Settore cultura in crisi a causa della pandemia

Stop al 2×1000 dell’Irpef: necessità d’iscrizione al Registro Unico entro il 10 aprile

Il terzo settore, che già viaggiava sul filo del rasoio da anni, a causa della pandemia si è ora ulteriormente indebolito. Ciononostante, durante i due anni di stato d’emergenza le organizzazioni culturali ricevono maggiori donazioni e finanziamenti. Tuttavia, ora lo stop al due per mille dell’Irpef metterà ancora più in ginocchio questa realtà, che troverà necessità di iscriversi al Registro Unico entro il prossimo 10 aprile.

Settore cultura in crisi: il bilancio delle donazioni è tuttavia favorevole grazie all’Art Bonus

Dunque, a un calo di entrate del mondo dello spettacolo in termini di biglietti acquistati, corrisponde un maggiore coinvolgimento di donazioni. In particolare, grazie all’Art Bonus, che “consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano”. Di seguito, vediamo quindi un po’ di dati al riguardo.

Si stima che dal 2014 – anno d’avvio della misura fiscali – si raccolgono su tutto il territorio nazionale oltre 658 milioni di euro di donazioni. Nello specifico, queste per mano di oltre 26.000 mecenati a oltre 2.200 enti beneficiari, per un totale di 4.950 interventi. Tra l’altro, solo nei due anni scorsi si ricevono ben 250 i milioni di euro, stima per l’appunto in salita.

Certamente, il risultato può riscontrarsi in un maggiore supporto del pubblico alle associazioni che amano. Comunque, l’Art Bonus riceve recentemente anche alcuni provvedimenti che influiscono nell’allargarsi della platea dei beneficiari. Ossia, il Dl 34/2020 che modifica il Dl 83/2014, così come la riproposta del 2 per mille per le associazioni culturali nella Dichiarazione dei Redditi 2021.

Stop al 2 per mille nel 2022 ed esclusione dei non-Runts per il 5 per mille

Tuttavia, l’anno corrente non sembra brillare per il settore cultura, principalmente per il mancato rinnovo del 2 per mille. Infatti, le associazioni che nel corso del 2021 facevano parte della lista beneficiari del contributo, perdono a dicembre la speranza. Ebbene, la Legge di Bilancio non da spazio alle incomprensioni: il 2 per mille non verrà rinnovato per l’anno 2022.

Inoltre, anche le aspettative per quanto riguarda il 5 per mille non sono rosee e fumosa è la realtà per le organizzazioni che non entrano nel Registro unico nazionale del Terzo settore – Runts. Infatti, il decreto 228/2021 “Milleproroghe di fine 2021 fa rientrare tra i beneficiari della misura solamente:

  • Organizzazioni di volontariato;
  • Associazioni di promozione sociale trasmigrati al Runts;
  • Enti con la qualifica fiscale di Onlus;
  • Soggetti che entro il 10 aprile si iscriveranno al Runts.

Ancora cattive notizie per gli organizzatori di spettacoli dal vivo

Ma non è finita qui: il 2022 sembra proprio un anno che inizia in retromarcia. Nel caso di specie, l’altra amara novità si riserva agli enti dello spettacolo dal vivo, beneficiari di Art Bonus in quanto ricevono finanziamenti dal FUS – il Fondo unico per lo spettacolo. Infatti, queste realtà dovranno interrompere le proprie campagne di raccolta fondi.

Questo almeno fino a che non giungerà la conferma ufficiale di essere nuovamente percettori del finanziamento pubblico, cosa che si saprà probabilmente a giugno 2022. Dunque, quelle organizzazioni culturali che investivano economicamente per strumenti digitali e di comunicazione trovano lo stallo. Per di più dovranno ora spiegare la temporanea interruzione dei vantaggi fino a questo momento promossi al pubblico.

Oppure, peggio ancora dovranno cancellare interi piani di comunicazione in programma, per promuovere al meglio Art Bonus o due per mille alla cultura.

