I Social Network diventeranno a pagamento

Sembra ufficiale: l’era di internet gratis, ormai, sta finendo. Nei primi anni Duemila i giornali cominciarono a trasferirsi online, non c’erano paywall e l’informazione era completamente gratuita. Era un’autentica rivoluzione.

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Dopo qualche anno cominciarono ad affermarsi i blog e i social network. Alcuni, come Meta, sono sopravvissuti, altri sono scomparsi, come MySpace, altri ancora hanno cambiato nome oppure sono stati venduti a grandi colossi.

L’iniziale entusiasmo per questa sorta di liberazione nel mondo dell’informazione ha successivamente dovuto fare i conti con realtà, ovvero, la pubblicità online, da sola, non bastava.

Giornali, colossi tech e social, abili nella profilazione e nella raccolta pubblicitaria, se la sono cavata per anni, sino all’introduzione delle norme del Gdpr, che hanno imposto di chiedere agli utenti se volevano essere tracciati, al posto di farlo automaticamente.

Nell’ultimo anno, per non morire, alcuni giornali hanno deciso di mettere il lettore di fronte ad una scelta: chi vuole continuare a leggere un articolo gratuitamente deve acconsentire al tracciamento. In caso contrario, o si paga un piccolo contributo oppure ci si abbona.

Il Garante non si è ancora espresso, ma sembra che la cosa potrebbe essere accettata soltanto in caso di trasparenza e se la somma richiesta risulta proporzionata, affinché la scelta del tracciamento non sia obbligata.

I social network stanno guardando con molto interesse a questa possibilità. Il New York Times, recentemente, ha riportato la notizia che Meta starebbe valutando se offrire anche in Europa una versione di Facebook e di Instagram a pagamento e senza pubblicità.

Un’idea simile l’ha avuta anche Elon Musk. Twitter, che ora si chiama X, ha già una versione premium dal costo di una decina di euro al mese, che consente di accedere a diverse opzioni aggiuntive rispetto a quelle di base.

La decisione è stata presa anche dai colossi dello streaming, che cominciano ad offrire abbonamenti più economici con pubblicità al fine di guadagnare nuovi iscritti.

Le aziende, comunque, se garantiscono consensi chiari, liberi, informati e trasparenti, potranno seguire la via del profitto nella maniera che più ritengono opportuna, visto che non è ancora arrivato il parere del Garante.


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Cooperativa tra avvocati: quali sono i vantaggi?

A Parma è nato un nuovo Studio Legale in forma di cooperativa, MC2 legali. Fondatrici e socie sono le avvocate Manuela Mulas, Donata Cappelluto e Lauravita Cappelluto, che, dopo aver lavorato insieme per molti anni, hanno capito che la forma dello Studio associato non faceva proprio per loro, poiché allontanava lo spirito di collaborazione e non assicurava prospettive adeguate ai collaboratori.

Tale forma societaria è già presente all’interno del Codice Civile ed è utilizzata in molti altri settori, come quello assicurativo e quello bancario, ed è stata estesa ai professionisti nel 2017 con il Decreto Concorrenza, convertito in Legge 124 del 4 agosto 2017.

La Sta coop ha alcuni aspetti importanti che la rendono utile per l’esercizio collettivo della professione forense. È una formula che si adatta ai giovani, soprattutto per i bassi costi di costituzione e di manutenzione.

È consigliabile, comunque, adottarla nei casi in cui la compagnia di professionisti sia organizzata in maniera non verticistica, ovvero il gruppo di avvocati che intende lavorare insieme si riconosce in un sodalizio tra pari al posto di una struttura gerarchica piramidale.

Questa forma societaria è consigliabile anche nel caso in cui si vogliano far crescere i collaboratori, oppure acquisire nuovi soci. Quando un socio entra o esce non ci sarà bisogno del notaio, o di passaggi di quote, né tantomeno di modificare assetti di governance.

La cooperativa tra avvocati è utile se i professionisti stanno bene insieme, e permette di riconoscere ad ogni socio un compenso con un fisso, un variabile e un bonus. Inoltre, sarà possibile distribuire ai soci anche gli utili derivanti dall’attività a seconda di quanto stabilito all’interno del regolamento.

