Dimissioni capo DAP. Delmastro smentisce: nessuna tensione con Giovanni Russo

«Nessun clima teso, nessun problema con Giovanni Russo»: così il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove smentisce le ricostruzioni che ipotizzano forti frizioni con l’ormai ex capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), dimessosi venerdì scorso. Secondo alcune fonti, Russo sarebbe stato “dimissionato” proprio da Delmastro, sottosegretario di Fratelli d’Italia, per via della sua testimonianza nel processo che vede Delmastro imputato per rivelazione di segreto d’ufficio, nell’ambito della vicenda legata all’anarchico Alfredo Cospito.

Russo, infatti, aveva dichiarato in aula che i documenti del Gruppo operativo mobile e del Nic inviati a Delmastro erano “a limitata divulgazione” e che, pertanto, non avrebbero dovuto uscire dall’amministrazione, né finire nelle mani del deputato Giovanni Donzelli, il quale poi ne aveva divulgato il contenuto alla Camera. Secondo alcune ricostruzioni, questa testimonianza avrebbe creato un clima ostile intorno a Russo, spingendolo a dimettersi. Tuttavia, Delmastro ribatte: «Esiste la libertà di informazione, come quella di disinformazione. Ho letto i retroscena su alcuni giornali, ma ribadisco che non sono veri».

Alcune voci interne al Dap riferiscono che il sottosegretario avrebbe ironizzato con alcuni magistrati sulla loro attenzione ai diritti dei detenuti, ma anche questa circostanza è stata smentita da Delmastro: «Non ho mai interloquito con magistrati della Direzione generale dei detenuti, non avendo quella delega. Quando visito il Dap parlo con molte persone, ma non ho mai pronunciato simili affermazioni».

Giovanni Russo, nominato a capo del Dap l’11 gennaio 2023, lascia ora per un incarico alla Farnesina come consigliere giuridico, posizione che, pur di rilievo, non ha lo stesso prestigio del ruolo di guida del Dipartimento. Al suo posto subentrerà Lina Di Domenico, attuale vice del Dap e prima donna alla direzione del Dipartimento. Magistrato di Sorveglianza a Novara in passato, Di Domenico è nota per il suo rigore e la sua competenza.

Intanto, la transizione alla guida del Dap potrebbe subire ritardi a causa delle festività natalizie, con il passaggio di consegne previsto non prima del 7 gennaio. Rimane incerta anche la partecipazione di Russo alla cerimonia dell’apertura della Porta Santa da parte di Papa Francesco nel carcere di Rebibbia, prevista per il 26 dicembre.

Sul caso, Nessuno tocchi Caino ha espresso rammarico: «Siamo profondamente dispiaciuti per le dimissioni di Giovanni Russo, persona straordinaria, di grande rigore e umanità. Il Dap necessita di una riforma profonda per garantire efficienza costituzionale ed europea. Auguriamo buon lavoro al nuovo Presidente».


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Al contrario, il settore civile ha visto un aumento delle pendenze, con 2.880.777 procedimenti pendenti, pari a un incremento del 2,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo aumento, tuttavia, non segna un’inversione di tendenza, ma è legato all’incremento delle iscrizioni presso il Giudice di pace, soprattutto per quanto riguarda procedimenti monitori, come ingiunzioni e convalide di sfratto.

In positivo, prosegue la diminuzione dell’arretrato civile, con una riduzione del 10% in Corte di Cassazione e in Corte d’Appello e del 12% nei Tribunali. Questo andamento riflette gli sforzi per ridurre i tempi di attesa e migliorare l’efficienza del sistema giudiziario civile, sebbene l’aumento delle pendenze rappresenti una sfida ancora da affrontare.


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Roma – “Onore a questi magistrati coraggiosi. Questo processo non si sarebbe nemmeno dovuto iniziare, come scrissi anni fa, come editorialista” così in una nota il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, commenta l’assoluzione del vicepremier Matteo Salvini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

“Grave è stata invece la decisione politica di autorizzare questo processo, in contrasto con la legge costituzionale che tutela la carica ministeriale” continua Nordio “Processi come questo, fondati sul nulla, rallentano l’amministrazione della giustizia e sprecano risorse. Dopo l’agonia del processo Stato-mafia e questa assoluzione, credo sia necessaria una riflessione sul nostro sistema imperfetto”.