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Stato di emergenza umanitaria fino al 31 dicembre

Fino al 31 dicembre stato d’emergenza, stavolta per l’Ucraina: stanziati 10 milioni di euro

Ieri, il Consiglio dei Ministri in riunione decide di fissare alla data del 31 dicembre il termine di un nuovo stato di emergenza. Il presidente del Consiglio Mario Draghi spiega che questo serve per assicurare soccorso e assistenza alla popolazione ucraina, con uno stanziamento di 10 milioni di euro in loro favore. Comunque, nulla cambierà per la quotidianità degli italiani e la decisione non influirà sullo stato d’emergenza del Covid-19, in via di conclusione.

Nuovo stato d’emergenza umanitaria per l’Ucraina per assicurare soccorso e assistenza alla popolazione

Ebbene, parlare nuovamente di “stato d’emergenza” a un passo dalla conclusione di quello per il Covid potrà suonare preoccupante. Tuttavia, Draghi assicura che non c’è alcun collegamento tra l’uno e l’altro e che lo stato d’emergenza pandemico si concluderà comunque a fine mese. Invece, il “nuovo stato emergenziale” riguarda esclusivamente il sostegno dell’Italia all’Ucraina, colpita dall’attuale momento di crisi a causa dell’imprevedibile invasione russa.

Dunque, in che cosa consiste questo aiuto? Innanzitutto, l’Italia stanzierà 10 milioni di euro al Fondo per le emergenze nazionali. Questo è ciò che il Cdm decide col decreto del 28 febbraio, che contiene le prime misure per far fronte alle esigenze di accoglienza dei cittadini ucraini in fuga dalla guerra. Si tratta del Comunicato Stampa del Consiglio dei Ministri n. 65.

A tal proposito, si incrementano le risorse del Ministero dell’Interno per:

  • Attivazione, locazione e gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza, per poter fruire di ulteriori 5.000 posti;
  • Avviamento di ulteriori 3.000 posti nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI), gestito dagli enti locali, destinati soprattutto a nuclei familiari e persone vulnerabili.

Gli aiuti economici e d’accoglienza dell’Italia

Ebbene, nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto si legge che:

“S’intende in questo modo conseguire l’ampliamento della rete nazionale di accoglienza, per un numero complessivo di circa 8.000 posti”.

La spesa per l’accoglienza si suddivide così:

  • Per i 5mila profughi ucraini da ospitare nel sistema dei centri governativi, più tempestivamente attivabile, è di 54,1 milioni nel 2022;
  • Quella per gli altri 3mila profughi da sistemare nella rete degli enti locali ammonta invece a 37,7 milioni nel 2022;
  • Infine, è di 44,9 milioni per ciascuno degli anni 2023 e 2024.

Cessione di mezzi per la difesa fino al 31 dicembre

Tra le più rilevanti decisioni prese nel decreto-legge, figura indubbiamente l’autorizzazione di spedire equipaggiamenti militari. Dunque, lo Stato italiano fino al 31 dicembre permette la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina. Così, avviene una deroga delle disposizioni della legge 9 luglio 1990. Quest’ultima vietava infatti “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato”.

Tuttavia, il decreto contiene una relazione illustrativa nella quale si specifica che:

“l’autorizzazione alla cessione di equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine, a seguito della risoluzione delle Camere, è legittima dato il carattere emergenziale della disposizione, per un periodo di tempo limitato fino al 31 dicembre 2022”.

Missili e militari

Un decreto del Ministro della difesa emana nel dettaglio l’elenco di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari da inviare in Ucraina. Tuttavia, il documento redatto in concerto con Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell’economia e delle finanze è segreto. Da ciò che si riesce a rilevare, pare che le spedizioni prevedano l’invio di:

  • Centinaia di missili anticarro e antiaereo Stinger e Spike facilmente trasportabili;
  • Mortai;
  • Migliaia di mitragliatrici pesanti Browning e leggere MG.

