Praticanti: corsi di formazione obbligatori dal 31 marzo 2022

Praticanti: corsi di formazione obbligatori dal 31 marzo 2022

Dopo il problemi riscontrati nella correzione delle prove del 2019 e le incertezze sull’esame del 2020, i praticanti sono alle prese con un’altra novità: i corsi di formazione per l’accesso alla professione forense diventano obbligatori dal 31 marzo 2022.

Questo differimento è inserito nel decreto n. 80/2020, “Regolamento concernente modifiche al decreto 9 febbraio 2018, n. 17, recante la disciplina dei corsi di formazione per l’accesso alla professione di avvocato, ai sensi dell’articolo 43, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247” e posticipa di altri due anni l’obbligatorietà dei corsi, precedentemente stabilità al 31 marzo 2020.

REGOLE DEI CORSI DI FORMAZIONE PER L’ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE

I corsi di formazione per l’accesso alla professione forense saranno obbligatori per i tirocinanti iscritti nel registro dei praticanti dal giorno successivo alla scadenza del primo quadriennio dall’entrata in vigore del regolamento D.M. 80/2020.

I corsi saranno regolamentati dal ministero di Giustizia, tenendo conto dei pareri espressi dal Consiglio Nazionale Forense, e organizzati dai singoli consigli dell’ordine, dalle associazioni forensi e da altri soggetti previsti dalla legge (per. es.: scuole di specializzazione).

I corsi dureranno almeno 160 ore spalmate in 18 mesi e sarà prevista la frequenza obbligatoria per l’80%. Sono previste lezioni online per un massimo di 50 ore, 2 verifiche intermedie e una finale.

Solo in caso di superamento della prova finale, il tirocinante ricevere il certificato di compiuto tirocinio. In caso contrario, dovrà ripetere l’ultimo semestre di formazione e la verifica.

Le materie trattate durante i corsi sono:

a) diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo;

b) diritto processuale civile, penale e amministrativo; processo telematico, tecniche impugnatorie, procedure alternative per la risoluzione delle controversie;

c) ordinamento e deontologia forense;

d) redazione degli atti giudiziari secondo il principio di sinteticità e dei pareri stragiudiziali;

e) ricerca, anche telematica, delle fonti e dei precedenti giurisprudenziali;

f) linguaggio giuridico; argomentazione forense;

g) diritto costituzionale, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto dell’Unione europea, diritto internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico;

h) organizzazione e amministrazione dello studio professionale;

i) contribuzione e tributi della professione di avvocato e previdenza;

l) elementi di ordinamento giudiziario e penitenziario.

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Qual è l’obiettivo della giustizia: punire o riabilitare? E che ruolo ha, in ciò, l’avvocatura? È “solo” una professione oppure ha un valore sociale da non sottostimare?

Lo scorso luglio il CNF ha aderito a un progetto di giustizia riparativa proposto dal Ministero della Giustizia per lo svolgimento di lavori socialmente utili nelle sedi da parte di imputati ammessi all’istituto della messa alla prova.

La convenzione nasce in risposta alle spinte dell’Unione Europea verso un adeguamento dell’Italia agli standard comunitari e l’istituto della messa alla prova permette di abbandonare la funzione punitiva dello Stato, basata sul carcere, a favore di un approccio rieducativo della pena, come indicato dalla Costituzione.

L’ISTITUTO DELLA MESSA ALLA PROVA

L’istituto della messa alla prova si applica ai reati che prevedono una pena non superiore ai 4 anni.

È stato introdotto per gli adulti nel 2014 e prevede che l’imputato svolga attività lavorative a titolo gratuito, con finalità sociali, presso enti, organizzazioni e amministrazioni pubbliche.

Se, nel 2014, i soggetti coinvolti erano solo 511, nel 2019 sono diventati quasi 40.000.

IL RUOLO SOCIALE DELL’AVVOCATO

L’avvocato opera nel rispetto dei principi di libertà, lealtà, autonomia, indipendenza, dignità e competenza. È colui che garantisce che il processo si svolga secondo le regole, cosicché il giudice possa giungere alla decisione più adeguata.

È suo compito chiedere una pena proporzionata al reato, veder tutelati i diritti del suo assistito e, per estensione, di tutti noi.

