Se il familiare è defunto, l’avvocato deve essere pagato dagli eredi

Recentemente, la Corte di Cassazione ha emesso la sentenza n.25573, nella quale affronta il tema delle successioni complesse, chiarendo il diritto dei legali di richiedere il pagamento agli eredi, anche se l’incarico è stato conferito da soltanto uno di loro.

Nello specifico, la questione riguardava un avvocato che rappresentava gli eredi di una cliente, deceduta nel corso di un giudizio amministrativo regionale.

L’intera disputa ruotava attorno all’impugnazione di una variante al piano regolatore generale locale, che sembra avesse causato la privazione dell’edificabilità a livello di un immobile che apparteneva all’asse ereditario.

Il legale aveva richiesto il pagamento dell’onorario attraverso un decreto ingiuntivo agli eredi. Tuttavia, due di loro si erano opposti, in quanto l’incarico sembrava esser stato conferito soltanto dalla defunta, e che non c’era obbligo di pagamento.

Il collegio di secondo grado, inizialmente, aveva sostenuto a pieno la posizione degli eredi, andando contro la richiesta dell’avvocato, sostenendo che, in quanto avevano accettato l’eredità successivamente,  facevano parte del rapporto professionale, e dunque, non avrebbero dovuto pagare gli onorari.

Tale decisione era fondata sul presupposto che il diritto alla richiesta di un compenso da parte di un professionista trova fondamento sull’avvenuto conferimento dell’incarico da parte del cliente.

La Cassazione, però, ha adottato un approccio un tantino differente: secondo la Corte, nonostante l’incarico professionale sia stato conferito soltanto dalla cliente defunta, questa era anche titolare di poteri di amministrazione e di conservazione dell’asse ereditario.

Considerando, inoltre, l’imminente scadenza del termine per presentare domanda dinanzi al giudice amministrativo, è stato necessario costituire subito il rapporto professionale, al fine di intraprendere azioni per conservare il valore dei beni ereditari.

La Corte di Cassazione, di conseguenza, ha concluso che l’avvocato aveva il legittimo diritto di ricevere il pagamento degli onorari da parte degli eredi, anche se l’incarico era stato conferito soltanto dalla cliente defunta.


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Nordio, giudici onorari: risorse nella prossima Legge di Bilancio

«La condizione dei giudici onorari in Italia è da decenni inaccettabile. Nella prossima legge di bilancio sarà inserita una disposizione che porrà finalmente una disciplina sia retributiva sia previdenziale nei confronti dei giudici onorari, che sarà quantomeno decorosa».

Queste le parole del Guardasigilli Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia ricorda che «anche grazie alla meritoria opera del sottosegretario, collega Delmastro Delle Vedove è stato fatto un lavoro ormai compiuto e in conclusione, possiamo dire che i giudici onorari finalmente hanno avuto quanto loro spettava. Questo ovviamente è solo l’inizio».

Aggiunge Nordio: «Le risorse finanziarie sono quelle che sono, ma abbiamo avuto assicurazioni da parte del ministro Giorgetti che saranno trovate, o si farà di tutto, per trovare le risorse necessarie affinché questi operatori di giustizia essenziali proprio per il funzionamento della giustizia abbiano il trattamento che loro compete».

Secondo il Guardasigilli lo Stato avrebbe «trattato e tratta i giudici onorari in un modo che, se fosse rivolto verso dei lavoratori privati, esporrebbe l’imprenditore a tutta una serie di sanzioni. I 5.000 e passa giudici onorari che esistono in Italia tengono in piedi il sistema, e per chi ci segue in televisione e magari conosce quale sia la funzione dei giudici onorari, vorrei chiarire che oramai fanno le stesse cose che fanno i giudici togati, cioè i giudici di carriera. Esercitano anche funzioni monocratiche penali, vengono inseriti nei collegi penali, senza i quali il collegio non funzionerebbe».

