Art.83 Cura Italia: incostituzionale la sospensione del corso della prescrizione?

Art.83 Cura Italia: incostituzionale la sospensione del corso della prescrizione?

E se l’art. 83, quarto comma, del decreto legge n. 18 del 2020 Cura Italia fosse in contrasto con il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole indicato nell’art. 25, secondo comma, della Costituzione?

L’art. 83, comma 4, dl n. 18 del 2020 introduce la sospensione del corso della prescrizione:

“Nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei  termini ai sensi del comma 2 sono altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303  e  308 del codice di procedura penale.”

Al secondo comma dell’art.25 della Costituzione si legge:

“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.”

Il dubbio di incostituzionalità è esplicitato in due ordinanze del Tribunale di Siena prodotte il 21 maggio 2020.

Entrambe riguardano casi in cui alcuni reati contestati agli imputati sarebbero, senza l’intervento dell’art. 83, caduti in prescrizione al momento della decisione del Tribunale.

SOSPENSIONE DEL CORSO DELLA PRESCRIZIONE E IRRETROATTIVITÀ DELLA LEGGE PENALE SFAVOREVOLE

Secondo il Tribunale di Siena, l’illegittimità della sospensione della prescrizione risiede nel fatto che l’art.83 la rende applicabile a reati commessi prima del 9 marzo 2020. In altre parole, si tratterebbe di un’applicazione retroattiva di una disciplina penale sfavorevole.

Il Tribunale riporta che la Consulta ha in passato affermato in modo chiaro che: «nell’ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, Costituzione» (Corte costituzionale, ordinanza n. 24 del 2017, punto 4 del considerato in diritto). Inoltre, il regime legale della prescrizione è «analiticamente descritto, al pari del reato e della pena, da una norma che vige al tempo di commissione del fatto»

Il Tribunale ha quindi evidenziato un contrasto tra la sospensione del corso della prescrizione applicabile a reati commessi prima dell’entrata in vigore del Decreto Cura Italia e il divieto di applicare trattamenti penali sfavorevoli in modo retroattivo come indicato dalla Costituzione.

È possibile che questa potenziale illegittimità costituzionale venga superata considerando il fatto che il Cura Italia è un decreto sviluppato per gestire una situazione emergenziale? 

Non proprio.

Il Tribunale di Siena ricorda che nella giurisprudenza costituzionale si trovano chiari riferimenti al fatto che non vi possono essere eccezioni al principio di irretroattività della legge penale sfavorevole (Corte costituzionale, sentenza n 236 del 2011, considerato in diritto n. 13).

Come la Consulta ha esplicitato in passato: «il principio di legalità in materia penale esprime un principio supremo dell’ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali […] non abbiano in nessun caso portata retroattiva» (Corte costituzionale, ordinanza n. 24 del 2017, punto 2 del considerato in diritto);

In sostanza, i principi cardine indicati nella Costituzione non sono soggetti ad alcuna deroga o eccezione, compreso lo stato di emergenza generato da COVID-19.

Qui il testo della prima ordinanza e della seconda ordinanza.

[Fonte dell’immagine di copertina: Presidenza della Repubblica Italiana]

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Recupero del compenso dell’avvocato: chi è il giudice competente?

La sentenza 4240/2020 emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione  lo scorso 19 febbraio 2020 dà un indirizzo in materia di recupero del compenso dell’avvocato mediante procedimento ex art. 28 della legge n. 794/1942.

La sentenza stabilisce che, in caso di attività svolta per il medesimo cliente ma in più gradi di giudizio, il Giudice competente è quello che ha definito il giudizio.

COMPENSO DELL’AVVOCATO: IL GIUDICE COMPETENTE È QUELLO CHE HA DEFINITO IL GIUDIZIO

La sentenza ha per oggetto il recupero del compenso di un avvocato a seguito di attività di patrocinio per uno stesso cliente, per lo stesso processo definito in grado di appello.

