bonus avvocati

[AGGIORNATO 19 MAGGIO] Bonus avvocati: nuovi pagamenti ma le risorse sono terminate

Aggiornamento 19 maggio:
Lo scorso 15 maggio, Cassa Forense ha comunicato tramite il proprio sito che,
a seguito dei nuovi stanziamenti disposti con D.I. n. 10 del 4 maggio 2020, è stato possibile provvedere alla liquidazione delle rimanenti richieste di bonus da 600 euro relative al mese di marzo.
Il totale delle domande liquidate, sempre riferite al mese di marzo, ha riguardato 139.311 iscritti.

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Il 22 aprile 2020, tramite un comunicato sul suo sito, Cassa Forense ha annunciato l’erogazione di altri 28.252 ‘bonus avvocati’. 

Inoltre, ha ripreso quanto già annunciato in un precedente comunicato a proposito del pagamento del bonus da 600 euro a coloro che si sono iscritti a Cassa Forense nel periodo tra l’1 gennaio 2019 e l’1 aprile 2020 e che ne avevano fatto domanda.
Cassa Forense ha assicurato che tali soggetti non sono affatto esclusi dall’erogazione del bonus avvocati e garantisce quindi che le loro domande sono state regolarmente accettate, che la loro posizione cronologica è invariata e che si procederà coi pagamenti.

Ed è proprio qui che sorge un problema. Anzi, IL problema…

NON CI SONO PIÙ SOLDI PER IL BONUS AVVOCATI

Secondo Il Sole 24 Ore, al 19 aprile le domande per l’ottenimento del bonus di 600€ giunte a Cassa Forense erano poco più di 136.000. I bonus già erogati quasi 74.000 €.

Che le risorse economiche a disposizione per coprire il reddito di ultima istanza non fossero infinite, già si sapeva.

E infatti, sono terminate.

Nel medesimo comunicato del 22 aprile, Cassa Forense scrive: «il budget disponibile ha consentito di definire le domande degli aventi diritto presentate fino alle ore 17.00 del 2 aprile 2020.
Le circa 30.000 domande pervenute in epoca successiva sono, al momento, prive di copertura.»

E ADESSO, CHE SI FA?

Cassa Forense informa che l’Adepp solleciterà nuovamente il Ministero del Lavoro per ottenere un ulteriore finanziamento che permetta di pagare tutte le domande non ancora evase. 
Aggiunge anche che tale richiesta vuole
«porre rimedio alla già segnalata iniquità dell’esclusione dal beneficio dei titolari di pensione d’invalidità, reversibilità e indirette, nonché del criterio di “esclusività” di iscrizione ad una Cassa professionale, introdotto dall’art. 34 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23.»

Vi aggiorneremo.

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COVID-19 è infortunio sul lavoro: la responsabilità è dell’imprenditore

[AGGIORNATO 21 MAGGIO] COVID-19 è infortunio sul lavoro: la responsabilità è dell’imprenditore?

***Per gli aggiornamenti, vai alla fine dell’articolo***

Riaprire il paese e riattivarne il cuore produttivo per scongiurare effetti devastanti sull’economia e la società è una necessità di cui siamo tutti consapevoli. Certo è che il Coronavirus rimarrà tra noi per molto tempo e dovremo imparare a conviverci.

Da un punto di vista lavorativo, questa convivenza porterà a dei notevoli cambiamenti, con un aumento dello smart working, orari di lavoro più ampi e flessibili, rivoluzione degli ambienti e, più di ogni altra cosa, con l’imposizione di rigide misure di sicurezza sanitaria al personale di fabbriche, uffici e negozi.

Gli imprenditori, che per più di un mese si sono visti la produzione bloccata a fronte di costi fissi immutati, primo fra tutti quello del personale, scalpitano per la riapertura.

C’è solo un piccolo dettaglio che rende la riapertura “pericolosa”. E non dal punto di vista sanitario.

AMMALARSI DI COVID-19 È INFORTUNIO SUL LAVORO

Il comma 2 dell’art. 42 del decreto Cura Italia indica che l’eventualità che un lavoratore venga contagiato da COVID-19 durante la sua attività lavorativa ricade nella casistica dell’infortunio sul lavoro.
La stessa INAIL ribadisce il concetto nella circolare 13 del 3 aprile.

Cosa significa?

Significa che, come per qualsiasi altro infortunio, il lavoratore che si ammala di COVID-19 può rivalersi nei confronti del datore di lavoro, con tutto ciò che ne deriva in fatto di possibili azioni legali e richieste di risarcimenti.

In un’intervista a Il Giornale, Luca Failla, giuslavorista e founder partner di Lablaw, spiega: «Il riconoscimento di infortunio sul lavoro non costituisce di per sé riconoscimento di responsabilità penale. Di sicuro apre la possibilità, è un rischio astratto, di responsabilità penale in capo all’azienda. Poi bisognerà vedere se il lavoratore può provare di aver contratto il COVID mentre svolgeva attività lavorativa».

Ed è proprio qui che si apre il frangente più nebuloso, e quindi pericoloso, per l’imprenditore: se ammalarsi di COVID-19 è infortunio sul lavoro, come si dimostra che il contagio è avvenuto durante l’attività lavorativa?

L’ONERE PROBATORIO

Come si può avere la certezza?

Failla ammette che: «Non è semplice dimostrare che un lavoratore si è ammalato sul posto di lavoro. Qui si apre il tema della ripartizione dell’onere probatorio: è il lavoratore che deve provare che il datore è venuto meno a norme di tutela della sicurezza o deve essere il datore a dimostrare di non aver mancato nei propri obblighi?».

E aggiunge: «Nel caso del Coronavirus si fa tutto più complicato: se un lavoratore contrae il COVID a oltre due settimane dall’ultima volta che è andato al lavoro, c’è una forte presunzione che il virus sia stato preso fuori dagli ambienti lavorativi; se invece un dipendente ha continuato a svolgere le sue mansioni, è più facile che dica di aver contratto il virus sul luogo di lavoro. E a questo punto sarà il datore che dovrà provare a discolparsi e dimostrare che il Covid non è stato recepito nell’esercizio dell’attività lavorativa. Basterebbe però che anche un altro dipendente abbia contratto il virus per creare una sorta di presunzione di responsabilità del datore».

SE LA RESPONSABILITÀ È DELL’IMPRENDITORE, COME PUÒ TUTELARSI?

L’imprenditore/datore di lavoro era responsabile della salute e della sicurezza dei suoi dipendenti ed era tenuto ad adottare misure per prevenire infortuni e malattie sul lavoro anche prima del Coronavirus (D.Lgs. 231/2001 e D.Lgs. 81/2008).

