Riforma Forense, così non va: rischio vertici troppo longevi e poca rappresentanza

“Gli Avvocati non esprimono un giudizio totalmente positivo sulla Riforma dell’attuale Legge Forense, soprattutto nella parte in cui si delinea la rappresentatività degli organi di vertice: il Consiglio Nazionale Forense e i Consigli dell’Ordine”. Così spiega Alessandro Graziani, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ascoltato in Commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge delega per la riforma dell’Ordinamento forense.

“Il gran numero degli Avvocati della capitale d’Italia non è adeguatamente rappresentato nel Consiglio Nazionale, a dispetto del grande valore qualitativo che Roma esprime. Inoltre, la proposta di aumentare da due a tre il numero dei mandati per le cariche elettive dell’Avvocatura costituisce una soluzione di cui non si sentiva il bisogno e che certamente non giova a quella rappresentatività che la democrazia richiede”.

“Il tema è semplice – spiega Graziani – nel nostro ordinamento vige generalmente il principio del limite del doppio mandato. Anche la Corte Costituzionale ha ribadito questo trattando il caso dei Presidenti di Regione. Al contrario, la Riforma che ci viene proposta consentirebbe di svolgere anche tre mandati consecutivi, moltiplicando disagi e costi per l’Avvocatura, senza spiegare l’utilità di questa soluzione”.

Il pericolo segnalato dal Presidente degli Avvocati di Roma è del tutto evidente: “Temiamo che si vengano a creare gestioni eccessivamente lunghe, rendendo sempre più difficoltoso il ricambio dei vertici e così allontanando ulteriormente la politica forense da coloro i cui interessi dovrebbe tutelare: gli Avvocati che ogni giorno indossano la toga nelle aule d’udienza”.


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Patrocinio a spese dello Stato, UNCC: basta tagli ai compensi degli avvocati

Roma, 3 dicembre 2025 – La sentenza n. 179/2025 della Corte costituzionale riaccende un faro su una questione irrisolta da anni: l’equità del sistema dei compensi nel patrocinio a spese dello Stato e la compatibilità dell’attuale impianto normativo con il principio costituzionale del diritto di difesa.

L’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) accoglie con favore la decisione della Consulta, che ha dichiarato illegittima la riduzione del 50% dei compensi dei consulenti tecnici di parte quando le tariffe non siano state adeguate secondo l’art. 54 del d.P.R. 115/2002. Una pronuncia che, pur riguardando i CTU, tocca un nodo cruciale del sistema: la sproporzione tra tariffe reali e riduzioni automatiche applicate negli affari di giustizia per i cittadini meno abbienti.

La Corte: “Compensi non aggiornati non possono essere ulteriormente ridotti”

Secondo la Corte costituzionale, imporre una riduzione della metà su compensi già non aggiornati viola il principio di ragionevolezza e finisce per compromettere l’effettività del diritto di difesa delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato.

Una conclusione che l’UNCC considera un passaggio fondamentale, ma non sufficiente.

Il nodo irrisolto: la riduzione del 50% per gli avvocati

Nello stesso articolo 130 del Testo unico resta infatti intatta la riduzione automatica del 50% dei compensi degli avvocati che difendono i non abbienti.

Una norma che continua a produrre effetti distorsivi e che, secondo l’UNCC, non è più compatibile con i principi affermati dalla Corte:

«La tutela dei non abbienti non può poggiare sulla compressione della dignità professionale degli avvocati»
– dichiara il Presidente dell’UNCC, Alberto Del Noce.

Il meccanismo, sottolinea l’Unione, finisce per scaricare sull’avvocatura civile il costo strutturale del sistema di accesso alla giustizia, indebolendo proprio la difesa dei soggetti che la norma vorrebbe proteggere.

Una riforma necessaria per garantire davvero il diritto di difesa

Per l’UNCC è necessario un intervento organico e immediato del legislatore, con tre linee di azione prioritarie:

  • eliminare la riduzione automatica dei compensi degli avvocati prevista dall’art. 130;
  • aggiornare periodicamente tariffe e parametri, evitando che il sistema si regga su valori obsoleti;
  • assicurare un equilibrio sostenibile tra costi del servizio e dignità del lavoro professionale.

