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Riforma del processo civile: il maxi emendamento

Il maxi emendamento della Min. della Giustizia Cartabia relativo alla riforma del processo civile, riprendere alcuni degli elementi già previsti dal disegno di legge “ex Bonafede”.

Vediamo quali sono le principali novità.

Processo civile sempre più telematico

Oltre alla PEC, il deposito di atti e documenti di parte potrà essere svolto tramite altri sistemi, simili a quelli del processo amministrativo telematico.

Le eccezioni alle modalità telematiche saranno limitate ai casi di malfunzionamenti dei sistemi centrali o a situazioni di urgenza.

Il deposito telematico con strumenti diversi dalla PEC avverrà nel rispetto delle attuali norme sulla sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione di documenti telematici che, al momento, che però dovranno essere aggiornate.

Atti chiari e sintetici

La riforma del processo civile prevedere che gli atti e i documenti da depositare rispettino il principio di chiarezza e sinteticità.
Perché ciò sia possibile, si attendono indicazioni sui criteri  e anche la creazione di moduli con campi specifici che aiutino l’inserimento delle informazioni nei registri del processo.

L’avvocato che non rispetta le regole di compilazione e il principio di chiarezza e sinteticità non vedrà invalidarsi l’atto, ma potrebbe pagare una sorta di “multa” in fase di liquidazione.

Udienze da remoto

Si proseguirà con le udienze da remoto, la trattazione per iscritto e il giuramento per iscritto del consulente tecnico d’ufficio.

Le udienze da remoto saranno estese alle separazioni consensuali e alle udienze d’esame dei soggetti coinvolti in procedimenti di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno.

Notificazioni

Gli avvocati avranno l’obbligo di notificare gli atti via PEC qualora gli indirizzi di posta elettronica certificata dei destinatari siano rilevabili dai pubblici elenchi. Potranno affidarsi agli uffici giudiziari solo se la notifica via PEC risulta impossibile o il destinatario sia privo di una casella di posta elettronica certificata.

Contributo unificato

Il contributo unificato potrà ancora essere pagato con le attuali modalità telematiche, con carte e altri strumenti di pagamento elettronico, con conto corrente postale intestato alla tesoreria dello Stato, presso le tabaccherie o con bonifico.

 

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Approvato alla Camera il Disegno di legge di conversione del decreto Sostegni: molte le misure per imprese e famiglie. Tra tutti: confermato il Fondo per genitori separati o divorziati, posticipate le scadenze degli sfratti e riconfermato il reddito di cittadinanza. Infine, elargiti ristori alle startup e contributi e finanziamenti per enti locali e regioni; nasce il fondo per le città d’arte.

Decreto Sostegni: aiuti per imprese e famiglie alla luce delle restrizioni anti-contagio.

Mercoledì 19 maggio il decreto Sostegni diventa legge: ennesimo provvedimento in aiuto alle famiglie e imprese colpite dalle conseguenze della pandemia. Dunque, i suoi ambiti di applicazione sono molti: oltre ai già citati, segnaliamo la maggior attenzione rivolta alle donne e giovani. Inoltre, gli sgravi fiscali alle piccole imprese, ai comuni, alle città d’arte e alle attività turistiche della montagna.

La volontà è che il decreto Sostegni costituisca il punto di partenza per introdurre nuove e importanti riforme soprattutto in ambito socio-sanitario. Quindi, più fondi per vaccini e antivirali, per velocizzare la somministrazione delle dosi nonché per un incremento del personale sanitario. Importanti novità anche sul fronte fiscale: stralcio delle cartelle esattoriali fino a 5000euro e sospensione canone rai per i bar.

Inoltre, particolari tutele ai lavoratori dipendenti e contributi mirati alle partite Iva: confermato il contributo di cassa integrazione per Covid. Agevolazioni per le assunzioni di lavoratori fragili e indennità per i lavoratori dello spettacolo e gli stagionali. Infine, per i genitori: bonus baby-sitter, agevolazioni per lo smart working e congedi straordinari per seguire i figli nella didattica a distanza.

