adempimenti previdenziali

Cassa Forense: nuova proroga agli adempimenti previdenziali

La crisi economica generata dalla pandemia covid perdurerà ancora a lungo e per tale motivo Cassa Forense ha deciso di posticipare al 31 marzo 2021 gli adempimenti previdenziali già sospesi.

ADEMPIMENTI PREVIDENZIALI, I PRECEDENETI PROVVEDIMENTI

Già il 2 aprile 2020 Cassa Forense aveva deciso di:
sospendere tutti gli adempimenti previdenziali in scadenza tra l’11 marzo e il 30 settembre 2020,
prorogare al 31 dicembre 2020 i termini per il pagamento dei contributi minimi 2020, l’invio della comunicazione obbligatoria dei dati reddituali relativi al 2019 (mod. 5/2020), i versamenti dei contributi in autoliquidazione connessi al mod. 5/2020, dando la possibilità di scegliere fra quattro diverse modalità di pagamento.

Successivamente, il 18 giugno 2020, una nuova delibera comunicava la ripresa della riscossione dei tributi previdenziali sospesi, indicando per ognuno una nuova scadenza.

Ogni professionista avrebbe ricevuto diversi bollettini MAV con scadenza al 31 ottobre, momento in cui però si è verificata la ripresa dei contagi.  Cassa Forense ha notato come «le richieste di pagamento rimaste inevase, risultassero decisamente più elevate rispetto agli anni precedenti».

GLI EFFETTI E LA DECISIONE DI UNA NUOVA PROROGA

È Cassa Forense stessa a spiegare che questi mancati pagamenti avrebbero avuto «evidenti ripercussioni negative sulle posizioni previdenziali degli iscritti interessati». Pertanto, il 10 dicembre 2020 ha deciso per una nuova proroga degli adempimenti, stabilendo un nuovo termine al 31 marzo 2021.

Il termine riguarda anche le richieste di pagamento tramite MAV in scadenza al 31 ottobre 2020.

Sul sito di Cassa Forense è possibile visualizzare la tabella completa degli adempimenti previdenziali e delle loro nuove scadenze.

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Vaccino COVID: Codacons contesta il modulo di consenso

 

 

Vaccino COVID: Codacons contesta il modulo di consenso

Vaccino COVID: Codacons contesta il modulo di consenso

La campagna per la somministrazione del vaccino contro il COVID è iniziata da poco e non mancano certo i dubbi, uno dei quali riguarda il modulo di consenso alla vaccinazione. Modulo che ha spinto il Codacons a presentare un’istanza al Ministro della Salute Speranza e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri perché si sforzino maggiormente per favorire la tutela della salute nel rispetto però dei diritti dei cittadini.

Cerchiamo di capire meglio quali siano le perplessità del Codacons.

IL MODULO DI CONSENSO, LE CLAUSOLE DUBBIE

Oltre ai dati personali e alle informazioni relative al vaccino, il modulo di consenso contiene un’informativa composta da 10 punti, di cui 3 sono quelli che destano maggiore preoccupazione secondo l’associazione:

  • il n. 6: “il vaccino potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono. Infatti l’efficacia stimata dalle sperimentazioni cliniche (dopo due dosi di vaccino) è del 95% e potrebbe essere inferiore in persone con problemi immunitari)“;
  • il n. 8 contenente un elenco degli effetti collaterali e la precisazione che “non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi durante l’assunzione del vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19″;
  • il n. 10: “non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza“.

L’ANALISI DEL CODACONS

Secondo il Codacons “sembrerebbe che chi si sottopone al vaccino prodotto da Pfizer-Biontech debba obbligatoriamente sottoscrivere dei ‘moduli di scarico di responsabilità che esonerano l’azienda farmaceutica e il personale sanitario che esegue la vaccinazione da qualsiasi responsabilità per eventuali reazioni avverse, danni a lunga distanza ovvero inefficacia della vaccinazione”.

Inoltre, il Codacons ricorda che “l’art. 1229 del codice civile, tuttavia, stabilisce che ‘è nullo qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore e dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico’. Non solo. La legge n. 210 del 1992 riconosce indennizzi in favore dei soggetti che riportano danni irreversibili cagionati da vaccinazioni obbligatorie, e la Corte costituzionale ha più volte affermato che la sua applicazione deve estendersi anche a quelle vaccinazioni riconoscibili come raccomandate”.