«La funzione difensiva è un presidio costituzionale – spiega Del Noce – e non può essere svilita da un meccanismo che riduce a metà i compensi di chi garantisce giustizia a chi non può permettersela».

Una questione di equità, non di categoria

Per l’UNCC la battaglia non è corporativa, ma riguarda la qualità della giustizia: un sistema che non remunera adeguatamente il lavoro degli avvocati rischia di compromettere la possibilità stessa di offrire servizi difensivi qualificati e tempestivi nel patrocinio a spese dello Stato.

La sentenza della Corte apre dunque una strada: il Parlamento ora è chiamato a completare il percorso.


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AIDIF propone l’Osservatorio per i minori italiani all’estero

La proposta dell’osservatorio per i diritti dei minori italiani all’estero nasce dall’iniziativa del Presidente dell’AIDIF (Avvocatura Italiana per i Diritti delle Famiglie) l’avvocato Giorgio Aldo Maccaroni. L’idea è quella di creare un istituto per tutelare i diritti dei minori, cittadini italiani, che a qualsiasi titolo si trovano fuori dai confini nazionali, fra cui minori figli di genitori che risiedono all’estero, minori sottratti e portati all’estero, in maniera illegittima, da parte di un genitore separato o divorziato, ovvero da un ex convivente di fatto, minori che si trovano all’estero per soggiorni stagionali.
«Per tutti costoro – spiega il Presidente Giorgio Aldo Maccaroni – è necessario che il nostro Paese, da sempre sensibile ai problemi degli italiani all’estero, possa offrire una tutela in tutte le situazioni legate a problemi di qualunque natura, fra cui quelli giuridici o sociali, che riguardano i minori italiani all’estero». A oggi, infatti, un osservatorio di questo tipo non esiste ed è arrivato il momento di colmare la lacuna nel minor tempo possibile.

«La prima azione – continua Giorgio Aldo Maccaroni – necessaria è, quindi, realizzare tale importante tutela con la creazione di un osservatorio per i diritti dei minori italiani all’estero, preposto a monitorare l’andamento di tutte le situazioni che riguardano gli stessi, recepire le loro istanze e stabilire gli interventi, che si rendono più opportuni, onde sottoporli agli organi competenti, anche ai fini di un valido coordinamento con le azioni predisposte a livello internazionale per la tutela dei minori». Per far sì questo possa essere possibile bisogna presentare una proposta di legge che l’AIDIF ha già elaborato dettagliatamente. Serve, però, anche la mobilitazione della politica italiana che, al momento, risultata piuttosto assente sul tema.

L’Osservatorio sarà composto da un comitato di esperti, scelti fra avvocati, psicologi, medici e da altre professionalità che si interessano del settore minorile e di famiglia, guidati da un presidente. «Potrà così – conclude Giorgio Aldo Maccaroni – diventare un importante punto di riferimento per i minori italiani all’estero e le loro famiglie che si trovano in situazione di difficoltà».


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Nasce il “Pit Stop” del Palazzo di Giustizia di Taranto: uno spazio accogliente per famiglie e utenti vulnerabili

Alle ore 12.30 di martedì 2 dicembre sarà inaugurato lo spazio “Pit Stop” allestito al primo piano di Palazzo di Giustizia di Via Marche a Taranto; promotrici dell’iniziativa sono la Dott.ssa Rosa Anna Depalo, Presidente del Tribunale di Taranto, e la Dott.ssa Eugenia Pontassuglia, Procuratore della Repubblica di Taranto.

Il “Pit Stop” è un’iniziativa del Tribunale di Taranto, della Procura della Repubblica di Taranto e dell’Ordine degli Avvocati di Taranto.