I vantaggi dello Studio Legale in forma Cooperativa

La cooperativa è una società a responsabilità limitata. Questo potrebbe contare poco per i soci fondatori, ma ha molta importanza per quelli che entrano successivamente in società. All’interno dell’associazione sarebbero solidalmente responsabili, mentre nella coop no.

Il vantaggio più significativo, comunque, riguarda la possibilità che lo studio in forma di cooperativa e i soci instaurino un rapporto di lavoro sotto il profilo fiscale, esattamente come quello dipendente.

Un avvocato socio di una coop potrà percepire uno stipendio da parte dello studio di cui risulta comproprietario, e potrà fare a meno della Partita IVA. L’Avvocato, dal punto di vista previdenziale, verserà a Cassa Forense contributi che risultano proporzionali al suo reddito.

Il secondo vantaggio è quello dell’elasticità contrattuale nei rapporti tra i soci e la società, per quanto riguarda stipendio e compensi. È presente piena libertà di individuare un meccanismo di retribuzione, purché disciplinato da un regolamento.

Per effetto della competenza e della contabilità del regime lavorativo, il socio paga Cassa Forense soltanto sulla base di ciò che percepisce effettivamente dalla cooperativa: quindi si paga sul reddito, e non sull’imponibile IRPEF.


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I cyber-agenti sono liberi di hackerare

I cyber-agenti infiltrati devono aver libertà di hackerare. Non devono essere punibili se, al fine di contrastare eversione e terrorismo, decidono di aprire account e siti fake, accedendo o alterando i sistemi telematici e informatici.

Questo è quanto proposto da un emendamento che vede la firma dei relatori Pietro Pittalis e Sara Kelany al disegno di legge in conversione del DL 105/2023, in esame in commissione alla Camera. L’emendamento, in sintesi, rafforza gli strumenti atti al contrasto di eversori e terroristi, che pianificano e realizzano, sempre più spesso, attività delittuose, utilizzando il web.

Nella strategia che è stata disegnata nell’emendamento sono previste tre linee di intervento. La prima riguarda i margini di manovra per le operazioni sotto copertura, per combattere l’eversione e il terrorismo, ma anche i reati informatici che interessano le varie infrastrutture critiche informatizzate.

Inoltre, si prevede l’aumento dei poteri di coordinamento e di impulso del procuratore nazionale antimafia, da estendere alle più gravi forme di criminalità informatica. Per ultima cosa, si punta alla creazione di un filo informatico diretto tra la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Di quest’ultima si dovrebbe rinforzare il potere di ordinare la collaborazione da parte degli enti pubblici e privati in caso di attacchi o di incidenti.

Nell’emendamento sono presenti delle integrazioni alla legge 146/2006, ovvero:

  • L’adeguamento al progresso informatico per le operazioni sotto copertura;
  • Il potenziamento degli strumenti di contrasto dei reati che vengono commessi ai danni delle strutture informatizzate critiche.

Nel dettaglio, si parla di attività di hackeraggio come deterioramento, danneggiamento, alterazione del sistema informatico o telematico, cancellazione, alterazione di informazioni o di programmi, attivazioni delle identità anche digitali degli spazi e dei domini informatici.

La non punibilità di tali attività diverrebbe appannaggio sia degli organismi antiterrorismo di Polizia, GdF e Carabinieri, sia degli organismi del Ministero dell’Interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione.

La proposta è, inoltre, quella di estendere i poteri d’impulso e di coordinamento del Procuratore nazionale antimafia, riguardo i procedimenti di alcune tipologie di delitti informatici. Tra questi delitti troviamo l’accesso abusivo informatico aggravato, danneggiamento di informazioni e di programmi informatici dello Stato o comunque di pubblica utilità.

Si propone anche un meccanismo di stretta collaborazione tra Procura nazionale antimafia e Agenzia nazionale per la cybersicurezza, che dovrà trasmettere dati e notizie sui fatti rilevanti per le indagini dei gravi reati informatici.

Nel caso di incidenti per quanto riguarda la sicurezza informatica, nell’emendamento si propone di inserire l’obbligo di collaborazione con l’Agenzia a carico di soggetti pubblici e privati coinvolti.


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Diffamazione in chat: per la Cassazione non è aggravata

La diffamazione in chat non è aggravata, come invece avviene nel caso dei social e dei siti internet.