Inoltre, non manca il pensiero di un soccorso di forze armate militari. Infatti, il Consiglio dei Ministri il 25 febbraio approvava già un primo decreto di aiuti militari stanziando 174 milioni di euro fino al 2023. Il fine è un potenziamento della presenza militare a Est e la previsione di un rafforzamento delle tre missioni già in atto:

  • Una in Romania;
  • La “Baltic Guardian” in Lettonia;
  • La missione nel Mediterraneo Orientale.

Tale provvedimento mobilitava 1.350 militari fino al 30 settembre e altri 2.000 per rinforzi e avvicendamenti.

 

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PNRR: Von Der Leyen conferma l’emissione del primo pagamento al Bel Paese

La Commissione europea emette la prima rata di finanziamenti per l’Italia nell’ambito del progetto Next Generation Eu. L’importo corrisponde a 21 miliardi di euro dal Recovery fund: si tratta di 10 miliardi di trasferimenti e 11 di prestiti. Inoltre, Palazzo Chigi notifica che da Bruxelles arriva anche la valutazione preliminare positiva, certificando il raggiungimento dei 51 obiettivi che ci si prefissava nel PNRR per il 2021.

Next Generation UE, prima rata all’Italia per valutazione positiva nel raggiungimento degli obiettivi PNRR

A tal proposito, riportiamo qui di seguito le parole della presidente della Commissione europeaUrsula von der Leyen:

Annunciamo oggi un importante passo avanti nell’attuazione del Recovery Plan italiano. Riteniamo che l’Italia abbia fatto buoni progressi per ricevere il suo primo pagamento nell’ambito del Next Generation Eu. Non appena questa richiesta di pagamento sarà approvata anche dagli Stati membri, l’Italia riceverà 21 miliardi di euro”.

Dunque, l’Italia è oggi il maggior beneficiario di Next Generation Eu. Tra l’altro, la presidente ci tiene ad aggiungere che l’Italia: “ha intrapreso importanti riforme nella pubblica amministrazione, negli appalti pubblici, nella giustizia civile e penale, nonché nel campo della digitalizzazione delle imprese. Continueremo a sostenere l’Italia nel suo ambizioso percorso di ripresa”.

Nello specifico, Von Der Leyen sottolinea che le autorità italiane hanno adeguatamente reso note le prove dettagliate ed esaurienti. Queste sono necessarie alla Commissione per testimoniare il raggiungimento degli obiettivi che appunto il PNRR prefissava. Dunque, l’accertamento delle prove è frutto di una valutazione precisa di queste informazioni, con esito positivo.

Per concludere, tale documento sottolinea che si son fatti progressi significativi rispetto a:

  • Riforma della giustizia civile e penale e del quadro fallimentare;
  • Aumento della capacità amministrativa;
  • Semplificazione del sistema degli appalti pubblici per rafforzare il contesto imprenditoriale e l’efficacia della pubblica amministrazione.

 

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Nasce osservatorio nazionale AIGA

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Nasce osservatorio nazionale AIGA

Associazione Italiana dei Giovani Avvocati istituisce dipartimento ad hoc sull’Ordinamento Penitenziario

Aiga istituisce l’Osservatorio Nazionale sulle Carceri: lo annuncia in una nota, alla luce delle riforme in prossimità. L’annuncio giunge dal presidente dell’Associazione Paolo Perchinunno e il responsabile del dipartimento penitenziario Francesco Monopoli. In particolare, la lettera si rivolge al Ministero della Giustizia e al capo della Dap.

Aiga istituisce Osservatorio nazionale sulle carceri: la testimonianza di Perchinunno e Monopoli

Il 22 febbraio scorso i giovani avvocati pubblicano il comunicato stampa sul proprio sito Aiga. Il titolo che si riporta è “Carceri: nasce Osservatorio nazionale Aiga”. La volontà principale dell’istituzione di quest’Osservatorio è quella di rivolgere un’attenzione particolare ai detenuti e alle problematiche che riguardano le carceri italiane.