È stata realizzata in collaborazione con Comitato Pari Opportunità Ordine degli Avvocati di Taranto, Associazione Nazionale Forense Taranto “Avv. L. Tomassini”, Camera dei Giuslavoristi Taranto “Avv. V. Pollicoro”, Camera Minorile Taranto, Centro Studi Grottaglie “Avv. F. Di Palma”, Associazione Italiana Giovani Avvocati Taranto “Avv. V.G. Pozzessere”, Avv. V.G. Pozzessere, Camera Penale Taranto, Camera delle Esecuzioni Taranto, Movimento Forense Taranto e Nuova Avvocatura.

Hanno contribuito e sostenuto la realizzazione il project manager Carmine Calisi, l’Arch. Cosima Lorusso e, per la fornitura e l’installazione, Gam Gonzagarredi Montessori S.R.L.

Lo spazio “Pit Stop” è stato creato con l’intento di offrire a bambini e genitori, ad utenti vulnerabili e caregivers un ambiente sereno, riservato ed accogliente, e dove ci si possa dedicare all’allattamento ed alla cura dei propri bambini in totale serenità.

Nel “Pit Stop” ogni genitore potrà prendersi cura del proprio figlio e della propria figlia, senza fretta ed in un’atmosfera rispettosa dell’intimità e della privacy. Si tratta di un luogo che, ispirato al rispetto della disabilità e destinato a sostenere la genitorialità, è al servizio di tutti, anche dell’utenza che occasionalmente accede agli uffici giudiziari.

Il 29 gennaio 2025 è stato sottoscritto un protocollo tra Unicef Italia e il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi del Ministero della Giustizia per l’allestimento all’interno degli Uffici Giudiziari di spazi accoglienti per madri, genitori e caregivers.

Il Protocollo costituisce una applicazione concreta di quanto stabilito dall’art.3, comma 2, della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata dalla Legge n. 176 del 27 maggio 1991, il quale prevede che «Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati».


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UNAEP: l’IA cambia la giustizia

Il sistema giudiziario italiano, sempre più bisognoso di rapidità ed equità, dovrebbe adottare un modello ibrido in cui l’IA e il sistema giustizia umano, inteso come difensore e giudice, collaborino per migliorare l’efficienza e la qualità delle decisioni“. È questo, in sintesi, il messaggio lanciato dagli Stati Generali dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) svolti ad Assisi.

L’Intelligenza Artificiale – ha detto il presidente Unaep Antonella Trentini – deve essere utilizzata non solo come supporto all’analisi dei dati e alla proposta di soluzioni, ma come vero e proprio ausiliare dell’avvocato e del giudice per accelerare definitivamente la giustizia italiana, lasciando all’avvocato e al giudice il ruolo di custodi ultimi della giustizia per garantire decisioni eque e conformi ai principi fondamentali del diritto“.

Ad aprire i lavori i saluti istituzionali di Stefania ProiettiPresidente Regione Umbria: “l’intelligenza artificiale nella giustizia è un tema molto interessante perché ci obbliga a seguire l’evoluzione della tecnologia, e le tecnologie per essere utili vanno governate non subite, e ci cala in un ambito delicato come quello della giustizia che interessa tutti.  Trattare questo tema durante l’evento annuale dell’Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) è veramente significativo perché l’intelligenza artificiale oggi, ieri i mezzi digitali, sta toccando tanti settori, tante professioni, e se è vista e utilizzata come un supporto, un sostegno tecnico, è un fatto positivo. Ma voglio sottolineare che l’intelligenza artificiale come qualsiasi altro mezzo tecnologico deve essere al servizio delle persone, perché le persone devono guidare le tecnologie con la propria intelligenza, la propria sensibilità, i propri sentimenti. È pericoloso se avviene il contrario, rischiamo di snaturare la nostra umanità“.

Per Chiara Valentinisegretario regionale Unaep Umbria, l’IA “rappresenta un’opportunità senza precedenti per rendere il sistema giudiziario più efficiente e adeguato alle sfide della società contemporanea. I progressi compiuti in pochi anni sono profondi, trasversali e realmente trasformativi. Le sue enormi, e in parte ancora inesplorate, potenzialità richiedono attenzione, confronto e scelte consapevoli, così da orientarne l’impiego verso finalità corrette ed evitare i rischi di un utilizzo improprio“.