Il Governo, dal punto di vista fiscale, «ha posto fine all’incertezza interpretativa del regime fiscale dei compensi erogati ai magistrati, con la legge di conversione del 22 giugno del ’23, prevedendo l’assimilazione ai fini fiscali di quei compensi al reddito del lavoro dipendente secondo la procedura semplificata, le legge 234 del ’21, ed è stata individuata la gestione previdenziale alla quale i magistrati onorari devono essere iscritti, e ciò ha consentito alla competente articolazione ministeriale di corrispondere integralmente attraverso il servizio gestito dal Mef i compensi spettanti».

Conclude Nordio: «Una delle priorità di questo Ministero è stata la tutela della onorabilità e della riservatezza dei cittadini e della riservatezza delle comunicazioni. Ancora oggi il nostro codice di procedura penale è estremamente ambiguo sul fatto che alcune comunicazioni perdano la loro segretezza, ma ciononostante non siano pubblicabili».

«In realtà la giurisprudenza, come sapete, ha interpretato questa norma nel senso che una volta che un atto non è più segreto anche se non è pubblicabile, quantomeno può essere divulgato. Ci sono state effettivamente delle violazioni di questa norma a suo tempo e non sono state esercitate azioni disciplinari, in questo momento noi stiamo monitorando con grande attenzione queste eventuali violazioni così come stiamo predisponendo eventuali correttivi per eliminare le ambiguità di questa normativa».


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Per Zangrillo lavorare nella Pa «è figo anche quando non è fisso»

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Cassa Forense ha deliberato di differire alla data del 31 dicembre 2023 la riscossione del contributo minimo integrativo nella misura di 805 euro.

Resta fermo, comunque, il termine del 30 settembre 2023, per pagare la IV rata del contributo soggettivo minimo, ovvero 974 euro e del contributo di maternità, ovvero di 82,69 euro.

Nel comunicato di Cassa Forense era stato deciso di prorogare per il 2023 l’abrogazione temporanea del contributo minimo integrativo.

È stato proposto ricorso al Tar, dopo la mancata approvazione del provvedimento da parte dei Ministeri Vigilanti, e la discussione è stata fissata al prossimo 25 ottobre.


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Il Csm sospende un giudice-poeta: aveva accumulato 858 fascicoli

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Viste le difficoltà nel reclutamento di nuove risorse nella Pa il governo ha deciso di avviare una campagna pubblicitaria in cui in ministro Paolo Zangrillo dichiara che il lavoro pubblico è «figo».

Lo stesso Zangrillo annuncia che nei prossimi giorni partirà «uno spot, il governo lo annuncerà con una conferenza stampa questa settimana, in tema di attrattività della pubblica amministrazione. Metteremo in discussione la logica del posto fisso cercando di guardare al posto figo, cioè al posto dove il vero valore non sta nella stabilità del posto di lavoro».

Il ministro probabilmente si riferisce alle difficoltà nel reperimento di candidature e di vincitori che avrebbero costantemente accompagnato la riapertura dei concorsi pubblici, dopo ben 10 anni di stop a causa di tagli al bilancio e dopo due anni di pandemia, che avrebbero fermato le procedure già avviate.

La fuga dei giovani probabilmente è dovuta al fatto che i concorsi svolti per il Pnrr prevedono delle assunzioni a tempo determinato, mentre sembrerebbe che in altri casi i vincitori si siano tirati indietro, poiché per loro il posto pubblico non è abbastanza attrattivo a causa di uno stipendio troppo basso e difficoltà nelle carriere, che procedono troppo a rilento.

Per Zangrillo il lavoro pubblico è un posto «dove c’è la capacità di distinguere tra chi vivacchia e passa la giornata a guardare l’orologio per l’orario d’uscita e chi invece ha voglia di dimostrare di essere all’altezza delle sfide che il Paese ha davanti».

Il ministro riconosce che «la stabilità del posto di lavoro è importante, ma se vogliamo attrarre i giovani nella Pa, se noi vogliamo che i nostri ragazzi crescano e considerino tra le opportunità per costruire il loro percorso professionale anche la pubblica amministrazione non possiamo lasciargli solo la logica del posto fisso, ma il posto figo che ti consente di crescere dal punto di vista delle responsabilità e di acquisire le competenze che servono».