Il Tribunale inizialmente interpellato dall’avvocato si dichiara non competente per la liquidazione dell’onorario, rimandando la questione alla Corte d’Appello.
Così facendo, suggerisce che nel caso di assistenza svolta in più gradi di giudizio il recupero del compenso dell’avvocato ricade sul giudice di secondo grado o di quello che abbia conosciuto per ultimo la controversia.

L’avvocato ricorre, sostenendo che sia invece necessario presentare singole domande di liquidazione a ciascun giudice, andando contro quanto stabilito dal Tribunale.

La questione passa alla Sesta Sezione civile della Cassazione, Sottosezione Seconda, che analizza la normativa applicabile e le diverse interpretazioni giurisprudenziali, decidendo di rimettere gli atti al Primo Presidente per un’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite respingono la tesi dell’avvocato, concludendo che l’indirizzo del Tribunale si poggia su un orientamento della giurisprudenza più consolidato, e che l’indirizzo su cui si basa il ricorso dell’avvocato è invece minoritario.

L’orientamento del Tribunale è preferibile perché «Il giudice che decide la causa nel grado superiore ha una migliore visione d’insieme dell’opera prestata dall’avvocato» ed è più adeguato alle «ragioni di economia processuale che presidiano l’ordinamento e mirano ad evitare moltiplicazioni dei giudizi, in linea con i principi del giusto processo».

Il principio di fondo della sentenza è che: «nel caso in cui un avvocato abbia scelto di agire ex art. 28 della l. n. 794 del 1942, come modificato dall’art. 34, comma 16, lett. a), del d.lgs n. 150 del 2011, nei confronti del proprio cliente, proponendo l’azione prevista dall’art. 14 del medesimo d.lgs. n. 150 del 2011 e chiedendo la condanna del cliente al pagamento dei compenso per l’opera prestata in più fasi o gradi del giudizio, la competenza è dell’ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa».

[Articolo scritto a partire dall’analisi degli Avv.ti Pierpaolo Greco e Roberto Di Francesco pubblicata sul sito del CNF]

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Ammissibilità di nuovi documenti in appello

L’ammissibilità di nuovi documenti in appello è possibile, come dimostra l’ordinanza n. 8441 del 4 maggio 2020 della Corte di Cassazione.

L’ammissibilità dei nuovi documenti è però vincolata alla loro indispensabilità.

AMMISSIBILITÀ DI NUOVI DOCUMENTI IN APPELLO E INDISPENSABILITÀ

Oggetto dell’ordinanza è il caso che ha visto come protagonista una società condannata a pagare 139.520,34 € all’INPS per mancati tributi relativi a contratti di formazione e di lavoro per i quali aveva goduto di sgravi statali.

La condanna avviene in secondo grado da parte della Corte di Appello di Roma.

La società decide di ricorrere in Cassazione sostenendo che la condanna violi l’art.2697 c.c. e gli artt. 115 e 421 c.p.c. poiché la corte territoriale:

  • – ha ritenuto inammissibile una nota informativa della provincia di Roma che la società aveva presentato in appello al fine di contestare le conclusioni alle quali era giunta la precedente CTU.
  • – non ha considerato il risultati del supplemento di perizia in cui importo doveva risultare minore rispetto ai 139.520,34 €.

La Cassazione dà ragione alla società.

In merito ai nuovi documenti in appello, spiega che:

  • – la loro ammissibilità deve essere valutata in base alla loro indispensabilità ai fini della decisione,
  • – va considerata la loro potenziale idoneità dimostrativa in relazione al thema probandum e tenendo conto dello sviluppo dell’intero processo.

Nel caso in questione, la nota della provincia risultava essere chiaramente rilevante ai fini della decisione e idonea a ridurre l’importo da pagare

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formazione obbligatoria

Avvocati: gli effetti di COVID-19 sulla formazione obbligatoria

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Tra gli impatti che il COVID-19 ha avuto sulla professione degli avvocati vi è anche l’impossibilità di procedere con la formazione obbligatoria.