Nel suo intervento Sergio Sottani, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Perugia, ha sottolineato il fatto che per la normativa europea e italiana l’intelligenza artificiale nel sistema giudiziario “viene considerata un fattore ad alto rischio, questo perché non può mai sostituire il giudizio umano. Ciò nonostante l’intelligenza artificiale va utilizzata e viene utilizzata sia come un’attività di supporto, ma soprattutto nella funzione di rendere più celere e più veloce la giustizia: enso a tutti i servizi amministrativi, quelli ripetitivi che possono essere enormemente sviluppati e poi con esperienze concrete, come quelle che abbiamo fatto a Perugia, che è diventato poi un ambito nazionale, sia per quanto riguarda la banca dati di merito, la possibilità quindi, secondo i sistemi di intelligenza tradizionale, di leggere i precedenti e sia come i sistemi di intelligenza artificiale generativa, come i dati d’arresto europeo. Credo che quindi sia un settore pieno di opportunità, ma da valutare e controllare con attenzione“.

Nel corso degli stati Generali si è discusso anche dei numeri presentati nell’ultimo congresso del Cnf, dati che confermano come un terzo degli avvocati utilizzi l’intelligenza artificiale a fini professionali ma ben l’80% ha forti dubbi sull’uso nel processo.

Per l’avv. Antonino Galletti, Consigliere CNF, “l’avvocatura ha il compito di trasformare le novità tecnologiche in opportunità, a beneficio della categoria e del sistema giustizia. Alle istituzioni forensi è affidata la responsabilità di sostenere i colleghi in questo processo, predisponendo un’offerta di servizi, formazione e aggiornamento volta a consolidare e migliorare sempre di più le prestazioni professionali”.

Quanto all’applicazione dell’IA da parte delle Amministrazioni pubbliche, Pierfrancesco Ungari, Presidente TAR dell’Umbria, ha sottolineato che si tratta di “un uso crescente nella loro attività e la giurisprudenza, in questa fase embrionale della relativa disciplina, ha individuato i principi generali  – conoscibilità e comprensibilità, non esclusività della decisione algoritmica, non discriminazione algoritmica – che devono essere rispettati per garantire il funzionamento del sistema e la tutela dei diritti e degli interessi coinvolti. Nello stesso tempo l’AI influenza le scelte di avvocati e giudici, anche senza che se ne rendano pienamente conto. Momenti di approfondimento qualificati come questo convegno sono preziosi per comprendere il modo migliore di gestire le opportunita’ offerte dall’AI, diminuendo i rischi di condizionamenti inconsapevoli“.


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Una legge «simbolica», destinata a restare l’ennesimo intervento dal forte impatto emotivo ma dal limitato valore preventivo. È durissimo il giudizio dell’Organismo Congressuale Forense (OCF) sul disegno di legge sul femminicidio approvato in via definitiva e all’unanimità dalla Camera. Secondo l’avvocatura, il nuovo art. 577-bis del codice penale non potrà “salvare nemmeno una vita”, perché continua a chiedere al diritto penale ciò che non può e non deve fare: modificare comportamenti sociali, prevenire devianze, orientare la cultura collettiva.

Per l’OCF, il testo presenta anche criticità di natura costituzionale. La scelta di diversificare il trattamento sanzionatorio in base alla categoria della persona offesa crea, secondo l’organismo, una tensione evidente con l’articolo 3 della Costituzione, che impone l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. A ciò si aggiunge un problema di chiarezza: la norma introduce termini vaghi, ambigui, privi della necessaria tassatività che dovrebbe caratterizzare una fattispecie penale. Una vaghezza che, sottolinea l’avvocatura, rischia di scaricare sui giudici una responsabilità interpretativa enorme, esponendoli a critiche e pressioni quando le decisioni non dovessero corrispondere alle aspettative emotive dell’opinione pubblica.