Partendo da questi presupposti “l’imposizione della sottoscrizione di un esonero di responsabilità per eventuali danni cagionati dal vaccino anti-Covid è del tutto contraria alla disciplina prevista dalla legge nonché ai diritti costituzionalmente garantitial singolo quali, in primo luogo, il diritto alla salute. Ne consegue, pertanto, che il modulo di cui si richiede la sottoscrizione per poter accedere alla campagna di vaccinazione contro il Covid-19 è da ritenersi contrario ai principi del nostro ordinamento e, quindi, nullo, nella parte in cui prevede un esonero di responsabilità in favore dell’azienda produttrice e del personale sanitario per eventuali reazioni avverse, danni a lunga distanza ovvero inefficacia della vaccinazione”.

VACCINO E CONTROLLI

Sul sito del Ministero della Salute è presente una sezione dedicata alle domande sul vaccino contro il COVID in cui si spiega che i vaccini sono autorizzati solo a seguito di un’analisi della loro sicurezza. L’analisi si basa sui dati raccolti in fase di sperimentazione e è costantemente portata avanti anche dopo l’autorizzazione alla somministrazione.

Il Ministero spiega anche che “l‘AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), oltre alle attività di farmacovigilanza normalmente previste per farmaci e vaccini (basate sulle segnalazioni spontanee e sulle reti di farmacovigilanza già presenti), promuoverà l’avvio di alcuni studi indipendenti post-autorizzativi sui vaccini COVID-19. […] L’AIFA si è dotata di un Comitato scientifico, che, per tutto il periodo della campagna vaccinale, avrà la funzione di supportare l’Agenzia e i responsabili scientifici dei singoli studi nella fase di impostazione delle attività, nell’analisi complessiva dei dati che saranno raccolti e nell’individuazione di possibili interventi. La finalità è quella di disporre, anche attraverso una rete collaborativa internazionale, della capacità di evidenziare ogni eventuale segnale di rischio e, nel contempo, di confrontare i profili di sicurezza dei diversi vaccini che si renderanno disponibili, di fornire raccomandazioni.

 

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PAT, Processo Amministrativo Telematico: aggiornate le regole

PAT, Processo Amministrativo Telematico: aggiornate le regole

Il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa ha aggiornato le regole tecnico-operative del PAT, Processo Amministrativo Telematico. Le nuove regole rimarranno valide fino alla fine dell’attuale periodo emergenziale. 

Il decreto contenente gli aggiornamenti alle regole tecnico-operative del PAT è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 gennaio 2021.

Il decreto “Regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti” va a sostituire il precedente del maggio 2020 e decorre dal 16 gennaio.

PAT, GLI AGGIORNAMENTI ALLE REGOLE

Diamo ora una panoramica delle principali regole per il Processo Amministrativo Telematico durante il periodo di emergenza sanitaria:

  • – nel caso sia necessaria la discussione orale, le udienze pubbliche e camerali del PAT si svolgeranno da remoto tramite videoconferenza;
  • – se l’istanza di discussione orale è proposta da una sola parte, la segreteria comunica alle altre parti l’avvenuto deposito dell’istanza;
  • – in caso di discussione da remoto, la segreteria comunica agli avvocati data e ora del collegamento con almeno un giorno di anticipo. La segreteria si impegna a calendarizzare le discussioni nel modo più opportuno per ridurre i tempi di attesa;
  • – la comunicazione di data e ora è accompagnata dal link con cui sarà possibile accedere ala discussione, dall’informativa sulla privacy e al trattamento dei dati personali;
  • – per partecipare alla discussione da remoto è necessario che difensori e parti siano dotati di dispositivi e software correttamente funzionanti;
  • – i magistrati devono utilizzare esclusivamente i dispositivi forniti loro dal Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa e accedere al collegamento da remoto utilizzando la propria email istituzionale;
  • – è vietata la registrazione delle discussioni;
  • – è vietato l’uso della funzione di messaggistica istantanea presente nel software di videoconferenza e di tutti gli strumenti che permettano di memorizzare quanto viene espresso durante l’udienza o la camera di consiglio;
  • – le parti hanno a disposizione:
    7 minuti di tempo per l’istanza cautelare e nei riti dell’accesso, del silenzio, del decreto ingiuntivo, dell’ottemperanza e in negli altri riti speciale non espressamente menzionati nel comma specifico del decreto;
    10 minuti nel rito ordinario, in quello abbreviato comune (art. 119 c.p.a.), in quello sui contratti pubblici (art. 120 e ss. c.p.a.) e nei riti elettorali;
  • – il numero di difensori che assistono le parti non incide sul numero di minuti a disposizione. Il Presidente può però ampliare o ridurre i tempi in base al numero di soggetti difesi, della natura e della complessità della controversia e alle pause necessarie.

