Donne chiamate a dirigere aziende in crisi: ecco l’effetto “Scogliera di cristallo”

A dicembre 2022, soltanto dopo due mesi in cui è divenuto proprietario e CEO di Twitter, Elon Musk ha deciso di pubblicare un sondaggio per chiedere agli utenti del social se doveva dimettersi o meno dalla leadership dell’azienda.

La maggioranza di chi ha votato ha risposto di sì, e quindi Musk ha replicato con un tweet: «Mi dimetterò non appena troverò qualcuno abbastanza folle da accettare l’incarico! Dopodiché, mi limiterò a gestire i team dei software e dei server».

Finalmente, qualche settimana fa, Musk ha annunciato di aver trovato la persona pronta ad assumere il ruolo: Linda Yaccarino. Il suo ruolo come amministratrice delegata di Twitter è senza dubbio un grosso passo in avanti nella carriera di Yaccarino, che ha lavorato come dirigente pubblicitaria di NBC Universal e che ora fa parte del ristrettissimo gruppo di donne che guidano aziende tech.

Nonostante l’estrema competenza di Yaccarino nel settore pubblicitario, chi studia queste dinamiche lavorative ritiene che Yaccarino sia l’ultima vittima di un modello dannoso, l’effetto “scogliera di cristallo”.

Secondo questo modello, le donne hanno maggior probabilità di ricevere promozioni ai vertici di organizzazioni e aziende nel momento in cui queste vivono una fase di crisi. Tutto questo alimenta l’impressione che figure femminili con posizioni apicali abbiano meno possibilità di raggiungere il successo, in quanto vengono solitamente nominate in circostanze difficili.

Commenta Christy Glass, sociologa della Utah State University che studia il fenomeno: «Per alcuni versi, non ha mai visto una definizione migliore di scogliera di cristallo rispetto alla sfida lanciata da Elon. La situazione di Twitter sembra la tempesta perfetta».

Si pensi per esempio a Marissa Mayer, ex dirigente Google che nel 2012 è diventata amministratrice delegata di Yahoo, proprio nel momento in cui l’azienda cominciava a perdere terreno nei confronti di colossi rivali. Mayer, dopo aver negoziato la vendita di Yahoo con Verizon per 4,5 miliardi di dollari, ha deciso di dimettersi.

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Dopo aver acquisito Twitter, Musk ha innescato una profonda crisi nella società, facendo incredibilmente precipitare il social in una spirale negativa. Nel 2021, il 90% delle entrate di Twitter arrivava dalla pubblicità, ma gli inserzionisti, dopo l’acquisizione di Twitter dal patron di Tesla, hanno cominciato ad abbandonare il social, e di conseguenza gli introiti sono calati.

Nell’ottobre 2022, Musk ha dato il via ad un’ondata di licenziamenti, che ha colpito moltissimo il personale che moderava i contenuti e che si occupava delle politiche aziendali. Al tempo stesso, il miliardario ha deciso di riaccogliere gli utenti sospesi, e tra questi troviamo anche account dall’impronta neonazista.

A dicembre, ovvero due mesi dopo l’acquisizione, per il Wall Street Journal le entrate del social hanno subito una diminuzione del 40%. Inoltre, il piano di Musk di produrre profitti tramite il servizio di abbonamento, Twitter Blue, non ha giovato più di tanto.

Effetto Glass Cliff

Tutto queste sfide risultano scoraggianti per qualsiasi amministratore delegato. Per esempio, Alexander Haslam, professore di psicologia sociale, ha inventato l’espressione “glass cliff”, l’effetto scogliera di cristallo.

Haslam sostiene che in molte organizzazioni sono presenti donne con capacità di assumere posizioni di leadership, ma si preferisce mantenere uno status quo tradizionale, patriarcale: almeno finché non si arriva ad un punto di rottura.

Se un’azienda è in difficoltà e ha necessità di mandare un messaggio di cambiamento, scegliere un capo completamente diverso risulta l’opzione più semplice. Spiega Haslam: «Lo si fa per comunicare nel modo più vivido ed esplicito possibile che si sta percorrendo una traiettoria diversa. E quanto più forte è la rottura con il passato, tanto più chiaro è il segnale. Per questo motivo le donne o i membri di altre minoranze sono spesso favoriti in queste circostanze».