L’offesa non sembra essere arrecata con la pubblicità: i social e il web, sono assimilati alla stampa, in quanto l’espressione ingiuriosa potrebbe raggiungere un numero di persone indeterminato.

Il gruppo WhatsApp, invece, per natura, risulta destinato ad un numero ristretto di persone. Lo scambio di comunicazioni, dunque, rimane riservato, o comunque non dà il via ad una diffusione incontrollata, come invece avviene nei social.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 settembre n. 37618/2023.

Risulta definitivo il non luogo a procedere nei confronti di un carabiniere, condannato a 5 mesi e 5 giorni di reclusione, oltre alla responsabilità civile. Al carabiniere è stata originariamente imputata una diffamazione continuata pluriaggravata, per aver inviato dei messaggi offensivi ad alcuni militari all’interno del loro gruppo WhatsApp.

Bocciato anche il ricorso del pm, che va a contestare l’esclusione dell’aggravante mentre invocava la giurisprudenza dei social e delle mail. Si esclude, infatti, che utilizzare la chat integri l’offesa recata mediante pubblicità.

Questo perché gli strumenti dedicati alla comunicazione digitale non sono per niente uguali, né tantomeno funzionano allo stesso modo. Il principio è valido nei confronti di tutti, che siano militari o civili, poiché sul codice penale militare di pace ci si basa sull’art. 595 c.p.

WhatsApp ha agevolato la comunicazione, tuttavia, il messaggio viene raggiunto soltanto dagli iscritti alla chat, che potranno comunque condividerlo, senza che la comunicazione perda la sua connotazione di riservatezza.

Diverso, invece, è il caso di Facebook, social dove le persone possono condividere i contenuti. Il libero accesso al sito web corrisponde alla scelta di leggere un giornale. Si tratta di un principio di tassatività, vigente in ambito penale, e dunque sufficiente per poter escludere che WhatsApp possa essere comparato ad un social ed esser ritenuto un mezzo di pubblicità.


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Lo Sport entra nella Costituzione Italiana

“Dialoghi” sulle tecniche redazionali dei ricorsi per cassazione e della motivazione

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Lo Sport entra nella Costituzione Italiana

Entra ufficialmente nella Costituzione italiana lo sport, in quanto valore tutelato dalla Carta. La Camera ha approvato definitivamente la proposta di legge costituzionale, che va ad inserire, con 312 sì, la tutela dello sport nella Costituzione.

Il provvedimento aveva ricevuto in precedenza il via libera da parte del Senato in prima e in seconda lettura. Sempre alla Camera c’era stata un’approvazione unanime lo scorso 4 aprile.

Il testo si compone di un’unica norma all’art. 33 della Camera, in cui si parla sia di arte che di scienza, aggiungendo:

«La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme».

Nel testo originale della Costituzione non c’erano riferimenti relativi all’attività sportiva. Erano previsti soltanto due Statuti speciali, ovvero quello del Trentino-Alto Adige, che assegnava potestà legislativa riguardo le «attività sportive e ricreative con i relativi impianti ed attrezzature» e quello del Friuli-Venezia Giulia.

Nel 2001, con la riforma del Titolo V, lo sport entra ufficialmente in Costituzione: nell’art. 117, comma 3, troviamo «l’ordinamento sportivo» tra le materie di competenza.

In ogni caso, nella scorsa legislatura, c’era già stato un tentativo di approvazione della legge costituzionale, che non riuscì a concludere il suo iter visto lo scioglimento anticipato delle Camere. Il contenuto dell’attività sportiva viene declinato su tre direttrici complementari, ovvero il valore educativo, il valore sociale, ma anche la concezione di benessere psico-fisico.


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“Dialoghi” sulle tecniche redazionali dei ricorsi per cassazione e della motivazione

IT-Alert: sperimentazione dell’allarme pubblico anche in Veneto, ecco cosa fare

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I Dialoghi sono un’importante iniziativa di formazione, che hanno per oggetto il procedimento dinanzi la Corte Suprema di Cassazione, che il CNF ha organizzato con il Consiglio Direttivo della Corte.

Si prevede una serie di incontri paralleli, e per ogni data individuata tratteranno il diritto civile e processuale civile, il diritto penale e processuale penale; gli avvocati potranno selezionare la propria area di interesse.