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ROMA – “La Giunta dell’Unione delle Camere penali, con il comunicato diffuso il 21 dicembre, mostra scarsa lucidità nella lettura dei fatti in commento, ossia le assoluzioni pronunciate nei confronti del senatore Renzi e del ministro Salvini nei processi, rispettivamente, di Firenze e di Palermo. È quanto meno bizzarra l’idea che l’assoluzione di due esponenti politici stia a dimostrare che una parte della magistratura è intenta a “fare carriera” e “gestire il potere”. Si dimentica che in un sistema democratico e liberale i processi si fanno per accertare i fatti e non per validare verità precostituite; che i processi che si concludono con un’assoluzione non sono per ciò solo inutili; che in un sistema retto dall’obbligatorietà dell’azione penale, attuazione piena dei principi di uguaglianza e di legalità processuale, i processi sono iniziati per valutazioni non di convenienza, meno che mai politica, ma d’ordine tecnico, sull’ esistenza di fatti che meritano di essere approfonditi dinanzi ad un giudice; che il risultato della giustizia si valuta, non per l’esito di condanna o assoluzione, ma per il rispetto delle regole che presiedono all’avvio di un procedimento penale e alla successiva valutazione in giudizio, regole che la magistratura, unitamente all’avvocatura, garantisce ogni giorno, tra mille difficoltà, nelle aule di giustizia”. Così in una nota la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati.

“È poi dissennata l’accusa alla magistratura di aver fatto uso politico, addirittura a tratti eversivo, dello strumento giudiziario. Accusa tanto grave quanto generica, perché non si dice quando e in che modo, e ad opera di chi, siano stati assunti atteggiamenti eversivi. La Giunta dell’Unione, come altri prima, si sottrae ad un uso responsabile delle parole. Se giunge a tanto evidentemente è per la grande difficoltà in cui si trova da tempo, che tenta di superare sostenendo una riforma, la cd. separazione delle carriere, fortemente voluta dalla politica, e la cui reale portata, tutt’altro che liberale, riesce a nascondere solo a chi non vuol vedere”, conclude la nota.


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Criptovalute: tra nuovi affari e conflitti di interesse, il governo e Trump puntano a cambiare le regole

Il mercato delle criptovalute, nonostante in Italia sia ancora marginale, sta registrando una crescita significativa, con gli investitori che vedono un’opportunità di guadagno che supera i 100 mila dollari. Tuttavia, il governo italiano non può più ignorare l’esistenza di un fenomeno che, seppur recente, ha generato enormi fortune, rendendo necessaria una regolamentazione fiscale adeguata. L’anno scorso, le entrate fiscali derivanti dalle criptovalute sono state inferiori alle aspettative, con solo 27 milioni di euro versati da circa 22.500 contribuenti, a fronte di 1,3 milioni di possessori di criptovalute. Mentre la politica fiscale rimane favorevole agli investitori con aliquote ancora basse, il governo italiano sta pianificando una possibile revisione, che includerebbe l’eliminazione della franchigia fino a 2.000 euro, penalizzando in particolare i piccoli investitori.

Negli Stati Uniti, la situazione è più complessa, con il presidente Donald Trump che ha preso una posizione decisa sul futuro delle criptovalute. A partire da giugno, Trump ha iniziato a presentarsi come il leader di una nuova era di ricchezza digitale, promettendo di abbattere le attuali normative e rimuovere le restrizioni sulla creazione di una nuova moneta virtuale. L’ex presidente ha sostituito Gary Gensler alla guida della Securities and Exchange Commission (SEC), ponendo Paul Atkins, un favorevole alle criptovalute, come nuovo capo dell’agenzia. Questo cambio di direzione ha suscitato preoccupazioni tra gli esperti, che temono un conflitto di interessi, poiché Trump ha già dichiarato la sua intenzione di far diventare le criptovalute una risorsa per la gestione del debito pubblico americano.