Ma l’essere avvocato travalica i semplici aspetti tecnico-professionali e si basa anche aspetti umani.

Lo ha spiegato bene l’ex presidente Cnf Pietro Calamandrei: «Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. […] L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità».

Il Consiglio Nazionale Forense è il massimo organo di rappresentanza dell’avvocatura e l’apertura delle proprie sedi a coloro che beneficiano della messa alla prova non fa che sottolineare l’attitudine sociale della categoria.
Come comunicato dall’organo stesso: «Il Cnf, coerente con la funzione sociale del ruolo dell’avvocato, aderisce con convinzione al progetto rieducativo e confida in una crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso un sistema sanzionatorio non esclusivamente punitivo e maggiormente in linea con i principi più volte evocati dalla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo)».

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L’avvocato deve essere sempre reperibile?

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Tra le tante novità che molti avvocati hanno sperimentato durante il lockdown, il lavoro da casa/smart working è certamente una delle più significative. Per alcuni è stata una rivelazione positiva, capace di migliorare il rapporto tra vita privata e professione; per altri, esattamente l’opposto: call all’ora di cena, messaggi e notifiche in continuazione, reperibilità costante e mai una vera pausa.

E se un avvocato volesse prendersela, una pausa? Se volesse sparire e non rispondere più a chiamate, messaggi e mail dei suoi assistiti?

Diciamo subito che non esiste alcuna norma che forzi l’avvocato a essere sempre reperibile. Come tutti, anche lui ha una vita privata e necessita di momenti per staccare. Nonostante ciò, il Codice Deontologico impone degli obblighi che, in qualche modo, gli impediscono di sparire totalmente.

LA REPERIBILITÀ DELL’AVVOCATO E IL DOVERE DI INFORMAZIONE

Oltre ai doveri di fedeltà, diligenza, segretezza e riservatezza, esiste anche il dovere di informazione.

L’art. 27 del Codice Deontologico dice:

1. L’avvocato deve informare chiaramente la parte assistita, all’atto dell’assunzione dell’incarico, delle caratteristiche e dell’importanza di quest’ultimo e delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione.

2. L’avvocato deve informare il cliente e la parte assistita sulla prevedibile durata del processo e sugli oneri ipotizzabili; deve inoltre, se richiesto, comunicare in forma scritta, a colui che conferisce l’incarico professionale, il prevedibile costo della prestazione.

3. L’avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare chiaramente la parte assistita della possibilità di avvalersi del procedimento di negoziazione assistita e, per iscritto, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione; deve altresì informarla dei percorsi alternativi al contenzioso giudiziario, pure previsti dalla legge.

4. L’avvocato, ove ne ricorrano le condizioni, all’atto del conferimento dell’incarico, deve informare la parte assistita della possibilità di avvalersi del patrocinio a spese dello Stato.

5. L’avvocato deve rendere noti al cliente ed alla parte assistita gli estremi della propria polizza assicurativa.

6. L’avvocato, ogni qualvolta ne venga richiesto, deve informare il cliente e la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato e deve fornire loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il disposto di cui all’art. 48, terzo comma, del presente codice.

7. Fermo quanto previsto dall’art. 26, l’avvocato deve comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di atti necessari ad evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso.

8. L’avvocato deve riferire alla parte assistita, se nell’interesse di questa, il contenuto di quanto appreso legittimamente nell’esercizio del mandato.

9. La violazione dei doveri di cui ai commi da 1 a 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento. La violazione dei doveri di cui ai commi 6, 7 e 8 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

In sostanza, l’avvocato deve informare il cliente al momento del conferimento del mandato e durante lo svolgimento dell’incarico, solo se strettamente necessario o se il cliente ne fa richiesta. Ciò non significa affatto che debba essere costantemente reperibile, ma certamente non può permettersi di sparire completamente.

SE L’AVVOCATO SPARISSE…

Se l’avvocato sparisse, smettesse di rispondere a mail e chiamate, e non offrisse le informazioni che è obbligato a dare, potrebbe incorrere in problemi.

Di fatto, il suo comportamento risulterebbe essere un vero e proprio inadempimento che minerebbe il rapporto di fiducia con il cliente, il quale potrebbe decidere di revocare il mandato e rivolgersi all’Ordine che valuterebbe un eventuale provvedimento disciplinare.

