Negoziazione assistita: cosa cambia con la Riforma Cartabia?

Con la Riforma della Giustizia di Marta Cartabia cambiano anche le regole della negoziazione assistita, in particolar modo per quanto riguarda il gratuito patrocinio e la procedura stragiudiziale.

Oltre a velocizzare la risoluzione delle controversie, le parti in accordo potranno beneficiare della procedura telematica. In particolar modo, gli atti del procedimento dovranno essere firmati in base alla normativa del Codice di Amministrazione Digitale (CAD).

Gli atti e l’accordo conclusivo, dunque, dovranno essere trasmessi via Pec oppure ad un altro recapito elettronico. Gli avvocati dovranno certificare la sottoscrizione delle parti attraverso la firma elettronica, che sia qualificata o avanzata. Escluse dalla modalità telematica, invece, le dichiarazioni del terzo.

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La riforma, al fine di semplificare la procedura il più possibile, prevede l’adozione di un modello convenzionale, appositamente elaborato dal Consiglio Nazionale Forense per la negoziazione assistita. A meno che, tuttavia, le parti non desiderino procedere in maniera diversa.

Il CNF ha già provveduto ad approvare dei nuovi modelli in previsione dell’attuazione della riforma, che sono suddivisi in: modello di convenzione di negoziazione assistita standard, nelle controversie di lavoro e in materia di famiglia.

Controversie di lavoro

Con la nuova negoziazione assistita si può procedere alla risoluzione delle controversie in ambito lavorativo. Tali controversie sono individuate dall’art. 409 del Codice di procedura penale, rispettando le garanzie fissate dall’art. 2113 del Codice Civile.

La negoziazione, in ogni caso, non potrà costituire causa di procedibilità dell’azione. Le parti verranno assistite da un avvocato e, se necessario, da un consulente del lavoro.

Negoziazione assistita

La negoziazione assistita è vista come una delle migliori soluzioni al fine di evitare il sovraffollamento all’interno delle aule dei tribunali. Inoltre, permette anche di non sovraccaricare il sistema giudiziario con delle cause che rischiano di durare eccessivamente e che potrebbero essere evitate.

Uno degli obiettivi della Riforma, tuttavia, è l’estensione del gratuito patrocinio, che consente ai cittadini che hanno i giusti requisiti di usufruire dell’assistenza legale statale e alla negoziazione assistita.

In tal modo si incentiva il ricorso alla negoziazione assistita, evitando, se possibile, di andare in tribunale. Al tempo stesso verrà garantito ai cittadini un metodo alternativo di risoluzione delle controversie, funzionale ma anche meno oneroso.

Per avvalersi del gratuito patrocinio nella negoziazione assistita bisognerà presentare l’istanza al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del tribunale competente della controversia in oggetto. Successivamente, il Consiglio dovrà pronunciarsi entro 20 giorni dalla presentazione della richiesta, avvisando immediatamente il richiedente.

Un’importante novità introdotta dalla riforma per quanto riguarda la negoziazione assistita riguarda l’istruzione stragiudiziale, al fine di acquisire dichiarazioni di terzi, esclusi i minori di 14 anni e soggetti con interesse nella controversia, consentendo la confessione stragiudiziale in forma scritta.

La confessione di questo genere potrà essere presentata come vero e proprio mezzo di prova in fase stragiudiziale. La negoziazione dell’interrogatorio o le dichiarazioni false, inoltre, comportano delle sanzioni penali.

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Separazioni e divorzi: le nuove norme che velocizzano i tempi

Il Tribunale di Venezia ha stabilito che Ravensburger dovrà pagare i diritti d’autore per l’Uomo Vitruviano

Separazioni e divorzi: le nuove norme che velocizzano i tempi

E’ ufficialmente partito il countdown per il nuovo processo delle separazioni e dei divorzi. Infatti, ai procedimenti che si instaureranno dal prossimo 1° marzo, verrà applicato il nuovo rito unito riconducibile alla riforma del processo civile. Parliamo del DL 149/2022, che entrerà in vigore martedì 28 febbraio.

Per quanto riguarda i procedimenti pendenti al 28 febbraio, le regole seguiranno le attuali disposizioni. Cambia la scansione delle fasi processuali ma anche l’organizzazione dell’attività difensiva, che si concentrerà prima della prima udienza.

Le nuove regole

Il nuovo rito unico si basa sugli art. dal 473-bis al 473-bis 71 del DL 149 del Codice di Procedura Civile.

Le nuove norme verranno applicate «ai procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie», attribuibili alla competenza del giudice tutelare, del tribunale ordinario e del tribunale per i minorenni. Restano esclusi i procedimenti per l’adozione dei minori, per la dichiarazione di adottabilità, di protezione internazionale e in materia di immigrazione.