Condividiamo il link al testo completo del decreto “Regole tecnico-operative per l’attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti“.

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L’Oversight Board: il tribunale di Facebook

L’Oversight Board: il tribunale di Facebook

L’oscuramento del profilo Twitter di Trump ha portato nuovamente all’attenzione generale il difficile rapporto fra democrazia e grandi colossi digitali che, ricordiamolo, in ultima analisi sono aziende il cui obiettivo è generare un profitto.

Forse non tutti sanno che esiste un tribunale di Facebook, l’Oversight Board.

Da sempre gli utenti di Facebook hanno la possibilità di segnalare all’amministrazione la presenza di contenuti inappropriati. L’assistenza si occupa di verificare che siano effettivamente in contrasto con le regole della Community e, in caso, di rimuoverli. Lo stesso sistema funziona anche su Instagram, di proprietà di Facebook.

Finora chi si vedeva eliminare un contenuto non poteva fare altro che accettare la decisione del social, a meno di non passare alle vie legali. Ma quanti erano disposti a farlo? Un post può valere i costi e tempi di un processo tradizionale?

L’OVERSIGHT BOARD

L’Oversight Board è l’entità alla quale ora gli utenti possono rivolgersi per obiettare la rimozione dei propri contenuti.

Questo tribunale di Facebook si occuperà però principalmente dei casi che hanno una maggiore eco a livello pubblico.

Sebbene l’organismo abbia iniziato le sue attività solo nell’ottobre del 2020, fu Zuckerberg stesso a pensarlo ancora nel 2018, in concomitanza con una generale perdita di fiducia verso il social dovuta allo scandalo Cambridge Analytica.

Il tribunale di Facebook si compone di 40 membri, selezionati tra dipendenti di Facebook, ufficiali governativi, attivisti e professori universitari. La composizione è variegata, con membri da più di 20 paesi, parlanti più di 20 lingue diverse e di generazioni diverse.

All’Overisight Board si affianca dal 2019 l’Oversight Board Trust, organo indipendente a garanzia dell’imparzialità dell’Oversight Board e che si occupa della retribuzione dei membri dell’organismo. I fondi derivano dalle entrate di Facebook.

COME FUNZIONA IL TRIBUNALE DI FACEBOOK

Non è solo l’utente che si vede rimuovere un contenuto a potersi rivolgere all’Overisight Board, anche Facebook stessa può sottoporre dei casi particolari.

Il caso viene esaminato da una selezione di componenti del Board e la loro conclusione sarà poi presentata al consiglio intero. Entro 90 giorni dalla risposta dell’assistenza Facebook all’utente ricorrente, il Board comunica la propria decisione.

Facebook non può contestarla a meno che non sia in contrasto con altre leggi vigenti.

Le decisioni saranno pubblicate e consultabili, nel rispetto della privacy degli utenti coinvolti.

I DUBBI

Che cos’è esattamente l’Oversight Board? Un organo extragiudiziale che si occupa di redimere controversie in modo alternativo ed emette decisioni vincolanti.

Potrebbe dunque apparire come una forma di arbitrato, ma ci sono alcuni elementi da considerare.

Nelle controversie fra Facebook e l’utente, il Board non è l’organo scelto da entrambe le parti. Al contrario, è l’unico canale a disposizione dell’utente per ottenere “giustizia”. L’utente non ha quindi altra scelta.

Inoltre, l’imparzialità dell’organismo è discutibile. Certo, l’Oversight Board Trust ha il compito di garantirla, ma i membri dell’organismo sono scelti (e stipendiati) da Facebook.

