Accesso ai dati personali

Accesso ai dati personali, sicurezza e privacy: cosa farà l’Europa?

L’epidemia da Coronavirus COVID-19 non ha solo esposto le debolezze dei sistemi sanitari nazionali e le inadeguatezze organizzative, ma sta anche creando difficoltà nella gestione dell’accesso ai dati personali dei cittadini.

Da un lato, i timori del contagio spingono aziende e datori di lavoro a indagare sullo stato di salute dei propri dipendenti, chiedendo informazioni che spesso rientrano nella sfera personale. Dall’altro, sono le istituzioni stesse a “sospendere” momentaneamente la tutela della privacy.

Al di là dell’emergenza del momento, il tema dell’accesso ai dati personali, soprattutto a scopi giudiziari e di pubblica sicurezza, è molto più rilevante a livello europeo di quello che si potrebbe pensare.

Negli ultimi anni, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata più volte in materia di conservazione e accesso ai dati personali.
Un esempio è la sentenza ‘Tele2 Sverige e Watson’ in cui si dice che gli Stati membri non possono imporre ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica alcun obbligo di conservazione di dati generalizzata e indifferenziata.

Alcuni stati non vedono di buon occhio il crescente impegno alla tutela della privacy digitale: non poter accedere liberamente a email, traffico telefonico e messaggistica dei cittadini significa essere privati di uno strumento utile alla gestione di minacce alla sicurezza nazionale (emergenze sanitarie comprese), della lotta contro la criminalità o del terrorismo.

Non pensiate però che ottenere l’accesso ai dati personali a scopi giudiziari sia così facile. Vi basti pensare che è di poche settimane fa la notizia che Google ha deciso condividere i suoi database con le forze dell’ordine solo a fronte di un pagamento, scoraggiando così molte richieste.

Nel frattempo, le istituzioni europee sono al lavoro per regolamentare la conservazione e l’accesso ai dati personali al fine di tutelare la privacy dei cittadini.

Ecco una breve panoramica su alcune interessanti proposte legislative sulla raccolta di dati tramite tecnologie digitali e il loro uso che, nel prossimo futuro, potrebbero impattare sulla materia.


PROPOSTE LEGISLATIVE RELATIVE ALL’ACCESSO AI DATI DEI CITTADINI

E-EVIDENCE PACKAGE

Questo pacchetto legislativo contiene diverse proposte sulla gestione delle prove elettroniche.
Tra queste, anche l’obbligo per i prestatori di servizi digitali non europei di individuare un rappresentante legale nell’unione europea che possa rispondere alle direttive comunitarie in tema di produzione e conservazione di prove digitali.
La figura del rappresentante legale serve a compensare la mancanza di un obbligo giuridico generale per i prestatori di servizi non europei essere fisicamente presenti nell’Unione quando vi prestano servizi.
L’E-Evidence Package dovrebbe facilitare la cooperazione tra i paesi e la più efficace acquisizione di prove elettroniche dovrebbe impattare positivamente sull’andamento dei procedimenti penali.

Il Consiglio e il Parlamento europei non sono sulla stessa linea di pensiero ma, insieme alla Commissione Europea, presto si impegneranno a trovare una posizione condivisa.

REGOLAMENTO E-PRIVACY  

Lo scopo del regolamento è garantire «il rispetto per la vita privata, la riservatezza delle comunicazioni e la protezione dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche» nell’Unione Europea.
Rafforzerà l’impatto del Gdpr sulle strategie di marketing poiché va a regolarizzare la raccolta e la gestione dei dati memorizzati o inviati dall’utente finale tramite smartphone, tablet e computer.

Il Consiglio non è ancora giunto a un accordo condiviso sul regolamento, pertanto è possibile che venga pubblicata a breve una nuova proposta.

TRATTATO INTERNAZIONALE IN ACCORDO CON GLI USA

I principali fornitori di servizi di comunicazione elettronica hanno sede negli Stati Uniti – Google è l’esempio più calzante – di conseguenza gran parte delle richieste di accesso ai dati personali sono indirizzate verso questo paese.
La normativa sulla tutela della privacy negli USA è diversa da quella Europea, con il Patriot Act che consente all’amministrazione Trump di accedere facilmente ai dati a disposizione delle aziende come Facebook qualora la sicurezza nazionale lo richiedesse. Di contro, il Patriot Act impone di mantenere la riservatezza in casi in cui la Direttiva EU sulla protezione dei dati obbliga le aziende a informare gli utenti se e quando le loro informazioni personali vengono trasmesse a terzi.
È dunque diventato necessario trovare un terreno comune su cui operare.