Ma, come abbiamo visto, l’infortunio da COVID-19 è più indeterminabile dei rischi e dei pericoli ai quali le aziende e i lavoratori sono stati abituati finora. Infatti, le caratteristiche del virus (il lungo periodo di incubazione, la possibile asintomaticità, la somiglianza con sindromi influenzali, l’alta trasmissibilità) rendono difficile definire con precisione il luogo e il momento dell’effettivo contagio.

Dunque, cosa può fare un imprenditore per tutelarsi?

Al momento, l’unica arma certa è la prevenzione che si concretizza in:
valutare con precisione i rischi di contagio da Coronavirus in azienda,
aderire in modo preciso alle indicazioni previste nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro (o altri futuri regolamenti in materia).

Questo però potrebbe non bastare.
Come suggerisce Il Giornale, procurarsi i body scanner per misurare la temperatura ai dipendenti prima che questi entrino nel luogo di lavoro o, se fosse possibile, acquistare tamponi e test sierologici certamente aiuterebbe, ma è chiaro che non sono soluzioni alla portata di tutti.

AGGIORNAMENTO 15 MAGGIO 2020

In un comunicato ufficiale pubblicato sul suo sito, l’INAIL chiarisce che il riconoscimento del contagio da COVID-19 come infortunio sul lavoro non è automatico e che la responsabilità del datore di lavoro subentra solo in caso di dolo e colpa. 

AGGIORNAMENTO DEL 21 MAGGIO 2020

Con la circolare n.22 del 20 maggio, l’INAIL fornisce ulteriori istruzioni operative e chiarisce alcuni dei dubbi relativi alla tutela infortunistica degli eventi di contagio.
In particolare:
– ribadisce che COVID-19 è infortunio sul lavoro, così come tutte le infezioni da agenti biologici contratte durante l’attività lavorativa;
l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche la quarantena o la permanenza domiciliare fiduciaria;
gli infortuni da COVID- 19 rientrano nella gestione assicurativa complessiva, senza comportare maggiori oneri per le imprese;
un eventuale contagio da COVID-19 non si traduce automaticamente in infortunio sul lavoro: deve essere accertare la sussistenza di “indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice di origine professionale, ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’Istituto“;
la responsabilità civile e penale del datore di lavoro deve essere accertata secondo criteri diversi da quelli usati per riconoscere COVID-19 come infortunio sul lavoro: “oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro.
Qui il testo integrale della circolare n.22 dell’INAIL.

 

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immuni app di tracciamento

IMMUNI parte 1: tutti i dubbi sulla app di tracciamento

Della app IMMUNI se ne sta parlando molto sia nei media tradizionali che su internet. Con un tale ammontare di informazioni, che spesso diventano obsolete nel giro di poche ore, è davvero difficile orientarsi.

Dato che venirne a capo è, al momento, davvero complicato, abbiamo cercato di raccogliere alcuni tra i dubbi e le domande, ma anche i giudizi, che questa app sta più di frequente generando tra politici, esperti di diritto, di informatica e non solo.

COME FUNZIONA LA APP IMMUNI E CHI L’HA SVILUPPATA

La app IMMUNI è una app di tracciamento di prossimità.
In parole povere, permette degli scambi di dati tra dispositivi che sono tra loro vicini e che hanno il bluetooth attivato.
A ogni dispositivo è assegnato un ID temporaneo e mutevole.

Se un individuo nel cui smartphone sia presente IMMUNI scopre di essere positivo al Coronavirus, gli viene fornito un codice con il quale può scaricare su un server l’elenco degli ID degli smartphone che avevano a loro volta IMMUNI installata e attivata con cui entrato in contatto nei giorni precedenti.
A questo punto, a tutti questi contatti verrà inviata una notifica del rischio di contagio, sempre tramite la app.

È una app molto simile a quella utilizzata a Singapore.

A quanto pare però IMMUNI ha anche un’altra funzionalità: una sorta di diario clinico in cui l’utente può inserire informazioni sul proprio stato di salute, la comparsa di sintomi o altro.

IMMUNI è sviluppata gratuitamente dalla società milanese Bending Spoons, specializzata in app ludiche.
La società è una SPA in cui l’80% del capitale è in mano ai fondatori, il 10-12% ai collaboratori, circa il 6% è diviso tra H14 (Family Office italiano, di proprietà dei figli di Silvio Berlusconi: Barbara, Eleonora e Luigi che detiene il 21,4% di Fininvest), Nuo Capital (holding di investimenti dalla famiglia Pao Cheng di Hong Kong) e StarTip (collegata a Tamburi Investments Partners spa, holding di investimento di Gianni Tamburi).

Bending Spoon è anche parte del progetto PEPP-PT (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) che si occupa proprio della creazione di app di tracciamento che dovrebbero garantire una raccolta e un uso dei dati il più sicuri possibile attraverso l’uso del bluetooth, la crittografia e l’anonimizzazione dei dati.

L’utilità di IMMUNI si manifesterà nella cosiddetta Fase 2, quando il paese verrà gradualmente riaperto e il rischio di una seconda ondata di contagi si concretizzerà.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di individuare e isolare il prima possibile potenziali infetti e arginare focolai senza limitare l’intera popolazione indiscriminatamente come è stato finora.

Il prototipo della app è pronto e si aspettano i risultati dei primi test per l’individuazione e la correzione di eventuali malfunzionamenti.

APP DI TRACCIAMENTO: LE QUESTIONI POCO CHIARE

I dubbi principali si dividono in due macrocategorie:
dubbi sulla trasparenza dell’iter che ha portato alla scelta proprio di questa app e non di altre,
– dubbi sugli aspetti legati alla privacy e la mancanza di chiare informazioni ai cittadini a riguardo.

Riportiamo qui di seguito alcune delle questioni più rilevanti, alle quali però non siamo in grado di dare risposte.

1) Non è chiaro chi siano tutti i soggetti che possono avere accesso ai dati raccolti tramite la app.
La app IMMUNI è stata sviluppata in collaborazione con il Centro medico Santagostino, catena di ambulatori privati, e Jakala, società di marketing che opera nel settore dei big data.
Queste due società entreranno in contatto con i dati raccolti tramite la app? Se sì, cosa ne faranno?

2) L’uso di ID che permettono di identificare i soggetti che sono entrati in contatto con un malato non sembra rispettare il concetto di anonimizzazione dei dati. Si tratterebbe, invece, di pseudonimizzazione.
Idem dicasi la parte di diario clinico nella quale possono essere inseriti dati molto personali e molto precisi che inevitabilmente sono collegati a un soggetto preciso.

3) La redazione del diario clinico non assicura che e persone inseriscano dati corretti e affidabili, quindi a cosa serve esattamente? Come si prevede di risolvere questa incertezza?