Il punto, però, è soprattutto politico e culturale. «L’esperienza degli ultimi anni parla chiaro» afferma l’OCF: nonostante l’introduzione del Codice Rosso e di altri interventi repressivi, i reati contro le donne non sono diminuiti. Una riduzione reale della violenza, secondo l’organismo, può avvenire solo attraverso un’azione complessiva che coinvolga la scuola, la famiglia, la società, e che aiuti i giovani a comprendere il valore del rispetto e della parità. «Serve incidere sulle cause profonde della violenza – spiega l’avvocatura – non continuare a usare il diritto penale come una panacea».

La legge, articolata in quattordici articoli, non si limita alla nuova fattispecie di femminicidio ma interviene su una serie di ambiti: dai maltrattamenti in famiglia alle aggravanti, dal processo penale alle misure di tutela per gli orfani, fino all’ordinamento penitenziario. Un intervento vasto, che tuttavia, secondo l’OCF, continua a muoversi nella direzione sbagliata: rafforzare la risposta repressiva senza incidere sulle radici culturali del fenomeno.

La posizione dell’Organismo Congressuale Forense rappresenta un richiamo al legislatore: la violenza di genere non può essere affrontata solo sul piano penale. Senza un investimento profondo e strutturale sul cambiamento culturale, conclude l’OCF, «nessuna nuova norma potrà davvero fermare la violenza contro le donne».


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Shein sotto pressione: l’UE vuole risposte sulla vendita di prodotti illegali

La Commissione europea ha inviato oggi una richiesta di informazioni a Shein a norma del regolamento sui servizi digitali, a seguito di indicazioni preliminari secondo cui si starebbero offrendo sul mercato articoli illegali, come armi e bambole sessuali con sembianze infantili. A seguito della vendita di prodotti illegali in Francia e di diverse relazioni pubbliche, la Commissione sospetta che il sistema di Shein possa rappresentare un rischio sistemico per i consumatori in tutta l’Unione europea.

La Commissione chiede ora formalmente alla piattaforma di fornire informazioni dettagliate e documenti interni sul modo in cui garantisce che i minori non siano esposti a contenuti inadeguati all’età, in particolare attraverso misure di garanzia dell’età, e sul modo in cui impedisce la circolazione di prodotti illegali sulla sua piattaforma. La Commissione sta inoltre indagando sull’efficacia di tali misure di mitigazione adottate da Shein.

Il regolamento sui servizi digitali impone alle piattaforme online di dimensioni molto grandi come Shein, di valutare e attenuare adeguatamente i rischi sistemici, quali i rischi per i minori o la diffusione di contenuti illegali, che possono derivare dai loro sistemi e dalla progettazione o dal funzionamento dei loro servizi.

La Commissione sta monitorando attivamente il rispetto da parte delle suddette piattaforme, tra cui Shein, dei loro obblighi ai sensi del regolamento sui servizi digitali in tutta l’Unione europea ed è pronta ad agire. Questa è la terza richiesta di informazioni che la Commissione invia a Shein.


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IA sotto controllo: Bruxelles lancia il “fischietto digitale” per segnalare le violazioni

La Commissione europea ha varato oggi uno strumento di segnalazione (whistleblower tool) per il regolamento sull’intelligenza artificiale (IA). Lo strumento fornirà alle persone un canale sicuro e riservato per segnalare presunte violazioni del regolamento sull’IA direttamente all’ufficio dell’UE per l’IA, il centro di competenze in materia di IA della Commissione.

Gli informatori possono fornire informazioni pertinenti in qualsiasi lingua ufficiale dell’UE e in qualsiasi formato pertinente. Lo strumento offre un modo sicuro per segnalare potenziali violazioni della legge che potrebbero pregiudicare i diritti fondamentali, la salute o la fiducia dei cittadini. Il massimo livello di riservatezza e protezione dei dati è garantito attraverso meccanismi di cifratura certificati. Tale sistema consente di dar seguito alle segnalazioni in maniera sicura, permettendo agli informatori di ricevere aggiornamenti sullo stato di avanzamento della loro segnalazione e sulla possibilità di rispondere a ulteriori domande dell’ufficio per l’IA, senza comprometterne l’anonimato.