«Abbiamo un programma di inserimento nella pubblica amministrazione che prevede di inserire 60.000 nuovi insegnanti nei prossimi mesi. Anche sul tema della scuola abbiamo puntato l’attenzione con la consapevolezza che, oggi più che mai, il tema della formazione è strategico per il futuro del Paese», conclude Zangrillo.


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Il Csm sospende un giudice-poeta: aveva accumulato 858 fascicoli

WhatsApp: attenzione a chi ci spia

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Il Csm sospende un giudice-poeta: aveva accumulato 858 fascicoli

La Sezione disciplinare del CSM ha sospeso il magistrato Ernesto Anastasio, sia dall’incarico che dallo stipendio. Attorno ad Anastasio, infatti, si era creato un vero e proprio caso, visti i gran ritardi accumulati su centinaia di sentenze e fascicoli, oltre alla sua insofferenza verso la professione e un gran interesse per la poesia.

Ernesto Anastasio ha 54 anni, ed è originario di un piccolo comune in provincia di Napoli, Piano di Sorrento. Entrato in magistratura all’età di 30 anni, nel 1999, Anastasio cominciò a lavorare in veste di giudice civile nel tribunale di Caserta.

Sin da subito, però, cominciò ad accumulare dei gran ritardi nel suo lavoro, depositando più di 200 procedimenti oltre i termini e lasciando parecchi fascicoli inevasi. Nel 2021 si è trasferito a Perugia per lavorare in veste di magistrato di sorveglianza. Anche qui, Anastasio accumulò sentenze arretrate, arrivando a quota 858.

Le sue inadempienze hanno causato diverse proteste, non soltanto da parte di colleghi ma anche dai detenuti. Contro Anastasio sono stati aperti diversi provvedimenti disciplinari.

Il magistrato, di tutta risposta, ha presentato un certificato medico che accertava una depressione. Per questo, a marzo il CSM aveva indicato un medico e docente di psicopatologia forense, Stefano Ferracuti, di svolgere una perizia per stabilire se Anastasio fosse idoneo per proseguire, da un punto di vista medico, il suo incarico.

Anastasio soffrirebbe, secondo Ferracuti, di un «disturbo di personalità dipendente-evitante», di cui il magistrato è consapevole e che non influenzerebbe in alcun modo la sua capacità di svolgere la professione. Il problema reale è che «si trova a svolgere un ruolo professionale che non è in alcun modo soddisfacente per i suoi obiettivi esistenziali».

Il magistrato, infatti, aveva superato un concorso per entrare in Polizia, ma era stato poi escluso dopo il colloquio con lo psicologo. Dunque, la professione di giudice sarebbe stata semplicemente un ripiego, legato anche all’influenza del padre, noto avvocato civile.

Ma la vera passione di Anastasio è da sempre la poesia: per il perito, il magistrato «ha una notevole cultura letteraria, interessi poetici, questo è quello che gli interessa». Anastasio ha confermato quanto dichiarato da Ferracuti, sostenendo inoltre di vivere «una situazione di dissidio interiore», nonostante la sua volontà di concludere l’incarico in scadenza nel 2026.

Il CSM ha deciso di sospendere Anastasio, sia dal suo incarico che dal suo stipendio. Si legge nell’ordinanza: «E’ un magistrato che sostanzialmente rifiuta il lavoro», gettando «discredito sull’intera amministrazione giudiziaria».


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WhatsApp: attenzione a chi ci spia

Negli Stati Uniti comincia il processo contro Google

WhatsApp: attenzione a chi ci spia

WhatsApp non è un servizio pensato per la sicurezza, e la sua diffusione la rende l’obiettivo perfetto per la ricerca di vulnerabilità. Esponenti politici, giornalisti e funzionari governativi sono stati spiati proprio su WhatsApp.