A tal proposito, vi ricordiamo che nel corso di una seduta straordinaria tenutasi lo scorso 20 marzo, il CNF ha introdotto alcune deroghe, ribadendo però il persistere dell’obbligo formativo previsto dagli articoli 11 e 21 della legge 247/2012.

FORMAZIONE OBBLIGATORIA: LE DEROGHE DEL CNF

La formazione obbligatoria per gli avvocati durante l’anno solare 2020 (1 gennaio – 31 dicembre) sarà assoggettata a questi nuovi criteri:

  • – l’anno solare 2020 viene escluso dal conteggio del triennio formativo (comma 3 dell’art. 12 del Regolamento CNF 6 del 16 luglio 2014);
  • – durante l’anno solare 2020 gli avvocati devono conseguire un minimo di 5 crediti formativi così composti: 3 in materie ordinarie e 2 in materie obbligatorie (ordinamento, previdenza forensi, etica professionale e deontologia);
  • – tutti i crediti formativi dell’anno solare 2020 possono essere conseguiti tramite formazione a distanza (FAD);
  • – è possibile compensare i crediti del 2020 con quelli del triennio formativo precedente e/o successivo. La compensazione è valida sia per la quantità che per le materie.

Il CNF invitata le Scuole Forensi a permette agli iscritti di proseguire i percorsi formativi attraverso la modalità da remoto.

Nell’arco della stessa delibera è stato inoltre deciso di consentire il rilascio del certificato di compiuto tirocinio anche nel caso in cui il tirocinante non assistita a 20 udienze nell’arco del semestre 1° gennaio – 30 giugno 2020.

Qui il testo della delibera CNF del 20 marzo 2020.

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D.L. “Rilancio”: nuove assunzioni nella Giustizia italiana

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nuove assunzioni nella giustizia

D.L. “Rilancio”: nuove assunzioni nella Giustizia italiana

Le misure in tema di Giustizia previste dal D.L. “Rilancio” hanno l’obiettivo di aiutare e garantire la ripresa del regolare svolgimento dell’attività giudiziaria dopo lo stop dovuto a COVID-19 e nonostante le limitazioni che ancora permangono.

In un precedente articolo abbiamo parlato di come il  D.L. 34/2020 abbia indicato la via per sbloccare l’esame per diventare avvocato, aprendo la strada all’uso delle videoconferenze sia per la correzione delle prove scritte già sostenute, sia per le prossime prove orali.

Oltre a ciò, il decreto contiene un piano di assunzioni nella Giustizia dedicato al personale amministrativo degli uffici giudiziari, da selezionarsi tramite concorsi per soli titoli e con esame orale da tenersi su base distrettuale.

LE ASSUNZIONI NELLA GIUSTIZIA: I DETTAGLI

Le assunzioni previste sono più di 3000 e riguardano:

  •  personale amministrativo non dirigenziale
      400 unità da inquadrare come “direttore” (Area III/F3) di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 giugno 2019;
    – 150 unità  (Area III/F1) per coprire la carenza di organico negli uffici giudiziari nei distretti di Venezia, Bologna, Torino, Milano, Brescia;
  • cancellieri esperti
    Le unità richieste sono 2700;
  • giudici ausiliari in Corte d’Appello
    Vengono aggiunte 500 nuove nomine.

Le modalità e i termini di presentazione delle domande verranno disciplinate da un decreto specifico che dovrà essere emanato entro 2 mesi dall’entrata in vigore del D.L. Rilancio.

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L’Art.254 del D.L. 34/2020 (Rilancio”) intitolato “Misure urgenti in tema di concorso notarile ed esame di abilitazione all’esercizio della professione forense” sblocca l’empasse in cui COVID-19 aveva fatto scivolare l’esame per diventare avvocato.

Il Decreto ammette la correzione da remoto delle prove scritte sostenute lo scorso dicembre e la prova orale con una parte della commissione collegata a distanza.