Effetto Salvatore

Visto che Yaccarino ha una forte esperienza nell’industria pubblicitaria, ovvero la principale fonte di guadagno di Twitter, la rendono assolutamente una scelta logica, al fine di salvare un’azienda ormai in crisi. Ma gli esperti sostengono che una ragione per la quale le donne decidono di accettare dei ruoli rischiosi è che generalmente hanno poche opportunità di assumere delle posizioni di vertice, anche se sono altamente qualificate.

Dichiara Coco Brown, CEO di Athena Alliance: «Per molte dirigenti, a volte la prima opportunità di ottenere una posizione di vero potere è il risultato della volontà di dare una svolta a una divisione o azienda. Questo può rendere difficile rifiutare un ruolo precario, anche quando i rischi sono evidenti».

Di solito le donne vengono promosse durante le difficoltà aziendali, e per Glass rischiano di essere maggiormente incolpate a causa delle crisi, per poi venire successivamente sostituite da un amministratore delegato, maschio e bianco: per i ricercatori, questo è l’effetto salvatore.

L’occasione di fare qualcosa di eroico

«E’ molto raro che alle donne ad venga concessa una seconda occasione, e questo rappresenta una doppia batosta, perché queste nomine possono costituire l’unica opportunità che avranno. Ma accettando, mettono a rischio le loro future carriere in posizione di leadership», sostiene Glass.

Ma sempre secondo Glass, le donne sembrano essere maggiormente attrezzate per raddrizzare una situazione di difficoltà. L’amministratrice delegata di General Motors, Mary Barra, ha salvato la casa automobilistica, che stava fallendo a seguito del crollo finanziario del 2008.

Per Sandra Quince, amministratrice delegata di Paradigm for Parity, le probabilità che Yaccarino abbia successo dipendono dal tempo e dalla libertà che le saranno concessi per poter invertire rotta. Dunque, il sostegno che riceverà dal consiglio di amministrazione e la volontà di Musk di lasciarle le redini potrebbero risultare fondamentali.

Spiega Quince: «Linda Yaccarino avrà bisogno che il consiglio di amministrazione sostenga la sua visione, e avrà bisogno di qualcuno che le faccia da scudo. In momenti come questo, in cui si cerca di trovare la quadra, nessuno è perfetto e tutti possono commettere errori».

Per Brown, il coraggio di Yaccarino deve essere lodato, a prescindere dal risultato. «Non dovremmo dire che è destinata a fallire pubblicamente, ma che questa è la sua occasione per tentare di fare qualcosa per certi versi eroico. Per la maggior parte delle persone non ce la farà; ma non sarebbe molto più bello se invece ci riuscisse?».


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Intercettazioni e sanità penitenziaria: per Nordio non ci saranno mai più abusi

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, durante un question time in Senato, ha risposto ad alcuni interrogativi sulla questione dei suicidi in carcere e sulle intercettazioni. Tuttavia, il Guardasigilli è rimasto sul vago.

Il tema dei suicidi nelle carceri è molto complesso, e probabilmente non c’è nemmeno tutta questa voglia, da parte del governo, di investire sul sovraffollamento. Invece, per quanto riguarda le intercettazioni, Nordio non ha voluto anticipare la riforma che presenterà prossimamente al Consiglio dei Ministri.

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Per quanto riguarda le intercettazioni, i compagni del partito di FdI gli hanno chiesto quali iniziative «abbia adottato o intenda adottare per monitorare e vigilare sulla corretta applicazione della normativa, che ha riformato la disciplina delle intercettazioni e se il Governo intenda intervenire al fine precipuo di garantire una maggiore riservatezza dei colloqui captati, nel rispetto dell’articolo 15 della Costituzione».

La risposta non ha sorpreso più di tanto. Infatti, il governo ha intenzione di «procedere in due momenti: il primo a termine molto vicino con un ddl che riguardi essenzialmente la tutela dei terzi e della privacy. In un tempo successivo faremo una radicale revisione del sistema delle intercettazioni che tutela anche la correttezza delle indagini e combatta la strumentalizzazione che viene fatta con la diffusione pilotata di intercettazioni che dovrebbero rimanere segrete».