La modalità più diffusa per spiare le chat WhatsApp è l’utilizzo di specifici software spia, gli spyware. Ci sono decine di app che tutti possono utilizzare e comprare a prezzi accessibili, che vengono messe in commercio con lo scopo di controllare il telefono dei figli.

Ma questi programmi, installati nei dispositivi di terzi senza alcuna autorizzazione, non sono assolutamente legali.

Per installare uno spyware ci sono due opzioni: si può fare da remoto, inviando un link che, una volta cliccato, installerà automaticamente il software spia; ma può essere anche essere nascosto in app o giochi gratuiti. Un’altra opzione è l’accesso diretto al dispositivo: basta lasciare incustodito uno smartphone privo di password di sblocco, e il gioco è fatto.

Dopo aver installato lo spyware, attraverso un’app o un account web si potranno visualizzare i dati contenuti all’interno dello smartphone della vittima, come messaggi, telefonate, foto e mail. Inoltre, potranno essere attivate fotocamera e microfono all’insaputa dell’utente.

L’utilizzo di questi strumenti rappresenta un reato: i software “captatori informatici” possono essere utilizzati soltanto dalla polizia a seguito di un mandato da parte della magistratura. È stato promulgato a riguardo il DL n. 216 del 29 dicembre 2017, con lo scopo di regolamentarne l’utilizzo e per impedire eventuali abusi.

Un altro strumento utilizzato per spiare gli utenti è WhatsApp Web. Per utilizzare la funzione, basta aprire l’app di WhatsApp sullo smartphone, andare sulle Impostazioni e inquadrare il QR Code che appare sullo schermo del pc.

Sul pc, a questo punto, troveremo il nostro account WhatsApp, e tutte le conversazioni saranno sincronizzate tra il nostro smartphone e il pc. Ma se lasciamo lo smartphone incustodito, privo di password di sblocco, potremmo rischiare che un’altra persona abbini il nostro WhatsApp al suo pc.

Per aver maggior sicurezza possiamo attivare l’autenticazione a due fattori, e se sospettiamo che qualcuno abbia collegato il nostro WhatsApp al suo pc selezionare l’opzione Disconnetti da tutti i dispositivi o Disconnettiti da tutti i computer su Android.

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Una truffa molto banale è quella del codice a sei cifre. Secondo Paolo Dal Checco, consulente informatico forense, tale truffa dovrebbe essere ormai poco diffusa, poiché «ormai le persone sanno che non devono comunicare codici ricevuti sul proprio telefono, anche grazie all’esperienza fatta dalla banche che ripetono continuamente di non fornire a nessun i codici ricevuti».

Nonostante tutto, qualcuno ancora ci casca. Il nostro account WhatsApp, infatti, è sempre collegato ad un numero di cellulare. Se qualcuno conosce il nostro numero, potrebbe utilizzarlo per appropriarsi del nostro account.

Il malintenzionato, accedendo al menu, procede con il cambio del numero. L’app invierà un codice di verifica a sei cifre al “vecchio” numero, ovvero l’intestatario attuale del profilo, e il ladro tenterà di ottenere il codice di verifica, inviando magari un messaggio da un falso mittente che, con l’inganno, richiederà il codice in questione.

Va da sé, dunque, che non dobbiamo mai inviare a nessuno i codici che riceviamo.

Per recuperare un account WhatsApp rubato basterà seguire le istruzioni riportate nelle pagine di assistenza di WhatsApp.

La violazione di uno smartphone, oggi, potrebbe essere più pericolosa e grave rispetto a quella di un pc. Non scordiamoci inoltre che per un cybercriminale potrebbe essere molto più utile spiare uno smartphone, e non rubarlo.


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Negli Stati Uniti comincia il processo contro Google

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Negli Stati Uniti comincia il processo contro Google

Negli Stati Uniti comincia il processo contro Google; la big tech, infatti, è stata accusata dal governo USA di abuso di posizione dominante per quanto riguarda le ricerche online.