I temi relativi alla separazione oppure allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio seguiranno a tutti gli effetti la nuova disciplina. Le novità introdotte costringeranno gli operatori del contenzioso a ripensare alle varie prassi e strategie.

Superare i vecchi schemi

Le novità cominciano proprio dalla forma della domanda di divorzio o separazione, che dovrà essere proposta con ricorso.

La riforma intende superare l’organizzazione del processo delle crisi familiari con due fasi, quella previdenziale e quella dell’approfondimento istruttorio. Tale schema vuole essere sostituito con un giudizio che va ad imporre alla parte istante di indicare sin dal principio «i mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi» e i «documenti che offre in comunicazione».

Inoltre, seguendo il comma 3 dello stesso art, «in caso di domande di contributo economico o in presenza di figli minori» occorre allegare al ricorso tutte le informazioni di carattere reddituale e patrimoniale, ovvero: le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni, la documentazione che attesta la titolarità dei diritti su beni mobili e immobili registrati, delle quote sociali e degli estratti conto dei rapporti finanziari e bancari degli ultimi 3 anni.

Parliamo, dunque, di meno informazioni rispetto a quelle che ad oggi è necessario fornire.

Inoltre, se nel procedimento sono coinvolti anche figli minori, bisognerà allegare anche un piano genitoriale, contenente le regole per esercitare la bigenitorialità, con tutti gli impegni scolastici ed extrascolastici dei figli e il possibile schema delle frequentazioni.

Con questa riforma, nei ricorsi di separazione e divorzio, scompare la fase presidenziale.

La prima udienza avverrà soltanto dopo i passaggi che sono previsti dagli art. 473-bis 14, 473-bis 16 e 473-bis 17. Il primo provvedimento del giudice, quindi, sarà preceduto da uno scambio di scritti difensivi, con l’effetto di dilatare i tempi per un provvedimento urgente per tutelare le parti deboli.

Al fine di trattare le questioni più delicate e urgenti, la riforma prevede la possibilità di emettere dei «provvedimenti indifferibili» nel caso in cui emerga «un pregiudizio imminente e irreparabile, o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione dei provvedimenti».

Se viene rilevata la fondatezza dei rischi, il giudice adotterà «con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell’interesse dei figli».

Prima udienza

Nel caso in cui non vengano richiesti dei provvedimenti indifferibili, il primo intervento del giudice verrà rimandato all’udienza dalla data della prima comparizione delle parti, che dovrà tenersi entro 90 giorni dal deposito del ricorso (art. 473-bis 14).

La prima udienza dovrà arrivare prima della costituzione del convenuto, ovvero almeno trenta giorni prima. Le parti potranno presentare «ulteriori difese» nei termini fissati.

La prima udienza viene regolata dagli art. 473-bis 21 e 22, che regolano la comparizione delle parti e il tentativo di conciliazione da parte del giudice. Nel caso in cui la conciliazione non riesca, l’ordinanza prevede i «provvedimenti temporanei e urgenti», seguendo l’interesse dei figli e delle parti.

La stessa ordinanza inciderà sulle richieste istruttorie, disponendo anche il rinvio, nei 90 giorni successivi, per l’assunzione dei mezzi di prova. Se l’assunzione delle prove non è necessaria, allora si dovrà passare direttamente alla discussione orale e alla successiva decisione della causa.

Dopo aver assunto le prove, il giudice provvederà a fissare l’udienza di rimessione di tale causa, lasciando alla parte un termine di 60 giorni prima dell’udienza per le conclusioni mediante note scritte; 30 giorni, invece, per depositare le comparse conclusionali e 15 giorni per il deposito delle memorie di replica.

Subito dopo l’udienza, la sentenza che ha definito il processo di separazione dovrà essere depositata entro 60 giorni. Tempi che si potranno dilatare, nel caso in cui dovranno essere espletate le CTU.

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Diritto all’oblio: come funzionano le aziende che ripuliscono la reputazione online?

PATCH DAY febbraio 2023 – Riforma Cartabia – Interruzione dei servizi informatici del settore civile

Per attività di manutenzione straordinaria, anche al fine di rendere disponibili le nuove funzionalità previste dal D.Lgs. 149 del 2022, attuativo della Riforma Cartabia, si procederà all’interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale con le seguenti modalità temporali:

dalle ore 17:30 di venerdì 24 febbraio 2023 alle ore 8:00 di lunedì 27 febbraio 2023, salvo conclusione anticipata delle operazioni.

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida disponibile al seguente link Link Guide

Il Tribunale di Venezia ha stabilito che Ravensburger dovrà pagare i diritti d’autore per l’Uomo Vitruviano

Il Tribunale di Venezia, con un’ordinanza, ha stabilito che le divisioni tedesche e quelle italiane dell’azienda produttrice di giocattoli Ravensburger, dovranno pagare le royalties, ovvero i diritti di riproduzione, per poter produrre e distribuire i puzzle con sopra l’Uomo Vitruviano.