Che cosa vuole fare Nordio con i suicidi nelle carceri?

Il PD, invece, ha interrogato Nordio per quanto riguarda i «due detenuti del carcere di Augusta (Siracusa) deceduti poche settimane fa in ospedale, a distanza di 15 giorni, dove erano ricoverati in gravi condizioni a seguito di uno sciopero della fame durato 60 giorni in un caso e 41 nell’altro. Inoltre, un terzo detenuto, sempre quanto riportato dagli organi della stampa, avrebbe tentato il suicidio».

Il ministro ha risposto: «Ogni suicidio in carcere è un fardello di dolore, non solo per noi al ministero ma per tutti noi, per la nostra coscienza, per la nostra visione etica». Ad ogni modo, «sono a ribadire che, in generale, l’attenzione alla sanità penitenziaria è e sarà massima, non nascondendo però la complessità della problematica perché la titolarità in capo alle Regioni della competenza ad organizzare ed erogare i concreti servizi può creare, e spesso crea, un concorso di competenze».

Nessun accenno, dunque, alle possibili soluzioni da adottare, quali lo svuotamento degli istituti, il miglioramento delle strutture, possibili misure alternative oppure l’aumento delle attività trattamentali.

Sulla circostanza per la quale l’ufficio del Garante dei detenuti abbia proceduto a denunciare che non è stata ricevuta alcuna segnalazione sul ricovero dei due detenuti, il Guardasigilli precisa che «è un aspetto più delicato – quando attuano lo sciopero della fame, non è attività obbligatoria e non è prevista la comunicazione dell’andamento delle centinaia di manifestazioni di protesta che, quotidianamente, i detenuti pongono in essere sul territorio nazionale, molte delle quali cessano entro breve termine. Purtroppo è un’attività difficile da monitorare perché spesso inizia e finisce in tempi molto brevi».

Termina Nordio: «vi annuncio, è un punto d’onore, che allo scopo di ovviare alla problematica, a breve sarà operativa una precipua mailing list presso la cd. Sala Situazioni del Dap, così che anche l’ufficio del Garante nazionale sarà tempestivamente reso edotto, pressoché in tempo reale, dei fatti di particolare rilevanza che si verificheranno all’interno degli istituti penitenziari. Avrà pertanto contezza di tutti gli eventi critici rilevanti, così da agevolarne il miglior adempimento del proprio mandato istituzionale».


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Attenzione al nuovo malware Android che ruba i nostri dati per chiedere un riscatto

È stato scoperto un nuovo malware sugli smartphone Android, che si chiama Daam e che ruba i dati memorizzati sui dispositivi mobili degli utenti.

Daam è stato scoperto dal CERT-IN, ovvero l’agenzia nazionale indiana per la Cybersicurezza, che comunica che il malware ha colpito principalmente gli utenti indiani ma che non è escluso che Daam sia presente anche su smartphone occidentali.

Attenzione al nuovo Malware Android

In ogni caso, dovremmo prestare la massima attenzione ai nostri download, che siano dal PlayStore (scelta raccomandata) che dal web. Daam, infatti, sembra bypassare la maggior parte degli antivirus e rubare i dati personali degli utenti, come dati riguardo l’indirizzo, la residenza, numeri e PIN di carte di credito e informazioni relative alle coordinate bancarie.

Daam potrebbe captare anche la cronologia del browser, i contatti privati, gli SMS, file locali e anche i contenuti della fotocamera del dispositivo.

I dati rubati vengono trasmessi tramite connessione internet ai database del malware. Le informazioni rubate vengono racchiuse in un unico file che finisce direttamente nelle mani dei malintenzionati, e i malcapitati vedranno la possibilità di riscattare i propri dati mediante pagamento di una somma di denaro, oppure, tutte le loro informazioni sensibili verranno pubblicate in rete.

