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Concessione di un permesso premio: a quali principi deve attenersi il magistrato di sorveglianza?

Per concedere un permesso premio, un Giudice di sorveglianza dovrà valutare il percorso carcerario del condannato, e non i suoi principi morali, così come stabilito dalla sentenza n.1192 del 30 marzo 2023. La Corte di Cassazione ha fornito dei chiarimenti per quanto riguarda il regime detentivo ostativo, ex. Art.4 bis.

In particolare, la vicenda ha riguardato la richiesta di un permesso premio, che è stata formulata da un condannato per reati commessi all’interno della criminalità organizzata, respinta dal Magistrato vista la perdurante professione d’innocenza da parte del soggetto.

Per il Tribunale, il condannato, ostinandosi a negare gli addebiti, non avrebbe intrapreso alcun percorso di rivisitazione critica, in una prospettiva risocializzante, venendo meno, dunque, all’onere di provare la recisione effettiva del collegamento con il contesto malavitoso di provenienza.

La Corte di legittimità, nell’accogliere il ricorso, ha deciso di annullare l’ordinanza del Tribunale, andando a chiarire i principi secondo cui si deve attenere il Magistrato di sorveglianza, nel concedere un permesso premio.

Con la sentenza 253 del 2019 si dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art.4 bis, nella parte in cui si impediva di concedere i permessi premio ai condannati che non collaboravano, anche se avessero attestato la loro partecipazione al percorso rieducativo, acquisendo elementi tali da poter escludere la partecipazione all’associazione criminosa.

L’illegittimità costituzionale della norma, per la Corte Costituzionale, risiedeva nella previsione di una presunzione assoluta, secondo la quale il detenuto non collaborante con la giustizia debba ritenersi collegato all’associazione criminale.

Con l’ordinanza n.97 del 2021, la Corte Costituzionale sollecitava il Parlamento ad intervenire sulla materia con una regolamentazione tale che, nella sua presunzione assoluta, prevedesse un iter istruttorio che sondi le ragioni di una non collaborazione del detenuto, per poter verificare in che modo il silenzio dovesse essere riconducibile ad un legame con la criminalità organizzata.

Il Giudice, sostanzialmente, ha rimarcato, a più riprese, che il criterio per la concessione o meno dei benefici penitenziari alle persone con condanna per reati ostativi è costituito dall’assenza dei collegamenti del soggetto con il mondo della criminalità organizzata.

Il DL 162/2022 ha corretto l’art. 4 bis, modificando la norma affinché venga consentito al detenuto che aspiri ai benefici penitenziari pur non essendo collaborante, superando la presunzione assoluta di pericolosità, andando ad allegare elementi che escludano «l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».

Il Tribunale di Roma afferma, dunque, come la mancata assunzione di responsabilità da parte del condannato, con la conseguente mancata collaborazione dichiarativa con le istituzioni, si traduca nel mancato assolvimento dell’onere probatorio, riguardo la recisione fattuale dei contatti con gli ambienti della criminalità organizzata.

La Corte di Cassazione osserva tuttavia che il tribunale abbia trascurato che, dopo aver concesso il permesso premio, si debba adeguare il rilievo all’efficacia del percorso rieducativo, che viene intrapreso dal condannato.

In questo caso specifico, il richiedente aveva tenuto un’ineccepibile condotta intramuraria, partecipando alla formazione didattica e all’attività lavorativa sino al conseguimento della laurea.

Come precisato nella motivazione, il Magistrato di sorveglianza dovrà limitarsi alla valutazione degli elementi individualizzanti, che connotino il percorso carcerario del soggetto soltanto con lo scopo di verificare se è propenso a «recidere i collegamenti criminali e a non riannodarli», senza in questo modo perseguire il «rinvenimento di una intima e personalissima emenda da parte del condannato».

Il Tribunale dovrà verificare la meritevolezza dei benefici da parte del condannato, andando a valutare elementi di fatto che vadano a delineare la condotta intramuraria del detenuto, senza per forza addentrarsi in valutazioni morali che escludono il piano giuridico.

Tale pronuncia interpreta in un nuovo modo l’art. 4 bis, come novellato dal DL 162/2022. Tale norma va a specificare che i benefici potranno essere concessi ai detenuti soltanto se «alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».

La genericità della norma si chiedeva quali fossero gli elementi «diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria», tenendo in considerazione la valutazione della pericolosità per la concessione dei benefici penitenziari.

La Corte di Cassazione ribadisce che il Magistrato di sorveglianza dovrà vagliare gli elementi concreti che indichino la mancanza di collegamento con la criminalità organizzata.

Questa verifica, che dovrà essere «parametrata all’insieme complessivo degli elementi emersi e condotta attraverso un esame ad ampio raggio dei comportamenti serbati» dovrà avvenire soltanto in relazione agli elementi fattuali.


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