Infine, c’è da chiedersi come l’attività del tribunale di Facebook possa inserirsi nelle strutture giuridiche dei diversi paesi: fino a che punto è possibile consentire a un’azienda privata di assumere decisioni irrevocabili che vanno a toccare i diritti fondamentali degli individui?

[Per approfondire: Nasce la Corte Suprema di Facebook, si chiama Oversight Board]

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Magistrati onorari: risarcimento per la violazione delle direttive europee

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La categoria dei magistrati onorari ha vissuto mesi turbolenti, caratterizzati da scioperi della fame, flash mob e l’astensione dalle udienze civili e penali dal 19 al 22 gennaio proclamata dalla Consulta della magistratura onoraria.

La stessa Consulta ha spiegato i motivi dell’azione e, per esteso, del malcontento della categoria: «si è appena chiuso un anno orribile, connotato da una drammatica crisi pandemica che ha svelato impietosamente tutte le criticità di una categoria di lavoratori, i magistrati onorari, vessata da oltre vent’anni di imbarazzanti silenzi, proroghe attendiste, normazione ipovedente. L’assenza di tutele assistenziali e le modalità di retribuzione a cottimo, in ragione delle sospensioni ex lege e della costrizione delle attività, in uno con lunghi periodi di malattia e quarantene, hanno prodotto devastanti conseguenze nella vita di 5000 servitori dello Stato e delle loro famiglie, rimasti privi di reddito e privi di adeguati indennizzi»

MAGISTRATI ONORARI, CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA E TRIBUNALE DI ROMA

Lo scorso 16 luglio 2020 la Corte di Giustizia Europea ha equiparato la figura del Giudice di Pace alla magistratura professionale, non solo da un punto di vista giuridico ma anche economico.

La pronuncia nasceva dalla controversia tra il Giudice di Pace Cristina Piazza e il governo della Repubblica Italiana, al quale aveva chiesto che il proprio riposo estivo fosse retribuito secondo gli stessi canoni per i magistrati.

Alla Corte di Giustizia Europea si accoda ora anche il Tribunale di Roma. Come spiega l’avvocato Elisa Iorio, che ha assistito i numerosi magistrati onorari nel ricorso, il Tribunale «ha riconosciuto per la prima volta il diritto dei magistrati onorari al risarcimento dei danni derivanti dalla violazione delle direttive comunitarie che tutelano i lavoratori, riconoscendogli il diritto a ferie retribuite, a congedi e assenze retribuite per maternità e paternità, a percepire un trattamento previdenziale e il Tfr».

I magistrati onorati «hanno anche diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del loro lavoro e comunque sufficiente ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione».

Quella del Tribunale di Roma è la «prima decisione nazionale che riconosce a centinaia di magistrati onorari la violazione dei diritti riconosciuti dal diritto europeo, ampliando l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia Europea, che si era pronunciata solo sul diritto alle ferie retribuite».

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Così come chiesto dall’ANM al Min. Bonafede, le norme emergenziali sono state prorogate fino al 30 aprile 2021 anche per il settore della Giustizia.

NORME EMERGENZIALI PER RIDURRE LE OCCASIONI DI CONTAGIO

La proroga delle norme emergenziali fa riferimento a quanto contenuto nell’articolo 1, comma 1, del D.L. 19/2020 che aveva inizialmente fissato la fine dell’emergenza al 31 gennaio 2021, anche per la giustizia.

Le misure hanno come obiettivo il contenimento dei contagi tramite una riduzione delle occasioni di assembramento. Ne deriva quindi la necessità di una limitazione alla presenza fisica del personale all’interno degli uffici pubblici «fatte comunque salve le attività indifferibili e l’erogazione dei servizi essenziali prioritariamente mediante il ricorso a modalità di lavoro agile».