Era stato presentato un ricorso in tribunale da parte del ministero della Cultura italiano e dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia (il museo che conserva l’opera).

Ravensburger, in Europa, è l’azienda leader per quanto riguarda la produzione di puzzle. Dal 2009 l’azienda produce puzzle con l’immagine dell’Uomo Vitruviano, e dal 2019 le Gallerie dell’Accademia hanno cominciato a richiedere il pagamento delle royalties pari al 10% dei guadagni.

Il puzzle in questione costa circa 20 euro, online e nei negozi. Tuttavia, è complicato stimare il risarcimento complessivo, dato che Ravensburger non ha mai esplicitamente dichiarato la cifra guadagnata da tali vendite.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il Tribunale di Venezia si è basato sul Codice dei beni culturali e del paesaggio, ovvero un DL del 2004 che stabilisce che le opere d’arte possono essere riprodotte soltanto previa autorizzazione degli enti pubblici territoriali che le custodiscono, rispettando, in tal modo, le leggi sul diritto d’autore.

Ravensburger dovrà rispettare necessariamente questa decisione, ma potrà impugnarla soltanto per quanto riguarda la percentuale del 10% che ha richiesto il museo per i diritti.

È un provvedimento importante in quanto è il primo in Italia che fa rispettare il Codice dei Beni Culturali, anche per quanto riguarda le opere che vengono riprodotte all’estero. Il gruppo Ravensburger, per difendersi, aveva sostenuto che avrebbe dovuto pagare soltanto i diritti per i prodotti venduti in Italia, ovvero dove vige il Codice in questione.

Giacomo Galli, l’avvocato rappresentante il ministero e il museo, ha dichiarato a Repubblica che dopo questa ordinanza «diverse realtà museali italiane potrebbero avvalersi di questo provvedimento», dato che attualmente esistono contenziosi del genere, la maggior parte riconducibili ai musei di Firenze.

Oltre al contenzioso con il gruppo Ravensburger, Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia, ha dichiarato a Repubblica che nel 2019, l’anno in cui ha assunto l’incarico, ha avviato una serie di iniziative per poter far rispettare il Codice dei beni culturali e per recuperare tutte le royalties non pagate sull’immagine riprodotta dell’Uomo Vitruviano, operazione che avrebbe permesso al museo di raccogliere di più di 272mila euro.

L’Uomo Vitruviano è un disegno di Leonardo Da Vinci, fatto a penna e inchiostro nel 1490. Rappresenta un corpo umano, dalle proporzioni ideali, inscritto in un cerchio e in un quadrato, ovvero le figure perfette. Il primo corrispondeva alla perfezione divina, mentre il secondo a quella terrena.

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Diritto all’oblio: come funzionano le aziende che ripuliscono la reputazione online?

IrpiMedia, un sito di giornalismo investigativo, ha raccontato nel dettaglio il modo in cui operano le agenzie che danno visibilità ad alcuni contenuti nei motori di ricerca oppure, al contrario, a farli sparire, in quanto sconvenienti per il cliente.

Il tema ha molto a che fare con il trattamento dei dati personali degli utenti online e del diritto all’oblio. Questo diritto spesso entra in conflitto con quello dell’informazione, e dovrebbe esser valutato caso per caso.

IrpiMedia si è concentrata su un’agenzia in particolare, ovvero Eliminalia.

Diritto all’oblio e libertà d’espressione

Abbiamo spesso parlato del Gdpr. Il cuore del regolamento è l’articolo 17, che afferma come i dati personali che vengono utilizzati al di fuori dei confini stabiliti da coloro che li hanno concessi potranno ricevere richieste di rimozione.

In Italia, così come in Europa, si tende ad andare verso un’applicazione piena del diritto all’oblio, grazie anche alla riforma della Giustizia di Marta Cartabia.

Nel 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa ben due volte riguardo il limite sulla libertà d’espressione e il diritto all’oblio. Si è stabilito, in entrambi i casi, che la deindicizzazione non entri in contrasto con la libertà d’espressione poiché, se l’originale cartaceo non è modificabile, potrà esserlo soltanto «la sua accessibilità sul sito del giornale».

Si rischia, tuttavia, che le notizie abbiano una data di scadenza, e si rende impossibile la costruzione di archivi online sugli articoli di cronaca giudiziaria.

Eliminalia è un’organizzazione nata nel 2013 dall’imprenditore Didac Sanchez, che si definisce «l’inventore dell’impiego delle false richieste per la violazione del copyright». In un volantino pubblicitario del 2018, l’organizzazione dichiarava di avere 900 clienti in tutto il mondo, oltre ad aver rimosso ben 10.000 link online.

