praticantato

Praticantato ed esame di abilitazione: le tempistiche che non coincidono

Ve lo ricordate il Decreto Milleproroghe (D.L. 162/2019)? Sì, sembra storia antica considerando il numero di decreti ai quali ci siamo abituati in questi tempi di coronavirus…

Ebbene, all’epoca il Decreto aveva modificato l’art. 49, comma 1, della legge n. 247/2012 posticipando di altri due anni l’entrata in vigore del nuovo esame di abilitazione per diventare avvocato.

Questa ulteriore finestra dovrebbe consentire una revisione completa di tutta la disciplina relativa all’esame di abilitazione, permettendo anche di far combaciare la prova con le tempistiche del praticantato, requisito fondamentale (art. 43 della legge n. 247/2012).

In un certo senso, quello che si è voluto fare con la modifica è evitare che gli ordini forensi e i praticanti si ritrovino coinvolti in attività formative che potrebbero rivelarsi non coerenti con quella che sarà la prossima configurazione dell’esame per diventare avvocato.

Tralasciando questa visione futura, il rapporto tra praticantato ed esame di stato si è complicato non poco durante la pandemia da COVID-19.

RIDUZIONE DEL PRATICANTATO ED ESAME DI ABILITAZIONE

Nella versione finale del Decreto con le misure urgenti per la scuola dell’8 aprile 2020 vi è anche un articolo dedicato ai futuri avvocati.

L’articolo riduce la durata del praticantato da 18 a 16 mesi, consentendo a chi si laurea entro il 15 giugno di sostenere l’esame di abilitazione a dicembre 2021. 

Va notato che la data del 15 giungo è una proroga alle normali tempistiche della sessione di laurea di marzo, proroga disposta dal Decreto Cura Italia del 31 marzo per far fronte alla chiusura delle attività universitarie generata dal lock down.

Sembrerebbero misure adeguate ad aiutare i futuri avvocati, se non fosse per un effetto collaterale che non è stato considerato.

Il passaggio da 18 mesi a 16 di praticantato consentirebbe anche a chi si laurea a metà giugno di fare l’esame per diventare avvocato a dicembre 2021.
Appunto, “consentirebbe”…
In realtà, non è possibile perché il termine per l’iscrizione all’albo dei praticanti è il 10 maggio, ovvero 18 mesi prima a della normale scadenza del praticantato (il 10 novembre).

Il paradosso è ben spiegato in un articolo del Corriere che fa riferimento a un comunicato pubblicato da Link Coordinamento Universitario, portavoce nazionale di diverse realtà studentesche, nel quale si legge:

«Rispetto all’accesso alla pratica, c’è una difficoltà dei laureandi di iscriversi in tempo (10 maggio 2020) per accedere all’esame di abilitazione 2021.
Il Governo, gli Ordini locali e il CNF devono operare per permettere ai laureandi la possibilità di iscriversi successivamente al Registro dei Praticanti.
Se, a maggior ragione, si tiene conto del decreto legge che prevede l’estensione dell’anno accademico fino al 15 giugno, non possiamo permettere assolutamente che tantissimi studenti perdano inutilmente un intero anno, con la problematica conseguenza di essere costretti ad accedere all’Esame di Stato solo a partire dal 2022 a causa del COVID-19».

I RISULTATI DELLE PROVE SCRITTE DI DICEMBRE 2019

Nel frattempo, un’altra grossa incertezza avvolge la prova orale del 2020.

Infatti, non si hanno notizie sulle correzioni delle prove scritte già sostenute a dicembre 2019, sospese a causa del lock down.

Gli esaminandi degli anni passati avevano la certezza di conoscere, prima o poi, i loro risultati e l’unica incertezza era il QUANDO (più o meno tra giugno e luglio).

Gli esaminandi di quest’anno si trovano in una situazione straordinaria, nella quale non sanno nemmeno SE conosceranno il risultato della loro prova, con tutto ciò che ne può conseguire…

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Fase 2: Bonus Sanificazione per aziende e studi professionali

trattamento dei dati personali

Fase 2 e privacy: il trattamento dei dati personali in studi e aziende

Se si pensa alla Fase 2 in relazione a privacy e trattamento dei dati personali si potrebbe credere che la questione riguardi solo Immuni, la app di tracciamento di massa non ancora disponibile nonostante le riaperture.

Invece, non è così.

Proprio le riaperture di studi professionali e aziende richiedono il rispetto di numerose regole comportamentali e una vigilanza constante della situazione interna al fine di evitare una nuova e ingestibile escalation dei contagi da COVID-19.

La situazione del tutto inedita però fa sorgere dubbi su quale sia il più adeguato trattamento dei dati personali di dipendenti, collaboratori, clienti, fornitori e altri soggetti.

Un esempio? Come si gestisce la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso della sede? Come va conservato il dato raccolto?

Il Garante della Privacy ha cercato di dare le risposte a queste e altre domande.

Noi vi riportiamo alcuni dei quesiti più interessati e le relative soluzioni.