Innanzitutto, gli avvocati chiedono come “prima tappa” del nuovo percorso di poter visitare gli istituti penitenziari italiani durante il giorno della Domenica delle Palme. La visita sarebbe possibile attraverso le delegazioni territoriali dell’Osservatorio e ha un fine nobile e specifico. Ossia, per verificare le condizioni delle carceri, ma anche:

Ascoltare dalla viva voce dei detenuti il rispetto dei loro diritti fondamentali, la validità delle iniziative di reinserimento sociale oggi praticate e, all’esito, di stendere un documento di sintesi delle attività svolte”.

Tra l’altro, il presidente Perchinunno specifica che è già da circa due mesi che l’Aiga ha istituito un dipartimento ad hoc proprio sull’Ordinamento Penitenziario. Questo rivolge la propria attenzione ai detenuti e alle problematiche che riguardano le carceri italiane.

 

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Cassa Forense e nuovo servizio WhatsApp

Attivo il nuovo servizio WhatsApp per gli iscritti a Cassa forense

WhatsApp e Cassa Forense: ecco il nuovo servizio attivo per tutti gli iscritti. Infatti, dalla giornata di ieri il numero call center di Cassa Forense sarà anche un contatto valido per l’applicazione di messaggistica WhatsApp. La comunicazione giunge agli avvocati iscritti a Cassa Forense con una nota pubblicata nello stesso sito. Dunque, il numero 06/51.43.53.40 sarà ora attivo anche su WhatsApp nei giorni feriali dalle 8.00 alle 19.00 e il sabato dalle 8.00 alle 13.00.

Necessità di ricevere risposta rapida a richieste previdenziali o assistenziali? C’è WhatsApp!

Quindi, è da ieri che riprendono le iscrizioni e modifiche al servizio WhatsApp, temporaneamente ferme per un cambio d’operatore. Comunque, Cassa Forense specifica che chiunque fosse già abilitato in precedenza al servizio, non dovrà fare nulla. Infatti, non occorrerà alcuna azione integrativa da parte loro.

Tuttavia, avviene un cambio di numero: sarà così 06/51.43.53.40 il numero unico dei servizi Call Center di Cassa Forense. Per la precisione, tale servizio di contatto con Cassa sarà disponibile solo ad alcune fasce orarie precise. Ovvero, nei momenti seguenti:

  • Dal lunedì al venerdì dalle ore 08.00 alle ore 19.00;
  • Il sabato dalle ore 08.00 alle ore 12.00.

Dubbi sulla potenzialità e funzionalità del servizio?

Veramente, le occasioni che offre sono diverse e essenziali. Innanzitutto, il nuovo servizio WhatsApp si potrà utilizzare per richieste generiche di informazioniprevidenziali oppure assistenziali. Inoltre, il suo valore primario ed inedito è che si tratta di un servizio di riscontro istantaneo. Infatti, chiunque contatterà Cassa Forense via WhatsApp potrà inviare e ricevere messaggi in maniera più rapida che in precedenza.

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PNRR accorcia la durata dei processi civili

Obiettivi PNRR incontrano difficoltà territoriali nella riduzione della durata dei processi civili

Tra gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza figura anche la volontà di ridurre del 40% la durata media dei processi civili. Tuttavia, si riscontrano da subito differenze territoriali considerevoli rispetto ai tempi delle decisioni, per differenti cause. Però, è dal 21 febbraio che giungono i rinforzi dei vincitori del concorso come nuovi addetti all’ufficio per il processo.

PNRR vuole accorciare la durata dei processi civili ma incontra ostacoli nella via

Dunque, il problema principale è che i tempi delle decisioni variano da un ufficio giudiziario all’altro. Ora, elenchiamo alcune delle cause principali di questa differenza d’applicazione territoriale:

  • Entità delle risorse in campo, sia in termini di magistrati che di personale amministrativo;
  • Turnover;
  • Dimensione dell’ufficio;
  • Possibilità di specializzazione;
  • Arretrato;
  • Numero di cause.