Questo trattato ha come obiettivo facilitare l’accesso delle autorità europee a dati conservati negli Stati Uniti e viceversa.

PROTOCOLLO ADDIZIONALE ALLA CONVENZIONE DI BUDAPEST

La Convenzione di Budapest del 2001 fu il primo accordo internazionale sui crimini informatici e mirava al raggiungimento di una politica comune fra gli Stati membri basata su una legislazione appropriata capace di consentire un’azione coordinata.

Il protocollo addizionale del Consiglio d’Europa vuole rendere l’ottenimento dei dati relativi al traffico telefonico e telematico conservati all’estero meno dispendioso e più veloce.

A influenzare tutti i lavori legislativi concorreranno gli sviluppi giurisprudenziali dei prossimi mesi. Diverse sono già le cause sull’accesso ai dati personali a scopi giudiziari e non portate davanti alla Corte di Giustizia Europea.
Le sentenze della Corte fisseranno i limiti che gli Stati membri dovranno rispettare nei loro rapporti con i fornitori di servizi di comunicazione elettronica.

 

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inadempimento contrattuale per causa di forza maggiore

[AGGIORNATO GIUGNO 2020] Inadempimento contrattuale per causa di forza maggiore ai tempi del Coronavirus

AGGIORNAMENTO GIUGNO 2020: Con il Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28 la mediazione diventa obbligatoria per le controversie generate da inadempimento contrattuale causato dagli effetti di COVID-19.

Il coronavirus COVID-19 e le misure di contenimento imposte dai governi nazionali stanno influenzando negativamente la capacità delle aziende, soprattutto quelle cinesi e italiane, di adempiere ai contratti commerciali sottoscritti.

In particolare, la situazione in Cina sta intaccando l’approvvigionamento di merci e componenti, impattando negativamente sulla produzione e sulla fornitura dei merci e prodotti e già ordinati, ma sta anche ostacolando le esportazioni verso il paese asiatico. 

Lo scenario che si prospetta è alquanto complesso, con i venditori finali che vorranno rifarsi sui fornitori che, a loro volta, vorranno rifarsi sui produttori i quali, però, invocheranno l’inadempimento contrattuale per causa di forza maggiore.

INADEMPIMENTO CONTRATTUALE PER CAUSA DI FORZA MAGGIORE: RIFERIMENTI NORMATIVI

L’inadempimento contrattuale è definito dall’art. 1218 c.c.: «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

 La forza maggiore è invece indicata nell’art.1256 c.c. in cui si dice che: «l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa “impossibile».

Va ricordato che  causa a sé non imputabile” non è ogni fattore che abbia posto il debitore nell’impossibilità di adempiere al contratto, ma quei fattori che:
– sono superiori alla diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per adempiere al contratto,
– comportino delle conseguenze che il debitore non può contrastare con eguale diligenza.

Per il diritto cinese, la forza maggiore riguarda invece situazioni obiettive, imprevedibili, inevitabili e insormontabili (art. 117 legge sui contratti della Repubblica popolare cinese).

Infine, l’art. 79 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci, ratificata dall’Italia e dalla Cina, definisce la forza maggiore come l’impedimento fuori dal controllo di una parte, non ragionevolmente prevedibile al momento della sottoscrizione del contratto, inevitabile e non superabile.

Secondo l’Unidroit, l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, le cause di forza maggiore sono quelle che:
esulano dal controllo della parte obbligata,
– implicano un impedimento (o delle conseguenze) che la parte non poteva prevedere al momento dell stipula del contratto, che non poteva evitare o superare.

COME RISOLVERE LA SITUAZIONE DELLE AZIENDE

L’unico modo per sbrogliare le inevitabili matasse in cui molte aziende e, di conseguenza, molti consulenti legali si ritroveranno, è valutare il contratto stipulato.

Si dovranno esaminare le clausole e verificare – soprattutto nel caso di controparti straniere- il foro competente e la legge di riferimento.

Anche qualora figurassero delle chiare clausole per la gestione di ritardi e inadempimento contrattuale per causa di forza maggiore, bisognerà però capire se il coronavirus rientri o meno in questa fattispecie.