Ma oltre ai conflitti d’interesse e alle polemiche, il cambiamento di rotta proposto da Trump potrebbe avere conseguenze di vasto respiro sul sistema economico globale. Se da un lato l’amministrazione Trump sembra voler abbattere le regole esistenti, dall’altro la sua gestione potrebbe portare a una ridefinizione del valore reale del denaro, ponendo le criptovalute come alternativa alla moneta tradizionale. In questo scenario, il presidente potrebbe anche cavalcare l’onda anti-istituzionale che ha già alimentato la sua ascesa politica, promuovendo una visione della moneta come “credenza” piuttosto che come strumento tangibile di valore. Il futuro delle criptovalute, dunque, appare legato a una doppia sfida: quella fiscale e quella politica, che rischiano di intersecarsi e creare un nuovo ordine economico.


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Giustizia: Nordio rilancia sulla separazione delle carriere e risarcimenti per errori giudiziari

ROMA – Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha definito il proscioglimento di Matteo Salvini nel processo Open Arms un «segnale plurimo», articolando la sua riflessione in quattro punti.

Nordio ha evidenziato anzitutto la professionalità della magistratura italiana: «Abbiamo la stragrande maggioranza di magistrati preparati e coraggiosi, che applicano la legge prescindendo dalle loro idee politiche». Ha poi criticato il processo, definendolo «fondato sul nulla» e sostenendo che «non sarebbe nemmeno dovuto iniziare». Il ministro ha inoltre sollevato la questione dell’eventuale coinvolgimento di Giuseppe Conte, all’epoca presidente del Consiglio, non chiamato in causa a differenza di Salvini.

Nel suo quarto punto, Nordio ha affrontato il tema della responsabilità dei magistrati, proponendo che si pensi a risarcire le persone che, a causa di errori giudiziari, perdono salute, risparmi e lavoro. Una proposta accolta con favore da Enrico Costa (Forza Italia), che ha annunciato la presentazione di una proposta di legge in tal senso.

Nel frattempo, la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti resta un obiettivo centrale per il governo, sostenuto anche dal vicepremier Salvini.

Le dichiarazioni del ministro hanno alimentato il dibattito. La Giunta delle Camere Penali, dopo l’assoluzione di Salvini e Renzi, ha accusato la magistratura di un «uso politico dello strumento giudiziario con tratti eversivi». L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha replicato definendo «dissennata» tale accusa, sottolineando che «i processi si fanno per accertare i fatti e non per validare verità precostituite».

L’esecutivo Meloni, intanto, preme sull’acceleratore per riformare la giustizia, promettendo nuove iniziative nelle prossime ore.


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Giustizia, Santalucia: “Indipendenza della magistratura da difendere senza personalismi”

ROMA – Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, non si ricandiderà alle prossime elezioni per il vertice dell’ANM. “Quattro anni intensi e gratificanti sono sufficienti. Nella difesa dell’indipendenza e autonomia della magistratura, è necessario evitare personalizzazioni”, ha dichiarato Santalucia, annunciando il suo passo indietro.

Le sue parole arrivano in un momento segnato da tensioni tra magistratura e politica, dopo l’assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms e il proscioglimento di Matteo Renzi. Santalucia ha sottolineato come “i giudici valutano prove e fatti per emettere un giudizio, e un’assoluzione non significa che il processo non andasse fatto”. Ha poi invitato gli avvocati a evitare polemiche infondate: “Le Camere Penali parlano di uso politico dello strumento giudiziario, ma è un’accusa inaccettabile. Solo nei regimi illiberali i processi si concludono sempre con condanne”.

Critico anche verso le proposte di riforma della giustizia avanzate dalla politica, tra cui quella di far pagare i danni ai pubblici ministeri in caso di assoluzione: “È una forma surrettizia di controllo sui magistrati. Un pm rischierebbe di chiedersi chi glielo fa fare a procedere”.

Santalucia, che durante la sua presidenza ha guidato anche uno sciopero contro aspetti della riforma Cartabia, ha concluso: “Non ci vanno bene le riforme sbagliate. Continueremo a far sentire la nostra voce”.