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Green pass: il dilemma tra privacy e libertà

Il green pass, la certificazione che consente di spostarsi ai tempi del covid, propone un grande dilemma: è più importante la privacy o la libertà?

IN COSA CONSISTE IL GREEN PASS

Il Green pass è un documento, non necessariamente cartaceo, che permette a chi lo detiene di tornare a muoversi senza i limiti che hanno contraddistinto la nostra vita nell’ultimo anno.

Per ottenerlo, bisogna essere in una delle 3 condizioni indicate dal Decreto Legge di fine aprile che ha introdotto la certificazione:
– aver completato la vaccinazione,
– aver contratto il virus, esserne guariti e aver sviluppato gli anticorpi,
– essere risultati negativi a tampone o esame. 

IL PROBLEMA DELLA PRIVACY

La questioni legate alla riservatezza risiede nel fatto che la certificazione contiene una descrizione completa delle condizioni che hanno portato al rilascio del documento (quando è avvenuta ala vaccinazione e con che siero, quando ci si è ammalati, quando è stato fatto il tampone, ecc.) e deve essere mostrata quando richiesto. Ciò significa che il possessore dovrà condividere con innumerevoli soggetti informazioni personali sulla sua vita e il suo stato di salute.

Il Garante della privacy ha evidenziato la possibile illegittimità di una tale forma di  trattamenti dei dati personali, suggerendo la possibilità di indicare sul Green passo solo informazioni sintetiche sulla motivazione che permette al cittadino di potersi muovere liberamente, senza scendere in particolari.

Il Garante ha anche ricordato al Governo che la normativa europea richiede di indicare con precisione una serie di disposizioni non contenute nel Decreto Legge di aprile sui responsabili, le tempistiche e le finalità dell’uso dei dati sanitari dei cittadini.

NESSUN CONTRASTO TRA LIBERTÀ E PRIVACY

A differenza di quanto l’informazione mainstream voglia far credere, il rapporto tra privacy e libertà non è di tipo conflittuale.

A spiegarlo ci pensa Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, nell’articolo: “Certificazioni verdi, Scorza: Tutelare libertà e privacy assieme è possibile: ecco come” su Agenda Digitale:

“l’antagonismo tra privacy e libertà di movimento semplicemente non esiste.

Chi lo propone o non conosce i termini della questione o, peggio, finge di non conoscerli perché insofferente all’idea – che è però alla base della nostra democrazia – secondo la quale a un cittadino non bisognerebbe mai chiedere di scegliere tra due diritti fondamentali specie quando non è affatto necessario, non serve, non è strumentale al raggiungimento dell’obiettivo.”

Come già suggerito:

“il progetto delle certificazioni verdi deve essere realizzato senza chiedere inutilmente ai cittadini di rinunciare alla loro privacy per tornare a spostarsi più liberamente.

Nessuna esigenza di rinunciare alla sacrosanta libertà di movimento in nome della privacy ma semplicemente l’esigenza di fare in modo – tanto più che oggi le tecnologie lo consentono – di contemperare due diritti pari ordinati e di non imporre ai cittadini di scegliere di rinunciare a un po’ dell’uno, in vista dell’esercizio di un po’ dell’altro.”

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Carcere per il genitore che rivolge minacce per i voti del figlio

L’ ordinanza della Cassazione n.14958/2021 stabilisce che rivolgere parole intimidatorie ad un insegnante per condizionarne il giudizio riguardo un alunno, è reato. Infatti, tutelato dall’art.336, l’insegnante riveste il ruolo di pubblico ufficiale: in alcun modo può essere costretto o influenzato. Dunque, per chiunque lo costringa a compiere un atto contrario ai propri doveri, la pena è la reclusione.