4) L’esperienza della app di Singapore ha dimostrato l’esistenza di un alto numero di falsi positivi e falsi negativi. Come se la caverà la app italiana? Quali contromisure sono state adottate?

5) Che interesse ha la società creatrice a concedere la app gratuitamente? La sua composizione societaria va tenuta in considerazione? La presenza di finanziatori cinesi può configurarsi come un rischio per la sicurezza nazionale?

6) La prima bozza di presentazione della app è giunta al governo prima della apertura del bando al quale hanno partecipato 300 proposte. Manca trasparenza sui criteri di scelta.

7) Va ricordato che il progetto europeo PEPP-PT non è un progetto istituzionale ma di un gruppo di soggetti privati che sembra mancare di trasparenza.

8) Non si sa bene a quali server si appoggerà la app.
C’è chi suggerisce un coinvolgimento di Tim che ha appena stretto un accordo con Google e chi dice Amazon. In entrambi i casi ci si affiderebbe quindi a strutture extra europee che hanno politiche diverse in fatto di privacy e trattamento dei dati personali.
Si starebbero valutando anche server da collocare presso i ministeri della Difesa e dell’Interno o di coinvolgere la Protezione Civile.

9) La app è facoltativa, ma per essere efficace deve essere scaricata da almeno il 60-70% della popolazione italiana. Percentuale ambiziosa! Non si sa bene come lo Stato abbia intenzione di raggiungerla.

10) Il GDPR è molto chiaro: quando si parla di dati personali, il consenso deve essere informato, libero e consapevole.
Nelle ultime ore circola l’idea di una limitazione degli spostamenti per coloro che non scaricheranno la app, configurando quindi una obbligatorietà indiretta.
Addirittura, si parla di imporre un braccialetto elettronico alle fasce di popolazione sprovviste di smartphone o non avvezze alla tecnologia.
Infine c’è chi, come il presidente del Veneto Zaia, già preannuncia una futura obbligatorietà che mal si sposa con l’idea di consenso indicato dal GDPR.

11) Non è chiaro cosa succeda dopo aver ricevuto il messaggio di essere entrati in contatto con un soggetto positivo a COVID-19. Si dovrà fare un tampone? Si dovrà chiudersi in isolamento preventivo? E a quali sanzioni si va in contro se non si seguono tali procedure?

12) Mancherebbe un’analisi di impatto che indichi in modo preciso l’effetto che l’uso della app avrebbe sul contenimento dell’epidemia.
A tal proposito, l’Ada Lovelace Institute ha pubblicato il report “COVID-19 Rapid Evidence Review: Exit through the App Store?” in cui afferma che
«mancano prove che sostengano l’implementazione nazionale immediata di app di tracciamento dei sintomi, app di tracciabilità dei contatti digitali e certificati digitali di immunità».

13) In linea generale, mancano garanzie sulla tutela della privacy, sul trattamento dei dati, l’accesso a questi, il diritto all’oblio.

Potemmo dire che il vero problema è la mancanza di una comunicazione da parte delle autorità, quando invece i cittadini devono essere informati in modo chiaro e preciso sulle conseguenze che il download della app può avere sulla libertà personale.

Il Garante Garante della Privacy non ha ancora esaminato la app e pertanto non ha ancora espresso il suo parare, ma è ben consapevole delle potenziali derive anti-democratiche alle quali una massiccia tecnologia di controllo, come è questa app di tracciamento, può portare.

E non è certamente l’unico a preoccuparsi di questo aspetto…Continua a leggere l’articolo.

Fonti e approfondimenti:
https://www.linkedin.com/pulse/tutto-quello-che-dovreste-sapere-sullapp-immuni-e-non-andrea-lisi
https://www.studiocataldi.it/articoli/38107-coronavirus-misure-di-contenimento-incostituzionali-inadeguate-e-controproducenti.asp
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/coronavirus-e-dati-personali-diritto-alloblio-priorita-nel-post-emergenza/
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/contact-tracing-vs-il-coronavirus-dove-va-leuropa-le-app-dei-diversi-paesi/
https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/04/21/news/coronavirus_immuni_l_app_anti_pandemia_diventa_l_app_del_caos-254590533/
https://www.affaritaliani.it/politica/coronavirus-dubbi-sull-app-immuni-faro-copasir-sui-finanziamenti-cinesi-667521.html
https://www.firstonline.info/fase-2-e-app-come-funziona-immuni-e-chi-sono-i-suoi-azionisti/
https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/immuni-come-funziona-lapp-italiana-contro-il-coronavirus/
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/app-coronavirus-9-domande-urgenti-al-governo-italiano/

 

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Leggi la prima parte dell’articolo.

La tutela della privacy in questo momento di crisi non è quindi solo un mero esercizio di diritto. È la necessaria difesa contro la prospettiva di un futuro contraddistinto da governi autoritari e invasivi.

In un suo articolo intitolato ‘Coronavirus: misure di contenimento incostituzionali, inadeguate e controproducenti‘, l’avvocato Maurizio Giordano scrive:

La dichiarazione dello “stato di emergenza” nel gennaio di quest’anno in seguito all’epidemia da “coronavirus” ha portato a partire dal 12 marzo all’adozione da parte del Governo di misure estremamente restrittive delle libertà personali […] che inizialmente sarebbero dovute durare 2 settimane.
[…]
La campagna mediatica “unidirezionale” che ha preparato e accompagnato queste misure ha di fatto avuto l’effetto di scatenare il panico tra i cittadini, convincendoli sostanzialmente della necessità di tali misure per tutelare la salute di tutti -in particolare degli anziani- inducendoli ad accettare senza alcuna resistenza una limitazione delle proprie libertà personali che non ha precedenti nella storia repubblicana.
[…]
Il terrore del virus ha convinto tutti, senza distinzione di istruzione o ceto sociale, senza che da nessuna parte si sollevassero dubbi o obiezioni, pronti a rinunciare a qualunque diritto pur di avere salva la pelle […]
…hanno sostanzialmente avvallato il sacrificio della libertà personale in nome di un diritto posto a loro giudizio ad un livello superiore quale quello alla salute, proprio in forza di un principio di “solidarietà effettiva” sancito dall’art. 3 della Costituzione.”

La app IMMUNI è il risultato tangibile di questo stato di paura e di contrazione delle libertà.

Come già indicato nell’articolo precedente, l’uso della app dovrebbe basarsi su un consenso libero, informato e consapevole da parte dei cittadini, così come indicato dal GDPR. Invece, si parla di forzare il download imponendo dei limiti alla mobilità di coloro che ne saranno sprovvisti o di imporre braccialetti elettronici agli anziani che con la tecnologia non vanno propriamente d’accordo. 