CONSEGUENZE SULLA GIUSTIZIA

Per la Giustizia ciò significa che si proseguirà seguendo le misure già in adozione.
Tra queste:

– i processi d’appello e quelli davanti alla Corte di Cassazione si svolgono in modalità cartolare, salvo istanza delle parti per l’udienza in presenza;

– gli atti possono essere depositati via PEC;

– le indagini preliminari possono essere svolte usufruendo delle tecnologie da remoto, soprattutto per i colloqui con la persona offesa, la persona sottoposta alle indagini, i consulenti o gli esperti di cui si avvale il pm, o la polizia giudiziaria;

– il deposito di memorie e documenti per la conclusione delle indagini viene eseguito tramite il portale del processo penale telematico;

– le udienze civili e penali per le quali sarebbe ammessa presenza del pubblico, vengono ora celebrate a porte chiuse;

– il processo d’appello avviene in modalità scritta, con la Camera di consiglio da remoto e lo scambio di documenti al posto della presenza fisica di avvocati e pubblici ministeri;

– è conferma la sospensione della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali.

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Il Consiglio Nazionale Forense appoggia la richiesta che l’Associazione Nazionale Magistrati ha avanzato al Ministro Bonafede a favore di una vaccinazione preferenziale per avvocati e magistrati in modo da far ripartire la giustizia.

LE RICHIESTE DELLA MAGISTRATURA

L’ANM ha chiesto al Guardasigilli «un immediato intervento del Legislatore, che estenda i termini di applicazione della normativa emergenziale – almeno per l’intera durata dello stato pandemico – anche ai settori della giurisdizione civile e penale». In particolare, l’Associazione ha poi proposto di considerare i magistrati ‘esercenti di un servizio di pubblica utilità‘ e, pertanto, tra le prime categorie professionali a poter accedere alla vaccinazione.

LA REAZIONE DELL’AVVOCATURA

La presidente del CNF Maria Masi ha dichiarato al quotidiano Il Dubbio che: «La richiesta valutata dall’Associazione magistrati non può che riguardare chiunque operi nei tribunali, se va intesa come correttamente deve intendersi: non come rivendicazione di un privilegio di categorie ma in ragione della funzione essenziale della giustizia». E che «può considerarsi altrettanto necessaria e condivisibile la richiesta, giustificata dalla necessità di riprendere in maniera adeguata e sicura l’attività giudiziaria e l’accesso negli uffici giudiziari».

VACCINAZIONE PREFERENZIALE PER AVVOCATI, MAGISTRATI E TUTTI GLI OPERATORI DELLA GIUSTIZIA

Altre figure all’intero del mondo forense appoggiano l’idea della vaccinazione preferenziale per avvocati, magistrati, ma anche per tutti gli altri soggetti impiegati nel settore.

Tra questi, il coordinatore degli Ordini forensi del Lazio, Luca Conti: «l’essenzialità dell’attività giudiziaria ed bilanciamento tra i diritti fondamentali in gioco, ovvero quella della inviolabilità della difesa e della salute impongono il riconoscimento di ‘categoria vulnerabile e a rischio’ a tutti gli operatori di giustizia: avvocati, magistrati, impiegati degli uffici giudiziari, ausiliari».

Mentre il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, Antonino Galletti, aveva già chiesto a dicembre 2020 che tutti gli operatori della giustizia fossero «inseriti tra le categorie che in via prioritaria e su base volontaria, potranno aderire al piano di vaccinazione anti covid 19, dopo le persone più fragili per ragioni di salute, età, personale medico, paramedico e amministrativo delle strutture sanitarie». In modo «da garantire alla collettività il corretto svolgimento di un servizio essenziale, quale è quello giurisdizionale, in condizioni di sicurezza sia per i cittadini che per gli operatori».

[Fonte: NT+Diritto – Il Sole 24 Ore – Consiglio nazionale forense: vaccinare avvocati e giudici per garantire l’attività giudiziaria]

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Fattura elettronica: panoramica delle nuove specifiche tecniche

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Dallo scorso 1 gennaio 2021 l’emissione della fattura elettronica deve seguire le nuove specifiche tecniche (versione 1.6.2) indicate dai provvedimenti n. 99922 del 28 febbraio 2020 e n. 16678 del 20 aprile 2020 dell’Agenzia delle Entrate. Le specifiche potevano già essere seguite in via facoltativa da ottobre 2020.

Lo scorso dicembre la stessa AdE ha pubblicato sul proprio sito la versione aggiornata della guida alla compilazione della fattura elettronica.