ESAME AVVOCATO: CORREZIONE DELLE PROVE SCRITTE

Nel caso in cui i commissari non fossero in grado di essere fisicamente presenti per la correzione delle prove scritte, questa potrà essere svolta telematicamente, tramite videoconferenza.

Per procedere sarà però necessario che la Sottocommissione ottenga l’autorizzazione da parte del Presidente della Commissione Centrale.

Se l’autorizzazione non fosse richiesta e i commissari volessero procedere con la correzione in presenza, dovranno essere garantite le misure di distanziamento fisico.

La correzione da remoto segue i medesimi criteri di già adottati dalle commissioni d’esame.

I presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione forense:
fissano il calendario delle sedute,
impostano le modalità telematiche con le quali verrà effettuato il collegamento da remoto,
– stabiliscono un’organizzazione della correzione volta a garantire trasparenza, collegialità, correttezza e riservatezza delle sedute;
– garantiscono il rispetto delle misure sanitarie al fine di tutelare la salute dei commissari e del personale amministrativo fisicamente presente.

I presidenti delle sottocommissioni agiscono in conformità ai criteri organizzativi stabiliti dalla commissione centrale.

ESAME AVVOCATO: LA PROVA ORALE

Sempre su richiesta della Sottocommissione, il presidente della commissione centrale può autorizzare che le prove orali programmate fino al 30 settembre 2020 vengano svolte in modalità mista.

Ciò significa che nella sede della prova di esame devo esserci:

  • il presidente della sottocommissione,
  • il segretario della seduta,
  • il candidato.

Mentre tutti gli altri membri della Commissione possono partecipare tramite videoconferenza.

Rimane necessario il rispetto delle norme di sicurezza sanitaria all’interno della sede d’esame.

Anche in questo caso i presidenti delle sottocommissioni garantiscono lo svolgimento delle prove in conformità  ai criteri organizzativi stabiliti dalla Commissione centrale.

ALTRE INFORMAZIONI UTILI

Le disposizioni indicate nell’art.254 del Decreto “Rilancio” si applicano anche alle prove orali dell’esame per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio in Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori.

Inoltre, l’articolo modifica quanto indicato nella l. n. 247/2012 (“Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), ampliando la platea di possibili commissari d’esame anche a professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche in pensione.

L’ESAME PER DIVENTARE AVVOCATO NEL 2020

Nell’articolo 240 non si fa alcun accenno all’esame di abilitazione alla professione forense del prossimo dicembre 2020.

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1. Ai fini del completamento delle procedure e delle attività relative al concorso per esame a 300 posti per notaio bandito con decreto dirigenziale 16 novembre 2018 e all’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato bandito con decreto del Ministro della giustizia 11 giugno 2019, e’ consentita la correzione degli elaborati scritti con modalità di collegamento a distanza, ai sensi dell’articolo 247, comma 7, con le modalità di cui al comma 2.

2. Il presidente della commissione notarile nominata a norma dell’articolo 5 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 166 e, su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello nominate a norma dell’articolo 22, commi 4 e 7, del regio decreto 27 novembre 1933 n. 1578, il presidente della commissione centrale di cui all’articolo 22, quinto comma, del medesimo regio decreto possono autorizzare la correzione da remoto degli elaborati scritti, purché siano mantenuti i medesimi criteri di correzione già adottati dalle commissioni d’esame. Ove si proceda ai sensi del periodo precedente, il presidente della commissione notarile e i presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato fissano il calendario delle sedute, stabiliscono le modalità telematiche con le quali effettuare il collegamento a distanza e dettano le disposizioni organizzative volte a garantire la trasparenza, la collegialità, la correttezza e la riservatezza delle sedute, nonché a rispettare le prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei commissari e del personale amministrativo. I presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato provvedono ai sensi del periodo precedente in conformità ai criteri organizzativi uniformi stabiliti dalla commissione centrale.