“TRATTAMENTO DEI DATI NEL CONTESTO LAVORATIVO PUBBLICO E PRIVATO NELL’AMBITO DELL’EMERGENZA SANITARIA”

 

1) Può il datore di lavoro misurare la temperatura corporea del personale e di altri soggetti all’ingresso della propria sede?

Il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro stipulato tra Governo e parti sociali il 14 marzo 2020 inserisce la rilevazione della temperatura corporea tra le misure da adottare.

La rilevazione riguarda i dipendenti, ma anche clienti, fornitori e visitatori, soprattutto quando non vi sia un ingresso separato (cfr. Protocollo par. 2 e 3 e nota n. 1).

Quando alla rilevazione della temperatura corporea si associa l’identità del dipendente, allora l’azione ricade nel trattamento dei dati personali secondo il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR).

In questo caso, il datore non può registrare il dato della temperatura corporea ma solo l’eventuale superamento della soglia stabilita per legge (37,5°) e solo quando questo dato è necessario a documentare il mancato accesso al luogo di lavoro.
Nel caso della rilevazione della temperatura corporea di visitatori, qualora fosse superiore alla soglia non serve registrare il motivo del mancato accesso.

2) Il titolare può chiedere ai propri dipendenti di rilasciare un’autodichiarazione relativa all’eventuale esposizione al COVID-19 come condizione per entrare in studio o in azienda?

Anche prima del coronavirus i dipendenti avevano l’obbligo di comunicare al datore di lavoro l’esistenza di situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza a lavoro (art. 20 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Le cose non sono cambiate.

I dipendenti che negli ultimi 14 giorni siano stati in contatto con soggetti positivi a COVID-19 o siano stati in zone a rischio non possono accede allo studio o in azienda.

Secondo il Protocollo condiviso è possibile richiedere una dichiarazione che attesti tali circostanze non solo ai dipendenti ma anche ad altri soggetti che accedono alla sede.

Il datore deve però limitarsi a raccogliere solo i dati “necessari, adeguati e pertinenti alla finalità, cioè la prevenzione dei contagi, e non può chiedere dettagli su l’eventuale persona positiva, sulla  località visitata o qualsiasi altro dettaglio rientri nella sfera privata.

3) Quali dati personali può trattare il medico competente in questo nuovo contesto?

Come sempre, il trattamento dei dati personali raccolti dal medico prevede il divieto assoluto di comunicare al datore le patologie specifiche dei lavoratori.

Il medico può però predisporre visite straordinarie a fini preventivi.

Inoltre, deve segnalare al datore di lavoro “situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti per suggerire modifiche all’attività lavorativa volte a ridurre il rischio che i dipendenti si ammalino (cfr. paragrafo 12 del predetto Protocollo).

Il datore di lavoro può trattare i dati sanitari dei dipendenti sempre nel rispetto dei principi del GDPR (art. 5), sempre se ciò è previsto dalle normative vigenti, su specifica segnalazione del medico competente e sempre al fine di garantire un’adeguata sorveglianza sanitaria.

4) In caso di dipendenti positivi a COVID-19, il datore di lavoro a chi può comunicare i dati dei contagiati?

In caso di personale contagiato il datore di lavoro deve comunicare i nominativi alle autorità sanitarie competenti e offrire la propria collaborazione per individuare i “contatti stretti” e permettere una veloce attività di contenimento del contagio.

Il datore di lavoro non può comunicare i nominativi dei positivi né agli altri dipendenti né all’eventuale Rappresentante dei lavoratori.

La comunicazione di informazioni sulla salute di un dipendente o di un collaboratore, all’interno o all’esterno dello studio o dell’azienda, è concessa solo se ammessa dalle normative vigenti o se disposta dalle autorità competenti e sempre ai fini della prevenzione dei contagi.

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accaparramento di clientela

CNF: sanzioni per l’accaparramento di clientela contro i medici

In un precedente articolo intitolato Accaparramento di clientela e avvocati che sfruttano COVID-19 vi abbiamo parlato di come alcuni avvocati stessero cavalcando l’onda emotiva generata dalle morti per COVID-19 per fare affari.
In particolare, i professionisti in questione si proponevano ai parenti delle vittime, intenzionati a muovere battaglia contro i medici ritenuti responsabili della loro perdita, promettendo cospicui risarcimenti economici. 

C’è da sottolineare che questa attività di accaparramento della clientela basata sulle emozioni altrui e non si è limitata al solo aspetto sanitario. Non sono mancate infatti le proposte di gestione dei divorzi generati dalla convivenza forzata durante il lock down, o l’assistenza per ricorsi nel caso si fosse stati esclusi dalle misure di sostegno economico previste dal governo.

Certamente però, la scelta di “prendere di mira” i medici, la categoria in prima linea nella lotta contro il coronavirus, ha generato più sconcerto.

All’epoca, poco più di un mese fa,  Filippo Anelli, presidente della FNOMCEO, Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, ha scritto una lettera al presidente del CNF Andrea Mascherin per chiedere maggiore vigilanza su comportamenti scorretti di questi avvocati particolarmente intraprendenti.