Inoltre, la app non sembra garantire la dovuta sicurezza nel trattamento dei dati personali raccolti e la necessaria tutela della privacy, così come richiesto dal Codice della Privacy e dal GDPR.

GDPR, TUTELA DELLA PRIVACY E APP DI TRACCIAMENTO

Al Consideranto 7del GDPR si legge che: «È opportuno che le persone fisiche abbiano il controllo dei dati personali che li riguardano e che la certezza giuridica e operativa sia rafforzata tanto per le persone fisiche quanto per gli operatori economici e le autorità pubbliche».

Ciò significa che l’interessato ha il diritto:

– ad essere informato in modo trasparente sul trattamento (artt. 12, 13 e 14),
– di accedere al trattamento e ai dati personali trattati (art. 15),
– ad essere informato in caso di violazioni dei dati personali che presentino rischi elevati per i suoi diritti (art. 34),
– di prestare e revocare il consenso al trattamento (art. 7),
– di limitare il trattamento (art. 18),
– di opporsi al trattamento (art. 21),
di ricevere e spostare insiemi strutturati di dati personali (art. 20),
– di rettificare e integrare i dati personali (art. 16),
– di ottenere la cancellazione dei propri dati personali (art. 17),
– di non essere sottoposto a decisioni basate su trattamenti automatizzati dai quali derivino decisioni arbitrarie che incidono sulla sua sfera giuridica o sulla sua persona (art. 22).

Ma all’art.23, il GDPR prevede che sia possibile limitare alcuni diritti in nome di interessi più importanti (concetto già sancito dall’art. 52 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’art. 15 della Direttiva E-Privacy). Tra questi, la salute.

Per esempio, il diritto all’oblio da parte del titolare può venire rifiutato se il trattamento è necessario per l’esercizio della libertà di espressione e di informazione, in caso di adempimenti di obblighi giuridico previsti dal diritto dell’Unione o dei suoi membri, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità, per archiviazione nel pubblico interesse, per ricerche scientifiche, storiche o a fini statistici, ma anche per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria. (paragrafo 2 dell’art. 17).

Nella situazione attuale, il rischio è quello che lo stato di emergenza si trasformi in un’alibi per imporre ai cittadini forme di controllo pervasive e anti-democratiche sfruttando interpretazioni di tali riferimenti normativi.
Chi decide quando l’emergenza potrà dirsi finita? E cosa ne sarà di tutti i dati raccolti tramite la app IMMUNI? Ci verrà chiesto di tenerla attiva ad oltranza in nome della prevenzione di possibili nuove ondate di COVID-19, delle normali influenze stagionali o, addirittura, per altri motivi che ora non riusciamo nemmeno a immaginare?

LE TUTELE POSTE DALL’EUROPA

Il monitoraggio dell’epidemia tramite contact tracing è stata la centro dell’attenzione del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (European Centre for Disease Prevention and Control).

L’ ECDC ha definito quali dovessero essere gli obiettivi e i limiti delle misure di tracciamento e ha stabilito che lo scopo sia SOLO quello di identificare e gestire i contatti di coloro che siano risultati positivi al Covid-19. È possibile farlo:

  • – identificando in fretta gli infetti e le persone che sono venute in contatto con loro
  • contattando velocemente questi soggetti e informandoli su cosa devono fare
  • sottoporli a test per verificarne a positività

L’European Data Protection Board ha fornito delle linee guida al trattamento dei dati da parte delle AutoritàPubbliche degli stati membri per far sì che tale trattamento non leda i diritti personali dei cittadini e che il rischio di tale lesione non costituisca un rischi sproporzionato rispetto alla situazione.

L’EDPB ribadisce che i dati debbano essere raccolti in modo anonimo, e che non permettano di risalire all’identità del singolo.

Inoltre, indica che gli Stati devono sempre muoversi perseguendo il principio di proporzionalità: vanno sempre preferite quelle soluzioni che consentono di ottenere un obiettivo specifico garantendo la minore intrusione nella sfera privata dei cittadini.

EDPB, nella comunicazione del 14/4/2020 ha chiarito che «the enactment of national laws, promoting the voluntary use of the app without any negative consequence for the individuals not using it, could be a legal basis for the use of the apps».
Si evince che l’idea di estorcere il consenso dei cittadini italiani all’uso della app IMMUNI imponendo limitazioni alla mobilità è totalmente contrario a quando espresso dall’EDPB.

E IL GARANTE DELLA PRIVACY COSA DICE?

Il Garante della Privacy non ha ancora visionato la app di tracciamento, ma in un suo articolo su Agenda Digitale Antonello Soro si dimostra consapevole del rischio di derive anti-democratiche che si nascondono dietro alle misure di controllo.
Tali derive devono essere evitate garantendo
«proporzionalità, lungimiranza e ragionevolezza dell’intervento, oltre che naturalmente [la] sua temporaneità».

Nel frattempo, il tema della mancata tutela della privacy insita nella app IMMUNI ha una richiesta politicamente trasversale di maggiori garanzie. Soprattutto, da più parti si solleva la necessità che la decisione di controllare gran parte dei cittadini italiani tramite la app non venga presa in autonomia da un commissario straordinario o imposta con dpcm da una sola parte politica, ma sia il frutto di una dibattito parlamentare.

Anche il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha assicurato che approfondirà alcune questioni relative a IMMUNI, sia dal punto di vista tecnico che societario, dato che Bending Spoon ha una quota del proprio capitale in mano a soggetti cinesi.

Confidiamo che nei prossimi giorni vengano diffuse informazioni più chiare su questa app di tracciamento, sulla sua reale volontarietà e sugli effetti che il suo uso avrà sulle libertà e le privacy dei cittadini.

Leggi la prima parte dell’articolo.

Fonti e approfondimenti:
https://www.linkedin.com/pulse/tutto-quello-che-dovreste-sapere-sullapp-immuni-e-non-andrea-lisi
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/coronavirus-e-dati-personali-diritto-alloblio-priorita-nel-post-emergenza/
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/contact-tracing-vs-il-coronavirus-dove-va-leuropa-le-app-dei-diversi-paesi/
https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/04/21/news/coronavirus_immuni_l_app_anti_pandemia_diventa_l_app_del_caos-254590533/
https://www.affaritaliani.it/politica/coronavirus-dubbi-sull-app-immuni-faro-copasir-sui-finanziamenti-cinesi-667521.html
https://www.firstonline.info/fase-2-e-app-come-funziona-immuni-e-chi-sono-i-suoi-azionisti/
https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/immuni-come-funziona-lapp-italiana-contro-il-coronavirus
https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/app-coronavirus-9-domande-urgenti-al-governo-italiano/

 

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Dati e privacy: pseudonimizzazione e anonimizzazione

protocollo per la trattazione delle adunanze civili e penali camerali

Cassazione: il protocollo per la trattazione delle adunanze civili e penali

Lo scorso 9 aprile 2020 la Corte Suprema di Cassazione, la Procura Generale presso la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense per la digitalizzazione degli atti della Corte Suprema di Cassazione hanno sottoscritto il protocollo per la trattazione delle adunanze civili e penali camerali non partecipate durante il periodo di applicazione delle misure a prevenzione del contagio da Covid-19.