Lo scopo di Eliminalia è quello di far sparire dal web tutto quello che i clienti non gradiscono.

Di solito, i contenuti “di valore” sono quelli che ottengono più link e che appaiono nei primi risultati dei motori di ricerca. Dato che sono più visibili, questi link vengono cliccati dalla maggior parte degli utenti.

Ma come opera Eliminalia? Quali strumenti utilizza per distruggere o pompare dei contenuti?

Le mail di Raùl Soto

Uno strumento che viene utilizzato spesso sono le mail da parte di un certo Raùl Soto che dice di far parte di un ufficio della Commissione Europea e che, con tono intimidatorio, richiede di cancellare alcuni contenuti.

Tuttavia, IrpiMedia ha osservato che le motivazioni della richiesta di diritto all’oblio non sembrano essere ben dettagliate. La notizia è sempre «vecchia e irrilevante». Non viene mai specificato se i dettagli collegati alla persona coinvolta siano scorretti o se la sua situazione processuale abbia subito delle mutazioni.

In certi casi, le richieste si riferiscono ad un possibile reato di diffamazione, o in generale di violazione dei dati personali, in riferimento all’esercizio del diritto all’oblio.

Google, rimuovi questo articolo?

Eliminalia ha depositato centinaia di richieste di rimozione di articoli in italiano, da parte di finti gruppi editoriali importanti, sulla scia del Digital Millennium Copyright Act, la legge americana sul copyright.

Il fine è quello di fare da esca con centinaia di siti e blog creati appositamente: attraverso un finto articolo retrodatato richiedono la rimozione di quello originale. Basta che Google ci caschi per raggiungere l’obiettivo (anche se il motore di ricerca avrebbe dichiarato di opporsi a queste richieste false).

Nel 2022 sono state depositate ben 1,4 milioni di richieste per la rimozione di 5,3 milioni di link, il doppio rispetto al 2017.

Fake news

Nei casi in cui Eliminalia non riesca nell’intento di rimuovere i link allora tenterà di farli sparire. Come? Sotterrandoli sotto una montagna di falsi articoli, che sfruttano le tecniche di posizionamento sui motori di ricerca.

In questo modo riescono a sormontare gli articoli legittimi, portandoli in seconda o terza pagina su Google.

Sono stati individuati più di 3000 articoli falsi in 600 diversi siti web riconducibili a 48 clienti di Eliminalia. Tali articoli, con un contenuto completamente inventato, di solito includono il nome del cliente nell’url del link e nel testo dell’articolo.

La tecnica del backlinking

Una delle tecniche utilizzate da Eliminalia per riuscire a scalare la classifica dei risultati è quella di condividere i link all’interno di blog e forum.

Google, infatti, per decidere dove si posizionerà un link tiene in considerazione quante volte quel link sia stato incluso in altri siti web (backlink). Eliminalia, quindi, manipola i risultati di ricerca permettendo di far scalare i risultati della ricerca agli articoli falsi.

Il database (non più) segreto

I segreti di Eliminalia sono stati svelati con un database che conteneva 50mila contratti, mail e screenshot. Sono presenti in questo database 1.500 clienti che provengono da tutto il mondo.

Per rimuovere un link il prezzo parte da 200 e arriva a 2000 euro, dipende un po’ dal caso. 25 clienti, in particolare, hanno pagato più di 50mila euro per ripulire completamente la rete dal loro nome.

Tra questi clienti troviamo corruttori, banchieri condannati per riciclaggio, uomini famosi accusati di molestie sessuali, trafficanti di droga e professionisti coinvolti in frodi finanziare di carattere internazionale. I clienti italiani sono principalmente manager, avvocati, imprenditori e contabili.

Per Marisa Maraffino, avvocata specializzata nelle nuove tecnologie e nel digitale: «I contenuti restano online per sempre e ti marchiano in un certo senso, però non tutti hanno disponibilità economiche per spendere quei soldi. I clienti di queste società di solito sono imprenditori che hanno certe disponibilità».

Per leggere l’inchiesta completa puoi cliccare sopra questo link.

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Nel marzo del 2020, su 470.000 professionisti che hanno deciso di richiedere il bonus da 600 euro, 140.00 erano avvocati. Parliamo di più della metà degli iscritti alla Cassa. Partendo da queste premesse, il senatore di FI Zanettin , con il suo DL 179 intende modificare la legge n.247 del 31 dicembre 2012.

Tale proposta prevede la riforma dell’esame e l’istituzione di due sbocchi professionali intermedi rispetto al conseguimento del titolo di avvocato. In particolar modo, si vorrebbe istituire un albo speciale degli ausiliari, nel quale i laureati in giurisprudenza potranno svolgere un’attività qualificata e retribuita, sotto la supervisione e la guida di un avvocato.