Parallelamente, alcuni ordini forensi locali, come Napoli, Palermo e Roma, hanno preso posizione contro tale accaparramento di clientela, mentre l’Avv. Malinconico, presidente dell’Organismo Congressuale Forense, ha inviato ai COA una comunicazione sul fenomeno.

Cosa è successo poi?

ACCAPARRAMENTO DI CLIENTELA:CNF PROMETTE VIGILANZA E SANZIONI CONTRO CHI SPECULA

Pochi giorni dopo la lettera di Anelli, il CNF ha pubblicato un comunicato sul proprio sito ufficiale nella quale esprimeva una forte condanna per iscritti che violano principi etici dell’avvocatura, promettendo alla FNOMCEO un’attenta vigilanza per individuare quegli iscritti che si fossero macchiati di un comportamento contrario all’etica professionale.

Oltre alla condanna, il CNF ha dichiarato di voler sanzionare gli avvocati che speculano sul dolore, sopratutto coloro che offrono assistenza contro i medici impegnati a combattere il COVD-19.

Del resto, il problema dell’accaparramento di clientela non è solo una pura questione deontologica. Nella situazione specifica generata da COVID-19, ha anche una valenza sociale.

Come si legge nel comunicato del CNF, i comportamenti di questi avvocati “minano così anche l’immagine dell’avvocatura tutta, che invece, anche e soprattutto in queste circostanze, ancora una volta, sta dimostrando piena consapevolezza del ruolo sociale a cui è chiamata e a cui non intende sottrarsi”. 

La Fase 2 è iniziata, ma non si possono escludere nuovi picchi nei contagi, con nuove chiusure e un nuovo aumento del carico di lavoro per i medici.
In un contesto simile sarebbe bene generare unità tra le varie categorie e le componenti sociali, non certo speculare.

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processo amministrativo

[AGGIORNATO: 28 maggio] Perché non esiste il Processo Amministrativo da remoto?

AGGIORNAMENTO 28 MAGGIO 2020: Sul sito di Giustizia Amministrativa sono disponibili le le regole tecniche che introducono l’udienza da remoto nel processo amministrativo telematico. Tali regole saranno effettive a partire dal 30 maggio 2020.

Leggi l’articolo.

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Il Processo Amministrativo è l’unico ad essere completamente telematico (PAT), e allora perché la modalità delle udienze da remoto applicata alla giustizia civile, penale e contabile non è stata estesa anche a quella amministrativa?

A dir la verità, nel D.L n.11 dell’8 marzo 2020 (art.3 comma 5) aveva introdotto l’udienza telematica anche nel processo amministrativo, consentendo ai Presidenti di Tribunali di scegliere questa modalità sia per le udienze pubbliche che per quelle camerali in cui non fosse necessaria la presenza di soggetti diversi dai difensori, continuando così a tutelare il contraddittorio nel rispetto del principio costituzionale del giusto processo (art. 111 Cost.).

Poi, il D.L. n.18 del 17 marzo 2020 (art.84 comma 11) ha completamente abrogato il precedente articolo, ripresentando comunque le udienze telematiche per i processi civile, penale e contabile, ma non più per il processo amministrativo.

PERCHÈ NIENTE UDIENZE DA REMOTO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO? 

Non si è capito.

Tant’è che il CNF in un comunicato pubblicato il 21 aprile sul proprio sito ufficiale dichiarava di aver inviato la richiesta al Presidente del Consiglio, al presidente del Consiglio di Stato e, per conoscenza, al ministro della Giustizia,  di modificare «la previsione normativa del decreto Liquidità, che non consente la partecipazione dei difensori alle udienze da remoto, modificando il dpcm 40/2016 che regola l’attivazione del processo amministrativo telematico, al fine di consentire al Presidente del Consiglio di Stato l’immediata regolamentazione delle udienze da remoto anche nella giustizia amministrativa, limitata alla fase emergenziale, prevedendo al termine di essa la ripresa della pienezza del contraddittorio con il ritorno all’ordinaria presenza fisica e oralità in aula».

Infatti, rispettando le misure di contenimento dei contagi da COVID-19 imposte al settore della giustizia, nell’amministrativo non si terranno più udienze fino al prossimo 30 giugno e le decisioni potranno essere prese solo a patire dagli atti e dalle memorie depositate dalle parti.
Uno stop non da poco e che mal si concilia con i
principi costituzionali del giusto processo (art. 111 Cost.) e della effettività della tutela dei diritti e degli interessi legittimi avanti al giudice amministrativo (artt. 24, 103 e 113 Cost.)

[Questo articolo prende spunto dalla news “Le udienze nel processo amministrativo ai tempi del Covid-19” scritta da Sabrina Tosti e pubblicata il 28 aprile 2020 sul sito del CNF.]

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La digitalizzazione della Giustizia: quale futuro?

 

Diritto per mare e per terra - criticità attuali e prospettive future dei comparti nautico e agricolo

[EVENTO ONLINE 4 maggio] Diritto per mare e per terra – criticità attuali e prospettive future dei comparti nautico e agricolo

Cosa lega due settori fondamentali dell’economia italiana come agricoltura e nautica?