Il protocollo ha l’obiettivo di agevolare la trattazione dei procedimenti, condizionati dalle difficoltà eccezionali del periodo.
Perché il lavoro da remoto sia possibile è necessario che esista un ‘supporto informatico trasmissibile in via telematica’ a disposizione dei componenti del collegio giudicante e del pubblico ministero.

In sostanza, il protocollo si concentra sul favorire la digitalizzazione degli atti processuali. 
La conseguente agevolazione dei procedimenti avviene in due modi:

  • attraverso l’invio della copia informatica degli atti già depositati in forma cartacea
  • attraverso il deposito di memorie e motivi aggiunti tramite PEC.

L’efficacia del protocollo si estende fino al 30 giugno.

CONTENUTI DEL PROTOCOLLO PER LA TRATTAZIONE DELLE ADUNANZE CIVILI E PENALI

Il protocollo si compone di 8 punti.

1) CONTENUTO DEL PROVVEDIMENTO DI FISSAZIONE DELL’UDIENZA

1.1. I difensori hanno 7 giorni di tempo dal momento della ricezione dell’avviso di fissazione dell’adunanza o udienza camerale da parte della Cancelleria della Corte di Cassazione per inviare la copia informatica in pdf degli atti processuali del giudizio di Cassazione, sia civili che penali, già depositati nelle forme ordinarie previste dalla legge (per il civile: ricorso, controricorso, nota di deposito ex art. 372, comma 2, c.p.c., provvedimento impugnato; per il penale: ricorso, motivi nuovi, provvedimento impugnato).

1.2. Nell’avviso di fissazione è segnalato che, nel caso in cui i documenti non pervenissero entro i 7 giorni, la trattazione della causa, già fissata, potrebbe essere rinviata a nuovo ruolo se il collegio non sé nella possibilità di decidere nella camera di consiglio da remoto.

2) MODALITÀ DI INVIO DEGLI ATTI DEI DIFENSORI

2.1. Il difensore deve trasmettere gli atti richiesti dal proprio indirizzo PEC presente nel RE.G.IND.E a:
a. agli indirizzi PEC delle cancellerie della Corte di Cassazione e delle segreterie della Procura Generale, (gli indirizzi sono presenti nei siti internet dei sottoscrittori del protocollo),
b. agli indirizzi PEC dei difensori delle altre parti processuali presenti nei pubblici registri (art. 16.ter del d.l. n. 179 del 2012 e successive modificazioni).

2.2. Il difensore deve procedere con invii specifici per ogni ricorso per il quale sia stato ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza. Non si può fare un unico invio per atti relativi a più ricorsi.
Il messaggio del singolo invio deve contenere la chiara indicazione nell’oggetto del numero del ruolo generale, della sezione, civile o penale, della data dell’udienza o adunanza secondo il format scelto dai sottoscrittori.

2.3. I difensori devono trasmettere copie informatiche i cui contenuti siano uguali agli originali o alle copie già presenti nel fascicolo cartaceo.

2.4. Le memorie ai sensi degli artt. 380-bis, 380-bis 1 e 380-ter c.p.c. possono essere trasmesse seguendo le stesse modalità di cui ai punti 2.1. e 2.2.

2.5. Resta fermo quanto previsto dai decreti del Primo Presidente della Corte di Cassazione innanzi richiamati, quanto alla trasmissione delle memorie e dei motivi aggiunti nei procedimenti civili e penali.

2.6. Ciascuna delle parti processuali ha la facoltà di trasmettere tutti gli atti del processo, ivi compresi quelli depositati dalle altre parti.

3) MANCATO O RITARDATO INVIO DEGLI ATTI

3.1. La trasmissione degli atti indicati nell’art.1 deve avvenire entro e non oltre il settimo giorno successivo alla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza o adunanza camerale.
Se il termine non viene rispettato, la trattazione della causa, già fissata, potrà essere rinviata a nuovo ruolo ove il collegio non sia in condizione di decidere nella camera di consiglio da remoto.

4) MODALITÀ DI INVIO DEGLI ATTI DELLA PROCURA GENERALE

4.1. La Procura Generale provvede a trasmettere agli indirizzi PEC delle cancellerie della Corte di Cassazione e dei difensori, di cui al punto 2.1, la copia informatica degli atti processuali del giudizio di Cassazione, sia civili che penali, già precedentemente depositati in forme ordinarie conformi alla legge.

4.2. Le conclusioni scritte ai sensi degli artt. 380-bis.1 e 380-ter c.p.c., le richieste e le memorie di cui all’art. 611 c.p.p. possono essere trasmesse con le stesse modalità.

5) SVOLGIMENTO DELLA CAMERA DI CONSIGLIO

5.1. La Camera di Consiglio è svolta secondo le modalità indicate nei decreti del Primo Presidente richiamati nelle premesse.

5.2. Le cancellerie provvedono all’inserimento nei fascicoli cartacei delle note di cui al punto 2.5.

6) AVVERTENZA

6.1. La trasmissione della copia informatica degli originali cartacei non sostituisce il deposito nelle forme previste dai codici di rito, civile e penale, e non determina rimessione in termini per le eventuali decadenze già maturate.

7) TERMINE DI EFFICACIA DEL PRESENTE PROTOCOLLO

7.1. Il protocollo ha efficacia dal giorno della sua sottoscrizione fino al 30 giugno 2020, salva l’adozione di un nuovo protocollo.

8) PUBBLICITÀ

8.1. Il Consiglio Nazionale Forense darà ampia diffusione al presente protocollo, promuovendone l’applicazione.

Vi consigliamo vivamente di leggere il testo originale del protocollo per la trattazione delle adunanze civili e penali camerali non partecipate durante il periodo di applicazione delle misure a prevenzione del contagio da Covid-19. Il protocollo è reperibile sul sito ufficiale del Consiglio Nazionale Forense.

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bonus per gli avvocati

Ulteriori notizie sul Bonus per gli Avvocati

Vi riportiamo un riassunto dei contenuti presenti dei comunicati pubblicati  fino al 17 aprile 2020 sul sito di Cassa Forense a proposito dell’erogazione del bonus per gli avvocati da 600 €.