La revoca del mandato imporrebbe all’avvocato irreperibile la restituzione al cliente di tutti i documenti, ma manterrebbe intatto il diritto a vedersi pagato il lavoro svolto.

Nel caso in cui l’irreperibilità causasse al cliente dai danni dimostrabili (es.: prescrizione), questo potrebbe chiedere e ottenere il risarcimento.

In conclusione, come spesso accade, è tutta questione di equilibrio: gli avvocati hanno tutto il diritto di prendersi una pausa, fare una vacanza o “staccare” a patto che offrano, appena possibile, tutti gli aggiornamenti, le informazioni e le risposte ai dubbi e alle domande che i clienti pongono loro.

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La vicenda Palamara ha acceso i riflettori sulle reali modalità di assegnazione delle cariche dirigenziali delle Procure italiane. La Magistratura non ne è uscita nel migliore dei modi e il governo si è mosso con l’obiettivo di ripristinare valori come la trasparenza e il merito all’interno dell’istituzione.

E se gli avvocati rappresentassero la chiave di volta?

LA RIFORMA DEL CSM

La riforma della Magistratura prevede diverse misure e, tra queste, ce n’è una decisamente importante: gli avvocati potranno accedere all’Ufficio studi e documentazione di Palazzo dei Marescialli, ufficio che si occupa anche di compilare e gestire i fascicoli dei candidati alle nomine.

Nell’art.25 del ddl presentato si legge che il CSM può assegnare ai ruoli tecnici «un numero non superiore a 8 addetti esterni, individuati mediante procedura selettiva con prova scritta aperta ai professori universitari di ruolo di prima e di seconda fascia, agli avvocati iscritti da almeno dieci anni nel relativo albo e a tutti i magistrati ordinari, i quali sono posti fuori del ruolo organico della Magistratura».

È la prima volta che agli avvocati viene concesso di far parte dell’Ufficio studi e documentazione e, quindi, contribuire alla creazione dei fascicoli delle nomine.

INVASIONE DI CAMPO DA PARTE DEGLI AVVOCATI?

La presenza dell’avvocatura all’interno dei meccanismi della Magistratura non è da considerarsi «un’indebita invasione di campo da parte del ceto forense nella vita del corpo togato [ma] deve essere letta nell’ottica di un riequilibrio della giurisdizione».

Come disse l’ex presidente del CNF, Mascherin, durante un evento lo scorso dicembre:

«Nella nostra Costituzione, quando si parla di giurisdizione si parla di Magistratura. E se vogliamo che questa sia una vera garanzia per i cittadini, dobbiamo assicurarci che sia forte e indipendente dalla politica e da ogni altro potere.
Ciò è ancora più importante in questo periodo storico, caratterizzato da minacce alla democrazia che rischiano di comprimere l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione non solo in paesi totalitari, ma anche in Italia.
Si vede, per esempio, una crescente aggressione alla discrezionalità dei magistrati, sotto forma di normative che già contengono in qualche modo in sé la decisione finale a cui si vuole puntare (come nel caso della legittima difesa), stringendo la libertà del giudice. 
Un’altra forma di aggressione viene dalla pressione mediatica. Ciò che sta succedendo è che non si fanno più norme guardando alla Costituzione, ma puntando al consenso, basandosi sui sondaggi.

Per giungere a una Magistratura davvero indipendente e forte è necessario un elemento equilibratore del suo potere, un elemento tecnico che non sia esterno alla Magistratura, che non sia un soggetto politico o economico e che non sia il popolo.

Può essere solo l’avvocatura, il cui potere deriva dall’applicazione delle regole».

[Per approfondire: Associazione Nazionale Forense]

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Cosa succede se la procura alle liti presenta una croce al posto della firma? Può essere ritenuta valida?

L’ordinanza n. 16948/20 emessa dalla Corte di Cassazione e pubblicata il 12 agosto 2020 ci offre la risposta.

ANALFABETISMO E PROCURA ALLE LITI

Un cittadino straniero desidera ottenere la protezione internazionale e umanitaria ma il Tribunale di Napoli dichiara inammissibile la richiesta per nullità della procura alle liti, che risulta priva della firma e sottoscritta solo con un semplice crocesegno a causa dell’analfabetismo del soggetto.