Lo svolgimento consisterà nel dialogo tra un avvocato e un magistrato di Cassazione, al fine di provocare un confronto sulla struttura del giudizio di legittimità, andando ad analizzare quali sono le modalità redazionali della sentenza e del ricorso.

Gli incontri dureranno due ore e avverranno online. La partecipazione è completamente gratuita e darà diritto a 2 crediti formativi. Per garantire una più ampia partecipazione agli incontri, il CNF ha suddiviso gli iscritti agli Ordini in sei differenti macroaree a base regionale, riservando ad ognuna di loro una giornata.

Per controllare il calendario degli incontri potete cliccare qui sopra.


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IT-Alert: sperimentazione dell’allarme pubblico anche in Veneto, ecco cosa fare

Giovedì 21 settembre 2023, alle ore 12, le persone che si trovano in Veneto, Lazio e Valle d’Aosta riceveranno un messaggio di allarme sul loro telefono.

Si tratta del test del nuovo sistema IT-alert, in fase di sperimentazione in tutta Italia, pensato appositamente per informare la popolazione in caso di catastrofi o gravi emergenze.

Il messaggio che arriverà avrà un suono particolare, e non sarà un SMS: si tratta di un avviso di emergenza, e il sistema si deve assicurare di essere letto da più persone possibili, e quindi non potrà essere liquidato come notifica ordinaria.

Dunque, se la notifica arriva sul nostro dispositivo, tutte le altre funzionalità, come l’invio di messaggi o l’apertura di app, verranno bloccate temporaneamente.

Per riportare il telefono alla normalità e per riuscire ad utilizzarlo normalmente bisogna aprire la notifica e confermare la ricezione e la lettura del messaggio d’emergenza.

Nel testo del messaggio sarà presente un questionario, che dovrà essere compilato per l’implementazione del sistema. Per ricevere il messaggio d’emergenza non sarà necessario scaricare alcuna app, poiché la notifica verrà inviata a tutti i cellulari che risultano collegati in una determinata area.

IT-Alert verrà utilizzato per la comunicazione di:

  • Maremoti generati da sisma;
  • Collassi di grandi dighe;
  • Eruzioni di vulcani;
  • Incidenti nucleari o situazioni di emergenza radiologica;
  • Incidenti rilevanti;
  • Precipitazioni intense.

IT-alert ha lo scopo di divulgare rapidamente informazioni su eventuali situazioni di pericolo. Attualmente le date prestabilite per effettuare i test sono le seguenti:

  • 12 settembre in Campania, Friuli-Venezia Giulia e Marche;
  • 14 settembre in Piemonte, Puglia e Umbria;
  • 19 settembre in Basilicata, Lombardia e Molise;
  • 21 settembre nel Lazio, in Valle d’Aosta e Veneto;
  • 26 settembre in Abruzzo e nella Provincia Autonoma di Trento;
  • 27 settembre in Liguria;
  • 13 ottobre nella Provincia Autonoma di Bolzano.

Pericolo Phishing

Nonostante le finalità positive, IT-alert ha messo in allerta alcuni esperti in materia di cybersecurity, che sembrano essere preoccupati che i criminali informatici sfruttino il sistema per diffondere campagne di phishing su larga scala.

«Molte persone non hanno ancora familiarità con il concetto di messaggio di allerta e l’aspetto del messaggio stesso», spiega Adrianus Warmenhoven di NordVPN. Senza conoscere l’aspetto dei messaggi di IT-Alert, tantissime persone «possono essere facilmente ingannate da truffatori e hacker via SMS».

Nel messaggio push gli utenti troveranno un link ufficiale che porta ad un questionario che «non richiede alcuna informazione personale, tranne la città di residenza, il brand dello smartphone e la compagnia telefonica utilizzata, informazioni necessarie per valutare la qualità del servizio».

Se vi capita di ricevere un messaggio simile alla comunicazione del sistema di IT-Alert, ma non appartenente al test ufficiale, l’unica cosa da fare è ignorarlo e provvedere ad avvisare le autorità competenti.