Quali sono le sfide che i due comparti dovranno affrontare a seguito dei cambiamenti prodotti da COVID-19?

Di questo è altro si parlerà durante l’evento online “Diritto per mare e per terra” in programma lunedì 4 maggio 2020, ore 18:30, organizzato dalla rivista AVVOCATI in collaborazione con Servicematica.

Il webinar verrà trasmesso in diretta sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di AVVOCATI.

Introduce:

Gianna Gancia, europarlamentare

Intervengono:

Luca Lazzaro, Presidente di Confagricoltura Puglia,

Antonio Bufalari, docente di diritto marittimo e della nautica da diporto,

Giorgio Liserre, esperto di diritto vitivinicolo e founder App Cantinaconforme

Presenta e conduce:

Rosa Colucci, direttore responsabile della rivista Avvocati

evento diritto per mare e per terra

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Fase 2: Bonus Sanificazione per aziende e studi professionali

Le misure Anti COVID-19 per gli studi professionali (Movimento Forense Triveneto)

Bonus Sanificazione

Fase 2: Bonus Sanificazione per aziende e studi professionali

Il Bonus Sanificazione, introdotto con il D.L. 18/2020 (art. 64) e ampliato con il successivo D.L. 23/2020 (art.30), prevede agevolazioni fiscali per le spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro ma anche per l’acquisto dei dispositivi di sicurezza necessari a fronteggiare la Fase 2.

È destinato a esercenti attività d’impresa, arte o professione.

COSA PREVEDE IL BONUS SANIFICAZIONE

Il Bonus Sanificazione consiste in un credito d’imposta pari al 50% delle spese per la sanificazione e i dispositivi sostenute e documentate nel 2020.

Il beneficiario può ottenere fino a un massimo di 20.000 €.

I fondi disponibili per il Bonus Sanificazione nel 2020 ammontano 50 milioni di euro.

COSA SI INTENDE PER SANIFICAZIONE

Durante la Fase 2 sarà importante rispettare le misure di sicurezza sanitaria all’interno dei luoghi di lavoro in modo da evitare il più possibile un’immediata impennata dei contagi da Covid-19.

La sanificazione dei luoghi di lavoro non è la normale pulizia con i detergenti comuni, ma la disinfezione di superfici e oggetti con ipoclorito di sodio al 0,1% o etanolo al 70% o l’igienizzazione con altre tecniche specifiche.

Tra i trattamenti di sanificazione delle aziende contemplati nel Decreto “Cura Italia” figurano:

  • La sanificazione tramite nebulizzazione di agenti chimici disinfettanti,
  • la sanificazione tramite generatori di ozono.

COSA È POSSIBILE PORTARE IN DETRAZIONE

Rientrano nel Bonus Sanificazione le seguenti spese.

Acquisto di dispositivi di protezione individuale.
Mascherine chirurgiche, Ffp2 e Ffp3, guanti, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari.

Acquisto di detergenti per le mani e disinfettanti.

Acquisto e installazione di dispositivi di sicurezza.
Barriere, pannelli protettivi, elementi divisori in plexiglass, vetri di protezione e altre protezioni che aiutino a limitare l’esposizione dei lavoratori alle fonti di contagio o a garantire la distanza interpersonale.

Interventi di sanificazione e igienizzazione a opera di ditte specializzate in possesso dei requisiti indicati nel D.M. 274/1997, lettera E.

COME ACCEDERE AL BONUS SANIFICAZIONE

Al momento non è ancora possibile accedere al Bonus Sanificazione perché manca il decreto attuattivo da parte del Ministro dello Sviluppo Economico e del Ministro dell’Economia e delle Finanze (sarebbe dovuto uscire entro 30 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento del 16 aprile). 

Il Bonus Sanificazione potrà essere utilizzato in compensazione orizzontale con altri tributi e contributi tramite il Modello F24 da inviare all’Agenzia delle Entrate in via telematica.

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COVID-19 è infortunio sul lavoro: la responsabilità è dell’imprenditore

misure Anti COVID-19 per gli studi professionali

Le misure Anti COVID-19 per gli studi professionali (Movimento Forense Triveneto)

Se c’è una cosa che non manca in questo periodo di quarantena è l’accesso a informazioni, spesso imprecise e contrastanti, su quanto stia succedendo e su cosa sarebbe opportuno fare ora che il 4 maggio si avvicina e ci sarà un allentamento dei limiti imposti.

Nel nostro lavoro di scansione di questa grande mole di notizie alla ricerca di quelle che ci sembrano essere le più utili, abbiamo trovato una guida pubblicata dal Coordinamento Triveneto del Movimento Forense contenente le misure anti COVID-19 per gli studi professionali, tra cui certamente rientrano anche quelli degli avvocati.

La guida è molto lunga ed elaborata, pertanto abbiamo deciso di condensare solo alcuni dei punti più interessanti in modo da darvi una panoramica immediata. Per approfondire, potete cliccare sul link al documento completo.