Leggiamo nel DL: «L’iscrizione all’albo speciale degli ausiliari può essere chiesta al consiglio dell’ordine da chi, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito a seguito di un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni, ha un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto esercente la professione legale, in forma personale, associata o societaria».

Con lo scopo di valorizzare il praticantato, e a condizione che vengano superate le verifiche intermedie, verrà istituito un ulteriore albo speciale dei consulenti legali. Spiega Zanettin: «Si tratta di una figura professionale intermedia fra l’ausiliario e l’avvocato», e per accedervi bisogna avere un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto che esercita la professione.

Lo scopo è quello di «tutelare coloro che intendano operare nell’ambito giudiziario come professionisti retribuiti, ma che, valutando anche la situazione del mercato, non intendano avviare un proprio studio legale».

Il testo interviene sull’esame di Stato mediante l’introduzione di una prova preselettiva unica nazionale. Per chi supera tale prova, si prevede l’inizio dell’esame vero e proprio che verrà suddiviso in una prova scritta e una prova orale.

Nella prova selettiva ci saranno cento quesiti a risposta multipla. Per superarla si dovrà conseguire il punteggio minimo che corrisponde a 70 risposte corrette.

Nella prova scritta è prevista la redazione di un atto giudiziario. Il candidato potrà scegliere fra diritto privato, penale e amministrativo. Si svolgerà senza l’ausilio dei codici commentati. La prova orale, invece, oltre all’illustrazione della prova scritta, prevederà cinque diverse materie, tra le quali ne troviamo una di natura procedurale.

Tra le materie obbligatorie, oltre all’ordinamento e alla deontologia forense, troviamo diritto dell’UE, diritto costituzionale e i principi di organizzazione e gestione di uno Studio o Ufficio legale. Dunque, sarà necessario conoscere regolamenti, procedure, codici di condotta, disposizioni di legge, norme sulla riservatezza dei dati personali, di previdenza e antiriciclaggio.

Alla prova orale sono ammessi i candidati che hanno raggiunto un punteggio di 35 punti, con un voto non inferiore a 6 dalla parte di ogni componente della commissione. Saranno giudicati idonei i candidati con punteggio minimo di 150 punti e non inferiore a 30 punti per ogni materia.

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Nel settembre del 2022, David Wakeling, il responsabile del gruppo di innovazione dei mercati di uno Studio Legale londinese, si è imbattuto in Harvey, uno strumento di intelligenza artificiale generativa interamente dedicato al settore legale.

Lo strumento è stato sviluppato dalla ormai conosciutissima società OpenAI. Alcuni avvocati di questo Studio Legale avrebbero dovuto utilizzare il servizio per riuscire a rispondere a delle semplici domande giuridiche, per redigere documenti e per inviare alcuni messaggi ai clienti.

La sperimentazione, inizialmente limitata, si è allargata nel giro di pochissimo tempo. Infatti, ben 3500 dipendenti dei 43 uffici dell’azienda in questione hanno cominciato ad utilizzare lo strumento, al quale hanno rivolto più di 40mila domande.

L’inizio di un cambiamento di paradigma

Oggi lo Studio Legale ha cominciato una partnership con il servizio, al fine di integrare Harvey in tutta l’azienda. Un avvocato su quattro dello Studio Legale in questione usa lo strumento di Ai ogni giorno, mentre l’80% lo utilizza una volta al mese. Inoltre, l’azienda comunica che ci sono anche altri Studi che cominciano ad utilizzare lo strumento.

La diffusione dell’intelligenza artificiale e l’eventualità che riesca a rivoluzionare il settore legale sono stati annunciati più volte nel passato. Tuttavia, grazie al recente boom degli strumenti di Ai generativa, come ChatGpt, gli avvocati si stanno lasciando andare a queste tecnologie, come Wakeling: «Penso che sia l’inizio di un cambiamento di paradigma: credo che questa tecnologia si adatti molto al settore legale».

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La tecnologia potrebbe essere perfetta per il settore legale, che comincia a fare sempre più affidamento su documenti standardizzati.

Lilian Edwards, docente di diritto, innovazione e società alla Newcastle University spiega: «Applicazioni legali come la creazione di contratti, passaggi di proprietà o licenze in realtà sono un’area relativamente sicura in cui impiegare ChatGpt e i suoi cugini».

Continua: «La generazione automatizzata di documenti legali è un’area in crescita da decenni, perché gli studi legali possono attingere a grandi quantità di modelli altamente standardizzati e banche di precedenti su cui basare la generazione di documenti, rendendo i risultati molto più prevedibili rispetto alla maggior parte dei testi prodotti liberamente».

Ma i problemi relativi alle creazioni dell’Ai generativa cominciano già a farsi sentire. In primo luogo, si è notato come questi strumenti si inventino delle cose di sana pianta. È un aspetto che rappresenta un problema non indifferente in ambito di ricerche online; in campo giuridico, invece, potrebbe determinare la differenza tra il successo e il fallimento, comportando anche una notevole perdita economica.