Il regolamento dell’UE sull’IA mira a promuovere l’innovazione e l’adozione dell’IA nell’UE, affrontando al tempo stesso i potenziali rischi per la salute, la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone e salvaguardando la democrazia e lo Stato di diritto. Segnalando le informazioni sulle violazioni, gli informatori possono aiutare l’ufficio per l’IA a individuarle precocemente, contribuendo in tal modo allo sviluppo sicuro e trasparente delle tecnologie di IA.

Ulteriori informazioni sono disponibili online.


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Piccole? Solo di nome: le Pmi italiane battono l’Europa (e superano anche i tedeschi)

Confrontate con le attività economiche appartenenti alla medesima classe dimensionale per numero di addetti, le Pmi[1] italiane si distinguono positivamente e si affermano come leader all’interno del contesto europeo. Analizzando parametri quali il numero di imprese, l’occupazione generata, il fatturato e il valore aggiunto prodotto, le aziende italiane con meno di 250 dipendenti risultano prevalere in tutte le categorie. Particolarmente significativo è il dato relativo al livello di produttività[2], che supera quello delle imprese tedesche, riconosciute da sempre come le migliori nel settore manifatturiero europeo. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

In Italia tante Pmi

Gli ultimi dati disponibili[3] ci dicono che le Pmi italiane sono poco più di 4,7 milioni, pari al 99,9 per cento del totale e danno lavoro a 14,2 milioni di addetti, vale a dire il 76,4 per cento del totale nazionale. Il confronto con le grandi imprese[4] mette in evidenza l’ ”inconsistenza” numerica di queste ultime. Sempre nello stesso anno, le aziende di grandi dimensioni ammontano a 4.619 (lo 0,1 per cento del totale), ma occupano oltre 4,4 milioni di addetti (il 23,6 per cento del totale). In termini di fatturato, invece, le Pmi generano il 64 per cento del totale nazionale e circa la stessa quota di valore aggiunto (65 per cento). Per contro, le grandi imprese fatturano “solo” il 36 per cento del dato nazionale e il 35 per cento del valore aggiunto.

Leader in UE

Quando il confronto si sposta su scala europea, le performance delle nostre Pmi sono le migliori. Se a livello numerico la quota è in linea con quella dei principali Paesi competitor, il contributo in termini occupazionali e di valore aggiunto (Pil) delle nostre realtà è nettamente superiore. Se focalizziamo la comparazione solo con la Germania, le nostre Pmi danno lavoro al 74,6 per cento degli addetti totali, contro il 55,2 delle pari categoria tedesche. In termini di fatturato le Pmi italiane ne producono il 62,9 per cento del totale, contro il 35,8 dei tedeschi. Infine, in termini di valore aggiunto, il contributo delle nostre Pmi è del 61,7 per cento del totale, quello delle concorrenti tedesche è del 46 per cento. Insomma, a grandi linee abbiamo la stessa quota di Pmi dei nostri principali competitor europei, ma loro possono contare su grandi imprese di dimensioni e con risultati economici che noi non abbiamo.

Siamo più produttivi dei tedeschi

Le Pmi italiane in senso stretto (10-249 addetti) sono addirittura più produttive[5] di quelle tedesche di 4.229 euro per occupato (+6,6 per cento). Purtroppo, scontiamo un forte gap di produttività nei confronti di Berlino nelle micro attività (0-9 addetti) del 33 per cento. Come noto, la produttività dipende direttamente dalla dimensione aziendale e quindi, al crescere del numero degli occupati si verificano importi di valore aggiunto per addetto crescenti. Pertanto, se fossimo in grado di investire di più in innovazione, in ricerca e in sviluppo anche nelle realtà produttive con meno di 10 addetti, il sorpasso nei confronti dei tedeschi sarebbe completo su tutta la classe dimensionale tra 0 e 250 addetti. Va altresì ricordato che, in linea generale, il nostro sistema economico presenta un ottimo livello di produttività nel settore manifatturiero, ma sconta ancora dei grossi ritardi nei servizi e nel terziario.

