma, con tutto quello che ne consegue per quanto riguarda l’efficienza.

Dichiara Alessio Butti, sottosegretario con delega all’Innovazione tecnologica:

«Oggi mettiamo a disposizione di cittadini e amministrazioni una nuova, fondamentale infrastruttura pubblica, che ci permette di digitalizzare tutte le comunicazioni aventi valore legale. Grazie a SEND, con le notifiche digitali riduciamo i costi e ottimizziamo i tempi, portando un ulteriore importante cambiamento positivo nella vita quotidiana di tutti e garantendo al tempo stesso la massima inclusione. Grazie alle risorse del Pnrr abbiamo realizzato una soluzione concreta che punta a rafforzare i servizi pubblici digitali del nostro Paese, per una PA veloce, agile e sempre alleata di cittadini e imprese».

Commenta anche Alessandro Moricca, Amministratore Unico di PagoPA:

«L’avvio in esercizio di SEND è una tappa fondamentale per realizzare la visione di cittadinanza digitale ed è stato possibile grazie alla fruttuosa collaborazione tra istituzioni e operatori privati, nonché al supporto costante dei partner tecnologici che affiancano gli enti sul territorio. Grazie all’integrazione con i sistemi di identità digitale SPID e CIE, con la piattaforma dei pagamenti PagoPA e app IO, nonché con la piattaforma PDND Interoperabilità e con l’IAND, infatti, SEND aggiunge un tassello cruciale all’ecosistema di soluzioni che abilitano l’erogazione di servizi pubblici attorno alle esigenze delle persone, in ottica inclusiva e sostenibile».


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