Gabriel Pereyra, fondatore e CEO di Harvey, ha dichiarato che l’intelligenza artificiale mette a disposizione una serie di sistemi capaci di rilevare e prevenire queste “allucinazioni”. «I nostri sistemi sono stati messi a punto per i casi d’uso legali su enormi insieme di dati legali, il che riduce notevolmente le allucinazioni rispetto ai sistemi esistenti».

Supervisione dei risultati

In ogni caso, Harvey è incappato in alcuni errori, e lo Studio Legale è dovuto ricorrere ad un programma di gestione del rischio collegato alla tecnologia. Commenta Wakeling: «Dobbiamo fornire servizi professionali del livello più alto. Non possiamo permettere che delle allucinazioni contaminino le consulenze legali».

Gli avvocati che utilizzano Harvey si ritrovano davanti ad un elenco di regole per utilizzare correttamente lo strumento. Quella più importante è la supervisione dei risultati. «Bisogna convalidare tutto ciò che esce dal sistema. Va controllato tutto».

Wakeling dice di essere rimasto molto colpito dalle abilità che Harvey ha manifestato in campo di traduzione. Il sistema, infatti, sembra cavarsela bene anche in materia di diritto tradizionale. Nonostante ciò, sembrerebbe avere delle difficoltà quando si deve occupare di nicchie specifiche, ed è qui che manifesta la maggior parte delle allucinazioni.

Ottimismo moderato

Alcuni avvocati hanno parlato con Wired US e hanno dichiarato di essere cautamente ottimisti per quanto riguarda l’integrazione dell’Ai all’interno della loro professione. Per esempio, l’avvocato Sian Ashton sostiene che: «E’ sicuramente una cosa molto interessante, senza dubbio indicativa delle fantastiche innovazioni che stanno avvenendo all’interno del settore legale».

Tuttavia, continua l’avvocato, «si tratta di uno strumento ancora agli albori, e mi chiedo se faccia molto di più che fornire documenti già disponibili in azienda o tramite servizi di abbonamento».

Per Daniel Sereduick, invece, un avvocato di Parigi specializzato nella protezione dei dati personali, l’intelligenza artificiale generativa continuerà ad essere utilizzata soltanto per il lavoro di base. «La stesura di documenti legali può essere un’attività ad alta intensità che l’Ai sembra essere in grado di affrontare abbastanza bene. I contratti, le polizze e gli altri documenti legali tendono ad essere normativi, quindi le capacità dell’Ai di raccogliere e sintetizzare le informazioni possono fare gran parte del lavoro».

Ma i risultati che produce una piattaforma di Ai dovranno essere attentamente esaminati: «Parte dell’esercizio della professione legale consiste nel comprendere le circostanze particolari del cliente, quindi raramente i risultati saranno ottimali».

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Sereduick dice anche che, se da un lato i risultati dell’Ai dovranno venire monitorati con attenzione, gli input potrebbero risultare altrettanto impegnativi in termini di gestione. «I dati inviati ad un’Ai possono diventare parte del modello dei dati e/o dei dati di addestramento, e ciò violerebbe molto probabilmente gli obblighi di riservatezza nei confronti dei clienti e i diritti di protezione dei dati e della privacy delle persone».

Questo problema è particolarmente sentito in Europa, nel quale l’utilizzo di questa tipologia di Ai potrebbe anche violare i principi del Gdpr, il regolamento che disciplina la quantità dei dati delle persone che le aziende possono raccogliere ed elaborare.

È probabile che all’interno del quadro del Gdpr gli Studi Legali necessitino di una base giuridica solida, al fine di inserire i dati personali dei clienti all’interno di uno strumento di Ai generativa come Harvey, ma anche di contratti che vadano a disciplinare il trattamento di questi dati da parte dei gestori degli strumenti di Ai.

In Europa, l’Ai Act tenta di regolamentare rigorosamente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. In Italia, per esempio, all’inizio di febbraio, il Garante è intervenuto al fine di impedire ad un chatbot, Replika, l’utilizzo dei dati personali degli utenti.

Secondo Wakeling l’intelligenza artificiale, nel suo Studio «farà davvero la differenza in termini di produttività ed efficienza». Piccoli compiti, che di solito rubano minuti preziosi nella giornata dell’avvocato, infatti, potrebbero essere affidati all’Ai.

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I gestori SPID fanno un’offerta di pace al governo, ovvero, propongono di mantenere in vigore le condizioni attuali del sistema fino a giugno 2023. A patto che si trovi subito un accordo sulla ripartizione dei costi di SPID e di essere coinvolti in tutti i progetti futuri, eliminando completamente gli schemi concorrenti e candidando SPID come futuro sistema europeo di identità digitale.