Non abbiamo più le grandi imprese

Nonostante le nostre PMI rappresentino un punto di riferimento in Europa, il sistema produttivo italiano registra ancora numerose criticità. Spesso queste imprese risultano sottocapitalizzate e con limitata liquidità, incontrando difficoltà nell’accesso al mercato dei capitali e mostrando scarsa propensione a instaurare collaborazioni con il mondo della ricerca e dell’università. Tuttavia, riteniamo che la problematica più rilevante che affligge l’intero sistema produttivo nazionale sia la carenza di grandi aziende, una situazione sconosciuta fino a circa quarant’anni fa. Sino alla prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, infatti, l’Italia si posizionava tra i leader europei e talvolta mondiali nei settori della chimica, della plastica, della gomma, della siderurgia, dell’alluminio, dell’informatica, dell’auto e della farmaceutica[6], grazie al ruolo e al peso giocato da molte grandi imprese sia pubbliche che private (Montedison, Montefibre, Moplen, Pirelli, Fiat, Italsider, Alumix, Olivetti, Stet, Angelini, etc.). Oggi, a distanza di quattro decenni, abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti questi comparti; un declino non imputabile al caso o a eventi fortuiti, ma riconducibile a una selezione naturale operata dal mercato. È indiscutibile che lo scandalo di Tangentopoli abbia rappresentato un significativo punto di svolta; inoltre, gli effetti geo-politici derivanti dalla caduta del Muro di Berlino, dalle privatizzazioni avvenute nel nostro Paese nei primi anni ’90 e dalla globalizzazione “scoppiata” all’inizio di questo secolo, hanno contribuito a escludere dal mercato o a determinare profonde ristrutturazioni tutte le grandi aziende menzionate precedentemente, molte delle quali erano controllate dallo Stato.

E’ grazie alle Pmi che siamo nel G20

Ogni qual volta si critica il nostro Paese per i bassi livelli retributivi, la scarsa produttività, la poca propensione alla ricerca e all’innovazione, la responsabilità ricade sul fatto che in Italia abbiamo troppe Pmi. In realtà, le cose stanno diversamente. A nostro avviso, i punti di debolezza appena richiamati sono in larga parte ascrivibili a una specificità che i nostri competitor non presentano. In Italia non abbiamo le grandi imprese. O meglio, non le abbiamo più, visto che fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso potevamo contare su dei player che nei rispettivi settori produttivi in cui operavano, giocavano alla pari con i migliori concorrenti di tutto il mondo. Ora, se siamo ancora nel G20, ovvero nel forum dei paesi più industrializzati del mondo, lo dobbiamo all’efficienza della nostra Pubblica Amministrazione, alle pochissime grandi imprese rimaste o allo straordinario lavoro svolto dalle nostre Pmi? Crediamo che nessuno possa contraddirci: lo dobbiamo ai tantissimi piccoli e piccolissimi imprenditori e alle loro maestranze che grazie alla capacità di combinare qualità, buon gusto, artigianalità e design, realizzano dei prodotti che sono caratterizzati da una forte identità che evoca emozioni e fiducia nei consumatori di tutto il mondo.

Nel Sud le Pmi sono uno straordinario serbatoio occupazionale

Come abbiamo avuto modo di segnalare all’inizio di questa analisi, le nostre Pmi sono uno straordinario serbatoio occupazionale, in particolar modo nel Mezzogiorno che è la ripartizione geografica del Paese che, a differenza delle altre, dispone di poche grandi imprese, quasi nessuna multinazionale e un numero contenutissimo di grandi banche e di assicurazioni. Ebbene, sul totale occupati di ciascuna provincia[7], a Vibo Valentia l’incidenza di coloro che lavorano nelle micro e Pmi è al 100 per cento. Seguono Isernia con il 98,5, Trapani e Agrigento entrambe con il 98,3, Campobasso con il 98,2, Cosenza e Verbanio-Cusio-Ossola con il 98. Le realtà dove l’incidenza sul totale occupati per provincia sono più contenute riguardano Torino, dove le MPmi danno lavoro “solo” al 63,9 per cento dei dipendenti, Roma con il 63,5 e, infine, Milano con il 51.