3. Il presidente della commissione nominata a norma dell’articolo 5 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 166 per il concorso notarile e, su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello, il presidente della commissione centrale di cui all’articolo 22, quinto comma, del regio decreto 27 novembre 1933 n. 1578 per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato possono autorizzare, per gli esami orali delle procedure di cui al comma 1 programmati sino al 30 settembre 2020, lo svolgimento con modalità di collegamento da remoto ai sensi dell’articolo 247, comma 3, secondo le disposizioni di cui al comma 2, ferma restando la presenza, presso la sede della prova di esame, del presidente della commissione notarile o di altro componente da questi delegato, del presidente della sottocommissione per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato, nonché del segretario della seduta e del candidato da esaminare, nel rispetto delle prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei candidati, dei commissari e del personale amministrativo. I presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato procedono allo svolgimento delle prove in conformità ai criteri organizzativi uniformi stabiliti dalla Commissione centrale.

4. Nel caso di adozione di modalità telematiche per l’esame orale, il presidente impartisce, ove necessario, disposizioni volte a disciplinare l’accesso del pubblico all’aula di esame. 5. Le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 si applicano anche alle prove orali dell’esame per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori bandito con decreto dirigenziale 10 aprile 2019. 6. All’articolo 47, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, alla fine, dopo le parole: «in materie giuridiche», aggiungere le parole: «, anche in pensione».

Testo completo del Decreto Legge “Rilancio” del 19 maggio 2020 n.34.

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Il processo penale telematico: informazioni sul deposito

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Il provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia contiene le informazioni sul deposito nel processo penale telematico.

Nonostante la Fase 2 sia partita, la Giustizia non ha ripreso completamente la propria attività e si trova ancora relegata alla dimensione digitale, i cui capisaldi sono:
– le udienze da remoto,
– il deposito telematico.

L’introduzione del processo penale telematico per far fronte alle limitazioni imposte dal contenimento al contagio da COVID-19 ha sollevato parecchi dubbi: tra i penalisti scorre il timore che le udienze da remoto minino l’oralità che contraddistingue il penale e giochino a sfavore della reale tutela della parti.

Portavoce delle proteste è stata la Giunta dell’Unione delle Camere Penali che, in un comunicato pubblicato ancora il 24 marzo sul proprio sito, spiegava: «la Giunta, unitamente all’Osservatorio, stigmatizza il rischio che, attraverso la “decretazione d’emergenza” per il rischio epidemiologico, possano introdursi e “stabilizzarsi” prassi normative che smaterializzino la presenza delle parti nel processo».

Se per le udienze da remoto la procedura è abbastanza semplice (basta scaricare uno dei due software di videoconferenza, Teams o Skype for Business), è invece meglio offrire una panoramica delle disposizioni sul deposito degli atti nel processo penale telematico.

PROCESSO PENALE TELEMATICO: COME FUNZIONA IL DEPOSITO

 

  • Cosa si può depositare telematicamente?

È possibile depositare telematicamente memorie, documenti, istanze previste dall’art. 415-bis, comma 3, c.p.p. e previste dal comma 12-quarter.1 dell’art.83 del decreto n.18 del 17 marzo “Cura Italia”.

  • Quali caratteristiche devono avere gli atti da depositare?

L’atto da depositare telematicamente presso il P.M., deve essere un documento informatico con le seguenti caratteristiche:
– un PDF creato a partire da un documento testuale. È ammessa la copia di porzioni di testo, non è ammessa la scansione di immagini;
– sottoscritto con firma digitale PAdES o CAdES. Se gli atti sono firmati digitalmente da più soggetti, uno deve essere il depositante;
– il deposito comprensivo di atti e allegati non può superare i 30 Megabyte.

  • Come si procede al deposito telematico?

Il deposito nel processo penale telematico avviene a partire dal PST all’indirizzo http://pst.giustizia.it.
È necessario accedere all’Area Riservata e poi alla sezione Portale Deposito atti Penali.

Possono accedere coloro che risultano iscritti nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) come avvocati. È anche necessaria che la nomina del difensore sia annotata nel Re.Ge.WEB.