Questo è quanto scritto da Assocertificatori, che rappresenta circa il 95% delle transazioni totali, in una lettera che è stata inviata come ultimatum a Palazzo Chigi. La decisione sul futuro dell’identità digitale SPID, infatti, deve essere prima di tutto politica.

Ma il governo tace, nonostante si stia per arrivare al capolinea della maggior parte delle convenzioni dei gestori SPID.

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I gestori, però, non accetteranno più di posticipare le scadenze delle convenzioni. Lo hanno ribadito ad Agid durante l’incontro avvenuto ieri, lunedì 20 febbraio 2023.

La richiesta principale, tuttavia, riguarda la suddivisione dei costi. I gestori, infatti, lamentano da tempo le grosse spese per quanto riguarda la gestione dei servizi di assistenza ai cittadini ma anche alle 12mila PA che hanno adottato il sistema.

I gestori chiedono anche di essere coinvolti negli sviluppi futuri dell’identità digitale. In Italia, ad oggi, ci sono due diversi schemi di identità, ovvero SPID e Cie.

Nonostante il numero di iscritti ai due servizi sia praticamente identico, è SPID che viene utilizzato più spesso per accedere ai servizi pubblici.

Butti, il sottosegretario all’Innovazione, vorrebbe unire i due percorsi, spostando l’identità SPID all’interno della Cie. Assocertificatori vorrebbe prorogare le attuali convenzioni per la gestione del sistema SPID a giugno 2023: in caso contrario si corre il rischio che, alla fine di aprile, nel momento in cui scadranno le convenzioni, SPID si spenga definitivamente.

Secondo il direttore generale di Lepida, Gianluca Mazzini, «se si vuole migrare SPID su Cie ci sono profili non banali di privacy da smarcare. Prima di prendere qualsiasi decisione, occorre tenere conto dei problemi di nicchie di popolazione», come nel caso dei minori.

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Ospedali e aziende sanitarie, negli ultimi due anni, hanno subito alcuni attacchi informatici molto gravi. In certi casi sono stati bloccati completamente i sistemi per prenotare visite ed esami, mentre in altri sono stati addirittura rubati i dati personali dei pazienti.

I criminali informatici, di solito, per compiere questi attacchi utilizzano un ransomware, ovvero un software capace di ottenere determinati dati per tenerli “in ostaggio”, al fine di richiedere un riscatto. Questo tipo di attacco causa tanti danni: non sono necessari strumenti particolari per organizzarlo, ed è parecchio difficile scovare gli autori.

I cybercriminali adorano le strutture sanitarie

Ospedali, aziende sanitarie, ambulatori pubblici e centri diagnostici sembrano essere un bersaglio molto ambito da parte dei cybercriminali, principalmente perché sembrano essere maggiormente vulnerabili rispetto ad aziende private. Inoltre, custodiscono dati molto importanti per poter curare le persone e non possono tenere bloccati i loro servizi per troppo tempo.

La sanità, insieme alla Pubblica Amministrazione, è un campo caratterizzato da un’arretratezza tecnologica non indifferente. Infatti, negli ospedali e nelle aziende sanitarie si utilizzano dei sistemi molto vecchi, precari e, dunque, maggiormente a rischio.

Ma i problemi sono anche strutturali: i macchinari elettromedicali, in quanto datati, possono funzionare soltanto se vengono collegati ai sistemi operativi, anch’essi datati. Come ciliegina sulla torta, la condivisione dei dati negli ospedali e nelle aziende sanitarie ha condotto i sistemisti alla costruzione di reti vulnerabili e semplici.

Anche se gli attacchi risultano sempre più frequenti in Italia, i responsabili delle aziende sanitarie spesso considerano tali crimini con sufficienza, se non con seccatura. Non vengono diffuse notizie riguardo le cause e non ci sono informazioni certe riguardo i settori colpiti, sui dati bloccati ma soprattutto sulle conseguenze dei blocchi.

Dobbiamo considerare che gestire un attacco informatico in ambito sanitario non coinvolge soltanto i tecnici informatici, poiché potrebbero esserci effetti, che siano più o meno diretti, sulla salute delle persone.

Il caso di Düsseldorf

Un caso noto è avvenuto in Germania, nell’ospedale universitario di Düsseldorf, dove nel settembre del 2020 è morta una donna proprio a causa di un attacco informatico. Anche qui, il sistema informatico dell’ospedale è stato bloccato completamente da un ransomware e il personale sanitario, senza dati a disposizione per tenere sotto controllo i parametri vitali dei pazienti, ha dovuto chiudere il pronto soccorso e rinviare operazioni d’emergenza.