Il cittadino decide di ricorrere denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 82 e 157 c.p.c., deducendo che “il giudice non avrebbe potuto rilevare d’ufficio, in mancanza di eccezione della controparte rimasta contumace, la nullità della procura speciale alle liti che conteneva l’esatta indicazione del suo nome e delle sue generalità, essendo irrilevante l’illeggibilità della firma”.

Al ricorso viene allegata anche la procura speciale, anch’essa però sottoscritto solo mediante una croce e non con firma autografa.

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Nell’ordinanza, la Cassazione spiega che “la procura alle liti sottoscritta con crocesegno non è suscettibile di autenticazione da parte del difensore, ove rilasciata in calce o a margine dell’atto giudiziale, atteso che la sottoscrizione, essendo indispensabile ai fini della individuazione dell’autore del documento e costituendo un elemento essenziale dello stesso, deve risultare da segni grafici che indichino, anche in forma abbreviata, purché decifrabile, le generalità del soggetto che conferisce la procura e non è integrata, pertanto, da un segno di croce vergato al posto della firma”.

Il Tribunale ha dunque agito correttamente rilevando d’ufficio la nullità della procura e fissando un termine perentorio per la regolarizzazione di un vizio sanabile; regolarizzazione che però non è avvenuta.

Considerato tutto ciò, la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.

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Nasce il PNR, il portale delle notizie di reato

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Nel provvedimento emesso dal Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia sono contenute le disposizioni relative alla comunicazione telematica di atti e di documenti da parte degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria agli uffici del pubblico ministero.

La novità trova le sue fondamenta nel comma 12-quater. 2 dell’art. 83 del decreto legge n.18 del 17 marzo 2020 recante “Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare”, convertito con modificazioni nella Legge n.27 del 24 aprile 2020 recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse con l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi”, ed ulteriormente modificato dai decreti legge n.28 del 30 aprile 2020 e n.34 del 19 maggio 2020.

COS’È IL PNR, IL PORTALE DELLE NOTIZIE DI REATO

Il portale consente la trasmissione degli atti contenenti la comunicazione della notizia di reato e dei loro allegati dagli operatori degli uffici fonte agli uffici del pubblico ministero.

I documenti devono essere tutti in versione digitale e devono rispettare precisi requisiti indicati nel provvedimento pubblicato.

La procedura standard di comunicazione prevede l’inserimento di alcuni dati richiesti dal sistema, il caricamento dei documenti e l’invio tramite apposito comando.

Il PNR genera una ricevuta di accettazione che può essere scaricata e che rimane sempre a disposizione dell’operatore dell’ufficio fonte all’interno del PNR.

Il Portale delle Notizie di Reato si trova all’indirizzo: https://portalendr.giustizia.it/NdrWEB/home.do ed è accessibile solo:
– ai referenti interni agli uffici del pubblico ministero,
ai
referenti degli uffici fonte presso cui operano gli Ufficiali o Agenti di Polizia Giudiziaria.

Per ottenere l’autorizzazione all’accesso al portale bisogna seguire una procedura, anch’essa indicata nel provvedimento pubblicato, che varia in base al soggetto.

Per i referenti interni è necessario che:
a) il Procuratore della Repubblica individui il referente e ne comunichi le generalità alla DGSIA a mezzo protocollo;

b) il referente si accrediti tramite l’applicativo RA.FE. richiedendo il Certificato alla DGSIA;

c) DGSIA verifichi la corrispondenza tra i dati della richiesta e quelli della comunicazione dell’ufficio del pubblico ministero. Se la richiesta è approvata, il referente riceve tramite mail il Certificato per l’accesso a RA.FE.;

d) a questo punto, il referente può gestire, sempre tramite RA.FE, la distribuzione dei Certificati ai referenti degli uffici fonte.

Per i referenti degli uffici fonte:
a) l’ufficio fonte individua il referenti e ne comunica le generalità all’ufficio del pubblico ministero del circondario di riferimento;

b) il referente dell’ufficio fonte, tramite RA.FE., richiede il Certificato all’ufficio del pubblico ministero;

c) sempre tramite l’applicativo, il referente dell’ufficio del pubblico ministero destinatario della richiesta verifica la corrispondenza tra i dati di questa e quelli della documentazione, approva la richiesta e invia al richiedente una mail con il Certificato di accesso a RA.FE.

