Il nostro smartphone ci ascolta? Arrivano nuove conferme

Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, se il nostro smartphone ascolta segretamente le nostre conversazioni. Un dubbio che diventa sempre più grande quando appaiono annunci, sui social o in altri luoghi del web, collegati a qualcosa di cui abbiamo soltanto parlato con amici e parenti.

Possiamo dare una spiegazione razionale a questo fenomeno? Beh, in primo luogo, potrebbe essere che se parliamo con un’altra persona di qualcosa che ci interessa, probabilmente abbiamo anche fatto qualche ricerca in merito.

Se, invece, siamo sicurissimi di non aver mai cercato il nostro oggetto d’interesse sul web, è probabile che lo smartphone non ci abbia ascoltato; semplicemente, alcuni sistemi di intelligenza artificiale che analizzano i dati online, dopo un intricato processo di ragionamento, potrebbero aver indovinato i nostri desideri.

Ma qualcosa, ora, è cambiato. Per la prima volta in assoluto è stata trovata una prova, che incrimina alcune società di marketing che pubblicizzano dei software creati proprio per ascoltare le conversazioni delle persone.

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La testata 404 Media è riuscita ad individuare una pagina web della società CMG, Cox Media Group che promuoveva un particolare servizio chiamato “Active Listening”. La società, dopo l’articolo, ha prontamente cancellato la pagina, ma ormai le carte erano già state messe in tavola.

Per promuovere il servizio, CMG ha scritto: «Che cosa significherebbe per il tuo business se potessi targhetizzare dei potenziali clienti che stanno attivamente discutendo dei loro bisogni nelle conversazioni quotidiane? No, non si tratta di un episodio di Black Mirror, ma di “dati vocali”. E CMG ha le capacità per usarli a vantaggio del tuo business».

L’azienda dichiara di essere in grado di ascoltare le conversazioni attraverso smartphone e smart tv, riuscendo ad identificare i consumatori basandosi sulle loro parole. Non ci sono certezze, tuttavia, che il servizio promosso da CMG sia stato utilizzato e quali risultati avrebbe prodotto. Nella promozione, comunque, erano presenti i meccanismi di funzionamento del servizio.

Per esempio: sei un rivenditore d’auto milanese e decidi di acquistare il servizio Active Listening. Ebbene, sarai in possesso di un software che analizza i dati di tutte le persone che transitano in un raggio di 5/10 km dal negozio. Se il sistema rileva delle frasi come “Abbiamo bisogno di una nuova auto”, Active Listening provvederà ad inviare delle inserzioni web relative alla tua concessionaria.

In ogni caso, non ci sono conferme relative alle società che hanno deciso di affidarsi al servizio. Dunque, non è semplice stabilire quanto c’è di vero in Active Listening. Non è nemmeno chiaro l’effettivo meccanismo di funzionamento del servizio e soprattutto in che modo raccoglie i dati, soprattutto nel caso degli utenti iPhone, che ricevono una notifica quando un’app utilizza il microfono.

Secondo CMG, «è del tutto legale che i telefoni e gli altri dispositivi ti ascoltino. Ciò avviene perché i consumatori danno di solito il loro consenso quando accettano i termini e le condizioni dei software o delle app che scaricano». L’azienda, quindi, si appoggia al trucchetto del dare il consenso senza aver prima letto.

Secondo quanto dichiarato, il servizio sarebbe utilizzato da Google, Amazon e Microsoft. 404 Media ha tentato di contattare Microsoft, senza ricevere risposte. Amazon invece ha dato una spiegazione: «Il prodotto descritto non sarebbe utilizzabile sui dispositivi Echo, perché non condividiamo le registrazione vocali con terze parti».

Google, invece, dichiara che «da anni, Android impedisce alle applicazioni di raccogliere audio quando non sono attivamente utilizzate». Possiamo dire di non avere certezze assolute, ma sicuramente tanti nuovi dubbi e sospetti: il nostro smartphone ci ascolta?