Il deposito degli atti di nomina del difensore è possibile successivamente all’avvenuta notifica della conclusione delle indagini preliminari.

Il deposito è indirizzato all’ufficio giudiziario del P.M. e la procedura segue questa scaletta:
a) inserire i dati richiesti;
b) caricare i file dell’atto e degli allegati;
c) inviare il deposito.

Dopodiché, il portale genera la ricevuta di accettazione che può essere scaricata. Nella ricevuta sono indicati:
a) un identificativo unico nazionale (anno/numero);
b) i dati inseriti dal depositante;
c) data e ora dell’invio come rilevati dai sistemi del Ministero.

Il portale indica lo stato d’avanzamento del deposito.
I possibili stati sono:
INVIATO: l’invio è riuscito;
IN TRANSITO: il deposito è in attesa di essere indirizzato al sistema dell’Ufficio del P.M. destinatario;
IN FASE DI VERIFICA: il deposito è giunto nel sistema dell’Ufficio del P.M. destinatario;
ACCOLTO: l’atto inviato è stato associato al procedimento;
RIGETTATO: il deposito è stato rifiutato (viene indicata la motivazione);
ERRORE TECNICO: c’è un problema in fase di trasmissione e si dovrà provvedere a effettuare nuovamente il deposito.

La sicurezza della trasmissione dei documenti è garantita dalla cifratura asimmetrica e da chiavi di sessione conformi all’articolo 14, comma 2 del provvedimento del 16 aprile 2014.
Quando il deposito risulta “in transito”, il portale cancella tutti i dati personali.

Per avere un quadro completo sul deposito degli atti nel processo penale telematico vi invitiamo a leggere il testo originale del provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia

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Come sarebbe stato, questo lockdown, se non avessimo avuto Internet? Saremmo riusciti a portare avanti il nostro lavoro, a tenerci aggiornati sulla situazione, a mantenere le relazioni e come avremmo impiegato il tempo libero confinati tra le 4 mura di casa nostra?
Come avrebbero reagito alla crisi le aziende, il settore sanitario e la scuola senza potersi appoggiare alle nuove tecnologie?

Dunque, che il digitale sia diventato un elemento fondamentale della nostra vita è ormai chiaro. Ma le quarantena generata da COVID-19 ci ha anche mostrato che non tutti gli italiani godono allo stesso modo di questa opportunità e che una parte ne è esclusa in misura più o meno marcata.

E per evitare il perpetrarsi delle disuguaglianze c’è chi chiede il riconoscimento dell’accesso a internet in Costituzione.
Ma è proprio necessario inserire il diritto alla rete nella nostra carta fondamentale? O ci sono già dei riferimenti nei quali farlo rientrate?

INTERNET IN COSTITUZIONE

È passato circa un decennio da quando Stefano Rodotà proponeva un primo riconoscimento dell’accesso a Internet in Costituzione.

All’epoca la rete aveva già dimostrato il suo impatto sui diversi aspetti della vita dei cittadini, e Rodotà proponeva una modifica costituzionale che garantisse l’accesso a Internet per tutti, che incentivasse l’alfabetizzazione informatica e, in ultima analisi, favorisse l’inclusione sociale dei cittadini e i loro i rapporti interpersonali, lavorativi e anche con la PA.

La modifica non è mai stata conclusa ed è solo stata ripresa più e più volte.

Durante l’emergenza COVID-19 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha espresso nuovamente l’idea di rivedere la carta fondamentale per inserire l’accesso a Internet come “diritto costituzionalmente tutelato”, in relazione al principio di uguaglianza sostanziale espresso nell’art. 3, comma 2.

IN EUROPA

Tra i paesi europei, solo la Grecia ha inserito l’accesso a Internet in Costituzione, nel 2001.

La modifica costituzionale non ha portato grandi risultati dal punto di vista delle performance digitali calcolate in base agli indicatori del Report DESI (“The Digital Economy and Society Index”) della Commissione Europea.