FATTURA ELETTRONICA: LE SPECIFICHE TECNICHE

Le nuove specifiche tecniche prevedono che il formato xml della fattura elettronica debba ora indicare:

– il codice tipo documento (TD);
– il codice natura Iva dell’operazione (N).

IL CODICE TIPO DOCUMENTO (CODICE TD)

Sono stati aggiunte nuove tipologie di documenti.

Questi i codici con l’indicazione Fattura Elettronica (FE) o Esterometro (E):

  • TD01 Fattura (FE/E)
  • TD02 acconto/anticipo su fattura (FE)
  • TD03 acconto/anticipo su parcella (FE)
  • TD04 nota di credito (FE/E)
  • TD05 nota di debito (FE/E)
  • TD06 Parcella (FE)
  • TD07 fattura semplificata (FES)
  • TD08 nota di credito semplificata (FES)
  • TD09 nota di debito semplificata (FES)
  • TD10 fattura di acquisto intracomunitario beni (E)
  • TD11 fattura di acquisto intracomunitario servizi (E)
  • TD12 documento riepilogativo (art. 6, d.P.R. 695/1996) (E)
  • TD16 integrazione fattura reverse charge interno (FE)
  • TD17 integrazione/autofattura per acquisto servizi dall’estero (FE)
  • TD18 integrazione per acquisto di beni intracomunitari (FE)
  • TD19 integrazione/autofattura per acquisto di beni ex art. 17 c.2 D PR 633/72 (FE)
  • TD20 autofattura per regolarizzazione e integrazione delle fatture (ex art. 6 c.8 e 9 bis d.lgs. 471/97 o art. 46 c.5 d.l. 331/93) (FE)
  • TD21 autofattura per splafonamento (FE)
  • TD22 estrazione beni da Deposito IVA (FE)
  • TD23 estrazione beni da Deposito IVA con versamento dell’IVA (FE)
  • TD24 fattura differita di cui all’art. 21, comma 4, lett. a) (FE)
  • TD25 fattura differita di cui all’art. 21, comma 4, terzo periodo lett. b) (FE)
  • TD26 cessione di beni ammortizzabili e per passaggi interni (ex art. 36 d.P.R. 633/72) (FE)
  • TD27 fattura per autoconsumo o per cessioni gratuite senza rivalsa (FE)

IL CODICE NATURA IVA DELL’OPERAZIONE (CODICE N)

I codici IVA devono essere indicati nella fattura quando l’IVA stessa non è evidenziata.

Vi sono tre categorie di codici:

N2 operazione non soggette ad IVA,
N3 non imponibile,
N6 inversione contabile.

Questi i nuovi codici:

  • N 2.1 non soggette ad IVA ai sensi degli artt. da 7 a 7-septies del D.P.R. n. 633/72
  • N 2.2 non soggette – altri casi
  • N 3.1 non imponibili – esportazioni
  • N 3.2 non imponibili – cessioni intracomunitarie
  • N 3.3 non imponibili – cessioni verso San Marino
  • N 3.4 non imponibili – operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione
  • N 3.5 non imponibili – a seguito di dichiarazioni d’intento
  • N 3.6 non imponibili – altre operazioni
  • N 6.1 inversione contabile – cessione di rottami e altri materiali di recupero
  • N 6.2 inversione contabile – cessione di oro e argento puro
  • N 6.3 inversione contabile – subappalto nel settore edile
  • N 6.4 inversione contabile – cessione di fabbricati
  • N 6.5 inversione contabile – cessione di telefoni cellulari
  • N 6.6 inversione contabile – cessione di prodotti elettronici
  • N 6.7 inversione contabile – prestazioni comparto edile e settori connessi
  • N 6.8 inversione contabile – operazioni settore energetico
  • N 6.9 inversione contabile – altri casi.

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La sentenza n. 1134/2020 emessa dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia assume particolare rilevanza per la scelta linguistica di sostituire gli omissis con nomi di fantasia.

È il Consiglio stesso a introdurre questa scelta nella premessa alla sentenza:

“Prima di procedere alla esposizione dei fatti il Collegio ritiene opportuno disporre che per ragioni di privacy i nominativi di alcune parti processuali e gli estremi della sentenza appellata e del provvedimento impugnato – dati che verranno oscurati a cura della Segreteria (salvo, s’intende, che nella versione integrale della presente sentenza, non ostensibile) – vengano sostituiti con pseudonimi, segni grafici o espressioni letterali, che ne impediscano la identificazione”.