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Migranti, Piantedosi: “Centri in Albania pronti e utili”. Meloni: “La Cassazione ci dà ragione”

I centri per migranti in Albania “sono pronti e saranno molto utili per velocizzare le procedure di riconoscimento della protezione a chi ne ha diritto e del rimpatrio per chi non ne ha diritto”. Lo afferma il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in un’intervista al Corriere della Sera, sottolineando che la recente sentenza della Cassazione rappresenta un passo importante verso la riattivazione del progetto, il cui futuro sarà discusso in un vertice a Palazzo Chigi.

Piantedosi esprime fiducia che anche la Corte europea non ostacolerà il piano: “Il primo pronunciamento della Cassazione conferma la correttezza della nostra linea”. Intanto, il governo punta a riprendere i trasferimenti nei centri albanesi già da gennaio, con la premier Giorgia Meloni che ribadisce: “La Cassazione ci ha dato ragione sui Paesi sicuri”.

Sul fronte interno, Piantedosi minimizza gli effetti dell’assoluzione di Matteo Salvini nel caso Open Arms sulla linea dura del governo contro l’immigrazione irregolare: “Il voto degli elettori ha tracciato questa linea, e noi continuiamo a seguirla con coerenza”.

Sul Giubileo, il ministro assicura massima allerta dopo i recenti attacchi in Europa: “Non cediamo all’allarmismo, ma manteniamo alta l’attenzione”.


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Ufficio per il Processo, tra stabilizzazione e sfide future

Il dibattito sulla stabilizzazione degli addetti all’Ufficio per il Processo (Upp) si riaccende. L’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) ha espresso preoccupazione per la precarietà degli addetti, ma il Ministero della Giustizia ha ribadito che l’Upp, nato con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è un progetto straordinario e temporaneo.

Obiettivi e stabilizzazioni

L’Upp, istituito nel 2021, mira a rafforzare l’efficienza del sistema giudiziario. Attualmente conta 9.089 addetti e 3.296 unità tecnico-amministrative. Il Ministero prevede di stabilizzare 6.000 lavoratori a partire da luglio 2026, selezionandoli tramite una graduatoria basata su criteri meritocratici. Tuttavia, chiarisce che la stabilizzazione dell’intero contingente non è economicamente sostenibile, in linea con la natura temporanea del progetto.

Criticità e risposte del Ministero

Il percorso non è stato privo di ostacoli: dimissioni e carenze di personale in alcune aree hanno messo in difficoltà il progetto. Il Ministero ha reagito con scorrimenti delle graduatorie e incentivi economici, riuscendo a contenere la scopertura del personale sotto il 9%. Per il futuro, è previsto un investimento annuo di 136 milioni di euro a partire dal 2027 per mantenere almeno 6.000 addetti tra Aupp e altre categorie professionali.

Ruolo e prospettive future

Il Ministero chiarisce che gli addetti all’Upp resteranno dipendenti amministrativi con funzioni di supporto alla giurisdizione, evitando sovrapposizioni con altre figure professionali. Sono in corso sperimentazioni per definire meglio i confini operativi del loro ruolo.

Il monitoraggio continuo, la digitalizzazione dei processi e la formazione continua sono i pilastri su cui si basa il futuro dell’Upp. Possibile anche un’estensione del modello ad altri uffici giudiziari, ma solo se saranno garantite le risorse necessarie. Il Ministero insiste: «La stabilizzazione totale non è sostenibile, ma il nostro obiettivo è garantire trasparenza e merito».


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Indipendenza e integrità degli avvocati: la Corte UE dice no agli investitori finanziari nelle società legali

BRUXELLES – Gli investitori puramente finanziari non possono detenere partecipazioni in società di avvocati. È questo il principio sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza depositata il 19 dicembre 2024, nella causa C-295/23, che riafferma la centralità dell’indipendenza e dell’integrità della professione forense.

Secondo la Corte, la possibilità per i professionisti legali di esercitare la propria attività in modo indipendente e conforme agli obblighi deontologici è un “motivo imperativo di interesse generale”, tale da giustificare il divieto per gli investitori finanziari di acquisire quote in società di avvocati. Gli Stati membri, dunque, possono escludere la partecipazione di soggetti che non intendano esercitare direttamente la professione forense.