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Scuola e Legalità: un percorso formativo tra i banchi di scuola organizzato dal Coa di Bologna

Deposito Telematico, Firma Digitale: valida anche se generata con un software differente

Scuola e Legalità: un percorso formativo tra i banchi di scuola organizzato dal Coa di Bologna

L’Ordine degli avvocati di Bologna, con l’aiuto dell’Ufficio scolastico bolognese, ha pensato ad un progetto finalizzato alla valorizzazione dei concetti di legalità e di convivenza civile nelle scuole secondarie di primo grado e secondarie superiori. Il progetto comprende lavori di gruppo, discussioni guidate e interventi frontali.

La Commissione Scuola e legalità del Coa bolognese ha deciso di collaborare al fine di diffondere la cultura dell’educazione alla democrazia e alla legalità, per contribuire allo sviluppo della persona e alla conoscenza dei diritti della cittadinanza.

Il progetto intende attuare le garanzie costituzionali, affinché si possano raggiungere gli obiettivi previsti dall’Agenda 2030, approvata dall’Assemblea Onu, per lo sviluppo sostenibile, e per contribuire alla realizzazione di una società rispettosa dei diritti degli esseri umani, dei principi di uguaglianza e di sconfiggere qualsiasi tipo di discriminazione.

Con il contributo degli avvocati bolognesi è stato possibile creare interventi educativi destinati agli studenti delle scuole. Questi, oltre ad assistere ad alcune lezioni, diventeranno protagonisti attivi: previsti, infatti, anche confronti diretti con avvocati affinché sia possibile l’approfondimento di diversi temi, come la partecipazione alla vita sociale, civile, economica.

Presenti anche proiezioni multimediali e simulazioni processuali. Per quanto riguarda la parte riservata alla Costituzione italiana, molto sarà incentrato sull’utilizzo sicuro e consapevole delle nuove tecnologie e del web, riferendosi all’articolo 111 della Carta.

Gli studenti saranno impegnati in sei moduli. Quello riguardante il giusto processo e la giustizia penale è molto interessante: punti cardine del modulo sono i principi costituzionali e sovranazionali direttamente collegati alla cronaca giudiziaria. Presente anche una simulazione del processo penale.

Questo modulo prevede quattro incontri di due ore, e verranno analizzati casi di cronaca giudiziaria, i principi del giusto processo, l’errore giudiziario, il processo mediatico e la simulazione del processo penale. Presente in classe un penalista, che fornirà ai giovani alcune nozioni sui principi costituzionali del processo penale.

Grazie allo studio dei principi costituzionali degli art. 13, 24, 27 e 111 sarà possibile ripercorrere tutte le tappe del processo, facendo vedere ai giovani che cosa succede realmente, fornendo loro basi e strumenti necessari per la comprensione del processo penale e dei principi del mondo della giustizia.

Si parlerà, inoltre, anche del ruolo difensivo e della funzione dell’avvocato nel processo. L’attenzione ricadrà anche sulla comprensione del ruolo svolto dalla giustizia penale per quanto concerne la tutela dei diritti umani fondamentali. Si parlerà, in particolar modo, delle conseguenze del “processo mediatico” e verrà analizzato l’errore giudiziario del caso Enzo Tortora.

Il referente del progetto, chiamato “Scuola e legalità” è Francesco Maisano, consiglieri dell’Ordine degli avvocati di Bologna, insieme a Mario Turco, Marta Tricarico e Alessandro Martinuzzi. Componenti esterni saranno gli avvocati Marinella Oliva, Giulia Zanioli, Maria Luisa Caliendi e Maria Antonietta Farati.