Ma proprio a causa della chiusura, l’ospedale non è riuscito a soccorrere una donna con rottura di un aneurisma aortico. La donna è stata portata in un altro ospedale, a 32 chilometri di distanza, ma è morta in ambulanza durante il tragitto. È stata aperta un’indagine per omicidio colposo, al fine di identificare i criminali informatici che hanno causato l’attacco.

In questo caso le conseguenze dell’attacco informatico sono state gravi ed evidenti, anche se di solito gli effetti sono difficili da osservare e valutare, nonostante l’impatto diretto sulla salute delle persone.

I casi in Italia

Anche in Italia ci sono stati due casi che dimostrano efficacemente l’impatto degli attacchi informatici sui sistemi vulnerabili, come quelli degli ospedali e delle aziende sanitarie.

Per esempio, l’azienda sanitaria 5 della Spezia, domenica 19 febbraio ha annunciato il rinvio di una settimana delle sedute di radioterapia di almeno una cinquantina di pazienti oncologici a causa di un attacco informatico.

Tale attacco ha obbligato l’azienda a controllare in maniera più approfondita i macchinari utilizzati per la radioterapia, prima di poterli effettivamente utilizzare. Tutti i pazienti verranno richiamati: non ci troviamo di fronte ad un disagio, ma ad un ritardo sulle terapie di persone che stanno curando un tumore. L’azienda sanitaria ha comunque garantito che i pazienti che necessitano cure urgenti verranno trasferiti in altre strutture della Liguria.

Anche l’azienda sanitaria Insubria, che gestisce ospedali e strutture delle provincie di Como e Varese ha subito un attacco informatico nel 2022. In quel caso furono rubati i dati sensibili di 800 pazienti e venne bloccato il sistema informatico. I criminali richiesero un riscatto, ma l’azienda dice di non averlo pagato.

L’attacco aveva cancellato anche i dati della mailing list che si occupava della campagna di screening mammografico, operazione che previene il cancro della mammella. I funzionari hanno dovuto ricostruire pezzo per pezzo tutti i contatti delle persone, causando ritardi nello screening. Infatti, dal mese di maggio sino ad agosto, le mammografie eseguite sono state pochissime.

Per il direttore sanitario di Ats Insubria, Giuseppe Catanoso, «ci sono stati tempi molto lunghi nell’invio dei referti negativi. Abbiamo preferito accelerare sui casi a rischio per agire con tempestività, penalizzando chi presentava un risultato negativo. Ci sono state delle criticità ma abbiamo lavorato con grande sforzo».

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Via libera ai contributi minimi 2023. Cassa Forense ha pubblicato le modalità di riscossione riguardo la contribuzione minima previdenziale obbligatoria per gli iscritti. Oltre a questo ha reso noto che dal 20 febbraio 2023 saranno disponibili gli avvisi di pagamento.

Il contributo minimo soggettivo obbligatorio, come rivalutato dal Consiglio di Amministrazione lo scorso 2 febbraio, ammonta a:

  • 3.185 euro, ovvero il contributo minimo soggettivo intero;
  • 1.592,50 euro, con riduzione del 50%;
  • 796,25 euro con ulteriore riduzione del 50.

Le riduzioni, fa sapere Cassa Forense, sono limitate ai primi 6/8 anni di iscrizione e per tutti i casi previsti dall’art. 24, comma 2 e art 25, comma 2 del Regolamento Unico della Previdenza Forense. 

Le prime tre rate (28 febbraio, 2 maggio e 30 giugno) verranno riscosse «a titolo di acconto, tenendo conto della contribuzione 2022 non rivalutata, mentre la quarta rata del 30 settembre 2023 (lunedì 2 ottobre) sarà determinata a saldo e comprenderà anche la rivalutazione ISTAT dell’8.1%».

Per quanto riguarda il contributo di maternità, di cui non è ancora stato determinato l’importo, verrà riscosso in una soluzione unica, insieme alla quarta rata della contribuzione minima obbligatoria del 2023, ovvero sabato 30 settembre (quindi slitterà al lunedì successivo, il 2 ottobre).

Per le persone con pensione di vecchiaia, il pagamento del contributo di maternità potrà essere fatto in un’unica soluzione entro il 2 ottobre 2023. Oppure tramite trattenuta sui ratei mensili di pensione, se già richiesta. Chi non ha attivato questa opzione potrà comunque richiederla, chiarisce Cassa Forense, utilizzando il modulo apposito che si trova sul sito della Cassa sotto la dicitura “modulistica – contributi”.

I contributi minimi obbligatori vengono esclusivamente riscossi tramite avviso di pagamento PagoPA o F24, e potranno essere generati direttamente dal sito dagli iscritti della Cassa nella sezione Accessi Riservati – Posizione Personale – Pagamenti – Contributi minimi 2023 scadenze ordinarie.

In ogni caso, ricorda Cassa Forense, si può contattare l’information center al numero 06/51.43.53.40

 

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