LE MOTIVAZIONI A FAVORE DELL’USO DI NOMI DI FANTASIA NELLE SENTENZE

Il Consiglio ritiene che l’uso di omissis, iniziali o termini tecnici come ‘attore’ e ‘convenuto’ possano rendere difficile la lettura e la comprensione delle sentenze, soprattutto quando le parti sono molteplici e non tutte processuali.

Al contrario, sostituire i nomi reali con nomi di fantasia rende le sentenze più scorrevoli e permette di capire meglio le vicende processuali.  Come si legge nella sentenza: “dal momento infatti che le decisioni giudiziarie svolgono anche la funzione di orientare le scelte successive e di dare vita a una prassi, curare la chiarezza linguistica delle sentenze è assolutamente doveroso”.

E LA PRIVACY?

La normativa sulla privacy prescrive semplicemente che i nomi dei soggetti coinvolti nel giudizio vengano celati per evitare qualsiasi danno alla loro immagine, ma non vieta affatto l’uso di nomi di fantasia, segni grafici, espressioni letterali .
Anzi, questo espediente si rivelerebbe ancor più idoneo a tutelare la privacy: basti pensare all’uso delle iniziali di nome e cognome che, nel caso di cittadini residenti in centri urbani di piccole dimensioni, potrebbe portare comunque al loro riconoscimento.

L’uso di nomi di fantasia nelle sentenze risulta dunque favorevole sotto diversi punti di vista. Vedremo col tempo se l’orientamento del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia prenderà piede o rimarrà un’eccezione.

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I messaggi WhatsApp hanno valore di prova in un processo?

La Corte d’appello di Roma ribalta parzialmente una sentenza del Tribunale di Roma, riconoscendo all’appellante la sospensione condizionale della pena, confermandone però la condanna alla reclusione per sei mesi e venti giorni e una multa di 2.800€ per avere detenuto sostanze stupefacenti con l’intento di spaccio.

Tra le prove a favore della condanna, anche i messaggi WhatsApp presenti nello smartphone del condannato e di un altro imputato.

MESSAGGI WHATSAPP E SEGRETEZZA DELLA CORRISPONDENZA

L’appellante decide di ricorrere per Cassazione, lamentando la violazione della legge processuale in relazione agli articoli 191 e 266 bis c.p.p.

Brevemente, i motivi presentati sono i seguenti:

a) la nullità e l’inutilizzabilità delle comunicazioni tra l’imputato e un possibile acquirente presenti nella memoria dello smartphone e acquisite tramite riproduzione fotografica della schermata dei messaggi WhatsApp a seguito di illegittima ispezione;

b) l’inutilizzabilità a causa dell’acquisizione contra legem, mediante violenza sulle cose e in violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza (art. 15 della Costituzione). Per il sequestro, gli agenti avrebbero dovuto seguire le modalità previste dall’articolo 354 c.p.p., comma 2.

PERCHÈ I MESSAGGI WHATSAPP HANNO VALORE DI PROVA

La Corte di Cassazione però rigetta e si allinea a un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i dati informatici presenti nella memoria del telefono -non solo messaggi whatsApp, ma anche sms o email – sono considerati documenti (art. 234 c.p.p.), pertanto la loro acquisizione non è soggetta alle regole che riguardano la corrispondenza o le intercettazioni telefoniche.
In particolare:

  1. i messaggi WhatsApp e SMS presenti in uno smartphone sequestrato non possono essere considerati “corrispondenza“, poiché non vi è un’attività di spedizione in corso o che comprenda soggetti terzi per il recapito;
  2. gli stessi messaggi WhatsApp non possono rientrare nelle intercettazioni, perché queste prevedono l’acquisizione di un flusso di comunicazioni in corso, mentre le conversazioni presenti in uno smartphone vengono acquisiti ex post e rappresentano dunque solo la documentazione di un flusso di comunicazione.

Detto ciò, i messaggi WhatsApp hanno valore di prova, possono essere legittimamente acquisiti in qualunque modalità, compresa la riproduzione fotografica, e utilizzati per giungere a una eventuale condanna.

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