In particolare, sono le sedi del meridione ad essere penalizzate dai turnover che durano tempi lunghissimi.  Inoltre, l’impegno che si richiede loro per i procedimenti contro la criminalità organizzata sottraggono risorse al settore. La misura dei tempi si evince col “disposition time” – l’indicatore usato a livello europeo per stimare la durata media dei procedimenti.

Quest’ultimo permette il calcolo del tempo medio in cui è prevedibile che i procedimenti siano definiti. Poi, lo confronta col numero delle pendenze alla fine del periodo di riferimento con il numero dei definiti nel periodo.

I Tribunali più in difficoltà: Reggio Calabria, Messina, Lucania

Per quanto riguarda Reggio Calabria, il presidente della Corte d’Appello lamenta che manca il 40% dei magistrati che si prevedevano per la sede: 16 su 40. Poi, il presidente Luciano Gerardis spiega che: “Abbiamo 172 procedimenti pendenti relativi alla criminalità organizzata e 569 detenuti. Dirottare risorse al penale è stato inevitabile”.

Invece, al Tribunale di Patti (Messina) si riscontrano carenze d’organico a fronte di processi penali di rilievo. Il presidente Mario Samperi fa notare che solo 15 dei 19 magistrati sono operativi nella gestione della maxi truffa UE (operazione Nebrodi) con oltre 100 imputati. Comunque, egli si dice ottimista per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge, specialmente con l’entrata in azione dei tirocinanti, che aiuteranno a smaltire l’arretrato.

Infine, problematiche simili le riscontra il presidente del Tribunale di Vallo della Lucania, Gaetano de Luca. Egli fa notare che “Per buona parte del 2020 abbiamo lavorato con metà forze, sette magistrati su 12 e tre onorari su sei, con 8.700 cause divise per i cinque giudici civili, 1.740 cause ciascuno in media”. Tuttavia, anch’egli riserva solide speranze per la riprogrammazione dell’attività del settore civile.

 

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Adozione in particolari casi

Adozione in casi particolari: è fondamentale il rapporto del bambino adottato coi parenti?

Lo scorso giovedì 24 febbraio la Corte Costituzionale si esprime nei riguardi di una questione di legittimità costituzionale. Quest’ultima la pone il Tribunale di Bologna nei confronti di un caso particolare di adozione di un minore.  Ci devono essere rapporti tra il minore adottato e i parenti dell’adottante? Vediamo assieme il caso, che coinvolge l’art. 55 della Legge n. 184/1983, in combinato disposto con l’art. 300, comma 2 del Codice Civile.

Che rapporto deve esistere per il bambino nei casi particolari d’adozione coi parenti dell’adottante?

Il caso coinvolge un padre intenzionale di due bambine di minore età, unito civilmente col proprio compagno. Egli fa ricorso alla surrogazione di maternità negli Stati Uniti e chiede:

  • L’adozione delle bambine, figlie biologiche del partner;
  • L’esplicito riconoscimento di un legame delle piccole con i suoi parenti.

Inizialmente, il Tribunale per i minorenni riconosceva infatti solo l’adozione, ma non tale legame di parentela. Il motivo è che questo contrasterebbe la disposizione dell’art. 55 della legge sull’adozione.

Dunque, la motivazione del ricorso si fonda sull’osservazione di quanto dice la normativa vigente italiana nel merito. Difatti, i due compagni sostengono che quest’ultima sia in contrasto con il principio di parità di trattamento di tutti i figli. Inoltre, impedirebbe alle minori di godere pienamente della loro vita familiare.

La rivisitazione della disposizione sull’adozione in casi particolari

In seguito quindi, l’Ufficio comunicazione e stampa della Consulta pubblica un comunicato con cui dichiara le precedenti disposizioni incostituzionali. In effetti, esse prevedono una discriminazione per il bambino adottato nelle forme dell’adozione particolare. Dunque, questo viola l’art. 3 della Costituzione, privando le minori di quelle relazioni giuridiche che contribuiscono alla formazione della sua identità.