Per leggere i comunicati originali vi basta cliccare sul titolo del paragrafo.

IL CRITERIO DELL’ESCLUSIVITÀ 

L’ottenimento del bonus è vincolato ad alcuni criteri. In particolare, gli avvocati:
non devono essere pensionati,
devono essere iscritti a Cassa Forense in via esclusiva.

Solo coloro che prima dell’iscrizione obbligatoria a Cassa Forense versavano i contributi alla Gestione Separata INPS e che al momento non svolgono altre attività con contribuzione versata altrove, potevano presentare (o possono integrare) la domanda per l’ottenimento del bonus di 600€.

Queste precisazioni sono però arrivate dopo l’avvio della presentazione delle domande, generando un blocco nei pagamenti di cui parleremo più avanti.

L’INTEGRAZIONE NECESSARIA

Lo scorso 9 aprile gli iscritti che avevano già presentato la domanda per il bonus avvocati sono stati invitati, tramite un comunicato ufficiale, a integrare la pratica con una dichiarazione che attestasse la loro iscrizione in via esclusiva a Cassa Forense.
L’integrazione va presentata tramite la procedura nell’area riservata del sito entro il 30 aprile.

Cassa Forense specifica che la dichiarazione integrativa non va a modificare la graduatoria delle domande ricevute, ma che la sua mancanza inficia l’accoglimento della stessa.
Questo però genera un problema di cui gli avvocati devono essere consapevoli.

Se la mancata integrazione di una domanda non modifica la graduatoria ma blocca il pagamento, significa che le domande complete successive in graduatoria non possono essere soddisfatte.

In altre parole, gli avvocati devono premurarsi di integrare la domande il prima possibile per non ostacolare la soddisfazione delle domande dei propri colleghi.

QUANDO I PAGAMENTI DEL BONUS PER GLI AVVOCATI?

L’aggiunta dei nuovi criteri visti sopra ha comportato il restringimento improvviso della platea di coloro che potevano aspirare al reddito di ultima istanza. Questo ha, a sua volta, bloccato l’erogazione dei pagamenti.

Nonostante ciò, nel sito ufficiale Cassa Forense comunica che il pagamento del bonus per gli avvocati è già partito e proprio in questi giorni (16,17 aprile) i primi 74.000 aventi diritto stanno ricevendo i 600€.

L’erogazione dei pagamenti segue l’ordine di presentazione delle domande e proseguirà fino all’esaurimento delle risorse disponibili come stabilito dal D.M. del 28 marzo 2020.

Se non aveste ancora ricevuto alcun pagamento, non preoccupatevi.
Può dipendere dal fatto che siano in corso verifiche sui redditi o che si sia in attesa di chiarimenti da parte del Ministero o, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, che vi siano delle domande sospese a causa della mancanza della dichiarazione di esclusività che occupano una posizione più alta della vostra in graduatoria.

Un’ultima interessante notizia è che il Ministero del Lavoro ha chiarito che il Bonus di 600 € è disponibile anche ai giovani professionisti iscritti alle Casse di categoria nel 2019 o nel 2020. Qui il testo originale.

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Attacchi informatici al settore sanitario

Attacchi informatici al settore sanitario: perché i nostri dati interessano tanto

Gli attacchi informatici al settore sanitario acquisiscono ancora più rilevanza nel contesto straordinario venutosi a creare con l’epidemia da Coronavirus.
L’attacco ai danni dell’Istituto Spallanzani che si è verificato ad inizio aprile, attacco fortunatamente non riuscito, è solo il più recente a livello nazionale.

Il problema della sicurezza informatica non riguarda solo il settore sanitario e certamente non colpisce solo l’Italia. Al contrario, il Rapporto Clusit 2020 sulla sicurezza ICT pubblicato il 5 marzo riporta 10.087 attacchi noti di particolare gravità su scala globale nell’arco del 2019.
Un numero in aumento rispetto agli anni precedenti ma che non offre un quadro completo della situazione poiché non considera gli attacchi falliti.

PERCHÈ IL SETTORE SANITARIO È NEL CENTRO DEL MIRINO?

È in questo contesto di crescenti cyber minacce che va considerata la situazione del settore sanitario che segna un aumento del 17% degli attacchi informatici.

Ma che interesse può avere un cyber criminale nell’attaccare l’infrastruttura informatica di un ospedale o di un sistema sanitario locale?

Come fanno notare Riccardo Berti, avvocato presso il Centro Studi sul Processo Telematico, e Simone Zanetti, avvocato di Verona, in un articolo su Agenda Digitale, ci sono almeno 4 concause che rendono gli attacchi informatici al settore sanitario molto allettanti.

  1. LA TIPOLOGIA DI ATTACCHI
    Al momento, la quasi totalità di attacchi informatici ha lo scopo di estorcere denaro.
    Si fa in modo che la vittima scarichi un malware che “sequestra” i file contenuti nel device e che li rende inutilizzabili fintantoché non viene pagato un riscatto (cryptolocker).
  1. LE CARATTERISTICHE DEI DATI SANITARI
    I dati bancari possono essere modificati. I dati sanitari no: la nostra storia clinica non può essere bloccata, cancellata o modificata come si può fare con un pin so una carta se ci si accorge di movimenti sospetti nel conto bancario.
  2. I COSTI DEI DATA BREACH
    Secondo il report “Cost Of A Data Breach” (2019) dal Ponemon Institute, la sanità è il settore con i più alti costi in caso di data breach.
    Questo significa che quando si verificano attacchi estorsivi le strutture sanitarie sono sempre disponibili a pagare il riscatto, perché questo è con tutta probabilità inferiore ai danni provocati dall’attacco stesso.
  3. MANCANZA DI INVESTIMENTI
    Il settore sanitario è spesso sottomesso a logiche di risparmio che non permettono di investire come si deve nella digitalizzazione, nella sicurezza informatica e nella relativa formazione del personale.
    Ciò significa che è più facile che un attacco informatico possa avere successo.
  4. LA FRAMMENTAZIONE
    In Italia, le differenze fra le infrastrutture, gli strumenti e le procedure dei sistemi sanitari regionali, ma anche semplicemente l’uso di macchinari diversi che producono documenti in formato diverso e che sono connessi alla rete, impediscono di avere un’omogeneità che favorirebbe la sicurezza informatica generale.

In sostanza, i cyber criminali hanno gioco facile perché si trovano davanti un sistema con dati molto stabili, con difese informatiche più deboli di quello bancario o assicurativo ma ben disposto a pagare.
Dunque perché un hacker dovrebbe rompersi la testa nel tentativo di “bucare” il sistema di una banca quando può fare molta meno fatica “bucando” quello di una clinica e ottenendo addirittura di più?