Il processo è molto importante, sia da un punto di vista pratico che simbolico. Infatti, questo è il primo processo antitrust avviato dal governo americano contro una big tech dai tempi del processo contro Microsoft del 1998, che apportò grandissimi cambiamenti nel settore.

Il processo avverrà a Washington ed è probabile che duri molti mesi. Il dipartimento di Giustizia sostiene che Google abbia abusato della propria posizione di monopolio nel settore delle ricerche online, al fine di danneggiare la concorrenza e di eliminare completamente innovazioni che avrebbero potuto favorire i consumatori.

In America non è illegale il monopolio di un settore dell’economia; tuttavia, secondo il dipartimento di Giustizia, Google avrebbe infranto la legge per ottenere e mantenere il monopolio.

Per Google, invece, tali accuse sono infondate: se l’azienda domina il settore, a suo dire, è perché offre un prodotto migliore, che viene preferito dalla maggior parte degli utenti. Per accedere alla concorrenza, sempre secondo Google, bastano pochi clic: dunque, non ci sarebbe alcun obbligo per l’utilizzo di un prodotto al posto di un altro.

Attualmente, Google detiene circa l’80% del mercato mondiale delle ricerche online.

Il caso sollevato dal dipartimento di Giustizia focalizza l’attenzione in un ambito limitato, e riguarda il fatto che Google, ogni anno, paghi miliardi di dollari ad un’altra big tech, Apple, per essere il motore di ricerca di default presente su tutti gli iPhone e gli iPad.

Dunque, ogni volta che un utente fa una ricerca online sul proprio iPhone, la fa automaticamente su Google. Negli USA gli iPhone sono molto più utilizzati rispetto all’Europa, ovvero da circa la metà della popolazione.

Google ha degli accordi economici molti simili anche con fondazione Mozilla, gestore di Firefox, e possiede il sistema operativo Android. Dunque, la maggior parte delle persone in tutto il mondo, se deve fare una ricerca online, utilizza Google.

Ebbene, per il Dipartimento Giustizia, tali accordi sarebbero illegali, poiché schiacciano la concorrenza utilizzando la gran disponibilità economica per evitare che prodotti simili possano emergere. Per Google, invece, non c’è nulla di illegale.

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Il caso verrà giudicato da un giudice, senza una giuria. Non è ben chiaro che cosa potrebbe succedere se l’accusa vince, visto che il dipartimento di Giustizia non ha ancora esplicitato le misure che ha intenzione di mettere in pratica in quel caso.

Il processo contro Google potrebbe comportare un grossissimo impatto anche su tutto il resto dell’industria. Si tratta, come detto in precedenza, del processo più rilevante nei confronti di un’azienda tech americana, dai tempi del 1998, ovvero quando si tenne il processo contro Microsoft.

All’epoca, Microsoft era l’azienda tech più importante di tutto il settore, e ricevette l’accusa di utilizzare delle pratiche illegali per la creazione di un monopolio e per la promozione di Internet Explorer ai danni della concorrenza.

Il processo contro Microsoft si concluse con un patteggiamento, e l’azienda dovette fare molte concessioni ed essere meno aggressiva nei confronti della concorrenza sul mercato. Secondo Bill Gates, allora capo di Microsoft, e secondo gli analisti, il ritiro dell’azienda dal mercato aprì le porte ad una nuova generazione di giovani aziende: Google, per esempio, nacque nel 1998.

Non è chiaro, comunque, se il processo intentato contro Google avrà lo stesso risultato. Per alcuni esperti legali, il processo potrebbe essere un modo per testare quanto siano efficaci le leggi antitrust americane, introdotte verso la fine dell’800, e che oggi potrebbero non essere più così adatte per gestire dei casi complessi come quelli relativi alle big tech.

L’importanza del processo si vede anche dalle risorse utilizzate dalle parti: per esempio, il dipartimento Giustizia prepara il caso da 3 anni, mentre Google ha speso milioni di dollari per la difesa.