Vi suggeriamo inoltre di leggere l’articolo “COVID-19 è infortunio sul lavoro: la responsabilità è dell’imprenditore“.

MISURE ANTI COVID-19 PER GLI STUDI PROFESSIONALI

1) DOCUMENTI

Tra le misure anti COVID-19 per gli studi professionali figura anche la stesura di documentazione specifica che possa aiutare nella gestione del rischio.

In particolare, gli studi devono redigere:

A) Un protocollo di sicurezza.
Il protocollo di sicurezza deve riprendere quanto indicato nei seguenti documenti ufficiali:
DPCM 8 marzo 2020,
DPCM 11 marzo 2020,
D. L. 09/03/2020 n. 14,
DPCM 10 aprile 2020,
protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il
contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro, firmato
da Governo e parti sociali in data 14 aprile 2020,
indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari, Regione Veneto
ordinanza del Presidente della Giunta Regionale del Veneto n.40del 13/04/2020,
ulteriori documenti che potrebbero essere rilasciati nei prossimi giorni.

B) L’informativa per i dipendenti/collaboratori in cui elencare le misure di sicurezza decise dal titolare dello Studio.

C) L’informativa/autorizzazione al trattamento dei dati ai fini privacy.

D) L’informativa per i clienti, da consegnare preventivamente e preferibilmente in via telematica.
Nell’informativa andranno indicate le misure di sicurezza da rispettare (uso di mascherina e guanti, distanza di sicurezza, accesso non consentito agli accompagnatori ecc.)

E) Un’informativa simile per i fornitori e altri esterni che devono accedere allo studio.

2) INGRESSO E COMPORTAMENTI ALL’INTERNO

Molta attenzione deve essere posta alla definizione e alla comunicazione delle giuste condotte che devono essere tenute dai diversi soggetti all’interno degli studi.

A) Il titolare dello studio fornisce a dipendenti e collaboratori:
– mascherine e guanti usa e getta, che dovranno venire sempre utilizzati nel tragitto casa-studio e viceversa,
– gel igienizzante per le mani,
– altri dispositivi di protezione conformi alle disposizioni delle autorità o alla normativa in materia.

B) I dipendenti e i collaboratori:
non possono fare ingresso o permanere nello studio se:
    – hanno febbre, sintomi influenzali, tosse,
    – provengono da zone a rischio di contagio,
    – sono stati a contatto con persone positive al virus nei 14 giorni precedenti;

– si impegnano a:
– sottoporsi in autonomia al controllo della temperatura corporea prima di recarsi a lavoro (e a non recarvisi in caso di febbre oltre i 37° o altri sintomi),
– accedere allo studio muniti di mascherina e continuare a indossarla in presenza di altre persone,
– gettare i guanti utilizzati nel tragitto casa–studio nell’apposito contenitore per la raccolta indifferenziata che verrà predisposto all’ingresso.
lavarsi/igienizzare le mani prima di raggiungere la propria postazione di lavoro,
   – contattare il medico di famiglia, le strutture sanitarie e lo studio in caso di sintomi.

C) Durante la presenza nello studio:
– titolare, dipendenti e collaboratori soggiornano uno per stanza.
Se non fosse possibile, le scrivanie o le postazioni di lavoro dovranno essere sistemate in modo da garantire la distanza di sicurezza di almeno 1,5 m;

– tutti dovranno lavarsi frequentemente le mani o utilizzare il gel igienizzante, soprattutto quando frequentano i locali di uso comune;

– è possibile togliersi la mascherina solo se ci si trova da soli in una stanza;

– la mascherina dovrà essere sempre indossata in presenza dei clienti;

le riunioni saranno condotte in modalità da remoto. Se non fosse possibile, dovranno durare il meno possibile, avere meno partecipanti possibile garantendo il distanziamento interpersonale, dovranno svolgersi in un ambiente adeguatamente pulito/areato. Ogni riunione in presenza dovrà essere espressamente autorizzata dal titolare;

al termine dell’orario di lavoro ciascuno dovrà igienizzare scrivania, sedia, computer, tastiera, mouse, telefono e ogni materiale con cui è venuto in contatto.

D) Dovrà essere garantita la pulizia giornaliera dei locali dello Studio.
I locali dovranno essere igienizzati con prodotti idonei almeno due volte al giorno, all’inizio e al termine della giornata lavorativa. Importante sarà arieggiare i locali per almeno 15/20 minuti.

3) ACCESSO DI CLIENTI E FORNITORI

Le misure anti COVID-19 per gli studi professionali toccano anche il rapporto con tutti i soggetti esterni che potrebbero entrare nei locali: clienti, accompagnatori, fornitori, visitatori o altro. 

In tal senso, lo studio si impegna a:

A) Comunicare le procedure di ingresso ai clienti e ai fornitori, anticipatamente e tramite canali informatici.
Se non fosse possibile, prima dell’ingresso si può consegnare una informativa cartacea con le indicazioni da seguire durante la permanenza nello studio.