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Per il momento sono stati compilati quasi 800.000 questionari. Il 20% delle persone che ha ricevuto il messaggio ha riportato di aver provato una sensazione di spavento, e in molti hanno pensato di aver preso un virus.


In Italia crescono gli attacchi hacker: a rischio le Pmi

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Il furto di dati sensibili, il cosiddetto ransomware, nel secondo trimestre del 2023 è cresciuto del 34,6% in Italia, mentre a livello globale si registra una crescita del 62%. Il numero delle aziende che cadono vittime degli attacchi ransomware sembra inoltre essere aumentato del 185% rispetto all’inizio dell’anno e del 105% rispetto al secondo trimestre del 2022.

Le vittime, nell’80% dei casi, sono Pmi, e nel 91% dei casi sono aziende che hanno un fatturato inferiore a 250 milioni di euro. Tra aprile e giugno 2022, in Italia ci sono stati attacchi informatici che hanno coinvolto principalmente aziende di servizi, e 190mila dispositivi sono stati compromessi.

Commenta Pierguido Iezzi di Swascan: «La convergenza tra diverse tipologie di minacce è una dimostrazione della complessità e dell’adattabilità del panorama degli attacchi. Attacchi come phishing, ransomware e malware stanno seguendo una curva di crescita che supera le spiegazioni legate a fenomeni casuali. Questa tendenza sottolinea l’urgenza di adottare strategie di difesa avanzate nell’era digitale per proteggere il patrimonio, l’economia e i cittadini».

1.451 le vittime globali di questa tipologia di attacchi, responsabili della diffusione di software malevoli capaci di criptare i dati, per i quali si chiede di pagare un riscatto. Aumentano anche le gang di cybercriminali che stanno dietro questi attacchi.

Tali attacchi sembrano avere un preciso obiettivo, ovvero le aziende. L’80% di questi attacchi, in Italia, ha colpito le Pmi, a dimostrazione del fatto che i cybercriminali ritengono queste aziende molto più vulnerabili rispetto alle big.

Le aziende di servizi costituiscono il 47% degli attacchi. Di seguito troviamo il settore manifatturiero con il 16% e quello tecnologico, con il 6%. Le minacce non risparmiano comunque anche altri settori, come quello finanziario, quello immobiliare e molti altri.

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Il panorama delle minacce informatiche, nel secondo trimestre del 2023, ha visto il phishing affermarsi come una delle minacce più popolari. In Italia, gli episodi di phishing riguardano principalmente il settore bancario, che viene preso molto di mira dagli attaccanti.

Quasi otto milioni di dispositivi sono stati compromessi soltanto nel secondo trimestre del 2023. Da tali dispositivi sarebbero state “esfiltrate” delle credenziali molto preziose, rendendo accessibili i dati sensibili e le informazioni personali.

In Italia sono stati compromessi 189.049 dispositivi, mentre in Europa si parla di 1.370.950 dispositivi. I malware predominanti sembrano essere gli Infostealer, ovvero malware appositamente specializzati nel rubare delle informazioni considerate confidenziali da parte degli host infettati.

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Ancora oggi non abbiamo idea di quale sia il reale impatto dei social sulle persone. Per questo motivo dalla Bocconi è nato un progetto di ricerca, Social Media: Measuring Effects and Mitigating Downsides, con l’obiettivo di costruire degli studi empirici per dimostrare quali sono gli effetti di Facebook e degli altri social media sulla nostra salute mentale e sulle nostre decisioni politiche.

Spiega Luca Braghieri, a capo del progetto: «Oggi più della metà del mondo è in qualche modo presente sui social: un passaggio avvenuto inoltre molto rapidamente, nel giro di circa vent’anni. Sappiamo poco di quali siano stati gli effetti. Certo, possiamo scovare molti elementi nei dati, scoprendo che chi usa queste piattaforme ha determinate caratteristiche o magari è più incline alla depressione, ma spesso si tratta di correlazioni che poco ci dicono del rapporto di causalità. Una parte del progetto è quindi quello relativo alla comprensione degli effetti e, dove questi effetti sono presenti, come invece mitigarli».