Per evitare di essere colpiti da Daam bisogna prestare molta attenzione ai download, soprattutto a quelli provenienti al di fuori del PlayStore. Deve essere evitato il sideloading delle app e soprattutto bisogna verificare tutti i permessi concessi alle app, andando ad eliminare quelle che forse si prendono troppe libertà con il nostro smartphone.

Inoltre, dobbiamo prestare tantissima attenzione anche alla navigazione online, soprattutto se ci colleghiamo a link che riceviamo sulle mail o sui messaggi.

Che cos’è il sideloading

Il sideloading è una pratica diffusa tra chi utilizza uno smartphone. È un metodo per installare app su tablet o smartphone che non provengono direttamente da canali ufficiali, come Google Play Store. Si tratta di una pratica utilizzata spesso per accedere alle app non disponibili sugli store ufficiali, oppure per evitare di pagare app a pagamento.

Il sideloading espone ad un alto rischio di virus, malware, ransomware e spyware. Si tratta di programmi dannosi in grado di compromettere la sicurezza dei nostri dispositivi. Noi non consigliamo di eseguire il sideload di un’app, ma per chi volesse farlo, ecco qualche consiglio per eseguire il tutto in sicurezza:

  • scaricare app esterne soltanto da fonti affidabili e sicure. Meglio fare un’approfondita ricerca online sul sito che abbiamo intenzione di utilizzare e capire se ha una buona reputazione;
  • controllare se il file che vogliamo scaricare è autentico: esistono app specifiche che permettono di controllare i file e ricercare i malware;
  • effettuare periodicamente il backup dei dati personali presenti su un dispositivo, affinché si possano ripristinare le informazioni necessarie se il dispositivo viene compromesso;
  • installare un buon antivirus, che ci protegge contro minacce informatiche ed identifica programmi dannosi.

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L’avvocato americano Steven Schwartz ha trovato un alleato in ChatGpt, il chatbot più famoso del mondo, che l’ha aiutato nella stesura di un documento legale per la difesa di un suo cliente.

Quest’ultimo ha citato in giudizio Avianca, compagnia aerea colombiana, poiché è stato ferito al ginocchio durante un volo di linea da un carrello di servizio. Purtroppo, il documento scritto da ChatGpt era pieno di informazioni completamente inventate.

L’avvocato avrebbe chiesto all’intelligenza artificiale di aiutarlo per convincere il giudice federale a non procedere all’archiviazione del caso, e per questo ChatGpt ha effettuato una ricerca approfondita su casi simili a quello del cliente.

Nel documento scritto dall’intelligenza artificiale sono stati riportati almeno una dozzina di esempi di casi simili, anche se nessuno di questi è risultato essere avvenuto realmente.

L’avvocato avrebbe chiesto esplicitamente al bot se stesse dicendo la verità. ChatGpt ha risposto che tutti i casi riportati erano veri, in quanto presenti su database legali affidabili come LexisNexis e Westlaw. Ma l’avvocato della difesa ha dimostrato che nessun caso era realmente esistente.

Dunque, il chatbot avrebbe rilasciato informazioni false, costringendo l’avvocato ad andare incontro a sanzioni legali. Schwartz ha cercato di giustificarsi affermando che non era «a conoscenza della possibilità che il contenuto di ChatGpt potesse essere falso», senza però convincere il giudice.

È evidente, quindi, che l’intelligenza artificiale non può lavorare in autonomia, e che è ancora necessaria la piena supervisione umana per permettere il suo funzionamento corretto.


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Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha stabilito, dopo una consultazione pubblica, che non sarà più necessario garantire le “postazioni telefoniche pubbliche” sul territorio nazionale.

In poche parole, è stato deciso che le cabine telefoniche non servono più, grazie alla delibera del 23 maggio pubblicata da TIM, gestore dei telefoni pubblici in Italia, che potrà cominciare a rimuovere le quasi 18mila cabine telefoniche pubbliche ancora attive.

In generale, le cabine telefoniche sono viste come un servizio superato, e il loro abbandono, seppur lento, è cominciato ancora prima della diffusione dei cellulari, intensificandosi grazie alla massiccia copertura delle reti Internet.

Nonostante tutto, hanno continuato ad essere utilizzate dagli anni ’50 sino ad oggi. Qualcuno ha anche protestato contro la possibilità che queste venissero rimosse.