In conclusione, riportiamo di seguito cosa si legge nel comunicato:

“Il mancato riconoscimento dei rapporti civili con i parenti dell’adottante discrimina, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione, il bambino adottato “in casi particolari” rispetto agli altri figli e lo priva di relazioni giuridiche che contribuiscono a formare la sua identità e a consolidare la sua dimensione personale e patrimoniale, in contrasto con gli articoli 31, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

 

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Dal 22 giugno 2022 il pignoramento presso terzi cambierà: nuovo onere per il creditore

Grazie alla Riforma del Processo Civile dal 22 giugno 2022 cambierà il sistema del pignoramento presso terzi ex art. 543 c.p.c. Infatti, il 24 dicembre scorso entra in vigore la Legge n. 206/2021 che modifica diverse norme, tra cui quella di nostro interesse. In merito, prevede a carico del creditore un onere ulteriore, nel momento in cui procede al pignoramento presso terzi.

Cosa dovrà fare il creditore dall’estate del 2022 in merito al pignoramento presso terzi?

Innanzitutto, ricordiamo che la Legge n. 206/2021 contiene la Delega al Governo per l’efficienza del processo civile. Allo stesso modo, si riferisce anche alla revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Infine, si occupa anche di “misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”.

Dunque, tra le varie norme che la riforma modifica troviamo anche l’art. 543 c.p.c. Questo prevede a carico del creditore un onere ulteriore, nel momento in cui procede al pignoramento presso terzi. L’efficacia di tale novità avverrà a partire dal 180° giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge delega suddetta. Ovvero, il 22 giugno 2022.

Le specifiche della riforma: come cambierà il pignoramento presso terzi quest’estate

Dunque, l’art. 543 c.p.c. si integra di altri due commi che seguono il quarto e che così decretano:

  • Il creditore deve notificare entro la data dell’udienza al debitore e al terzo l’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo. Poi, deve indicare il numero di ruolo della procedura. Inoltre, dovrà depositare l’avviso nel fascicolo dell’esecuzione. Cosa accade se non si procede con questi passaggi? Questo determinerà l’inefficacia del pignoramento;
  • Qualora il pignoramento si esegua nei confronti di più terzi, l’inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non si notifica o deposita l’avviso. In ogni caso, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell’udienza dell’atto di pignoramento.

Quindi, si tratta di un onere che grava ulteriormente sul creditore e che sembra contrastare le finalità di semplificazione e accelerazione del rito procedurale civile. Al contrario, finisce così per appesantire la procedura volta a tutelare il credito di un soggetto con titolo esecutivo. Oltretutto, si tratta di un onere che si prevede a pena dell’inefficacia del pignoramento.

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Tirocinio ridotto per aspiranti avvocati

Continuano i tirocini ridotti a 16 mesi per gli aspiranti legali grazie al Milleproroghe

Il decreto n. 228/2021 Milleproroghe è in Gazzetta Ufficiale dal 4 gennaio scorso ed è attualmente in attesa di conversione. Si tratta di un decreto con cadenza annuale, che contiene disposizioni su differenti materie legislative. Tra esse, attenzione particolare va al settore giustizia e ancora più nello specifico notiamo che contiene una proroga che riguarda gli aspiranti avvocati che intendono fare un tirocinio.

Milleproroghe: tirocinio ridotto per aspiranti avvocati da 18 a 16 mesi

Prima di parlare del tema centrale di questo articolo, facciamo un breve excursus sulle proroghe e modifiche in materia di giustizia del Milleproroghe. In particolare, il testo tratta di:

  • Proroga di un ulteriore anno per l’esame di abilitazione forense;
  • Estensione del tirocinio professionale di 16 mesi;
  • Proroga delle regole transitorie per l’iscrizione degli avvocati all’albo delle giurisdizioni superiori;
  • Si fissano al 1° gennaio 2024 alcune modifiche delle circoscrizioni giudiziarie de l’Aquila e Chieti;
  • Proroga al 31 dicembre 2022 di alcune disposizioni riguardo il processo telematico penale e civile. Queste prevedono il deposito degli atti in modalità telematica e la partecipazione a determinate udienze da remoto.