I parametri sono: connettività, capitale umano, uso dei servizi internet, integrazione della tecnologia digitale, servizi pubblici digitali.

La Grecia occupa la terzultima posizione tra i 29 paesi considerati, ma ha fatto registrare miglioramenti più marcati rispetto la media europea nella digitalizzazione dei servizi pubblici grazie a un piano nazionale di digitalizzazione 2016-2021.
Anche gli utenti di internet sono aumentati, ma ma mancano ancora una cultura digitale diffusa e connessioni veloci. 

Significa che inserire l’accesso a Internet in Costituzione è inutile? No. Ma ci devono essere piani e risorse per trasformare un diritto in una realtà.

ALTERNATIVE ALLA COSTITUZIONE

Lo scopo della Costituzione è tutelare i diritti fondamentali garantendo la costruzione di una realtà in cui essi possano essere esercitati.

Sancire il diritto di accesso a Internet in Costituzione senza poi avere le risorse per le infrastrutture necessarie a garantirlo è inutile.
La crisi sanitaria innescata dal coronavirus si sta trasformando in una crisi economica ed è difficile immaginare di riuscirci proprio ora. 

In ogni caso, come suggerisce Angelo Alù, consigliere di Internet Society – Osservatorio Giovani e Internet, il diritto all’accesso a Internet potrebbe già rientrare:

– nelle disposizioni previste dagli articoli 2, 3 e 9 della Costituzione,

– nell’art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 4 che afferma: “La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici”,

nel D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione digitale – CAD), art. 3 sul diritto all’uso delle tecnologie e sulle iniziative di alfabetizzazione informatica per la diffusione della cultura digitale.

E poi ci sono la Carta della cittadinanza digitale e la Dichiarazione dei Diritti in Internetal cui art. 2 si legge che:
1. L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.
2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
3. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
4. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite.
5. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità”.

E voi cosa ne pensate? È necessario riconoscere l’accesso a internet in Costituzione, oppure i riferimenti già disponibili sono sufficienti?

In ogni caso, se l’esperienza del lockdown vi ha spinto a rivedere il vostro rapporto con Internet e le nuove tecnologie, vi invitiamo a scoprire i prodotti e i servizi informatici che abbiamo a disposizione per studi legali e aziende

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processo penale da remoto

Le obiezioni al processo penale da remoto

L’art.83 del Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020 illustra le disposizioni in materia di Giustizia civile e penale istituite per cercare di far funzionare il sistema nonostante i limiti imposti per far fronte all’epidemia da COVID-19. La spinta verso un processo penale da remoto è diventata più consistente, dividendo l’opinione di avvocati e magistrati tra coloro che vedono positivamente la novità e coloro che la vivono come una minaccia.

Gli elementi portanti dell’attuale processo penale telematico sono:
– le udienze da remoto, tramite Skype for Business o Teams di Microsoft,
– il deposito telematico degli atti.

Le udienze via computer non sono proprio una novità poiché già prima dell’emergenza erano usate nelle situazioni previste dall’articolo 146-bis del Codice di procedura penale: detenuti in carcere per reati di criminalità organizzata o terrorismo, persone ammesse a programmi o misure di protezione.

Ora, le udienze da remoto sono state estese anche agli imputati liberi o sottoposti a misure cautelari non detentive.

Tra le varie voci critiche verso la deriva telematica del processo penale vi è quella dell’Unione delle Camere Penali che avanza il timore, condiviso da molti, che la novità non sia limitata al solo periodo emergenziale ma venga mantenuta anche dopo la sua fine.

IN CHE COSA CONSISTE IL PROCESSO PENALE DA REMOTO

 

Dal 9 marzo al 30 giugno, le udienze penali che richiedono la sola presenza di PM, parti e difensori, ausiliari del giudice, polizia giudiziaria, interpreti consulenti e periti possono essere svolte da remoto tramite i programmi di videoconferenza Skype for Business o Teams.

Il giudice comunica a tutti i soggetti il giorno e l’ora dell’udienza e la modalità di collegamento.

