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Ufficio del Processo: i neo assunti restano senza stipendio

Non ha vita semplice una delle riforme più ambiziose degli ultimi anni per snellire la giustizia italiana. Stiamo parlando dell’istituzione degli Uffici del Processo, creati per supportare i magistrati e ridurre i tempi dei processi.

Un paradosso italiano

Nonostante l’importanza strategica di questi uffici, c’è un problema serio: secondo le testimonianze raccolte dal Fatto Quotidiano, molti dei nuovi assunti, ammessi al ruolo lo scorso giugno attraverso concorsi pubblici, non hanno ancora ricevuto lo stipendio. Questo ritardo non è solo un disagio per i lavoratori, ma un vero e proprio paradosso per un Paese che sta investendo ingenti risorse nella modernizzazione della giustizia.

Perché succede?

Secondo quanto emerso, i dati di questi funzionari non sarebbero stati inseriti correttamente nei sistemi informatici del Ministero della Giustizia. Questo significa che, di fatto, per l’amministrazione questi lavoratori non esistono ancora.

Le conseguenze

Questa situazione ha diverse implicazioni:

  • Danno all’immagine dell’Italia: Il mancato pagamento dei dipendenti pubblici è un segnale negativo per un Paese che sta cercando di dimostrare la sua capacità di gestire fondi europei come quelli del PNRR.
  • Rischio di rallentamento della giustizia: La demotivazione dei lavoratori potrebbe incidere negativamente sull’efficienza degli Uffici del Processo e, di conseguenza, sulla velocità dei processi.
  • Violazione degli obblighi europei: L’utilizzo dei fondi del PNRR è soggetto a controlli rigorosi. Il mancato pagamento dei dipendenti potrebbe portare a sanzioni per l’Italia.

Cosa si può fare?

È urgente che il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze intervengano per risolvere al più presto questa situazione. I nuovi assunti hanno il diritto di essere pagati per il lavoro svolto e il Paese ha bisogno che la riforma della giustizia prosegua senza intoppi.


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Un cambio di passo per la giustizia europea

Il cuore della riforma riguarda la ripartizione dei compiti tra la CGUE e il Tribunale dell’Unione Europea. Quest’ultimo, a partire da ottobre 2024, si occuperà di un numero più ampio di casi, in particolare quelli legati a materie specifiche come l’IVA, i dazi doganali e le emissioni di gas serra.

Perché questa riforma?

Negli ultimi anni, la CGUE ha visto aumentare notevolmente il suo carico di lavoro. Questa riorganizzazione ha lo scopo di:

  • Sveltire le procedure: Le decisioni giudiziarie saranno prese più rapidamente, garantendo una giustizia più celere.
  • Specializzare i giudici: Affidando al Tribunale casi più specifici, si permette alla CGUE di concentrarsi sulle questioni legali più complesse e di maggior impatto.
  • Aumentare la trasparenza: Il pubblico avrà accesso a maggiori informazioni sulle decisioni dei giudici europei, grazie alla pubblicazione online di documenti e pareri.

Quali sono le novità più importanti?

  • Maggiore coinvolgimento del Tribunale: Il Tribunale dell’Unione Europea acquisirà nuove competenze, diventando un punto di riferimento per un numero crescente di casi.
  • Procedure più snelle: Le nuove regole semplificheranno le procedure giudiziarie, riducendo i tempi e i costi per i cittadini e le imprese.
  • Maggiore trasparenza: Il pubblico avrà accesso a più informazioni sulle decisioni dei giudici, grazie alla pubblicazione online dei documenti.

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Per le infrazioni commesse fino al 31 agosto, invece, continueranno ad applicarsi le norme previgenti. Questa transizione potrebbe comportare complicazioni per contribuenti, consulenti e uffici fiscali nella gestione delle sanzioni durante questo periodo di cambiamento.


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L’inchiesta giudiziaria

Nel 2008 venne coinvolto in un’inchiesta della procura di Pescara sulla gestione della sanità privata e accusato di associazione per delinquere, truffa, corruzione e concussione. Venne assolto da quasi tutte le accuse, tranne che l’induzione indebita, condanna confermata in Cassazione al termine di una lungo procedimento giudiziario.


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Questo chiarimento evidenzia come la Cassazione intenda riservare la sanzione più severa solo ai casi in cui vi sia un’intenzionalità chiara e diretta nel deviare il corso della giustizia, distinguendo così tra varie condotte che possono verificarsi durante le indagini o i processi penali.


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Traffico d’influenze: dal 25 agosto cambia la legge, ma l’UE chiede di rafforzare la regolamentazione sulle lobby

A partire dal 25 agosto, entra in vigore la riforma Nordio che ridimensiona l’applicazione dell’articolo 346 bis del Codice Penale, riguardante il traffico di influenze illecite. La nuova legge, n. 114 del 9 agosto 2024, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 10 agosto, stabilisce che, per configurare il reato, le relazioni tra il mediatore e il pubblico ufficiale devono essere effettivamente utilizzate e non solo vantate, oltre a dover essere reali e non semplicemente asserite. Tuttavia, la Commissione europea ha osservato che questa riduzione dell’ambito di applicazione dovrebbe essere bilanciata con norme più severe sulla regolamentazione delle lobby.