[1] La raccomandazione 2003/361 della Commissione definisce come Piccole e medie imprese (Pmi) le aziende che hanno fino a 250 dipendenti, un fatturato fino a 50 milioni di euro e un totale di bilancio fino a 43 milioni di euro.

[2] Delle Pmi in senso stretto (10-249 addetti). 

[3] Anno 2023. 

[4] Impresa con 250 o più effettivi oppure ogni impresa, anche con meno di 250 effettivi, con un fatturato superiore a 50 milioni di euro e un bilancio superiore ai 43 milioni di euro.

[5] Valore aggiunto per occupato, in euro.

[6] Oggi, in parte, in questo settore manteniamo ancora una leadership importante

[7] Questi dati non includono il settore dell’agricoltura e della Pubblica Amministrazione


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Da sorvegliato speciale a promossa: la rivincita del debito italiano

Un annuncio arrivato in tarda serata ha scosso il panorama finanziario internazionale: Moody’s ha rivisto al rialzo il giudizio sul debito pubblico italiano, portandolo a Baa2 e mantenendo outlook stabile. Una decisione che va oltre la routine degli aggiornamenti tecnici: l’Italia non riceveva un upgrade dall’agenzia statunitense dal lontano 2002.

Proprio questa lunga attesa dà alla promozione un valore quasi simbolico. Per Moody’s, storicamente cauta nell’applicare miglioramenti ravvicinati, si tratta di una scelta controcorrente: l’agenzia aveva già rivisto al rialzo l’outlook pochi mesi fa, a maggio, e raramente interviene due volte nello stesso arco temporale.

Segnale di fiducia verso i conti pubblici

Alla base della decisione c’è soprattutto la traiettoria dei bilanci italiani. Il rientro del deficit sotto il 3% e il recupero dell’avanzo primario hanno convinto l’agenzia che il Paese stia consolidando una linea di disciplina fiscale.

Secondo Moody’s, il percorso intrapreso dal Governo — pur tra margini limitati e trattative politiche serrate sulla manovra — ha rafforzato l’affidabilità dell’Italia verso gli investitori.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha commentato a caldo:
«È un risultato che mancava da 23 anni. Una conferma della fiducia ritrovata verso il Paese».

BTp: un anno di rialzi senza precedenti

Con la promozione, i titoli italiani abbandonano l’ultima posizione borderline nella scala di Moody’s, che li collocava appena sopra il livello “non investment grade”.

Il 2025 diventa così un anno da ricordare: sette aggiornamenti positivi da parte delle principali agenzie internazionali, un record assoluto per il nostro Paese.

Mercati in chiaroscuro: vola il rating, crollano le Borse

La buona notizia sul fronte dei conti pubblici arriva però al termine di una settimana pesante per i mercati globali.

  • Wall Street ha registrato la peggior performance dell’anno dopo quella legata alla crisi dei dazi di aprile.
  • Il Nasdaq ha perso il 3%, l’S&P 500 il 2%.
  • In Europa il Ftse Mib ha ceduto il 3% e l’Eurostoxx 50 il 2,5%.
  • Le criptovalute hanno accentuato il ribasso: Bitcoin -10%, peggior settimana dal 2022.

Una parziale inversione di rotta è arrivata solo nelle ultime ore, grazie alle parole del governatore della Federal Reserve di New York, John Williams, che ha riaperto la porta a un nuovo taglio dei tassi già a dicembre.

Italia promossa, mercati in tempesta

La promozione di Moody’s non risolve le fragilità strutturali dei mercati, ma restituisce all’Italia un margine di credibilità internazionale che mancava da tempo.

Un risultato che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere il primo mattoncino per ricostruire una posizione più solida sui mercati globali — proprio mentre la finanza mondiale attraversa uno dei momenti più turbolenti dell’anno.


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