Il  RA.FE., Registration Authority Front End, è il software in uso al personale autorizzato per la gestione dei certificati.

Sebbene, come già detto, il portale sia accessibile solo ai referenti degli uffici fonte e del pubblico ministero, la notizia risulta molto interessante perché rappresenta un altro passo avanti verso la digitalizzazione della Giustizia.

Qui il testo completo del Provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia contenente le disposizioni relative alle comunicazioni agli uffici del pubblico ministero da parte degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria di atti e di documenti in modalità telematica.

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Nel Decreto Semplificazioni (D.L. 76/2020) sono contenute diverse novità che toccano da vicino la vita quotidiana di molti professionisti.

Tra le tante, 4 sono particolarmente interessanti

1) I DOMICILI DIGITALI

L’art. 24, comma 1-bis, del decreto è dedicato ai registri dei domicili digitali.

Spesso, questi registri non sono affatto aggiornati, causando problemi nel reperimento degli indirizzi di posta elettronica corretti.

Per tentare di risolvere la situazione, è stata prevista la cancellazione d’ufficio di tutti gli indirizzi non più funzionanti, ma le modalità con cui definire se un indirizzo è attivo o meno dovranno essere stabilite da specifiche linee guida.

2) L’ISCRIZIONE A INIPEC

L’art. 24, co. 1, lett. b), indica che l’iscrizione in INIPEC non è più limitata ai professionisti iscritti a ordini o collegi professionali, ma è estesa a «professionisti diversi da quelli di cui al primo periodo, iscritti in elenchi o registri detenuti dalle pubbliche amministrazioni e istituiti con legge dello Stato».

3) LA RITROVATA VALIDITÀ DELL’IPA AI FINI DELLE NOTIFICHE PEC

L’art. 3-bis della Legge 53/1994 aveva stabilito che le notificazioni telematiche dell’avvocato dovessero essere inviate esclusivamente a indirizzi tratti dai pubblici elenchi indicati dall’art. 16-ter d.l. 179/2012, modificato dalla legge 228/12 e convertito nella legge 221/12

Inizialmente, i pubblici elenchi di riferimento erano Reginde e IPA, ma con la legge 114/14 di conversione del d.l. 90/2014 IPA ha smesso di essere considerato un registro valido al reperimento degli indirizzi pec della P.A.

L’art. 28 del Decreto Semplificazioni ripristina la validità del registro.

4) PIATTAFORMA PER LA NOTIFICAZIONE DIGITALE DEGLI ATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Con l’art. 8 comma 1 del Decreto Legge n. 35 del 14 dicembre 2018 nacque la società per azioni di proprietà statale che gestisce PagoPA, il sistema per i pagamenti verso la Pubblica Amministrazione.

L’art. 1, comma 492, della Legge n. 160 del 27 dicembre 2019 prevedeva l’istituzione di una piattaforma digitale per le notifiche, sempre gestita da PagoPA S.p.A., e l’art. 26, comma 3, del Decreto Semplificazioni indica le finalità e il funzionamento della piattaforma per la «notificazione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni, in alternativa alle modalità previste da altre disposizioni di legge, anche in materia tributaria».

Sulla piattaforma vengono caricati le copie informatiche dei documenti analogici o i documenti informatici originali. Questi sono disponibili tramite un codice univoco inviato via pec al destinatario. Chi non è in possesso di un domicilio digitale viene notificato via posta cartacea.

[Per approfondire: “Semplificazioni, cosa cambia per gli avvocati: domicilio digitale e pubblici elenchi per notificazioni” – Agenda Digitale]

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Cassazione: all’avvocato vanno rimborsate le spese documentate

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Per la Cassazione, l’avvocato ha diritto a vedersi rimborsate le spese documentate, perché queste non rientrano nella percentuale che la legge prevedere per il rimborso delle spese forfettarie.

IL CONTESTO

Un avvocato impugna per Cassazione la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che dichiarava inammissibile il precedente ricorso relativo alla liquidazione di spese documentate, nell’ambito di una procedura promossa ex art. 70 del dlgs n. 546/1992 per l’ottemperanza del giudicato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

L’avvocato ritiene che la sentenza della CTP violi l’art. 91 c.p.c, l’art 2 D.M. 55/2014 e lo stesso art. 70, poiché le spese documentate non sarebbero da includersi nella percentuale prevista per il rimborso delle spese generali indicata nel D.M. 55/2014.