Il concetto di ‘forza maggiorenon è infatti univoco e pertanto va valutato caso per caso.

Riprendendo i principi indicati dall’Unidroit, esempi di causa di forza maggiore sono le catastrofi naturali, ma anche eventi umani come guerre, atti di terrorismo, rivolte, scioperi e misure governative.

Il coronavirus potrebbe rientrare nella categoria delle catastrofi naturali, ma anche in quella degli eventi umani, a causa degli impedimenti generati dalle misure di contenimento adottate dalle autorità locali (quarantene, limiti alla circolazione di merci e persone, ecc.).

Se il coronavirus fosse effettivamente considerato causa di forza maggiore, questo non escluderebbe una certa responsabilità da parte del soggetto inadempiente.
Vanno infatti valutati:
in che modo l’evento ha condizionato l’adempimento delle obbligazioni contrattuali,
  il rispetto degli obblighi stabiliti dal contratto,
  la già citata diligenza da parte del debitore una volta verificatosi l’evento (se ha informato tempestivamente la controparte, e se ha adottato le misure necessarie ad arginare le cause dell’evento il diffondersi del virus all’interno della sua azienda per evitare stop alla produzione/fornitura).

In conclusione, almeno in via teorica il coronavirus può essere considerato una causa di forza maggiore che genera inadempimento contrattuale.
Nella pratica, ogni caso dovrà essere valutato a sé.

NOTE

Per i legali che seguono aziende che intrattengono relazioni commerciali con la Cina, segnaliamo che il China Council for the Promotion of International Trade (agenzia accreditata presso il Ministero del Commercio Cinese) fornisce certificati che attestano che l’eventuale ritardo o l’inadempimento contrattuale per causa di forza maggiore sono diretta conseguenza dell’epidemia di coronavirus.
Inoltre, segnaliamo che durante e a seguito dell’epidemia di SARS del 2003, diversi arbitrati e tribunali cinesi hanno riconosciuto la sussistenza della causa di forza maggiore.

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riduzione del 50% del compenso dell’avvocato

La riduzione del 50% del compenso dell’avvocato: è possibile?

Può un avvocato vedersi imporre la riduzione del 50% del compenso?

Assolutamente sì.

IL CASO

Un legale impegnato in una causa ereditaria si vede elargire un compenso minore del previsto e decide di fare ricorso.

La seconda sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3842/2020, rigetta però il ricorso ricordando che il giudice ha il potere di ridurre fino al 50% il compenso del difensore nel caso in cui la controversia si riveli “semplice“, secondo quanto indicato nell’art.18 del D.M. 140/2012.

Nel caso specifico, la valutazione di “semplicità” è dipesa dall’analisi dell’attività svolta dall’avvocato difensore nella fase introduttiva, limitata al solo deposito della memoria di costituzione.

I RIFERIMENTI NORMATIVI

Per capire la riduzione del 50% del compenso dell’avvocato dobbiamo considerare che i parametri relativi alle spese processuali sono fissati nel D.M. 55/2014.
La loro applicazione è limitata ai casi in cui la liquidazione giudiziale delle spese:
– avvenga successivamente l’entrata in vigore del decreto stesso,
– sia riferita al compenso del professionista se questo, alla data considerata, non ha ancora completalo la prestazione professionale anche se è iniziata e si sia in parte svolta prima dell’entrata in vigore del decreto stesso.

Nel caso in questione, il Tribunale non ha applicato i parametri fissati in questo decreto poiché l’attività dell’avvocato si è conclusa con la rinuncia del mandato prima dell’entrata in vigore del decreto stesso.

Pertanto, è stato applicato il  D.M. 140/2012 che ammette la riduzione del 50% del compenso dell’avvocato.

Oltre alla riduzione, è stato anche escluso il rimborso forfettario per le spese generali, pari al 15% del compenso totale, sempre perché introdotto con il D.M. 55/2014.

Testo originale dell’ordinanza n. 3842/2020.

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L’irregolarità fiscale inficia il deposito telematico degli atti? Oppure il deposito è perfezionato con la sola RAC e senza la marca da bollo?

L’ordinanza n.5372/2020 emessa dalla Corte di Cassazione ci aiuta a capire che la seconda opzione è assolutamente corretta.