Secondo gli esperti in materia, il primo telefono pubblico a pagamento nacque in Connecticut nel 1889, grazie a William Gray. La moglie di Gray, un giorno, aveva necessità di vedere un medico, ma non sapeva come contattarlo. Le persone che avevano un telefono si rifiutarono di aiutarli, così decise di inventare un meccanismo che consentiva di raccogliere monete, attivando la possibilità di contattare e parlare con qualcuno dall’altra parte del filo.

Gray, negli anni seguenti, continuò a perfezionare questa invenzione, e pian piano i telefoni pubblici vennero installati in varie città degli Stati Uniti. Le cabine telefoniche inglesi rosse apparvero nel 1924, mentre nel nostro Paese arrivarono nel 1952.

Inizialmente erano soltanto due, e vennero installate a Milano, in piazza San Babila, dalla Società telefonica STIPEL, attiva dagli anni ’20 e successivamente incorporata nella SIP, che si trasformò in Telecom Italia e alla fine in TIM.

Le cabine telefoniche non sono un servizio universale

Le cabine STIPEL erano fatte di vetro e metallo, e funzionavano grazie a gettoni che si acquistavano nelle edicole.

Nel 2001, con l’arrivo dell’euro, non si accettarono più i gettoni, che vennero ufficialmente sostituiti dalle schede telefoniche, introdotte negli anni’70 e che vengono stampate ancora oggi. Nel corso dei primi anni Duemila cominciarono a diffondersi i cellulari e gli smartphone, e per questo le cabine telefoniche vennero utilizzate molto meno.

Nel 2009, infatti, Telecom cominciò a smantellare una gran parte di queste, soprattutto quelle dalle quali partivano meno di 3 telefonate al giorno. Chi le utilizza oggi lo fa nelle situazioni d’emergenza oppure per segnalare guasti.

Sembrava che le cabine telefoniche dovessero scomparire qualche anno fa, quando venne approvato il Codice europeo per le comunicazioni elettroniche, che stabilì che i telefoni pubblici non erano un “servizio universale”, e che quindi ogni Stato doveva impegnarsi ad offrire il servizio ai cittadini.

In Italia le cabine telefoniche vengono ancora utilizzate

In Italia sono ancora attivi 16.073 telefoni pubblici, ai quali si aggiungono 1.801 postazioni negli ospedali, nelle carceri e nelle caserme, oltre alle 470 che si trovano nei rifugi di montagna. Dal 2010 al 2017, il numero delle chiamate effettuate all’anno dalle postazioni ha visto una riduzione del 57%, ovvero meno di una chiamata ogni tre giorni.

Secondo la nuova delibera, la presenza di telefoni pubblici dovrà essere garantita soltanto nei luoghi di “rilevanza sociale”, in particolar modo nelle strutture sanitarie con almeno 10 posti letto, negli ospedali, nelle carceri e nelle caserme con almeno 50 persone.

Comunque, TIM potrà decidere se dismettere le postazioni pubbliche presenti nei rifugi, anche se per farlo dovrà accertarsi prima se nella zona è presente una copertura adeguata della rete mobile.

Icone importanti

TIM, prima di questo provvedimento, per poter rimuovere un telefono pubblico doveva esporre un avviso riguardo la rimozione dell’apparecchio, consentendo la possibilità di contestare la rimozione entro trenta giorni.

Nel 2015, l’azienda rimosse 10mila cabine e vennero presentate 505 istanze di opposizione, poiché la loro eliminazione avrebbe causato problemi, ma anche perché per alcuni erano «un’icona nella realtà di riferimento».


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«Oggi non c’è più nulla di ciò con cui otto anni fa facevamo assicurazioni: tutto è stato superato», racconta George Ottathycal, amministratore delegato di Prima assicurazioni, azienda che ha cambiato completamente il funzionamento dell’insurtech in Italia. 

«Non è facile trasformare i processi e innovare continuamente, ma è un aspetto a cui dedichiamo molto tempo perché continuiamo ad essere una digital company e vogliamo restare al passo dell’innovazione frontiera e di OpenAI», spiega. 