Alcuni studi recenti avrebbero sminuito il reale impatto dei social sulle nostre decisioni politiche. Tuttavia, per Braghieri, questi risultati hanno problemi alla base: «Questi paper ci dicono che gli effetti dei social, per esempio, nelle elezioni statunitensi del 2020 sono stati quasi trascurabili. Ciò riguarda però il 2020, quando già Facebook aveva drasticamente ridotto il numero di contenuti politici presenti sulla piattaforma. È comunque importante capire cosa sia invece avvenuto nelle elezioni precedenti».

Oggi, la circolazione delle fake news sembra essere molto ridotta rispetto ad anni fa, nello stesso modo in cui si riduce la visibilità dei network delle pagine che sostengono i movimenti populisti.

«L’esperimento che voglio condurre prende le mosse da una considerazione: negli Stati Uniti, tra il 2004 e il 2006, Facebook è stato accessibile soltanto nei college, dove tra l’altro ha conquistato un successo immediato», prosegue Braghieri.

«Considerati i meccanismi che regolano i social, ancora oggi dovremmo vedere differenze nei tassi di penetrazione di Facebook tra le persone che sono andate al college al tempo in cui Facebook è stato introdotto e chi invece non è andato al college. Grazie alle informazioni a cui possiamo accedere negli Stati Uniti, relative al coinvolgimento politico delle persone, il loro anno di nascita, l’istruzione e la presenza su Facebook, possiamo così stimare l’impatto di questo social sull’affluenza, la preferenza politica e le donazioni ai partiti».

Ci sono altri progetti che prevedono di valutare quanto sono propensi gli utenti a seguire pagine social di maggior qualità, oppure valutare il potenziale impatto positivo delle pagine social che raccontano quali sono gli effetti dei social sulla nostra salute mentale.

Un ulteriore esperimento che potrebbe raggiungere importanti risultati è relativo all’impatto sul benessere soggettivo e sulle capacità cognitive dei bimbi con età compresa tra 6 e 12 anni. Conclude Braghieri: «E’ un esperimento che proveremo a condurre in Danimarca, dividendo i bambini in due gruppi statisticamente omogenei e provando a convincere i genitori di uno dei due gruppi a rimandare di un anno l’acquisto dello smartphone. Ciò dovrebbe aiutarci a capire, al termine del periodo temporale in considerazione, se nel gruppo che è stato privato dello smartphone ci sono differenze rispetto all’altro, in termini di risultati scolastici e non solo».


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«Nel prossimo Cdm, il 18 settembre, porteremo la stesura definitiva del disegno di legge sulla sicurezza stradale, il nuovo Codice della Strada, che prevede prevenzione, educazione, controlli, ma anche sanzioni».

Queste le parole del ministro Salvini, in riferimento al provvedimento che riscrive alcune norme del Codice della Strada.

Il testo è definitivo, e oggi tornerà in Cdm alle 12.30. Oltre alla sospensione della patente, verranno triplicate le sanzioni, sino a 1.600 euro, per chi parla o scrive al telefono mentre guida. È prevista anche la revoca della patente per coloro che reiterano reti gravi, come la fuga in caso di incidente stradale.

Se vengono rilevate sostanze stupefacenti o alcol si rischia la sospensione della patente sino a tre anni.

Divieto assoluto, dunque, di assunzione di alcolici, e obbligo per coloro che sono stati colti alla guida in stato di ebbrezza di installare l’alcolock, che impedisce di avviare il motore se viene rilevato un tasso alcolemico che supera lo zero.

A prescindere dallo stato di alterazione psico-fisica, sarà punibile la guida in caso di assunzione di sostanze stupefacenti. Se il test rapido sarà positivo, scatterà subito il ritiro della patente, così come il divieto di riprendere la patente per almeno tre anni. Ritiro a vita, invece, per i recidivi.

Stretta anche sui neopatentati, per portare sino a tre anni il divieto di guidare auto potenti, ovvero con potenza superiore a 55 kW/t, ma anche veicoli per trasportare sino ad otto persone con potenza massima che ecceda i 70 kW. Nel caso dei veicoli elettrici e plug-in, invece, non si può andare oltre la potenza di 65 kW/t. Eventuali deroghe soltanto in caso di trasporto di persone con disabilità.

Attenzione anche ai monopattini: ci dovrà essere un apposito codice identificativo e dovranno essere assicurati. Per utilizzarli sarà necessario il casco, e ci saranno sanzioni in caso di sosta selvaggia.


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