IL CASO E L’ARTICOLO 285

A un cittadino straniero viene negata la protezione internazionale.
Il cittadino ricorre dinanzi al Tribunale di Cagliari che, però, dichiara il ricorso inammissibile perché depositato oltre il termine dei 30 giorni fissato dall’art.35bis, comma 2, d.lgs. n. 25/08.

L’istanza di remissione in termini non viene accolta poiché l’iscrizione a ruolo, effettuata telematicamente, è sprovvista della marca da bollo, determinandone l’irricevibilità secondo quanto indicato dall’art. 285 T.U. n. 115/02, che prevede il rifiuto degli atti da parte del cancelliere in caso di irregolarità fiscale.

Il cittadino ricorre allora per Cassazione, sostenendo che l’articolo in questione non sia applicabile alla sua fattispecie. Ad avvalorare la sua tesi, il fatto che il deposito telematico abbia generato la RAC, la ricevuta di avvenuta consegna della PEC.

La Cassazione concorda.

PERCHÈ IL DEPOSITO È PERFEZIONATO CON LA SOLA RAC

La motivazione dietro la decisione della Cassazione è semplice.

Il rifiuto degli atti da parte del cancelliere in caso di irregolarità fiscale previsto dall’art. 285 del T.U. è applicabile al solo deposito cartaceo. Con l’avvento del PCT, il Processo Civile Telematico, tale possibilità decade.

Anche il Ministero della Giustizia si è espresso in tal senso nella nota n.164259 del 4 settembre 2017, escludendo l’applicabilità in caso di deposito telematico dell’atto introduttivo del processo.

Nell’ordinanza n.5372/2020 la Cassazione spiega che: «il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia».

In caso di irregolarità fiscali, il cancelliere provvede a riscuotere le somme secondo le modalità indicate nella nota ministeriale già citata.

Alleghiamo il testo dell’ordinanza n.5372/2020 della Corte di Cassazione.


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Lo scorso 28 febbraio 2020 il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Andrea Mascherin, hanno firmato un documento contenente le linee guida per affrontare l’emergenza Coronavirus e assicurare il corretto funzionamento degli uffici giudiziari.
Il documento è destinato a tutte le sedi giudiziarie, non solo quelle site nelle Zone Rosse, le aree più colpite dai contagi da COVID-19.

Le linee guida si rifanno alle ordinanze e alle circolari emanate dal Ministero della Salute e dal Ministero della Giustizia, e si compongono di 7 articoli. 

LE LINEE GUIDA PER AFFRONTARE L’EMERGENZA CORONAVIRUS


ART. 1 – Norme igienico-sanitarie

Si invita a diffondere nelle sedi e tra gli iscritti nell’Albo, negli elenchi e nei registri, le norme igienico-sanitarie emesse dal Ministero della Salute.

ART. 2 – Svolgimento delle udienze e degli altri incombenti a cui partecipa l’avvocatura

Si invitano i Capi degli Uffici giudiziari e i Consigli dell’Ordine degli Avvocati a collaborare al fine di evitare assembramenti non solo nelle aule di udienza, ma anche negli spazi d’attesa e negli altri locali delle sedi, in modo da evitare assembramenti che potrebbero favorire il diffondersi del coronavirus.

Viene data la possibilità di modificare il calendario delle udienze, rinviando quelle non differibili.

Si suggerisce di considerare anche la modalità da remoto (smart working).

ART.3 – Sostituzioni

Si comunica che il Consiglio dell’Ordine formerà un elenco di iscritti disponibili – a titolo di solidarietà – a sostituire in udienza colleghe e colleghi provenienti da altri circondari o distretti.

ART. 4 – Attività amministrative, funzioni di cancelleria e altri adempimenti

Si comunica che verranno promosse modalità di esercizio delle attività amministrative e di cancelleria anche facendo ricorso a strumenti telematici.

ART. 5 – Sportello per il cittadino e informazioni utili

Lo Sportello per il cittadino è a disposizione per favorire la diffusione di una corretta informazione sull’accesso alla giustizia

ART. 6 – Rapporti con le prefetture

Viene sottolineata l’importanza della condivisione degli aggiornamenti e delle informazione utili a favorire un corretto funzionamento degli uffici giudiziari.