Prima conta su un team di 300 persone, con data analyst e ingegneri che lavorano sullo sviluppo e sulla ricerca dei processi aziendali. Negli ultimi 3 anni l’azienda ha investito 30 milioni di euro: «Prima è entrata nel mercato assicurativo con l’idea che la tecnologia potesse creare di per sé un vantaggio competitivo e siamo rimasti fedeli a questa idea», spiega Ottathycal. 

Sottolinea: «Quando si vedono software come ChatGpt si pensa sempre alla possibilità di automatizzare il servizio clienti, ma questo è solo un piccolo pezzo del mondo assicurativo. Il cuore del prodotto è il modello di pricing ed è lì che la tecnologia, l’intelligenza artificiale e il machine learning possono essere d’aiuto». 

Il futuro non è così lontano

I software di intelligenza artificiale, già oggi «sarebbero potenzialmente capaci di analizzare e passare in rassegna pattern con miliardi di dati che sono a disposizione del sistema, determinando l’effettiva rischiosità dei profili e definendo i prezzi in modo mirato». 

Si tratta di un processo completamente tecnologico, che, come sostiene Ottathycal, «alla fine porta davvero a un vantaggio per i clienti: una tariffa più profilata permette a noi di essere più accurati e di premiare gli automobilisti virtuosi. Più una assicurazione riesce a fare un’analisi del rischio adeguata e meglio riesce a essere competitiva con i prezzi». 

«Il nostro è un business molto data driven», spiega, «e lo spazio di crescita dell’automazione è quasi infinito. Alla fine potrebbe quasi diventare un sistema che si autoalimenta e si autogestisce. Per questo ChatGpt è uno stimolo: tu pensi di aver fatto bene, poi vedi qualcosa di nuovo e capisci di poter fare meglio. Questo ti spinge a impegnarti, perché capisci che il futuro non è così lontano come alcuni pensano». 

Ma Ottathycal non ha intenzione di gestire un’azienda completamente autonoma: «L’elemento umano resta centrale, non solo nella relazione con i clienti. La tecnologia è lo strumento che ci permette di essere più efficienti: tra il 2021 e il 2022 abbiamo raddoppiato la nostra base clienti ed è cresciuto il numero dei sinistri, ma non abbiamo dovuto raddoppiare il numero dei dipendenti perché siamo riusciti a ottimizzare i processi con l’automazione». 

«Se volessimo spingere ancora ci sarebbe bisogno di una mano dal mercato. Gli investitori sono diventati più selettivi, ma a noi va bene questa maggiore attenzione perché abbiamo avuto sempre molta disciplina e la sostenibilità finanziaria da parte del nostro Dna. Siamo cresciuti tanto tenendo il cervello acceso». 


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Quanti casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari ci sono stati nel 2022?

Nel 2022 in Italia si sono registrati 547 casi complessivi tra errori giudiziari e ingiuste detenzioni, registrando una diminuzione di -25 rispetto al 2021. 

Questo è quanto rilevato dall’associazione Errorigiudiziari.com, ovvero il primo archivio completamente online riguardo i casi di ingiusta detenzione e di errori giudiziari. I dati presenti sul sito sono aggiornati al 31 dicembre 2022. 

Si registra una tendenza inversa, invece, per quanto riguarda risarcimenti e indennizzi, che risultano essere in crescita: siamo di fronte a 37 milioni e 330 mila euro, che sono 11 milioni e mezzo in più rispetto all’anno precedente. 

I dati sulle ingiuste detenzioni, invece, riguardano le persone che hanno subito una custodia cautelare in carcere oppure agli arresti domiciliari per poi venire assolti. Secondo Errorigiudiziari.com, nel 2022 ci sono stati 539 casi, per una spesa complessiva relativa agli indennizzi corrispondente a 27 milioni e 378 mila euro. 

Si tratta di un leggero calo dei casi rispetto al 2021, di -26, di fronte ad una spesa che invece è aumentata, di circa 3 milioni di euro. Dal 1992 al 2022 sono stati registrati 30.556 casi: dunque, in media, circa 955 innocenti in custodia cautelare all’anno, per una spesa di 846 milioni e 655 mila euro di indennizzi – che corrisponde ad una media di 26 milioni e 460 mila euro all’anno. 