Estensione dei tirocini dalla durata ridotta: origine e legge

A causa della pandemia Covid-19 i neolaureati dell’anno accademico 2018-2019 beneficiavano del tirocinio ridotto a 16 mesi. Ora, grazie al Milleproroghe anche coloro che effettuavano la laurea nell’anno 2019-2020 ne potranno godere.

In realtà, si parlava già di riduzione del periodo di tirocinio per l’abilitazione forense nel 2012. È all’epoca che risale la riduzione del periodo di prestazione del tirocinante a 18 mesi. Al proposito, si noti che nell’art. 41 comma 1 dell’Ordinamento Forense si dice che:

“Il tirocinio professionale consiste nell’addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante avvocato finalizzato a fargli conseguire le capacità necessarie per l’esercizio della professione di avvocato e per la gestione di uno studio legale nonché a fargli apprendere e rispettare i principi etici e le regole deontologiche.”

 

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Milleproroghe caos all’esame delle modifiche

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Colombia: l’aborto sarà depenalizzato

Decisione Corte Costituzionale colombiana: depenalizzazione parziale dell’aborto, possibile entro le prime 24 settimane

In questi giorni si parla di una svolta storica per il popolo sudamericano: la Corte Costituzionale cambia la sua mentalità nei confronti dell’aborto. In particolare, decide che sarà possibile richiedere l’interruzione volontaria della gravidanza entro le prime 24 settimane dall’inizio della gestazione. La decisione giunge in risposta al ricorso di cinque organizzazioni per il diritto di scelta delle donne nel 2020.

Stop alla penalizzazione dell’aborto in Colombia: come cambia la situazione per il Paese

Cinque voti in favore su nove: non male come risultato per un paese a maggioranza cattolica e storicamente conservatore. Difatti, fino a pochi giorni fa l’aborto in Colombia si consentiva solamente in circostanze specifiche, così com’erano stabilite in una precedente Sentenza che risale al lontano 2006. Qui, si affermava che l’aborto è consentito alle donne solo nelle tre situazioni che seguono:

  • Stupro;
  • Gravi malformazioni del feto;
  • Serio pericolo per la vita della donna.

Per entrare ancora di più nel merito decisionale della popolazione all’epoca, si pensi che chiunque abortiva o aiutava ad abortire al di fuori di quelle circostanze subiva pene fino a 4 anni e mezzo di carcere. Ora, non è più necessario fornire motivazione per abortire, sempre appunto che sia limitato ai sei mesi di gestazione. Inoltre, la Corte invita sin da subito governo e parlamento ad avviare i procedimenti per modificare la legge e applicare così le nuove disposizioni il prima possibile.

L’importanza di questo cambiamento

gruppi attivisti sottolineano come il diritto all’accesso all’aborto sia un essenziale passo in avanti per molte donne. In particolare, fanno notare come sarà più semplice per quelle donne che vivono ai margini, in stato di povertà e senza strutture ospedaliere adeguate. Tra l’altro, si stima che ogni anno in Colombia:

  • 400mila donne ricorrono a un aborto clandestino;
  • in media 70 di loro muoiono per complicazioni.

Inoltre, ricordiamo che in Italia, per fare un paragone, l’aborto è possibile entro le 12 settimane dall’inizio della gravidanza. Invece, l’aborto risulta ancora illegale nei seguenti Paesi:

  • Haiti;
  • Honduras;
  • Suriname;
  • Nicaragua;
  • Repubblica Dominicana;
  • El Salvador.

Vediamo quindi se il cambiamento colombiano sarà fonte d’ispirazione per altri Paesi, così come lo sono state le svolte in Argentina per i vicini Messico ed Equador nel 2020.

 

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