B) Fissare gli appuntamenti stando attenti a:
verificare che il cliente non sia a rischio, per esempio assicurandosi sull’assenza di febbre, tosse, sintomi influenzali;
comunicare al cliente che l’accesso è autorizzato previa sua dichiarazione di non avere sintomi;
evitare sovrapposizioni di orario, garantendo che ci sia una persona per volta. Eventuali accompagnatori devono aspettare fuori dallo studio;
evitare che in sala d’attesa vi siano più di 2 persone, alle quali dovrà essere garantita la distanza di almeno 1,5 m.
– coloro che si presentano presso lo studio senza avere un appuntamento fissato dovranno sostare fuori dallo studio (es.: sul pianerottolo).

C) Far sì che clienti, fornitori e visitatori:
– entrino provvisti di mascherina e dei guanti forniti all’ingresso;
– mantengano la distanza di almeno 1,5 m dalla reception o dal proprio interlocutore. Nell’attesa di essere ricevuti, devono accomodarsi nella sala d’attesa ed evitare di girovagare,
gettino i guanti utilizzati nell’apposito cestino per la raccolta indifferenziata che dovrà essere posizionato all’ingresso.

D) Indossare la mascherina e tenersi a una distanza di almeno 1,5 m dai visitatori.

All’interno della guida sulle misure anti COVID-19 per gli studi professionali pubblicata dal Coordinamento Triveneto del Movimento Forense vi è anche una check list utilissima a valutare la situazione del proprio studio e a tenere traccia di quanto è stato fatto per garantire la sicurezza sanitaria di tutti. 

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appropriazione indebita di dati informatici

L’appropriazione indebita di dati informatici esiste davvero?

Si può parlare di appropriazione indebita di dati informatici? Oppure no, considerato che i dati informatici non sono “cose mobili?

Immaginate un dipendente che, prima di dimettersi e di iniziare a lavorare in un’altra azienda dello stesso settore, riconsegna al datore di lavoro il pc portatile sul quale lavorava completamente formattato, senza più alcuna traccia di tutti i file e i dati informatici in esso contenuti.

Immaginate poi che questo dipendente, prima di procedere alla cancellazione dei dati, si sia premurato di salvarli e di trasferirli su un altro computer usato nel nuovo lavoro.

Un caso simile è l’oggetto della sentenza 11959/2020 della Cassazione.

APPROPRIAZIONE INDEBITA DI DATI INFORMATICI E IL CONCETTO DI “COSA MOBILE”

Nella sentenza la Cassazione spiega che il delitto di appropriazione indebita ha come oggetto materiale della condotta «denaro od altra cosa mobile».

Con “cosa mobile” intende la cosa suscettibile di «fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione».

Per capire dunque se esista l’appropriazione indebita di dati informatici, bisogna stabilire se questi:
– possono essere considerati “cosa mobile”,
– se vengono definitivamente sottratti al loro titolare o meno.

COSA SONO I DATI INFORMATICI

Come illustra la sentenza, il file è l’insieme dei dati archiviati o elaborati, «è la struttura principale con cui si archiviano i dati su un determinato supporto di memorizzazione digitale».

Nei file sono contenuti dati informatici costituti da sequenza di valori binari (0 oppure 1), dette bit.
I bit sono raggruppati in byte e un byte equivale a 8 bit.
I byte «non sono entità astratte, ma entità dotate di una propria fisicità: essi occupano fisicamente una porzione di memoria quantificabile, la dimensione della quale dipende dalla quantità di dati che in essa possono esser contenuti, e possono subire operazioni (ad esempio, la creazione, la copiatura e l’eliminazione) tecnicamente registrate o registrabili dal sistema operativo».

Ciò che ne consegue è che i file, anche se non possono essere toccati, occupano uno “spazio” esattamente come le “cose mobili“.

LA DIFFERENZA TRA APPROPRIAZIONE INDEBITA E FURTO DI INFORMAZIONI

Le entità immateriali, come le opere dell’ingegno, le idee, le informazioni, non sono cose mobili e non sono soggette all’appropriazione indebita. Sono però oggetto di “furto di informazioni”.

La differenza fra le due condotte illecite si trova in un dettaglio molto semplice.
L’appropriazione indebita comporta la perdita definitiva dell’oggetto da parte del titolare, mentre il furto d’informazioni permette all’agente di acquisire conoscenza senza privare il titolare della stessa.

LA TRASFERIBILITÀ DEI DATI

I dati informatici sono custoditi in ambienti digitali (le memorie dei nostri pc, degli smartphone, delle chiavette usb o altro), quindi, proprio come il denaro o altri oggetti materiali, possono essere oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione.

Inoltre, possono essere facilmente trasferiti da un dispositivo all’altro oppure via internet.

Oltre al loro trasferimento, i dati possono:
  essere copiati ma non cancellati, consentendo ancora al loro titolare la fruizione,
  essere copiati e cancellati, privando il titolare della loro fruizione e dei benefici correlati, anche economici.