ART. 7 – Pubblicazione

Si ricorda che le Linee guida per affrontare il Coronavirus, tutti i provvedimenti adottati in attuazione delle medesime e ogni ulteriore aggiornamento sono pubblicati sui siti del Consiglio dell’Ordine e degli uffici giudiziari, e sono inoltre affissi nelle relative sedi.

Alleghiamo il documento originale riportante le Linee Guida per affrontare l’emergenza Coronavirus.

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diritto all'oblio

L’esercizio del diritto all’oblio: requisiti, limitazioni e procedura di cancellazione delle informazioni

Il diritto alla cancellazione dei dati personali appartenenti alle persone fisiche, meglio noto come diritto all’oblio, è stato positivizzato con l’introduzione dell’art. 17 del Regolamento europeo 16/679, in tema di Protezione dei dati personali.

La norma prevede che l’interessato ha diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali riguardanti la propria persona se sussiste almeno uno dei seguenti requisiti:

i dati personali non sono più necessari per le finalità per i quali sono stati raccolti;
– l’interessato ha revocato il consenso prestato;
– vi è stata opposizione al trattamento e non sussistono motivi legittimi per effettuarlo;
– il trattamento dei dati è illegittimo;
– è stato effettuato il trattamento dei dati di soggetti minori in relazione all’offerta diretta di servizi di informazione.

In questi casi il Titolare del Trattamento ha l’obbligo di cancellare i dati trattati e di procedere anche all’eliminazione di ogni link, copia o riproduzione degli stessi.

Limitazioni all’esercizio del diritto all’oblio

Il diritto alla cancellazione deve tuttavia essere posto in bilanciamento con alcune necessità pubbliche specifiche quali:
– il diritto all’informazione e alla libertà di espressione,
– la necessità di divulgazione dei dati per interesse pubblico nel settore sanitario,
l’archiviazione nell’interesse pubblico di ricerca scientifica, storica o a fini statistici,
– l’accertamento di un diritto e/o la difesa in ambito giudiziario.

In tutte queste ipotesi la tutela della riservatezza, ed in particolare, il diritto all’oblio del singolo soggetto devono essere valutati in relazione alle specifiche esigenze pubbliche.

Il diritto alla notizia

La stampa, in particolare, costituisce una delle maggiori esplicitazioni del diritto all’informazione e della libertà di espressione tanto che, tale libertà, è sancita costituzionalmente dall’art. 21.

È necessario dunque porre in bilanciamento l’esigenza del singolo alla tutela della propria riservatezza, eliminando alcune notizie o informazioni, siano esse vere o false, pubblicate sul proprio conto, con il diritto all’informazione e alla libertà di espressione.

Con la diffusione delle notizie tramite il web, detta esigenza trova la propria maggiore limitazione.

È risaputo infatti che la diffusione in internet e tramite social rende molto difficoltosa la totale cancellazione dei propri dati personali presenti nel web, ricordando che per dati personali si intendono anche le immagini e le videoriprese.

Fatto salvo il caso in cui la pubblicazione di immagini, post o video venga spontaneamente effettuata da parte dell’interessato, caso in cui sarà comunque difficile procedere alla cancellazione del dato, ormai capillarmente diffuso nel web, la facoltà di cancellare i dati personali resta comunque sottoposta a numerose verifiche.

Risulta pertanto imprescindibile un’analisi dei dati di cui si chiede la cancellazione al fine di verificare se le informazioni possano rispondere alle esigenze di limitazione al diritto all’oblio e se tali necessità siano prioritarie rispetto alla riservatezza del singolo.

Nel caso in cui nello specifico i dati personali siano stato pubblicati da un quotidiano cartaceo o online e pubblicato nel web, spesso la cancellazione lascia il posto all’oscuramento della notizia.

Ciò significa, che le esigenze di libertà di espressione non consentono la integrale eliminazione della notizia che comunque resta presente nel web, a volte anche se risalente, perché rispondente ad esigenze di pubblico interesse per ricerca scientifica o storica.

La richiesta di cancellazione

Le procedure per la richiesta di cancellazione dei dati presenti nel web sono spesso lunghe e complesse, ma ciononostante consentono di ottenere la tutela dei dati personali.

I motori di ricerca infatti prescrivono di contattare il proprietario del sito affinché provveda alla cancellazione del dato all’interno della propria “vetrina” così da non essere più reperibile tramite semplice ricerca sul web.