Lo stato d’emergenza generato da COVID-19 non ha fatto altro che esasperare questa situazione già critica.

L’errore che non dobbiamo fare è credere che gli attacchi informatici al settore sanitario o ad altri settori non riguardino noi comuni cittadini.
Sebbene le grandi aziende rimangano prede molto più interessanti, durante il 2019 qui in Servicematica abbiamo ricevuto numerose richieste di assistenza informatica da parte di avvocati, imprenditori e privati che si sono visti bloccare i loro computer a causa di cryptolocker.

Prestare massima attenzione alla sicurezza informatica è davvero importante, soprattutto in questo periodo durante il quale siamo costretti a passare su Internet molto più tempo di prima.

Se volete migliorare la vostra sicurezza informatica, Servicematica può aiutarvi con servizi e prodotti ad hoc. Per info, contattateci.

 

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modifiche ai procedimenti civili e penali

Corte di Cassazione: modifiche ai procedimenti civili e penali

Con il decreto n. 47 del 31 marzo 2020 la Cassazione ha diffuso le modifiche ai procedimenti civili e penali che si tengono davanti alla Corte di legittimità.
Il documento è stato poi seguito dal decreto n.55 del 10 aprile che ne ha variato in parte il contenuto.

Ecco quanto stabilito.

PROCEDIMENTI CIVILI

1) Le cause fissate per la trattazione in pubblica udienza fino al 30 giungo vengono rinviate a data successiva.
Dal suddetto rinvio sono escluse le udienze indicate nell’art. 83 comma 3 del d.l n. 18/2020, che varranno fissate con priorità.

2) Le cause fissate per la trattazione in adunanza camerale fino al 31 maggio sono rinviate a nuovo ruolo.
Dal suddetto rinvio sono ancora una volta escluse le udienze indicate nell’art. 83 comma 3 del d.l n. 18/2020, che varranno fissate con priorità.

3) Nel periodo 1-19 giugno la Sesta Sezione potrà tenere per ogni Sottosezione un numero di adunanze camerali che sia compatibile con il rispetto degli adempimenti di legge e con la disponibilità di personale amministrativo.

4) Durante il mese di giugno le Sezioni Unite terranno 2 adunanze camerali in date che dovranno essere fissate.

5) Dal 22 al 30 giugno le Sezioni Prima, Seconda, Terza, Lavoro e Quinta terranno un numero di adunanze camerali compatibile con il rispetto degli adempimenti di legge e l’effettiva presenza di personale amministrativo.

PROCEDIMENTI PENALI

1) Le cause fissate nelle udienze e nelle camere di consiglio fino all’11 maggio vengono rinviate d’ufficio e fuori udienza in data successiva al 30 giugno.
Dal suddetto rinvio sono escluse le cause indicate dall’art. 83 comma 3 del d.l n. 18/2020.

2) I presidenti titolari dovranno scegliere 1 sola udienza a settimana per la trattazione dei procedimenti nei quali scadono i termini indicati nell’art.304 cpp e per quelli in cui sono state richieste o applicate misure detentive. Il collegio andrà composto seguendo le modalità indicate nel decreto n. 47.

3) Nell’udienza verranno trattati anche i ricorsi per i quali i difensori di detenuti, imputati e proposti hanno fatto richiesta tramite PEC alla Cancelleria della competente Sezione penale della Corte di Cassazione entro 3 giorni dalla pubblicazione del presente decreto sul sito ufficiale.

4) I procedimenti in udienza e in Camera di Consiglio già fissati dal 12 maggio al 30 giugno sono rinviati d’ufficio o fuori udienza a data successiva.
Dal suddetto rinvio sono escluse i procedimenti indicati nell’art. 83 comma e dl. n. 18/2020, salvo eccezioni. Il calendario settimanale di tali udienze è indicato nel decreto.

5) Potranno essere fissate massimo 2 camere di consiglio non partecipare e de plano mensili, come previsto nel decreto n.47.

6) L’avviso di cui all’art.610, comma 1, e 611 c.p.p. verrà inviato a decorrere dal 12 maggio fatti salvi i ricorsi per cui ricorrono le ipotesi previste dall’art.83 comma 3 del d.l.n. n.18 del 2020.

Oltre alle modifiche ai procedimenti civili e penali, nei decreti si segnalano alcune disposizioni comuni a entrambi

DISPOSIZIONI COMUNI

  • – Le adunanze civili e penali non partecipate e de plano saranno tenute in remoto.
  • – I presidenti stabiliscono i nuovi calendari.
  • – Le cancellerie possono inviare gli atti regolamentari ai magistrati anche via posta tradizionale.
  • – Prima di fissare udienze e camere di consiglio i presidenti devono verificare se la disponibilità del personale sia compatibile con i procedimenti da affrontare.
  • Le conclusione e gli altri atti della Procura generale potranno essere inviati via mail dalla casella della competente segreteria civile o penale alla cancelleria della Corte di Cassazione competente, allegando un pdf  che rispetti le disposizioni indicate nell’art.83 del d.l.n n.18 del 2020.
  • – I presidenti titolari possono proporre al presidente di aumentare il numero delle udienze e delle camere di consiglio solo se le condizioni lo permettono e se il personale a disposizione è sufficiente.
  • – Per quanto riguarda i ricorsi da trattare entro il 30 giugno, i difensori possono inviare motivi aggiuntivi e memorie alla Corte e alla controparte via PEC agli indirizzi tratti dal Re.G.Ind.E

Per i dettagli, vi invitiamo a leggere il testo originale del Decreto n.47 e il testo originale del Decreto n.55.


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servizi in cloud

Vantaggi e limiti dei servizi in cloud

I servizi in cloud sono strumenti ancora poco usati dagli avvocati che però possono concorrere in maniera massiccia al miglioramento della loro professione.
In che modo? Ve lo spieghiamo subito.

COSA SONO I SERVIZI IN CLOUD

Con Cloud ci si può riferire a due servizi diversi: il Cloud Storage e il Cloud Computing.

Cloud Storage

Con Cloud Storage si intende uno spazio di archiviazione presente in un server (un computer ad elevate prestazioni) che può trovarsi anche a migliaia di km di distanza dal proprio ufficio.

A differenza di una chiavetta usb o di un hard disk esterno, questo spazio di archiviazione ci appare come un servizio completamente digitale, accessibile da qualsiasi computer o smartphone connesso a internet attraverso un nome utente e una password.

Al suo interno si possono raccogliere documenti digitalizzati o originali informatici di qualsiasi tipo che possono, all’occorrenza, essere anche condivisi con altri utenti.

Esempi di Cloud Storage sono Google Drive e Dropbox.

Cloud Computing

Con Cloud Computing si intende invece la possibilità di utilizzare in remoto software installati in altri computer o server.