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Deposito Telematico, Firma Digitale: valida anche se generata con un software differente

Brainoware, un computer che mescola neuroni umani e chip elettronici

Deposito Telematico, Firma Digitale: valida anche se generata con un software differente

Secondo il regime emergenziale previsto dalla Riforma Cartabia, nell’ambito del processo telematico il documento generato e firmato in formato digitale non risulta sempre inammissibile, ma soltanto irregolare in caso di divergenza dalle regole del DGSIA.

Apporre la firma digitale su un atto che è stato depositato tramite pec è un requisito necessario, pena, l’inammissibilità. Tuttavia, se la firma digitale è presente, non è rilevante dove sia stata apposta nel documento.

Se si fa uso di un software differente rispetto a quello che riconosce il sistema informatico presente nell’ufficio del giudice, l’atto viene considerato irregolare, poiché la firma digitale, oltre ad essere necessaria, non ha rilevanza per quanto concerne la posizione della sua apposizione.

Con la sentenza n.51409/2023, la Corte di cassazione penale ha deciso di annullare la precedente decisione presa dal Tribunale di sorveglianza, che aveva considerato inammissibile un reclamo contro l’applicazione dell’art. 41 bis, poiché l’atto sembrava essere privo sia della firma del difensore ma anche della firma digitale.

Il Tribunale, infatti, non riteneva valida la firma digitale che era stata utilizzata dal difensore, in quando la firma digitale in questione apparteneva ad un software che apponeva la firma in alto a sinistra del primo foglio, e non in calce.

Per la Cassazione, l’assenza della firma in calce denota l’assenza di rilevanza giuridica. Il documento, al fine di essere trasmesso, dovrebbe essere stampato, firmato e scannerizzato per la trasmissione telematica.

Ma la questione non si poneva in caso di un documento completamente creato e successivamente inviato in formato digitale. Nemmeno la mancanza della firma digitale poteva, dunque, essere contestata, poiché la Cassazione predilige l’orientamento che considera irregolari soltanto le discrepanze tecniche con rilevanza formale per quel che riguarda l’apposizione della firma digitale.

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Brainoware, un computer che mescola neuroni umani e chip elettronici

Censura o avvertimento in caso di violazione dell’equo compenso

supercomputer

Brainoware, un computer che mescola neuroni umani e chip elettronici

I biocomputer sono chiamati dagli esperti «intelligenze organoidi», e sono dei particolari tipi di computer che mischiano chip elettronici a neuroni umani.

È stato recentemente pubblicato uno studio su Nature Electronics in cui viene descritto il tentativo più avanzato realizzato in materia, ovvero un dispositivo che combina dei microcervelli artificiali e dei chip elettronici.

Il prototipo del biocomputer è stato realizzato grazie ad un gruppo di ricerca della Indiana University di Bloomington. Si tratta della prima sperimentazione a livello pratico di un approccio nominato “Brainoware”. Lo scopo è avvalersi delle potenzialità dei neuroni umani andando ad integrarli in un hardware elettronico.

Nel cervello umano sono presenti 86 miliardi di neuroni che comunicano tra loro tramite un biliardo di sinapsi. Si tratta di un organo dotato di una potenza di calcolo assolutamente inavvicinabile dalle moderne tecnologie.

Basta una piccolissima porzione di tessuto cerebrale per divenire potente e utile come hardware per computer. Oggi è relativamente semplice procurarsene una, grazie alla tecnologia degli organoidi, ovvero dei piccolissimi organi artificiali che nascono da cellule staminali, capaci di organizzarsi autonomamente in strutture tridimensionali simili ad un organo umano.

Gli organoidi vengono utilizzati per la comprensione dello sviluppo e del funzionamento degli organi umani. Tuttavia, non ci sono clausole che vietano il loro collegamento ad un computer, per osservare che cosa succede.

Brainoware è un organoide composto da cellule cerebrali che presentano vari livelli di sviluppo, che vengono collegate ad un computer che riceve gli input e interpreta gli output.

I ricercatori, per testare le capacità del supercomputer, lo hanno messo alla prova sul riconoscimento vocale, ottenendo una precisione del 78%, e sulla risoluzione di un problema matematico, che ha fruttato ottimi risultati.