Sempre secondo quanto rilevato da Errorigiudiziari.it, ci sono stati 8 casi di errori giudiziari nel 2022, uno in più rispetto al 2021. Per errore giudiziario si intende una persona che, dopo essere stata condannata con una sentenza definitiva, viene in seguito assolta dopo un processo di revisione. 

Tra il 1991 e il 2022 sono avvenuti 222 errori giudiziari, ovvero una media di 7 all’anno. La spesa corrispondente ai risarcimenti è salita sino a 76.255.214 euro, ovvero, una media di 2 milioni e 460 euro all’anno. 



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La formazione del diritto internazionale dello spazio risale a poco prima della prima guerra mondiale. Fu il sorvolo della Manica avvenuto nel 1909 da Louis Bleriot a far emergere la questione della necessità di adottare norme giuridiche relative allo spazio aereo a livello internazionale.

Parigi, quindi, l’anno seguente, ospitò i rappresentanti di 18 Stati che discussero riguardo lo status giuridico dello spazio aereo, chiedendosi se ci potessero essere considerazioni simili a quelle relative all’alto mare. Tuttavia, lo scoppio del primo conflitto mondiale interruppe questo processo di cooperazione.

Dopo la conferenza di pace di Versailles si aprirono le possibilità di regolamentare lo spazio aereo, con la firma alla Convenzione di Parigi per la Regolamentazione della Navigazione Aerea, sostituita dalla Convenzione di Chicago del 1944. Di conseguenza, nacque anche la Commissione Internazionale per la Navigazione Aerea, che si occupò di armonizzare le norme nazionali riguardo la navigazione aerea.

Lo spazio extra-atmosferico

La navigazione aerea è regolata da norme nazionali, internazionali, pubbliche e private, mentre le attività degli Stati e dei privati nello spazio extra-atmosferico sono regolate da norme internazionali. Lo status dello spazio extra-atmosferico è aperto a tutti gli Stati, e non può essere in alcun modo interessato da rivendicazioni di sovranità.

Allo stato attuale non possiamo affermare di aver raggiunto una definizione tecnico-giuridica sulla linea di confine tra spazio aereo e spazio extra-atmosferico, e nemmeno dello spazio extra-atmosferico in sé. Nell’attesa di una definizione universalmente condivisa, si considera la distanza di 100 km dal livello del mare. 

Le attività oltre lo spazio aereo cominciarono nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, come parte di una competizione geopolitica che contrapponeva il comunismo e il capitalismo. Quando nel 1957 l’Unione Sovietica lanciò lo Sputnik I e nel 1958 la NASA lanciò l’Explorer I, iniziò ufficialmente l’era spaziale.

Nacque il diritto internazionale dello spazio per come è inteso ancora oggi, ovvero come necessità di impedire la militarizzazione dell’atmosfera. Dunque, si è reso necessario adottare regole internazionali e leggi da applicare alle attività degli Stati affinché utilizzino lo spazio con finalità pacifiche.

In ogni caso, la corsa allo spazio si caratterizzò come uno scontro tecnico-scientifico e politico-propagandistico tra potenze, accantonando quindi l’elemento militare. 

Nessuno può appropriarsi dello Spazio

Lo strumento giuridico primario al quale fa riferimento il diritto internazionale dello spazio è l’Outer Space Treaty (OST), firmato ed entrato in vigore nel 1967. Per il trattato, l’esplorazione e l’utilizzo dello spazio extra-atmosferico sono attività aperte a tutti gli Stati, ma soltanto nell’interesse e nel beneficio dell’umanità.

La Luna e i corpi celesti non sono soggetti all’appropriazione nazionale e possono essere “utilizzati” soltanto per fini pacifici. Gli Stati sono responsabili per le attività spaziali che avvengono sia tramite attività governative che non, le quali dovranno essere supervisionate e ricevere l’autorizzazione dal proprio Stato di appartenenza.

Lo spazio, quindi, rientra nel concetto di res communis: tutti possono usarlo, ma nessuno può appropriarsene.