Cercare di condizionare preordinatamente la valutazione del docente sul figlio è reato

Napoli. Frase minatoria pronunciata ad un docente per fargli cambiare la valutazione scolastica sul figlio della convivente. Per altro, anche sulla base del riscontro dei testimoni, il contenuto di questa frase pronunciata dal genitore era palese e non equivocabile. Perciò, il gesto dell’uomo è stato ritenuto una minaccia a pubblico ufficiale, violenza che costituisce reato.

Dopo la conferma della sentenza di marzo 2015 da parte della Corte d’Appello, l’uomo ricorre in Cassazione. La difesa dell’imputato si regge sul fatto che nessuno dei testimoni avesse saputo riferire precisamente le espressioni utilizzate dall’uomo. Infatti, sostengono le memorie difensive, l’imputato avrebbe proferito parole di disappunto, non di minaccia, nei confronti del docente.

Tuttavia, la Cassazione non avvalora la tesi della difesa e conferma la pena di 6 mesi di reclusione. Oltre a ciò, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di 3.00 euro in favore della cassa delle ammende. Del resto, già in passato, ad ogni occasione di esprimersi a tal riguardo la Corte di Cassazione aveva chiarito la sua posizione.

 

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Studi legali e tecnologia: com’è la situazione

Qual è il rapporto tra studi legali e tecnologia?
In attesa di vedere i reali effetti della pandemia sulla spinta alla digitalizzazione degli studi legali, una risposta a questa domanda ce l’ha offerta l’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano.

L’Osservatorio ha come obiettivo “individuare le linee evolutive dei modelli organizzativi, di business e di relazione” degli studi di avvocati e di altre professioni “evidenziando il ruolo delle tecnologie digitali nel processo di cambiamento”. Tra le varie finalità, con la Ricerca 2020-2021 ha puntato a:

• esaminare come gli studi legali stiano gestendo il cambiamento;
• analizzare l’uso dell’intelligenza artificiale e dell’automazione per aumentare l’efficienza ma anche per ripensare la relazione i clienti e lo sviluppo di nuovi servizi;
• valutare il valore e la natura degli investimenti in tecnologia degli studi.

STUDI LEGALI E TECNOLOGIA, ALCUNI RISULTATI

Riportiamo alcuni dati della ricerca che possono aiutarci ad avere un’idea più precisa del rapporto tra studi legali e tecnologia.

Investimenti e rapporto con le tecnologie

  • – Nel 2019 il 66% degli studi legali ha investito meno di 3.000€ in tecnologie e quasi il 60% ha dichiarato una somma simile anche per il 2020.
  • – Gli avvocati intervistati non hanno dichiarato particolari criticità nell’uso di strumenti informatici. Questo può indicare che facciano esclusivamente uso di tecnologie “storiche” ben conosciute, evitando l’introduzione di novità che, inevitabilmente, comporterebbero un iniziale disagio.
  • -1 studio legale su 2 è aperto al legal tech, ma il 19% reputa queste soluzioni una minaccia alla credibilità dello studio e alla sopravvivenza degli studi tradizionali.

Il ruolo del cliente e il marketing

  • – 1 studio legale su 10 condivide i documenti con i clienti tramite un gestionale; la collaborazione digitale con i clienti riguarda circa il 25% delle realtà analizzate. Una delle cause di questa ritrosia potrebbe essere la dimensione ridotta di gran parte degli studi.
  • – 2 avvocati su 3 sono aperti al legal design, ossia l’idea di “costruire” la propria realtà professionale attorno al cliente progettando contenuti, servizi e organizzazioni a partire dai bisogni di quest’ultimo.
  • – Circa la metà degli studi legali è interessato al web marketing. La quota raggiungere circa il 75% se si considerano anche gli studi che accettano malvolentieri queste nuove soluzioni.
    Gli avvocati continuano però a faticare nella ricerca di clienti attraverso le nuove piattaforme.

Formazione

  • – Gli avvocati si sono formati prevalentemente su due temi: la  capacità di gestione e coordinamento (organizzazione del lavoro, comunicazione efficace, soft skills) e le nuove tecnologie digitali (social network, legal tech, blockchain, smart contract).
    Non risultano grandi investimenti nella crescita professionale dei dipendenti al di là del semplice aggiornamento tecnico-professionale.