SPESE DOCUMENTATE E SPESE FORFETTARIE

La Cassazione ritiene fondato il ricorso e nell’ordinanza n. 15985 del 27 luglio 2020 spiega che:

  • l’avvocato ha diritto al compenso, al rimborso delle spese documentate legate alla propria prestazione, ma anche -sempre- al rimborso delle spese forfettarie pari al 15% del compenso totale (art 2 del D.M. 55/2014);
  • – con spese documentate si intendono quelle spese necessarie allo svolgimento del processo: pagamento del contributo unificato, delle marche da bollo e di tutte quelle uscite che producono un documento che le attesti;
  • – il rimborso forfetario delle spese generali è una componente delle spese giudiziali, il suo ammontare è predeterminato dalla legge e spetta automaticamente al difensore, anche in mancanza di un accordo in tal senso («è implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente»);
  • – il rimborso delle spese forfettarie serve a coprire quelle spese che non sono documentabili e documentate, che non sono legate alla singola pratica ma alla professione in sé: gestione dello studio, stipendi del personale, assicurazioni, utenze, materiali di uso quotidiano, ecc.

La Cassazione dunque individua una netta distinzione tra spese documentate e spese forfettarie e riconosce che le prime non rientrano nella percentuale di rimborso prevista per le seconde dal D.M. 55/2014.

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È valida la comunicazione della cancelleria all’avvocato via fax e non via pec

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La Cassazione si è espressa sulla validità di un’ordinanza comunicata dalla cancelleria all’avvocato di una delle parti via fax e non via pec poiché la casella di quest’ultimo risultava malfunzionante.

IL RICORSO

In un caso legato a un contratto preliminare e a un contratto di comodato d’uso di un immobile, una delle parti procede secondo l’ex art. 702 bis c.p.c. e si vede riconosciuto lo scioglimento dell’accordo.

L’altra parte ricorre in Corte d’Appello e la Corte dichiara il gravame inammissibile perché  depositato dopo l’esaurimento del termine fissato dall’articolo 702 quaterc.p.c.

Il termine considerato dalla Corte coincide con il giorno e l’ora in cui l’ordinanza del Tribunale è stata comunicata all’avvocato della parte via fax, dopo che il tentativo via pec è fallito per un malfunzionamento della casella di posta del destinatario.

La sentenza della Corte d’appello si basa su tre motivi:

  1. i ricorrenti dichiarano che la sentenza non è mai stata loro notificata dato che il tentativo di notifica via PEC ha avuto l’ esito di “mancata consegna”.
    Il termine breve per l’appello fissato dall’articolo 702 quater c.p.c., con decorrenza dalla comunicazione dell’impugnata ordinanza, non sussisterebbe;
  2. della sentenza trasmessa via fax, è presente nel fascicolo di ufficio solo la copia della prima pagina dove è indicato unicamente lo”scioglimento della riserva”.
    Questo non dimostrerebbe l’avvenuta trasmissione del provvedimento, ma solo dell’avviso di scioglimento di riserva;
  3. i ricorrenti ritengono che la Corte territoriale abbia errato nel considerare il fax un mezzo idoneo ai fini della decorrenza del termine breve, poiché non assicura la trasmissione integrale del documento.

Si giunge dunque in Cassazione.

PERCHÉ LA COMUNICAZIONE DELLA CANCELLERIA ALL’AVVOCATO VIA FAX È AMMESSA

Con l’ordinanza n. 15298/2020 del 17 luglio 2020, la Cassazione ribadisce che:

1. se la notifica via pec risulta impossibile per cause non imputabili al destinatario, il cancelliere deve procedere secondo l’art. 136 c.p.c., terzo comma, e trasmettere via fax o a mezzo ufficiale giudiziario;

2. se la notifica via pec risulta impossibile per cause imputabili al destinatario, il cancelliere deve procedere alla comunicazione tramite deposito in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, D.L. 179/2012.