Una volta che il Web Master – proprietario del sito – fornisce le proprie motivazioni in merito alla possibilità di procedere o meno alla cancellazione, è comunque opportuno prendere contatti con il motore di ricerca affinché verifichi che la notizia è stata eliminata e/o proceda all’eventuale ulteriore oscuramento delle informazioni, che pertanto, non vengono cancellate dal web, bensì vengono “coperte” in modo da non essere più rinvenibili con determinati criteri di ricerca.

La procedura peraltro necessita di un’ulteriore richiesta, lì dove la notizia si ritrovi anche mediante l’uso di altri canali e/o altre parole chiave.

In conclusione la tutela della riservatezza dei dati personali consente a tutti coloro che ne ritengano lesa l’integrità, o illegittimo il trattamento, di richiedere e ottenere il rispetto dei propri di diritti, previa valutazione in bilanciamento con specifiche esigenze pubbliche.


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Dott.ssa Isabella Albrizzi

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, collabora nel settore legale di UpLex di Treviso dal 2014, avendo maturato competenze professionali in ambito giudiziale e stragiudiziale nel settore civile, commerciale e fallimentare.
Principalmente orientata al profilo di assistenza aziendale, predispone percorsi di adeguamento aziendali in qualità di consulente Privacy.

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Qualche statistica sul Processo Telematico

Le statistiche sono un’ottima fonte di informazioni utili a comprendere meglio lo stato del processo telematico e come si sta evolvendo il rapporto di avvocati e magistrati con il digitale.

A fine 2019 il Ministero della Giustizia ha pubblicato sul proprio sito un report che fotografa l’evoluzione da ottobre 2018 a settembre 2019.

Abbiamo estrapolato alcuni dati interessanti e li condividiamo con voi.

I DEPOSITI


Nell’arco di tempo considerato sono stati depositati quasi 10 milioni di atti. Per essere precisi, 9.270.688.

Rispetto al periodo precedente (ottobre 2017-settembre 2018), la media mensile dei depositi ha segnato un +1%.

Il mese con il più alto numero di depositi da parte di avvocati e professionisti, 919.048, è stato ottobre 2018. Il mese con il più basso numero, 247.257, è stato agosto 2019.

processo telematico
Immagine tratta da “Processo Telematico. Stato dell’arte al 30/09/2019” di DGSIA.

GLI ATTI


Di tutti gli altri depositati:
408.793 sono ricorsi per decreto ingiuntivo,
6.815.982 sono atti interni ai procedimenti,
2.045.913 sono atti introduttivi di costituzione.

Quasi 6 milioni di atti (5.937.104) sono nativi digitali depositati dai magistrati, il 9,71% in più rispetto al periodo precedente.

Di questi:
1.858.933 sono verbali di udienza,
412.793 sono decreti ingiuntivi,
377.512 sono sentenze,
2.453.049 sono decreti,
834.817 sono ordinanze.

processo telematico atti nativi digitali
Immagine tratta da “Processo Telematico. Stato dell’arte al 30/09/2019” di DGSIA.

CONSULTAZIONI E COMUNICAZIONI


La media giornaliera di consultazioni online è stata di circa 12 milioni di accessi.

Le comunicazioni effettuate esclusivamente in via telematica da Tribunali, Corti d’Appello e dalla Corte di Cassazione sono state 19.606.436, con una media mensile di 1.633.870.

PAGAMENTI TELEMATICI


I pagamenti telematici sono stati 496.937 per un importo totale di 68.749.081 euro.

Il mese con il più alto incasso è stato luglio 2019 con 7.643.601 euro. Il mese con l’incasso più basso è stato agosto 2019 con 2.817.059 euro.

processo telematico pagamenti telematici
Immagine tratta da “Processo Telematico. Stato dell’arte al 30/09/2019” di DGSIA.

ISCRIZIONE AI PUBBLICI REGISTRI


I soggetti attivi iscritti al ReGIndE sono 1.171.530, di cui 263.654 sono avvocati (il 95% dei quali è iscritto con indirizzo PEC).

Le amministrazioni iscritte al Registro PEC delle Pubbliche Amministrazioni sono 1.848, di cui il 65% con PEC.

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LA STORIA DELLA RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI

Quella della riforma delle intercettazioni è una storia lunga.