 

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Incidente con macchina altrui: chi paga?

In caso di incidente stradale con auto in prestito chi è responsabile

L’ipotesi di usare l’auto in prestito di un’altra persona non è infrequente, anzi, soprattutto nel caso di un familiare.  Dunque, altrettanto raro è l’accadimento di un incidente con macchina altrui: situazione che apre ad un ventaglio di possibilità conseguenti. Dall’incidente causato dal conducente dell’auto in prestito, fino all’incidente con auto rubata, passando per l’incidente causato dall’altro conducente.

Ad ogni tipologia di incidente corrisponde una determinata responsabilità o modalità risarcitoria

Capita spesso di prendere in prestito da o di prestare un’auto ad un’altra persona, ma che succede in caso di sinistro? Innanzitutto, ai sensi dell’art.2054 del Codice Civile, se il conducente provoca l’incidente per colpa propria, il titolare dell’auto è corresponsabile. Tuttavia, in questo caso la responsabilità è solo civile (dunque, relativa al risarcimento danni): la responsabilità penale (del tutto personale) ricade unicamente sul conducente.

Invece, se l’incidente è causato dalla colpa dell’altro conducente, sia il conducente che il proprietario dell’auto hanno diritto di risarcimento. Dunque, l’assicurazione del titolare dell’auto colpevole rimborserà sia per le lesioni fisiche che per i danni materiali. Il risarcimento dei danni fisici e materiali avviene anche nel caso in cui l’auto in prestito sia senza priva di copertura Rc-auto.

L’ultimo caso in esame, è quello dell’incidente realizzato a mezzo e per colpa di auto rubata. Infatti, in questo caso l’intero procedimento differisce dai precedenti per modalità e tempistiche. Qui, il proprietario dell’auto è corresponsabile assieme al conducente (ladro) fino alla mezzanotte del giorno in cui sporge denuncia di furto.

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Come il ritardo tecnologico delle PA lede i diritti digitali dei cittadini

Nell’articolo “Diritti digitali, troppe PA li ignorano (in barba ai cittadini): una proposta cambiare le cose” pubblicato su Agenda Digitale, Mara Mucci, vicepresidente commissione di inchiesta sul digitale nella PA, esordisce dicendo:

“L’assenza di supporto e pianificazione nella trasformazione dei processi in chiave digitale porta al mancato rispetto dei diritti di cittadini e imprese, col crollo del Paese negli indici internazionali che misurano la digitalizzazione di economia e società.”

La pandemia ha digitalizzato la vita privata dei cittadini, il lavoro e le procedure delle aziende, ma la PA fatica ad adeguarsi, soprattutto a livello locale. Le normative a favore della digitalizzazione non mancano. Manca la loro attuazione. Le cause sono diverse: mancanza di competenze, formazione, strumenti, risorse.

MANCATA DIGITALIZZAZIONE E DIRITTI DIGITALI

Quando si pensa ai diritti di un cittadino, certamente l’accesso telematico ai servizi della PA non è la prima immagine che viene in mente.

Eppure, proprio la pandemia ci ha mostrato l’importanza di avere una dimensione digitale per “sopravvivere”. Considerando che alcune abitudini acquisite in questo periodo di limitazioni rimarranno anche a crisi superata, la digitalizzazione non può più essere considerata un’opzione, ma una necessità.

Ma come può la mancata digitalizzazione della PA ledere i diritti dei cittadini?

Sempre Mara Mucci porta un esempio:

“Il recente decreto semplificazioni (art. 24 del DL. 76/2020) ha indicato il 28 febbraio 2021 come giorno limite entro il quale doveva essere garantito al cittadino l’accesso ai servizi pubblici in rete attraverso l’uso di SPID o CIE, e doveva essere inibito il rilascio di credenziali di identificazione differenti da esse.
Ad oggi mancano all’appello parecchie PA e la legge non prevede sanzioni particolari per l’inadempienza.
Non sono stati individuati nemmeno obiettivi minimi riguardanti i servizi online che le amministrazioni devono fornire.”