L’esperimento ha dimostrato le potenzialità degli organoidi cerebrali in una rete neurale artificiale ibrida. Le performance, attualmente, sono inferiori rispetto a quelle dimostrate dalle intelligenze artificiali elettroniche, quelle “classiche”, ma potrebbero rappresentare un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo di una nuova tecnologia. Per far sì che questo accada ci vorrà tantissimo tempo, poiché sono necessari strumenti complessi e costosi.

Prima che tutto questo diventi realtà, dobbiamo considerare gli aspetti di tipo etico di queste ricerche. È vero che per il momento gli organoidi sono semplici ammassi di neuroni senza coscienza, ma è altrettanto vero che lo sviluppo di tali tecnologie sfumerà sempre di più il confine tra intelligenza artificiale e biologia.

Scrivono gli esperti in un commento: «Più aumenta la complessità di questi organoidi, più si fa critico per la comunità scientifica esaminare la miriade di questioni neuro-etiche che sorgono attorno ai biocomputer che incorporano tessuti neurali umani».

Probabilmente «serviranno ancora decenni prima di poter creare sistemi di biocomputazione generale, queste ricerche genereranno con ogni probabilità intuizioni incredibili nello studio dei meccanismi dell’apprendimento, dello sviluppo neurale e nelle implicazioni cognitive delle malattie neurodegenerative».

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Censura o avvertimento in caso di violazione dell’equo compenso

Cassa Forense, Contributo integrativo minimo: pagamento anche con F24

Censura o avvertimento in caso di violazione dell’equo compenso

Censura o avvertimento per l’avvocato che non rispetta le disposizioni in materia di equo compenso (legge n.49 del 21 aprile 2023). Il CNF ha lanciato la consultazione online con gli altri Consigli territoriali dell’Ordine per modificare il codice deontologico forense, passaggio imposto dalla riforma.

La sanzione più severa scatta nel momento in cui il legale decide di accettare dei compensi inferiori rispetto a quella stabiliti dai parametri forensi, mentre quella minima avviene nel caso di trasgressione degli obblighi di comunicazione.

Leggiamo nella relazione di accompagnamento: «Il professionista che accetta un compenso iniquo è già in qualche modo vittima di un cliente “forte” e non andrebbe ulteriormente vessato da obblighi e/o sanzioni».

Questa nuova norma verrà inserita nella parte del Codice Deontologico Forense che va a disciplinare i rapporti con l’assistito. La censura riguarderà l’avvocato che preventiva o concorda un compenso considerato non proporzionale alla propria prestazione professionale e non conforme ai parametri forensi.

La sanzione minima dell’avvertimento è prevista nel momento in cui l’avvocato predispone il contratto, la convenzione o qualsiasi altra forma di accordo con il cliente, senza avvisare che il compenso dovrà rispettare «i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia».

Leggiamo nella nota del CNF: «L’autonomia deontologica è stata declinata a rime praticamente obbligate». Sarà il legislatore a disporre l’adeguamento dei codici deontologici degli avvocati e degli altri professionisti, al fine di «assicurare l’effettività delle misure adottate anche grazie alla leva del rilievo disciplinare delle condotte improprie».

La stessa nuova fonte statale prefigura la pattuizione o l’accettazione dei compensi al di sotto dei parametri, con la relativa violazione dell’obbligo di comunicazione. Osserva il CNF: «L’argomento del rilievo disciplinare ben può essere utilizzato dall’avvocato nelle trattative con i clienti “forti” per sottrarsi alle pressioni più spinte ed ottenere magari condizioni contrattuali più vantaggiose».

Effettivamente, «non prevedere rilievo disciplinare per i contegni illeciti avrebbe rischiato di minare la effettiva precettività delle norme». A metà del mese di gennaio si concluderanno le consultazioni con i Coa.