Sottrarre dati informatici, duplicarli e cancellare gli originali si configura quindi come sottrazione di un bene, parte del patrimonio del titolare originale dei dati, che diventa parte del patrimonio del responsabile della condotta illecita.

CONCLUSIONE

I dati sono «oggetto di diritti penalmente tutelati» e possiedono «tutti i requisiti della mobilità della cosa».
Quindi parlare di appropriazione indebita di dati informatici ha senso.

Nel caso in oggetto alla sentenza, la Cassazione conclude che «i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi dì lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer “formattato”».

Testo della sentenza 11959/2020.

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contributi per i canoni di locazione degli studi legali

I bandi per l’assegnazione di contributi per i canoni di locazione degli studi legali

Tra le misure a favore degli avvocati, Cassa Forense ha previsto l’elargizione di contributi per i canoni di locazione degli studi legali che si sono trovati in difficoltà durante l’applicazione delle misure di contenimento all’epidemia COVID-19.

Tali contributi sono previsti sia per i conduttori persone fisiche sia per i conduttori persone giuridiche e possono essere ottenuti tramite la partecipazione a specifici bandi.

CONTRIBUTI PER I CANONI DI LOCAZIONE DEGLI STUDI LEGALI – CONDUTTORI PERSONE FISICHE

Il bando è destinato a tutti gli iscritti che esercitano la professione in forma individuale e si appoggia a un fondo di 3.600.000 euro.

Il contributo ottenibile è pari al 50% della spesa documentata per canoni di locazione dello studio legale nel periodo 1° febbraio 2020 – 30 aprile 2020 e non può superare i 1.200 euro al netto di Iva.

COME PARTECIPARE AL BANDO

La domanda va presentata in via telematica, tramite la procedura presente nell’area riservata del sito di Cassa Forense che sarà disponibile fino alle ore 24.00 di lunedì 18 maggio 2020 

Oltre alla domanda, vanno allegati i seguenti documenti:
– copia del contratto di locazione registrato e intestato al richiedente
– copia delle fatture/quietanze di pagamento dei canoni del periodo di riferimento

L’erogazione del contributo per i canoni di locazione degli studi legali è soggetta a una graduatoria che non si tiene conto dell’ordine di presentazione delle domande, ma si basa sui seguenti criteri:
minor reddito professionale prodotto nel 2018
– a parità di reddito, minore età anagrafica,
– a parità di reddito ed età, maggiore anzianità di iscrizione alla Cassa.

Qui la scheda informativa di Cassa Forense sul bando per l’assegnazione di contributi per canoni di locazione dello studio legale riservato a conduttori persone fisiche. 

CONTRIBUTI PER I CANONI DI LOCAZIONE DEGLI STUDI LEGALI – CONDUTTORI PERSONE GIURIDICHE

Il bando per l’assegnazione dei contributi è aperto ai conduttori che esercitano la professione forense in forma associata ovvero in STA.

Anche in questo caso il contributo a favore dei conduttori è pari al 50% del totale della spesa documentata sostenuta per i canoni di locazione dello studio legale nel periodo 1° febbraio 2020 – 30 aprile 2020. Ma le risorse disponibili ammontano a 2.000.000 di euro e il singolo contributo non può superare i 4.000 euro al netto di Iva.

COME PARTECIPARE AL BANDO

Si deve seguire la procedura telematica presente nell’area riservata del sito di Cassa Forense.

La procedura è disponibile dalle 9.00 di lunedì 27 aprile 2020 e fino alle ore 24.00 di lunedì 27 maggio 2020.

Alla domanda vanno allegate:
– copia del contratto di locazione registrato e intestato all’associazione/STA,
– copia delle fatture/quietanze di pagamento dei canoni del periodo d’interesse,
– copia dell’atto costitutivo dell’associazione/STA e delle eventuali variazioni della rappresentanza legale.

Tutte le domande pervenute saranno organizzate in una graduatoria che non è basata sull’ordine cronologico di presentazione delle stesse, ma Cassa Forense non ha indicato quali altri criteri verranno utilizzati per la selezione.

Qui il testo completo del bando per l’assegnazione di contributi per canoni di locazione dello studio legale riservato a conduttori persone giuridiche.

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livelli occupazionali e accordi sindacali

Livelli occupazionali e accordi sindacali: la pesante clausola del Decreto Liquidità

Il D.L. 23/2020 «Decreto Liquidità» ha sollevato non poche perplessità dato che, più che vere e proprie forme di sostegno economico alle aziende, propone nuove forme di indebitamento.

Infatti, con il decreto lo Stato offre garanzie alle banche che concedono finanziamenti a quelle aziende che si impegnano a rispettare alcune condizioni.
Una di queste è l’obbligo di non distribuire dividendi per i successivi 12 mesi e di usare il finanziamento per coprire i costi del personale e le spese per le attività produttive localizzate in Italia. (cfr. Art. 1, comma 2, D.L. 23/2020).

C’è però un’altra condizione, molto più pesante, che è passata decisamente in secondo piano e che invece le aziende, soprattutto le più piccole, dovrebbero considerare con molta attenzione prima di richiedere un finanziamento superiore ai 25.000 euro.