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Aiga, sezione di Venezia organizza il ciclo PET LOVERS.

Tutti gli incontri si svolgeranno in presenza presso la Fondazione Forte Marghera, in via Forte Marghera 30, a Mestre (Ve). La capienza massima prevista è di 40 persone.

Per iscriversi agli incontri è necessario pagare una quota di iscrizione pari a 10 euro.

Si tratta di un’attività formativa accreditata dall’AIGA per la formazione professionale continua in forza del Protocollo sottoscritto con il CNF il 14 settembre 2016. Verranno riconosciuti 3 crediti formativi per ogni incontro.

Per conoscere il programma del ciclo PET LOVERS e le modalità di iscrizione alleghiamo qui sotto la locandina dell’evento con tutte le informazioni.


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La Cassazione ritorna sugli effetti causati dalla Riforma Cartabia per quanto riguarda i procedimenti per i reati con procedibilità a querela. Con la sentenza 22641 del 24 maggio 2023 viene accolto il ricorso di un uomo che è stato accusato di furto aggravato durante la sua permanenza in comunità per espiazione di una pena.

La V Sezione penale, dopo essersi interrogata riguardo l’esistenza di una condizione di procedibilità valida, ha rilevato che la querela/denunzia agli atti non aveva tutti i requisiti necessari. L’atto, infatti, era stato firmato da un’operatrice che lavorava nella comunità, che si occupava della delega alla presentazione della denuncia del rappresentante legale della Cooperativa sociale e che possedeva l’autovettura rubata, ma senza che la firma fosse autenticata.

La Cassazione ricorda che «in luogo dell’avente diritto, la querela può essere presentata dal suo procuratore speciale, ma la procura speciale che legittima quest’ultimo deve essere rilasciata con le formalità suddette» (33162/2018). Si tratta delle formalità indicate dall’art. 337 del codice di procedura penale, formalità della querela.

Quest’ultimo, al comma 1, dice che la dichiarazione di querela debba essere proposta con le forme stabilite dall’art. 333, comma 2 del codice di procedura penale. A sua volta, questo stabilisce che la denuncia potrà essere presentata per iscritto oppure oralmente, personalmente o dal procuratore speciale.

Al comma 2 dell’art 337 si prevede anche che la querela che viene presentata oralmente potrebbe anche essere sottoscritta, sia personalmente dall’interessato ma anche dal procuratore speciale. La norma di riferimento in questione di tema di procura speciale si trova all’art. 122 del codice di procedura penale, per il quale «quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale, la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata».

La Cassazione, con la decisione 22658, fa riferimento ad una condanna per furto aggravato, rispetto al quale sussisteva una «mera denuncia» che non si accompagnava ad alcuna richiesta di punizione e che ha accolto il ricorso dell’imputato.

Per la V sezione penale, il «silenzio legislativo esclude uno stringente dovere di svolgere accertamenti, quanto alla sopravvenuta presentazione di una querela, accertamenti che peraltro possono solo indicativamente essere delineati, in assenza di un puntuale percorso normativo».

Ne consegue «che appare ragionevolmente sostenibile la sussistenza di un onere in capo alla pubblica accusa di introdurre atti sopravvenuti che, come detto, valgano a documentare la persistente procedibilità dell’azione penale esercitata».

Continua: «Tutto ciò non esclude che il giudice di legittimità, nel tentativo di porre rimedio alle carenze normative, attivi prassi finalizzate a impedire che ritardi, da parte delle Procure della Repubblica, nella trasmissione delle querele sopravvenute possano condurre ad epiloghi decisori di improcedibilità nonostante la sopraggiunta presentazione di istanze punitive».

«Ma, si ripete, si tratta di modelli organizzativi che, in assenza di puntuali indicazioni normative, rappresentano uno scrupolo istituzionale finalizzato all’avanzamento della tutela garantita dall’ordinamento alle persone offese con riguardo alla facoltà di sporgere querela».

Nel caso in questione, «una interlocuzione con la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pescara ha consentito di accertare che non risulta essere stata presentata alcuna querela, a seguito dell’originaria denuncia». La sentenza, dunque, deve essere annullata senza rinvio.


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