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Cassa Forense mette a disposizione mezzo milione di euro per gli Studi Legali

Cassa Forense ha predisposto due bandi di complessivamente mezzo milione di euro per la riorganizzazione degli studi professionali degli avvocati. Precisamente, sono stati stanziati 200mila euro per gli studi professionali retti da persone fisiche (bando 8/2023), mentre 300mila euro sono stati stanziati per gli studi legali a capo delle persone giuridiche (bando 9/2023).

Entrambi i bandi scadranno il prossimo 30 novembre.

Cassa Forense verserà un contributo pari al 50% della spesa complessiva al netto IVA, sostenuta dal 1° settembre al 30 novembre 2023.

Il contributo sarà compreso tra i 750 e i 5.000 euro. In caso di spese rimborsabili, per Cassa Forense «si va dalle certificazioni UNI 11871 all’adozione di software per procedere con la certificazione, dai costi sostenuti per acquistare la norma tecnica sul sito UNI ai costi per la licenza d’uso del marchio UNI, fino ai costi per la formazione e per l’adozione di modelli organizzativi per lo studio di cui al D. Lgs. n. 231/2001 con codice etico».

Tutte le domande dovranno essere inviate entro le ore 24 del 30 novembre 2023 attraverso la procedura online presente sul sito di Cassa Forense.


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Gli strumenti di intelligenza artificiale generativa promettono di trasformare la maggior parte del lavoro quotidiano degli avvocati, nonostante le preoccupazioni riguardo le fughe dati.

In mezzo ad una raffica di aggiornamenti e di nuovi lanci, gli studi legali sembrano essere molto indecisi sull’utilizzo di tali strumenti, anche se aziende big-tech e fornitori di servizi sulle innovazioni affermano di essere in grado di trasformare la professione legale.

Ma com’è messo veramente il mondo legale per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale?

Uno studio legale con sede nella Silicon Valley, Gunderson Dettmer, ha presentato uno strumento dedicato agli avvocati, utile per fornire accordi legali nelle interrogazioni. Lo studio legale Sullivan & Cromwell di New York, invece, promuove e sviluppa strumenti da vendere ad altri studi legali, finalizzati all’aiuto nell’esaminazione dei documenti e per condurre deposizioni.

OpenAI, alla rivoluzione con ChatGPT, ha lanciato un sistema aggiornato per i suoi clienti aziendali, affrontando la paura degli avvocati di perdere i dati dei clienti. Invece, Thomson Reuters, azienda di dati e media legali, ha ufficialmente acquisito Casetext, azienda nota per gli strumenti che si basano sull’IA, per 650 milioni di dollari.

I nuovi strumenti consentono di affrontare alcuni tipi di attività, almeno quelle maggiormente laboriose, con più velocità e facilità. Per esempio, possono confrontare e analizzare i contratti per ricercare le clausole chiave, riassumendo regole di conformità e riscrivendo le norme complesse in un linguaggio comprensibile.

In molti si aspettano, grazie a questo potenziale risparmio di tempo, che il mondo legale si trasformi, eliminando gran parte del lavoro degli avvocati. Secondo Thomson Reuters, l’obiettivo è quello di fornire un prodotto per la redazione legale, che possa essere collegato alla funzione assistente di Microsoft, per essere venduto entro la fine dell’anno.

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Visto il turbinio di lanci e di aggiornamenti dei sistemi, tanti studi legali sono titubanti sul come e sul quando imbarcarsi nel mondo dell’IA.

Quando è stato reso disponibile ChatGPT per la prima volta, in molti hanno cominciato a soffrire della FOMO (Fear of Missing Out), ovvero la paura e l’ansia sociale di venire esclusi da eventi e da esperienze. Tuttavia, dopo un gran entusiasmo iniziale, sono arrivate le preoccupazioni riguardo le fughe dati.

Gli Studi Legali non vogliono, infatti, che i loro prompt vengano in qualche modo catturati da estranei.

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Microsoft avrebbe addebitato più di 50.000 dollari ad ognuna delle 600 imprese invitate alla partecipazione della prova del suo assistente di intelligenza artificiale AI Copilot, che verrà venduto con un abbonamento di 30 dollari al mese.