Lo scenario paradossale che si sta venendo a creare è quello in cui i cittadini sono in possesso delle credenziali SPID per accedere ai servizi delle PA ma questi servizi online non esistono, impedendo loro di esercitare i loro diritti — comunicare con gli enti, portare avanti pratiche o richieste, ottenere prestazioni.

COSA SI PUÒ FARE?

Non servono grandi manovre per garantire una maggiore tutela dei diritti digitali dei cittadini. Partendo da ciò che già abbiamo, si può fare molto. Per esempio:

potenziare il ruolo del responsabile della transizione digitale, figura che guida la trasformazione digitale della PA, coordinando lo sviluppo di servizi pubblici digitali;
rafforzare e il ruolo del difensore civico, al quale i cittadini possono rivolgersi quando i loro diritti (anche quelli digitali) vengono lesi;
mettere in competizione le amministrazioni per responsabilizzare maggiormente la dirigenza e favorire performance migliori,
aumentare le competenze digitali dei cittadini e la consapevolezza dei loro diritti.

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Nei giudizi che li riguardano, i minori sono parte sostanziale, non soltanto formale

La Corte di Cassazione torna nuovamente a pronunciarsi in merito al ruolo del minore in un procedimento giudiziario per il suo affidamento. Infatti, l’ordinanza n.3159/2021 afferma che il minore -portatore di interessi diversi rispetto a quelli dei suoi genitori- rappresenta una parte sostanziale. Dunque, per tutelare appieno i suoi diritti, egli deve essere ascoltato direttamente attraverso un atto processuale del giudice.

Non ascoltare direttamente il minore rappresenta violazione dei suoi diritti e del contraddittorio

Treviso. Padre ricorre in cassazione dopo la disposizione del Tribunale d’Appello di Venezia di collocare la figlia -minorenne- presso la madre. Non solo: lo stesso Tribunale avrebbe stabilito di lasciar decidere l’affidamento della stessa minore ai Servizi Sociali. Tutto ciò senza che la Corte abbia mai, lamenta l’uomo, ascoltato direttamente la bambina coinvolta.

In effetti, secondo normativa nazionale e internazionale (articoli 337 e 315 bis c.c, comma 3; 336 bis c.p.c; 360 c.p.c., comma 1, n.3; oltre che art.6 Convenzione di Strasburgo 25/01/1996, ratificata con L.n. 77 del 2003; art. 12 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo) tale inadempimento della Corte causerebbe, esso stesso, la nullità dell’intero procedimento. Dunque, per la Suprema Corte il motivo del ricorso è fondato: i minori sono parti sostanziali nei procedimenti giudiziari che li vedono coinvolti. Pertanto, in questi procedimenti giudiziari, il minore deve essere ascoltato direttamente, altrimenti si tratta di violazione del principio di contraddittorio.

Inoltre, la Suprema Corte specifica che esiste un caso in cui si può accettare il mancato ascolto del minore. Si tratta di quando vi sia una espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne giustifichi l’omissione. In tutti gli altri casi, il contributo “indiretto” del bambino non è in alcun modo equiparabile alla sua audizione come atto processuale del giudice.

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Nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, un’azienda propone un reclamo contro la sentenza di primo grado che aveva accolto l’impugnativa del licenziamento di un dipendente che aveva maturato i requisiti pensionistici.

La Corte di Appello dichiara inammissibile il reclamo.
La sentenza contestata è stata pubblicata e trasmessa via PEC ai procuratori costituiti il primo marzo 2018, mente il reclamo è stato depositato il 3 aprile 2018, quindi tardivamente perché oltre i 30 giorni stabiliti dall’art. 1, co. 58, L. n. 92 del 2012.