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Cassa Forense, Contributo integrativo minimo: pagamento anche con F24

Cassazione: non è possibile rinunciare al gratuito patrocinio

Cassa Forense, Contributo integrativo minimo: pagamento anche con F24

Con una nota, Cassa Forense comunica che il contributo minimo integrativo per il 2023 potrà essere versato anche tramite modello F24, oltre a PagoPA. L’utilizzo del modello F24 permette di compensare il contributo previdenziale con i crediti sia per le spese che per i diritti e gli onorari che spettano agli avvocati ammessi al gratuito patrocinio.

Tale adempimento ha visto la conferma a seguito della sentenza n. 18854/2023 del Tar del Lazio, che ha respinto il ricorso avanzato dalla Cassa contro la riscossione del contributo minimo integrativo del 2023 da parte dei ministeri vigilanti.

Il contributo ammonta a 805,00 euro e scadrà il prossimo 31 dicembre: per questo motivo è «posto in riscossione a partire da martedì 19.12.2023 a mezzo PagoPA». Cassa, con la nota in questione, rende noto che «nonostante i tempi ristretti conseguenti alla pronuncia del Tar si è riusciti ad inserire anche tale modalità».

Per compilare il modello F24 Ordinario – Sezione Altri Enti Previdenziali e Assicurativi bisogna indicare:

  • il codice ente identificativo di Cassa Forense: 0013;
  • il codice sede: nessun valore;
  • il causale contributo: E107;
  • il codice posizione: nessun valore;
  • il periodo di riferimento: dal 12/2023 al 12/2023.

I professionisti per cui l’anno 2023 è incluso nei primi cinque anni d’iscrizione all’albo saranno esonerati dal contributo minimo integrativo, e dovranno versare il 4% con il modello 5/2024.

Per gli avvocati iscritti a Cassa Forense per i quali il 2023 è compreso tra il sesto e il nono anno e che si siano iscritti prima dei 35 anni d’età dovranno pagare la metà, ovvero 402,50 euro. Nel caso degli avvocati che nel 2023 sono arrivati a 10 o più anni d’iscrizione, questi dovranno versare l’intera somma di 805,00 euro.

I praticanti iscritti alla Cassa non sono tenuti a pagare il contributo minimo integrativo per tutto il periodo di svolgimento del praticantato, così come i pensionati, a partire dall’anno successivo alla pensione.


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Cassazione: non è possibile rinunciare al gratuito patrocinio

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Cassazione: non è possibile rinunciare al gratuito patrocinio

Coinvolta in una causa civile, una persona, dopo essere venuta a conoscenza della vittoria nella controversia, aveva deciso di rinunciare al patrocinio a spese dello Stato, poiché aveva intenzione di far pervenire tutte le spese legali al proprio difensore.

La Cassazione, tuttavia, ha emanato un parere negativo, mettendo in luce l’impossibilità per coloro che beneficiano del gratuito patrocinio di rinunciare a questo vantaggio dopo aver avviato e concluso il procedimento legale.

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 31928/2023, evidenzia un punto circa il gratuito patrocinio, ovvero che il difensore non può rinunciarvi per conto del beneficiario.

La vicenda, nello specifico, riguardava l’acquisto di un terreno, nel quale l’attore richiedeva al convenuto il pagamento del doppio della caparra, poiché questo non aveva concluso l’accordo a seguito della fase preliminare.

La Cassazione ha deciso di annullare la decisione impugnata, accogliendo le richieste del ricorrente. È emerso, infatti, che il difensore del ricorrente, ammesso al gratuito patrocinio, ha espresso la volontà del suo assistito di deviare le spese verso il proprio procuratore, rinunciando, quindi, al patrocinio a spese dello Stato.