I difensori attestano l’identità dei propri assistiti che, come già detto, parteciperanno dalla stessa postazione del difensore.

Se l’imputato/indagato si trova agli arresti domiciliari, lui e il difensore possono partecipare all’udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria che consenta la videoconferenza.
L’identità del l’imputato/indagato viene accertata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente.

Nella fase delle indagini preliminari è permesso il compimento di atti tramite collegamento da remoto. L’avvocato difensore partecipa tramite collegamento remoto dal suo studio legale o dal luogo in cui si trova il suo assistito.

È possibile depositare telematicamente gli atti di nomina del difensore, le memorie, altri documenti e le istanze previste dall’art. 415-bis, comma 3, c.p.p.

PERCHÈ IL PROCESSO PENALE TELEMATICO NON CONVINCE

 

La mancanza di un vero contraddittorio

Il processo penale è un processo che si basa sull’oralità, ma le udienze in video da remoto impediscono un reale dibattito.

L’Avv. Domenici, vicepresidente di Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) sezione Lucca, spiega: «Non è ammissibile  che il processo penale venga, in nome dell’emergenza epidemiologica, stravolto e trasformato in un processo in videoconferenza, comprimendo così il diritto di difesa ed il contraddittorio che presuppongono l’oralità e l’immediatezza dell’accertamento giudiziale» [Fonte].

Privacy

Le procedure del processo penale da remoto tutelano la privacy dei coinvolti? Chi, magari all’interno dell’azienda produttrice, può accedere ai dati delle videoudienze?

Il dubbio è sorto anche a il presidente delle Camere penali, l’Avv. Caiazza che ha scritto al Garante della Privacy per proporre «modifiche che consentano la trattazione in sicurezza dei processi. Possiamo fare in modo che si vada in aula il meno possibile e che il numero dei partecipanti sia il più basso possibile. Ma non si può smaterializzare l’aula».

L’impatto dei limiti tecnologici

Oltre ai problemi di sicurezza informatica a monte, ci sono anche i limiti tecnologici dei soggetti coinvolti.

Connessioni lente che causano una trasmissione video a singhiozzo, magari unita un alto numero di partecipanti renderebbero l’udienza da remoto assai difficile da gestire e andrebbero a ridurre ancor di più un contraddittorio già penalizzato.

Lo squilibrio di potere

Per spiegare questo punto ci rifaremo a quanto l’Avv. Caiazza ha scritto sulla sua pagina Facebook.

Per prima cosa va ricordato che «spetta al giudice ogni valutazione in ordine alle modalità di svolgimento delle udienze», ma Caiazza spiega anche che:

il Collegio dà categoriche disposizioni a tutte le parti processuali, collocandole ora qui ora là, purché non in Aula.
Innanzitutto, si indica la piattaforma, cioè Teams di Microsoft, secondo le indicazioni ministeriali. […]
Ma la parte più stupefacente di questo incredibile atto processuale è il gioco della assegnazione dei posti.
Premesso che gli imputati detenuti si collegheranno dal carcere (non in videoconferenza, ma su Teams), «il Pubblico Ministero si collegherà dal proprio ufficio; gli imputati liberi e quelli agli arresti domiciliari si collegheranno dallo studio dei loro difensori; i difensori dai loro rispettivi studi professionali» ma, attenzione, «un solo collegamento per ciascun imputato», quindi se i difensori sono due, si arrangino entrambi presso uno dei due studi. Quanto ai testi di Polizia Giudiziaria, «dagli uffici di un servizio territoriale della propria Arma di appartenenza».

Quindi «il Tribunale dispone non solo che le parti debbano avere Teams su un proprio computer, e che debbano saperlo usare; ma dispone anche dei diritti proprietari degli avvocati rispetto ai propri studi, dove d’imperio non solo essi dovranno stare, ma dovranno altresì ricevere i propri assistiti e l’eventuale co-difensore (che dunque avrà invece l’obbligo di trasferta)».

 

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