Utilità solo economica

Con la nuova legge, l’utilità data o promessa al “faccendiere”, in alternativa al denaro, deve essere di natura economica, escludendo vantaggi sociali, politici o sessuali. Questo rappresenta una differenza rispetto alla proposta di direttiva europea, che prevede la perseguibilità di indebiti vantaggi di qualsiasi natura. Inoltre, la pena minima è stata aumentata da un anno a un anno e sei mesi.

L’azione di farsi dare o promettere indebitamente denaro o altri benefici economici può avere due finalità: la prima è la remunerazione di un pubblico ufficiale in relazione alle sue funzioni, la seconda è la realizzazione di un’altra mediazione illecita. Quest’ultima è definita come l’attività volta a indurre il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri d’ufficio, da cui può derivare un vantaggio indebito. Perché il reato si configuri, è richiesto il dolo intenzionale.

Ritorno al passato

La riforma segna un ritorno a una disciplina precedente alla legge Spazzacorrotti del 2019, che aveva modificato il reato accogliendo le raccomandazioni del GRECO (Groupe d’États contre la corruption). Le modifiche del 2019, che avevano assorbito il reato di millantato credito nel traffico d’influenze, vengono abrogate. D’ora in poi, le condotte di vanteria o millanteria saranno punibili solo se ricorrono gli elementi della truffa, e chi ha dato o promesso denaro al mediatore non sarà punibile, in quanto considerato parte lesa. Prevista inoltre un’attenuante per chi si attiva efficacemente per ridurre le conseguenze del reato, mentre chi si autodenuncia entro quattro mesi e collabora con l’autorità giudiziaria non sarà punibile.

Rischi per il sottobosco del lobbying

La sentenza 40518/2021 della Cassazione aveva già sottolineato come l’attività di lobbying fosse a rischio di configurare traffico di influenze illecite, anche a causa dell’indeterminatezza dell’articolo 346 bis e della mancanza di una regolamentazione specifica. La norma, aveva spiegato la Corte, rischia di attrarre nella sfera penale quei “contatti informali” che, pur non essendo patologici, potrebbero essere considerati illeciti.


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A partire dal 2 febbraio 2025, entreranno in vigore le restrizioni sui sistemi di intelligenza artificiale (IA) considerati più pericolosi, ma le sanzioni specifiche per chi violerà queste regole non saranno applicate fino al 2 agosto 2025. Questa differenza temporale è il risultato del regolamento europeo n. 2024/1689, noto come AI Act, che ha fissato un calendario separato per l’entrata in vigore delle norme sostanziali e delle sanzioni.

Le pratiche vietate

L’AI Act, all’articolo 5, elenca una serie di pratiche vietate riguardanti l’uso di IA. Queste includono:

  • Sistemi che utilizzano tecniche subliminali, manipolative o ingannevoli per influenzare il comportamento delle persone.
  • Sistemi che approfittano di persone vulnerabili, come anziani o disabili.
  • Sistemi che attribuiscono punteggi sociali basati su condotte o personalità, creando schedature delle persone.
  • Sistemi che prevedono la probabilità che una persona commetta un crimine.
  • Sistemi che alimentano database di riconoscimento facciale con immagini raccolte indiscriminatamente da Internet.
  • Sistemi che leggono le emozioni delle persone sul luogo di lavoro o a scuola.
  • Sistemi che classificano e profilano le persone utilizzando dati biometrici.
  • Sistemi che identificano a distanza e in tempo reale persone in luoghi pubblici, salvo motivi di giustizia o sicurezza.

Il calendario delle applicazioni

Il regolamento stabilisce che le restrizioni relative a queste pratiche entrano in vigore il 2 febbraio 2025, con sei mesi di anticipo rispetto alla data generale del 2 agosto 2026, fissata per l’applicazione di altre parti dell’AI Act.

Le sanzioni

Le sanzioni specifiche per la violazione delle norme sui sistemi di IA vietati, previste dal capo XII del regolamento, entreranno in vigore solo il 2 agosto 2025. Queste sanzioni possono raggiungere i 35 milioni di euro o, nel caso di imprese, il 7% del fatturato mondiale annuo, se questo ammontare supera i 35 milioni di euro.

Nonostante questo ritardo nell’applicazione delle sanzioni specifiche, le sanzioni previste da altre normative, come quelle per la violazione della privacy o per comportamenti fraudolenti, rimarranno comunque in vigore e applicabili sin dal 2 febbraio 2025. Inoltre, le persone danneggiate da pratiche vietate di IA potranno avviare azioni legali per ottenere risarcimenti civili immediatamente dopo l’entrata in vigore del divieto.

Questa situazione di transizione di sei mesi rappresenta una fase delicata, durante la quale sarà fondamentale per le aziende adeguarsi alle nuove normative per evitare potenziali sanzioni future.