Per esempio, l’ufficio legale interno della McKinsey & Company dovrà scegliere tra «costruire, acquistare o collaborare» al fine di sviluppare strumenti di intelligenza artificiale generativa.

Thomas Pfennig, invece, responsabile dei dati e della privacy della multinazionale Bayer ha già utilizzato l’intelligenza artificiale generativa per l’automatizzazione dei compiti legali ripetitivi con poco valore, per riuscire a ridurre significativamente i costi del lavoro.

Afferma Pfennig: «Un passo che abbiamo fatto è preparare l’organizzazione a un cambiamento operativo significativo, passando da interazioni basate sull’uomo a interazioni più tecnologiche».


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Arriva iPhone 15: dobbiamo fare l’upgrade?

Apple, il 12 settembre, annuncerà i nuovi modelli iPhone 15. In molti si chiedono se fare o meno l’upgrade, e la risposta corretta è complicata, e cambia in base alla tipologia di utente e dal modello di smartphone che possediamo.

Dobbiamo tenere in considerazione alcuni elementi. Secondo un’analista di Goldman Sachs, Apple dovrà aumentare parecchio i prezzi a causa del processore A17, chip che renderà lo smartphone molto più veloce ed efficiente, realizzato su scala 3 nanometri.

Nei modelli Pro ci saranno miglioramenti anche per quanto riguarda il design, quali la cornice in titanio, maggior durata della batteria e più memoria. Il Pro Max, il modello più avanzato, avrà anche una fotocamera aggiornata, con maggior capacità di zoom ottico e obiettivo a periscopio.

Per Carolina Milanesi, analista del mercato degli smartphone, se l’iPhone «è più giovane di tre anni non dovresti avere bisogno di un upgrade. Le cose più importanti per un utente medio sono la batteria, la velocità di ricarica e la fotocamera. Ma queste cose hanno un upgrade limitato anno dopo anno. I miglioramenti, accumulati, diventano sostanziali solo dopo i tre anni».

Prosegue Milanesi: «Una certa quota di utenti, circa il 20%, farà l’upgrade comunque; perché lo fa ogni anno solo per avere sempre nelle mani lo smartphone migliore. Vale per gli iPhone come per i Samsung».

Gli utenti più esperti apprezzano il processore migliorato e il design di titanio: «Il titanio rende lo smartphone più leggero. È qualcosa che si apprezza però solo se lo prendi in mano ed è considerevole soprattutto per i modelli più grandi e più costosi».

Secondo l’esperta «il processore veloce fa la differenza invece quando si diffonderanno anche su smartphone l’IA generativa; ma anche questo è un vantaggio apprezzabile non da tutti gli utenti». L’intelligenza artificiale generativa ci permetterà di fare un editing evoluto delle nostre foto, creando immagini molto velocemente per i post sui social o per i messaggi, migliorando anche luci e inquadrature su FaceTime.

Molto probabilmente avremo bisogno di un upgrade nel caso in cui il nuovo iOS 17 non sia supportato dall’attuale iPhone, come nel caso di iPhone 8, 8 Plus e X. L’aggiornamento all’ultima versione di iOS offre nuove importanti funzionalità, correzioni di bug e aggiornamenti sulla sicurezza.

Utilizzare un software ormai obsoleto, infatti, potrebbe compromettere le prestazioni, mettendo a rischio i dati personali. Se ci siamo convinti a fare l’upgrade, comunque, dopo il 12 settembre Apple sconterà i modelli dal 12 al 14; per risparmiare ancora di più si può puntare su smartphone ricondizionati.

Se, invece, decidiamo che non è ancora arrivato il momento di cambiare iPhone, prestiamo attenzione ad alcuni segnali. Se lo stato della batteria scende sotto l’80%, meglio procedere con la sostituzione della stessa, che non migliorerà soltanto la durata, ma anche le prestazioni dello smartphone.


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