La condizione viene così presentata: «L’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali” (cfr. Art. 1, comma 2, lett. l, D.L. 23/2020)».

GLI ACCORDI SINDACALI DIVENTANO OBBLIGATORI PER GESTIRE I LIVELLI OCCUPAZIONALI

Lo spunto per questo articolo è nato leggendo il post che l’Avv. Chiara Daneluzzi dell’Ordine di Venezia ha pubblicato sul suo profilo LinkedIn.

L’avvocato suggerisce che questa clausola possa rivelarsi un’insidia, anzi «una mina anti uomo» per le aziende:
«gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali […] equivale a dire che l’eventuale mancato rispetto di tale impegno (o, mi viene da pensare, anche solo il mancato raggiungimento di un accordo, eventualità non così rara) può costituire, oltre che causa di revoca della garanzia circa il prestito, motivo di annullamento del o dei licenziamenti. Il rispetto della condizione, invece, equivale alla perdita di fatto del controllo dell’azienda. Per cui l’azienda, già evidentemente in condizione di difficoltà, sarà di fatto costretta a negoziare in condizione di ricattabilità. Non esattamente quello che occorre, in una situazione di emergenza».

La clausola impone che le aziende (ma anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti) che vogliono ottenere il finanziamento debbano preventivamente discutere con i sindacati la gestione della forza lavoro impegnandosi in questa gestione condivisa per tutta la durata del prestito.

Significa che un imprenditore non potrà apportare nessuna modifica alla forza lavoro?
Non proprio. Ma dovrà sempre passare attraverso la valutazione dei sindacati, anche se si trattasse solo di una rimodulazione degli orari lavorativi per far fronte alle nuove condizioni generate dal Coronavirus (es.: il passaggio da full-time a part- time).

Questo limite alla libertà aziendale rischia di complicare la vita alle aziende più piccole, con meno di 15 dipendenti, meno abituate a gestire il personale tramite i sindacati. Ciò comporterebbe un «appesantimento e un ostacolo nella gestione futura delle attività, oltre a rappresentare un rallentamento inevitabile per l’ottenimento della liquidità in giorni così convulsi». [vedi fonte della citazione]

Inoltre, come già suggerito dall’Avv. Daneluzzi, il mancato rispetto della clausola farebbe piombare l’imprenditore nella sgradevole situazione di dover restituire alla banca il finanziamento, poiché decadrebbe la garanzia statale.

UNA CLAUSOLA NEBOLUSA

In realtà, la clausola così come presentata nel Decreto manca di precisazioni chiare.
Il rischio è quindi che molte aziende, prese dall’urgenza di ottenere liquidità che le faccia ripartire in questo momento di crisi, accettino senza una vera consapevolezza la gestione condivisa con i sindacati.

Secondo Stucchi& Partners la clausola potrebbe significare quanto segue:

– le condizioni del Decreto Liquidità ricadono solo sui nuovi crediti e non su quelli già concessi (al massimo, su quelli già scaduti);

– in sede di istruttoria, le aziende dovranno presentare (almeno) una dichiarazione coerente con la condizione di impegno alla negoziazione sindacale dei livelli occupazionali, mentre non saranno obbligate ad allegare immediatamente un accordo sindacale;

l’impegno potrà essere fatto valere sia dai sindacati che dai lavoratori coinvolti qualora l’azienda dovesse violarlo;

– gli accordi sindacali potranno essere conclusi con i sindacati territoriali o anche con le RSA/RSU;

ogni intervento di riduzione dei livelli occupazionali già in essere al momento della richiesta del nuovo credito alle condizioni indicate dal decreto Liquidità dovrà essere sottoposto alla valutazione sindacale;

– sembrerebbe che l’accordo sindacale non sia richiesto in caso di rapporti di lavoro a termine o in somministrazione, trattandosi di lavoro che esula dalla stabile struttura occupazionale di un’azienda;

– lo stesso sembrerebbe valere per interventi individuali, come i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, che non rientrano nei negoziati sindacale e che sono coperti da una normativa apposita e già esistente;

le aziende intenzionate a richiedere il credito non possono prendere decisioni unilaterali sugli assetti del personale così come si configura al momento della richiesta.

LA TUTELA DELLA FORZA LAVORO

COVID-19 ha colpito la capacità produttiva e i mercati di riferimento di molte aziende. In un tale scenario non è solo importante sostenere l’imprenditoria, ma anche salvaguardare i livelli occupazionali presenti e futuri.

Ed è proprio questo lo scopo della clausola sugli accordi sindacali.

Sempre a favore della salvaguardia dei livelli occupazionali si era già mosso il precedente D.L. 18/2020 «Cura Italia» che aveva predisposto il blocco dei licenziamenti collettivi e individuali per tutte le aziende e per sessanta giorni, dal 17 marzo al 16 maggio 2020.
Lo stesso Decreto aveva poi esteso la cassa integrazione in deroga, rendendo possibile l’attivazione degli ammortizzatori sociali anche per le imprese con meno di 5 dipendenti.

 

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