La vicenda: il contenzioso in Germania
Il caso trae origine da una controversia tra una società di avvocati con sede in Germania e l’Ordine forense di Monaco. La società aveva ceduto il 51% delle proprie quote a una società austriaca che non era autorizzata a fornire servizi legali. L’Ordine di Monaco ha disposto la cancellazione della società dall’albo degli avvocati, sostenendo che la normativa tedesca consente solo ai legali di detenere quote di una società forense.

La società tedesca ha impugnato il provvedimento, sostenendo che il divieto violasse l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 sui servizi nel mercato interno, che vieta agli Stati membri di introdurre requisiti discriminatori per l’accesso a determinate attività di servizi.

Il Consiglio di disciplina degli avvocati della Baviera, investito della questione, ha chiesto un chiarimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte ha stabilito che, in questo caso, la limitazione non è discriminatoria né sproporzionata, in quanto giustificata dalla necessità di garantire l’indipendenza e l’integrità della professione forense.

L’indipendenza degli avvocati come “motivo imperativo di interesse generale”
Il cuore della sentenza è la difesa dell’indipendenza della professione di avvocato. La Corte ha sottolineato che il corretto esercizio della professione forense non può essere condizionato da interessi economici di investitori esterni. Gli avvocati devono operare esclusivamente nell’interesse dei clienti e nel rispetto del segreto professionale, principi che potrebbero essere compromessi dalla presenza di soggetti estranei alla professione.

“Le considerazioni di natura economica orientate verso il profitto a breve termine dell’investitore puramente finanziario potrebbero prevalere su quelle guidate dalla difesa dell’interesse dei clienti”, scrivono i giudici europei.

Per queste ragioni, la Corte ha ritenuto legittimo il divieto di partecipazione dei cosiddetti “soci di capitale” nelle società di avvocati, evidenziando che tale restrizione rientra tra le misure proporzionate e necessarie per garantire l’interesse pubblico.

I criteri di proporzionalità e non discriminazione
Pur ammettendo la possibilità di imporre limiti alla detenzione di quote, la Corte ha specificato che le misure adottate dagli Stati membri devono rispettare i principi di proporzionalità e non discriminazione. Ciò significa che il divieto non può essere applicato solo a società con sede in altri Stati membri o basarsi sulla cittadinanza dei soci, ma deve valere per tutti i soggetti che non siano avvocati.

La Corte ha anche chiarito che le limitazioni devono essere proporzionate, ovvero non eccedere quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato, e che è necessario verificare se esistano misure meno restrittive per ottenere lo stesso risultato. In questo caso, però, il divieto di partecipazione di investitori finanziari è stato ritenuto compatibile con il diritto dell’Unione Europea.

Un messaggio forte per gli Stati membri e le società forensi
La sentenza della Corte UE avrà un impatto significativo sugli ordinamenti nazionali, poiché riguarda non solo la Germania, ma anche altri Paesi in cui le regole di partecipazione nelle società di avvocati sono più flessibili. La decisione costituisce un precedente importante e potrebbe spingere gli Stati membri a rivedere la propria normativa interna.

L’obiettivo è chiaro: evitare che soggetti esterni alla professione possano condizionare le scelte strategiche e operative di una società di avvocati, garantendo così ai clienti il massimo livello di tutela.

Implicazioni per l’Italia
In Italia, la legge già prevede che i soci delle STP (società tra professionisti) debbano essere iscritti agli albi professionali. Tuttavia, la sentenza della Corte di Giustizia potrebbe rafforzare questo principio, impedendo la partecipazione anche di soci non operativi o di “capitale puro”.

Nel nostro ordinamento, il concetto di “socio di capitale” nelle STP è stato oggetto di dibattito, con richieste di maggiore flessibilità per facilitare l’accesso a risorse finanziarie esterne. La pronuncia della Corte UE chiude, almeno in parte, a queste ipotesi, ribadendo la priorità del rispetto dei doveri deontologici e della riservatezza professionale.


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