Iniziata nel 2015 con la riforma penale di Andrea Orlando, continua poi col D. Lgs. 216 del 2017 e l’aggiunta di un ulteriore comma all’art. 103 c. p. p., (in cui è scritto che «non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori») in cui si precisa che il contenuto delle intercettazioni non può essere trascritto neanche sommariamente.

Al decreto vengono ora aggiunte alcune novità nel tentativo di rafforzare la tutela della riservatezza anche se, in realtà, manca l’esplicito divieto di spiare e ritrasmettere le conversazioni tra avvocati e assistiti.

LE NOVITÀ

Fermo restando la validità del divieto di trascrivere le intercettazioni, ecco alcune delle novità inserite nella riforma delle intercettazioni.

– Le intercettazioni tra avvocato e assistito sono ammesse in due casi:
   – quando i soggetti hanno deposto sui fatti in oggetto alle intercettazioni o li abbiano già divulgati in altro modo;
– quando costituiscono il corpo del reato.

– Viene ammesso l’uso delle intercettazioni in procedimenti penali diversi rispetto a quello nel quale l’intercettazione è stata autorizzata, a patto che si tratti di acquisizioni «indispensabili» e che i reati in questione prevedano l’arresto in flagranza o siano riconducibili a condotte più gravi (mafia, terrorismo, corruzione con pena non inferiore a 5 anni, reati legati alle sostanze stupefacenti), sempre che le intercettazioni vengano considerate anche rilevanti per l’accertamento della responsabilità penale.

– Viene rafforzato il dovere di vigilanza del pubblico ministero che dovrà assicurarsi che nei verbali non compaiano espressioni che possano compromettere la riservatezza dei soggetti o dei loro dati personali, oppure ledere la reputazione delle persone.

– Le intercettazioni ambientali tramite l’utilizzo del trojan, già consentite per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., vengono estese anche ai delitti degli incaricati di pubblico servizio contro la P.A.
Sono esclusi i delitti contro la P.A. per i quali sia necessario indicare «i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono».
Per questi delitti, l’intercettazione tramite trojan presso il domicilio dovrà essere accompagnata esplicitamente dalle ragioni che ne giustificano l’utilizzo.

LE REAZIONI

In un comunicato del 2018 il presidente del CNF Andrea Mascherin apprezzava le modifiche della riforma Orlando, sottolineando però l’esigenza di vietare senza alcuna eccezione l’ascolto delle conversazioni tra avvocati e assistiti.
Oggi commenta così il decreto e l’uso del trojan:
«Il tema delle intercettazioni si sposa con l’altro, molto delicato, del diritto costituzionale alla tutela del domicilio e, aggiungo, della libertà di pensiero e parola in casa propria. La tecnologia del trojan è così avanzata da rischiare di sfuggire di mano. Non dimentichiamo che invadere il domicilio è come limitare la libertà personale, beni supremi. Bisognerebbe iniziare a riflettere sulla possibilità di non ritorno nell’utilizzo di certe tecnologie. È questione culturale e di democrazia prima che di rimedi di natura penale».

Il presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane Giandomenico Caiazza fa invece notare che nel decreto «non sono previste sanzioni per l’eventuale mancato rispetto» delle nuove regole, mentre «viene strapotenziato il potere invasivo dello Stato nella privacy dei cittadini: io ti intercetto per un reato e poi posso molto più di prima utilizzarlo per un altro».

CONCLUSIONI

La riforma delle intercettazioni non risolve la difficoltà di conciliare le attività di indagine e il rispetto della privacy e del segreto professionale.

Un assistito deve infatti poter parlare liberamente col proprio legale, in modo da poter definire la linea difensiva più adeguata, e con la certezza che quanto dirà non influenzerà la pubblica accusa o non verrà usato da questa a proprio vantaggio.

Anche se le trascrizioni non entreranno mai nel fascicolo (a meno che siano il corpo del reato), rimarranno sempre a disposizione del pm e nulla vieta a questo di utilizzarle in contrasto al principio di parità fra accusa e difesa.

La riforma delle intercettazioni verrà applicata a partire dal 1° maggio 2020 e solo ai procedimenti penali iscritti da tale data. Pertanto, ai procedimenti già in corso si applicherà la disciplina attuale.

[Alcune informazioni sono tratte da articoli pubblicati su Il Dubbio]

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tutela dei dati personali

Tutela dei dati personali e minacce alla salute pubblica

Cosa lega il Coronavirus alla tutela dei dati personali? Semplice.