Molti gestionali funzionano in questo modo, con un’interfaccia “scaricata” nel proprio computer o accessibile via internet e il programma vero e proprio che “gira” altrove

In questo modo il computer personale non viene appesantito da tutti i dati necessari al funzionamento del software nella sua totalità. 

VANTAGGI DEL CLOUD E DELLA DEMATERIALIZZAZIONE

L’utilizzo dei servizi in Cloud è uno dei pilastri della dematerializzazione, ovvero il passaggio da supporti cartacei/fisici al digitale. Il Processo Telematico è un esempio di dematerializzazione.

La dematerializzazione non è un fenomeno limitato solo agli strumenti e alle procedure, ma prevede un cambio nella mentalità con cui si affronta l’organizzazione del proprio lavoro, poiché il digitale permette di operare in luoghi, tempi e modi non accessibili con le modalità tradizionali.

I vantaggi di questa evoluzione sono molteplici:

ACCESSIBILITÀ: i file, i dati e le informazioni digitalizzate e conservate in cloud sono disponibili in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo.
Questo significa che si può lavorare anche da casa o in orari diversi da quelli “da ufficio”.

CONDIVISIONE: l’accesso ai documenti può essere concesso facilmente ad altri utenti, che possono anche modificare le informazioni contenute. Non è necessario stampare e spedire i documenti, e nemmeno inviarli via mai: ognuno può lavorare su un unico file condiviso.
Questo permette di velocizzare moltissimo alcuni processi.

RISPARMIO DI TEMPO: la comunicazione fra i soggetti è velocizzata e facilitata. Tutti sono aggiornati in modo immediato, preciso e costante. Tutti sanno cosa devono fare e quando. È facile tenere traccia dei processi. I tempi morti e i rallentamenti sono ridotti e la produttività aumenta.
Con l’uso della firma elettronica anche le decisioni e le comunicazioni ufficiali sono velocizzate.

REPERIBILITÀ: la digitalizzazione dei documenti permette di trovare specifiche informazioni molto più rapidamente di a un archivio cartaceo. Questo è possibile grazie all’uso di parole chiavi che, inserite in un sistema di ricerca, permettono di scovare rapidamente i documenti di interesse.

STORICITÀ: i grandi spazi di archiviazione consentono di conservare moltissimi documenti. Non si può più perdere traccia di eventi, comunicazioni e decisioni prese in passato.

TUTELA: la funzione di back up (copia di sicurezza dei file) permette di recuperare sempre i propri file.

RIDUZIONE DEI COSTI: si usa meno carta, quindi l’archiviazione fisica dei documenti cartacei è ridotta. Anche gli spostamenti di documenti e persone sono minimi.

BIG DATA: la dematerializzazione dei documenti e l’archiviazione in digitale permettono di raccogliere, ordinare e analizzare un’enorme mole di dati utili ad analizzare i processi interni, a profilare i clienti, a individuare e correggere falle e, in conclusione, a individuare quali comportamenti o strumenti debbano essere migliorati per massimizzare i risultati.

RISCHI DEI SERVIZI IN CLOUD E MISURE DI SICUREZZA

Come tutti gli strumenti, anche i servizi in Cloud presentano dei rischi.
Per affrontarli, basta però agire nello stesso modo in cui si affrontano i rischi connessi all’uso di altri strumenti informatici ai quali siamo già abituati e che sono essi stessi servizi in cloud.
Qualche esempio? Le piattaforme per il Processo Telematico o la fatturazione elettronica, come Service1, alle agende e ai calendari digitali, alle caselle email, alle app di messaggistica, alle banche dati online e o altri gestionali.

A differenza di ciò che si potrebbe pensare, difendere i documenti digitali da accessi non autorizzati o da usi impropri è molto più economico e semplice di quanto sia difendere da incidenti, furti o manomissioni i documenti su carta o altri supporti fisici (usb, hard disk, ecc.).

Senza scendere in discorsi troppo tecnici, le buone abitudini da seguire per tutelare i propri documenti in cloud sono:

– affidarsi ad un buon fornitore di servizi cloud,

-scegliere una password valida (qui trovi un articolo su come creare una buona password),

cambiare periodicamente la password di accesso,

– gestire con attenzione i ruoli degli utenti che possono accedervi e scegliere con cautela le loro autorizzazioni,

– fare un back-up periodico in locale (per esempio su un hard disk esterno o su un server proprio).

L’INCOGNITA DELLA PRIVACY

Uno dei motivi principali per i quali i servizi in cloud non sono ancora particolarmente popolari tra gli avvocati è la privacy.

Molti si chiedono infatti quanto i servizi in cloud siano in grado di tutelare le informazioni personali e sensibili dei clienti.
Dove vanno a finire i dati e le informazioni una volta caricate?
Il server del servizio a chi appartiene? È soggetto alle regole dell’Unione Europea oppure no?
I dati salvati vengono condivisi con altre aziende? Se sì, chi sono e che uso ne fanno?
Quali protezioni da attacchi informatici sono presenti?

Per limitare al massimo i rischi è importante valutare i servizi in cloud partendo da alcuni criteri.
Un buon servizio cloud:

– è adeguato alla normativa GDPR,

– indica chiaramente dove si trovino i suoi server,

  indica se si appoggia a server propri o a server esterni (potrebbe succedere che un servizio cloud si appoggi in realtà a Google Drive o Dropbox).

Il passaggio al cloud e alla dematerializzazione è rivoluzionario ma non deve e non può avvenire dal giorno alla notte.
È importante fare un passo alla volta, individuando innanzitutto ciò di cui si ha bisogno, quali obiettivi si vuole raggiungere e implementando poi piano piano gli strumenti necessari.

 

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[EVENTO ONLINE 14 aprile] Il diritto di famiglia al tempo del Coronavirus

Segnaliamo l’evento online “Il diritto di famiglia al tempo del Coronavirus” in programma martedì 14 aprile 2020, ore 16:00, organizzato dalla rivista AVVOCATI in collaborazione con Servicematica.

Il webinar verrà trasmesso in diretta sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di AVVOCATI.

Introducono:

Giovanni Malinconico, coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense

Alessandra Stella, presidente dell’Unione Triveneta dei COnsigli dell’Ordine degli Avvocati

Roberta Altavilla, vicepresidente dell’Unione Curie della Puglia

Victor Rampazzo, del Foro di Venezia ed esperto in tecnologie applicare alla formazione forense.

Relaziona e dialoga con gli spettatori:

Rosanna Rovere, del Foro di Pordenone, componente dell’Organismo Congressuale Forense

Presenta e conduce:

Rosa Colucci, direttore responsabile della rivista Avvocati

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