IL RICORSO

L’azienda ricorre in Cassazione, portando i seguenti motivi:

  • – il reclamo è stato depositato il 30 marzo 2018, pertanto non è tardivo. A testimonianza di ciò, la copia dei messaggi PEC generati dal deposito telematico, ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) in primis. La RdAC si genera quando il messaggio con la busta telematica entra nella casella PEC del Ministero della Giustizia;
  • – la data del 3 aprile 2018 corrisponde al momento in cui la Cancelleria dell’ufficio giudiziario ha aperto la busta telematica del deposito;
  • – la sentenza ha violato l’art. 155, commi 4 e 5, c. p.c.: la Corte territoriale non ha considerato che il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione della sentenza cadeva il sabato precedente due festività (Pasqua e lunedì dell’Angelo), pertanto  anche un deposito effettuato il 3 aprile poteva considerarsi tempestivo.

IL DEPOSITO SI PERFEZIONA CON L’EMISSIONE DELLA SECONDA PEC

La Cassazione accoglie il ricorso (sentenza n. 12422 dell’11 maggio 2021).

Il deposito telematico si perfeziona infatti proprio con l’emissione della seconda PEC, la ricevuta di avvenuta consegna. Secondo l’art. 16 bis, comma 7 del d.i. n. 179 del 2012, partendo dalle disposizioni di cui all’art. 155, commi 4 e 5, c.p.c., il deposito è considerato tempestivo quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza.
Nel caso specifico, la Corte territoriale ha errato a valutare tardiva, e quindi inammissibile, l’impugnazione.

Inoltre, ha anche mancato di considerare quanto indicato dall’ultimo comma dell’art. 155 c.p.c., secondo cui, quando la scadenza dei termini cade di sabato è ammessa una proroga al primo giorno non festivo.

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Dalla convenzione dell’ONU alle leggi nazionali: opuscolo in difesa dei disabili

Nasce un opuscolo sui diritti delle persone con disabilità: una panoramica di facile consultazione sui reati discriminatori contro le persone i disabili. La volontà è di conciliare tutta la normativa attualmente vigente in materia conciliando il livello internazionale con quello nazionale. Inoltre, all’attenzione per le norme a tutela si affianca un excursus sui reati e comportamenti penalmente rilevanti.

Un’ aggravante speciale se la vittima dell’illecito è una persona disabile

L’OSCAD pubblica “L’odio contro le persone disabili”: opuscolo che sposa l’approccio sancito dalla Convenzione dell’ONU sui diritti delle Persone con disabilità. Infatti, l’idea è che la disabilità scaturisca dall’iterazione tra la minoranza (fisica, mentale, intellettiva, sensoriale) della persona e le barriere che ne impediscono la piena partecipazione alla società. Inoltre, la disabilità (disability) emerge come un insieme di “caratteristiche” da proteggere dal rischio di discriminazione (l’Art. 2 della Dichiarazione universale dei Diritti umani e Art. 14 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”).

L’opuscolo chiarisce efficacemente come le tutele nei confronti dei disabili esistano, in Costituzione (artt.2 e 3), anche sul piano nazionale. Inoltre, un focus importante è dato alla condizione di “particolare vulnerabilità”: riconoscimento che implica -necessariamente- una serie importante di diritti imprescindibili. Infatti, secondo l’Art.36 legge 104, quando ad essere vittima dell’illecito è un disabile, deve essere applicata -in maniera trasversale alle diverse fonti del diritto- un’aggravante speciale.

In particolare, nel caso della violenza sessuale (Art.609 bis, comma 2 del Codice Penale) è specificato che -per avere rilevanza penale- l’accertamento dell’abuso della condizione di disabilità deve essere accertato caso per caso. Invece, riguardo i maltrattamenti presso le case di riposo, si fa riferimento alla condizione di disabilità come aggravante ai delitti di percosse, minacce e violenza privata. Infine, bullismo e cyberbullismo: qualora la vittima sia disabile, tutte le fattispecie di reato saranno integrate dalle rispettive aggravanti (Legge n.71/2017, art. 36 o 61, comma 1, n.5).

Opuscolo integrale “L’odio contro le persone disabili”

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