Mentre giornali, web e tv rigurgitano articoli e servizi a non finire su salute, regole di igiene basilari, attività economiche che si fermano e supermercati svuotati, il Covid-19 sta silenziosamente impattando anche su una parte della nostra vita di cui spesso siamo poco consapevoli, sebbene ricopra una certa importanza: la nostra privacy.

Il confine tra diritto alla riservatezza e necessità di assicurare la sicurezza – in questo caso sanitaria – è labile e foriero di scontri di opinioni.

Ecco cosa sta succedendo.

LA TUTELA DEI DATI PERSONALI: LA SITUAZIONE ATTUALE

All’inizio dell’epidemia un medico di Codogno, ha chiesto la pubblicazione di nomi e foto dei malati come «unico modo per sapere se si è stati in contatto con loro e arginare virus», concludendo la sua richiesta con un «bisogna abolire la legge sulla privacy».

Una frase un po’ forte, forse, ma che spiega le difficoltà di far combaciare due esigenze estremamente diverse.

Difficilmente il Coronavirus o altre minacce alla salute riusciranno a cancellare la tutela dei dati personali, ma è possibile che questa venga in parte ridotta.

Del resto, è già così: il Garante per la Privacy ha concesso alla Protezione Civile di poter scambiare dati sensibili con altri soggetti (forze dell’ordine, comuni, enti, ma anche privati) per tentare di arginare i contagi.
In un’intervista a Business Insider Italia, Luca Bolognini, presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati, spiega così la decisione: «In questo caso può prevalere la protezione della salute di cui ci parla la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 35. La stessa Carta difende il rispetto della vita privata e della vita familiare (art. 7) e la protezione dei dati di carattere personale (art.8). Tuttavia, non essendo un diritto assoluto, la privacy deve bilanciarsi con altre libertà e altri interessi pubblici. Per questo motivo, il Garante dice sì alla Protezione Civile che tenta di gestire l’emergenza anche attraverso lo scambio di dati con altri soggetti. […] All’articolo 9 paragrafo 2 lettera i del Regolamento europeo GDPR è previsto il caso della gestione di dati sensibili nelle situazioni di emergenza: prevale comunque la salute delle persone».

COSA SUCCEDE NEGLI ALTRI PAESI

Si potrebbe pensare che la momentanea erosione della tutela dei dati personali davanti al Coronavirus riguardi solo l’Italia per l’alto numero di contagiati, o la Cina per il forte controllo esercitato normalmente dal suo governo.
Non è così.

Per esempio, l’emittente statunitense ABC ha riportato che le autorità australiane hanno ottenuto dagli operatori telefonici nazionali i tracciati relativi agli spostamenti di una coppia cinese risultata positiva al virus.
I dati hanno permesso di porre in quarantena un discreto numero di persone con le quali la coppia era venuta in contatto, arginando il contagio.
Le autorità hanno agito nel pieno della legalità grazie a un articolo della Legge nazionale sulla privacy che concede alcune deroghe in caso di minacce alla pubblica sicurezza.

In Corea del Sud, altro paese particolarmente colpito dall’emergenza, sviluppatori privati hanno creato delle app che mostrano il diffondersi del virus grazie a delle mappe costantemente aggiornate.
I dati su cui sono costruite le mappe vengono dal governo stesso che emana bollettini dettagliati indicando non solo il numero degli infetti ma anche sesso, zona di residenza e percorsi abituali.
Se, da un lato, ciò aiuta i cittadini sani a evitare le zone potenzialmente pericolose, dall’altro c’è da chiedersi se la raccolta e la condivisione di queste informazioni, anche se pseudonimizzate o anonimizzate, siano fatte nel rispetto della tutela dei dati personali.

Quello che davvero conta è che una volta passata l’emergenza la riservatezza dei cittadini venga ripristinata in toto e che il caso del Coronavirus non si trasformi in un espediente per future nuove, magari ingiustificate, erosioni della privacy.

 

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Aggiornamento Ordine Avvocati – Coronavirus – Covid19

Viste le disposizioni prese in carico da parte degli Ordini Avvocati e Uffici Giudiziari le erogazioni dei kit di firma digitale, da parte di Servicematica, presso i Tribunali dell’Ordine e i COA sono sospese fino a data da destinarsi.

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