Nel caso specifico, il cancelliere ha scelto la trasmissione via fax, che è la soluzione che tutela maggiormente il destinatario, perché lo solleva dalla responsabilità di essere la causa della mancata notifica via pec, pertanto il destinatario non ha alcun motivo di lamentarsi.

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Smart contract, minaccia per gli avvocati od opportunità?

Smart contract, minaccia per gli avvocati od opportunità?

Cosa sono gli smart contract, o contratti intelligenti? Segneranno davvero la fine degli avvocati, come qualcuno insinua? Non proprio.

COSA SONO GLI SMART CONTRACT

In un articolo pubblicato da Ansa, l’Avv. Papotto di Catania spiega che «uno Smart Contract è la “traduzione” o “trasposizione” in codice di un contratto in modo da verificare in automatico l’avverarsi di determinate condizioni e di autoeseguire in automatico azioni nel momento in cui le condizioni determinate tra le parti sono raggiunte e verificate.

In altre parole, lo Smart Contract è basato su un codice che “legge” sia le clausole che sono state concordate sia la condizioni operative nelle quali devono verificarsi le condizioni concordate e si autoesegue automaticamente nel momento in cui i dati riferiti alle situazioni reali corrispondono ai dati riferiti alle condizioni e alle clausole concordate».

Semplificando al massimo, gli smart contract sono programmi informatici basati su algoritmi che verificano l’esistenza di alcuni parametri e ne garantiscono l’esecuzione.

Per fare un esempio primordiale di smart contract, pensiamo all’attivazione o disattivazione di una licenza per l’uso di un software in base al verificarsi di una condizione come il pagamento della licenza da parte dell’utente.

Un altro esempio si ha nelle assicurazioni auto. Attraverso i dispositivi di controllo nelle vetture è possibile sapere se il guidatore ha, per esempio, superato i limiti di velocità indicati nel contratto facendo scattare immediatamente clausole svantaggiose, come un aumento del premio.

VANTAGGI DEGLI SMART CONTRACT

I vantaggi degli smart contract sono due:

minori costi di transazione.
Questo dipende dal fatto che gran parte del lavoro di attivazione e verifica del contratto è automatizzato, non è necessario affidarsi a ‘umani’ per monitorarne l’adempimento;

maggiore sicurezza nell’ottemperanza.
Sempre grazie all’automazione, la verifica dell’avverarsi delle condizioni è garantita, così come lo è l’attivazione delle clausole stabilite.

PERCHÈ GLI SMART CONTRACT NON SONO UNA MINACCIA PER GLI AVVOCATI

Un articolo come questo può solo dare un’idea indicativa e superficiale del complesso mondo degli smart contract. Nonostante ciò, basta poco per credere che l’automazione in materia di contratti possa scalzare le figure più competenti in materia.

In realtà, avvocati e smart contract non si annullano a vicenda.

Come spiegato su Blockchain4innovation, lo smart contract: «è un programma che elabora in modo deterministico (con identici risultati a fronte di identiche condizioni) le informazioni che vengono raccolte. In altre parole se gli input sono gli stessi i risultati saranno identici. […] Ai contraenti spetta il compito di definire condizioni e clausole e modalità e regole di controllo e azione».

Gli smart contract sono dunque la traduzione informatica di accordi fra le parti, pertanto c’è ancora bisogno di legali che sappiano individuare tutte le ipotesi possibili e indicare tutte le clausole necessarie a rendere vitale il contratto.

Poi, citando Pierluigi Cuccurru in Blockchain e automazione contrattuale: «Nonostante il nome, gli smart contarct non sono necessariamente contratti giuridicamente intesi (sebbene possano esserlo ove ne integrino i requisiti). Siano più semplicemente degli strumenti per la negoziazione, conclusione e/o automatica applicazione di rapporti contrattuali o relazioni para-contrattuali: un canale per la conclusione e gestione degli accordi, piuttosto che accordi in sé».

In sostanza, sono dei mezzi con cui portare avanti degli accordi. E quegli accordi devono essere stabiliti tra parti.

Infine, gli smart contract si appoggiano alla blockchain, campo che offre molti vantaggi ma anche molti rischi di illeicità, e gli avocati potrebbero trovare nuovi campi di applicazione delle proprie competenze.

[Per approfondire: “Ti lascio una canzone ma con la blockchain” – Altalex]

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