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Mentre il Parlamento tarda a legiferare sui sequestri di smartphone, la Cassazione interviene con forza, ribadendo i limiti entro cui la magistratura può operare. Con la sentenza 31180, depositata il 30 luglio 2024, la Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità del decreto con cui un pubblico ministero aveva tentato di acquisire nuovamente i dati di uno smartphone, nonostante il Tribunale del Riesame avesse annullato il sequestro probatorio.

Violazione della libertà e della segretezza

Il caso esaminato dai giudici di Piazza Cavour riguarda un provvedimento con cui un pm, disattendendo una precedente decisione giurisdizionale, ha ordinato un’ispezione informatica sui dati già acquisiti da un cellulare sequestrato. La Cassazione ha dichiarato che tale atto rappresenta una violazione della libertà e della segretezza della corrispondenza, garantite dall’articolo 15 della Costituzione. Inoltre, le chat acquisite in questo modo sono state definite “inutilizzabili” in fase di indagine e a fini cautelari.

Una nuova legge in arrivo

Parallelamente, in Parlamento è in corso la discussione di una proposta di legge sul sequestro dei dispositivi elettronici. La legge, che vede come promotori i senatori Giulia Bongiorno (Lega) e Pierantonio Zanettin (Forza Italia), intende disciplinare il sequestro di smartphone e dispositivi digitali, considerati contenitori di dati altamente sensibili. La riforma mira a garantire un giusto equilibrio tra le esigenze investigative e il rispetto dei diritti degli individui, introducendo un nuovo articolo nel codice di procedura penale, il 254 ter, che regolamenta il sequestro di tali dispositivi.

Le garanzie della riforma

La proposta prevede che il sequestro dei dispositivi digitali debba avvenire con un contraddittorio tra le parti, per decidere quali dati siano rilevanti ai fini processuali. Il pubblico ministero sarà obbligato a specificare le ragioni del sequestro e le modalità tecniche con cui intende procedere. In caso di sospetto che i dati possano essere cancellati o alterati, l’autorità giudiziaria dovrà adottare misure per assicurare la loro conservazione fino alla selezione definitiva, che dovrà avvenire con la partecipazione di tutte le parti interessate.

Prospettive future

Il senatore Zanettin ha auspicato un’accelerazione dei lavori alla Camera per l’approvazione definitiva della legge. La riforma è vista come un passo necessario per garantire che l’uso dei dispositivi digitali nelle indagini penali rispetti il principio di proporzionalità, evitando abusi che possono compromettere la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario.


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Rimborsi per spese legali agli assolti: pochi ne fanno richiesta, il Ministero pubblicherà i dati

Nonostante l’introduzione di un fondo per il rimborso delle spese legali ai cittadini assolti da accuse penali, le richieste continuano a essere sorprendentemente basse. Secondo le prime proiezioni del Ministero della Giustizia, anche per il 2024 le domande di rimborso sono molto al di sotto delle aspettative, rispecchiando un trend già osservato negli anni precedenti.

Una statistica preoccupante

Nel 2023, infatti, solo 700 cittadini avevano presentato richiesta per il rimborso, per un totale di 2,8 milioni di euro erogati a fronte di un fondo disponibile di quasi 14 milioni. Questo dato, sebbene provvisorio, allarma via Arenula, poiché un numero così esiguo di richieste potrebbe portare a una riduzione o persino alla soppressione del fondo, che nel 2024 è già stato ridotto da 15 milioni a 13,74 milioni di euro.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica e i potenziali beneficiari, il Ministero della Giustizia ha deciso di rendere pubblici i dati sul rimborso a partire da settembre 2024 sul proprio sito web. L’obiettivo è chiaro: aumentare la consapevolezza su questa importante opportunità, che rischia di essere compromessa se non utilizzata adeguatamente.

Un beneficio poco conosciuto

Il rimborso delle spese legali, introdotto con la legge di Bilancio 2021, rappresenta un atto di giustizia e un segnale simbolico, volto a riconoscere che subire un’accusa ingiusta non deve essere considerato un evento inevitabile a cui rassegnarsi. Lo Stato, infatti, si impegna a coprire i costi materiali, come quelli per la difesa legale, sostenuti da chi è stato ingiustamente accusato.

Nonostante l’importanza di questa misura, il basso numero di richieste indica una persistente rassegnazione dei cittadini verso un sistema giudiziario percepito come troppo potente. Questo atteggiamento, radicato nella cultura del nostro Paese, potrebbe spiegare perché molte persone rinunciano a richiedere un rimborso che spetta loro di diritto.

Il ruolo dell’avvocatura e della politica

L’idea di introdurre un rimborso per le spese legali nasce da una lunga battaglia dell’avvocatura italiana, sostenuta da diverse proposte di legge presentate negli anni ma mai approvate fino all’intervento del deputato Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione. Costa è riuscito a far approvare questa misura, trasformandola in legge con il sostegno dell’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Tuttavia, se il numero di richieste continuerà a rimanere basso anche nel 2024, il rischio di ulteriori tagli al fondo sarà reale. Questo scenario preoccupa non solo per le implicazioni economiche, ma soprattutto per il messaggio che invia: un ritorno alla cultura della rassegnazione di fronte a uno Stato percepito come onnipotente, contro cui è inutile lottare anche quando si è nel giusto.


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