La richiesta, sempre secondo la Cassazione, non implica una rinuncia del beneficio dell’assistito. Il gratuito patrocinio e la distrazione delle spese hanno finalità differenti, oltre ad operare su livelli diversi. Nel primo caso si garantisce il diritto di difesa a coloro che non possono permetterselo, mentre il secondo attribuisce un diritto proprio al difensore.

Il difensore non potrà agire sui diritti sostanziali, anche circa il diritto all’assistenza dello Stato riguardo le spese legali. La rinuncia proviene soltanto dal beneficiario, considerato anche il fatto che il gratuito patrocinio potrà essere revocato esclusivamente in casi specifici, così come indicato dal Dpr n. 115 del 2002, art. 136.

Dunque, se la parte che beneficia del gratuito patrocinio vince la causa, sarà condannata al pagamento delle spese a favore dello Stato. Il difensore, invece, dovrà provvedere a richiedere il compenso (art. 82 e 130 dello stesso Dpr).


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I televisori ci osservano?

I televisori, nonostante i passi avanti fatti nel mondo della tecnologia, continuano ad essere presenti nelle nostre vite. In Europa ci sono più di 250 milioni di abitazioni con un televisore; i prezzi per l’acquisto di questi dispositivi sono molto convenienti, e anche per questo sostituiamo i televisori con sempre maggior frequenza.

Nei primi anni Duemila, la diffusione delle tecnologie LCD e LED hanno cambiato molte cose. Infatti, in assenza del tubo catodico e dei componenti necessari per il suo funzionamento, la costruzione di questi dispositivi ha cominciato ad essere sempre più semplice e meno costosa.

Nel corso degli ultimi 20 anni il costo dei televisori più economici si è ridotto notevolmente. Ad oggi, un televisore da 32 pollici, con un’ottima definizione e capacità di collegarsi ad internet, ha un prezzo compreso tra i 150 e i 250 euro.

Grazie a pratiche commerciali molto aggressive, nel giro di poco tempo le cinesi TCL e Hisense sono diventate le principali aziende produttrici di televisori in tutto il mondo. Per questo motivo, le aziende storiche sono state costrette ad abbassare i prezzi, dando vita ad una corsa al ribasso.

Tuttavia, il vero costo nascosto dei televisori è il loro controllo sulle nostre attività. Tutte le smart-TV sono sempre connesse ad Internet, e per questo forniscono preziose statistiche, riguardo i loro utilizzi, ai produttori, che vendono tali dati ad altri soggetti, come società di servizi in streaming.

Un televisore raccoglie dati sul tempo in cui viene tenuto acceso, ogni quanto si cambia canale, quando si mette in pausa un film o l’episodio di una serie tv. Ulteriori dati riguardano il tempo dedicato all’utilizzo di un’app, la frequenza con la quale questa viene avviata e in che momento della giornata.

I sistemi operativi di alcuni televisori, oltre a mostrare l’elenco dei contenuti e delle app disponibili, mostrano anche alcuni annunci pubblicitari simili a quelli che troviamo online. Anche in questo caso la raccolta dei dati potrebbe aiutare moltissimo gli inserzionisti a capire quante volte è stata visualizzata la loro pubblicità, quali e quante persone l’hanno aperta e ulteriori dettagli.

Queste attività potrebbero fruttare dei grossi ricavi per un singolo produttore, che magari ha centinaia di milioni di televisori attivi nelle abitazioni di tutto il mondo. Si parla, infatti, di parecchi miliardi di euro all’anno.

Per i più critici, tale forma di guadagno aggiuntiva passa attraverso dei meccanismi meno evidenti, poiché tutte le informazioni riguardanti la raccolta dati sono solitamente contenute nella documentazione del televisore, e gli avvisi che vengono mostrati quando viene attivato non sono poi così chiari.

Anche le app presenti sulle smart-TV, come quelle delle piattaforme streaming, effettuano una raccolta dati, che spesso fanno su più dispositivi, ovvero su smartphone, computer e tablet. In base a questi dati vengono consigliati i contenuti da vedere, quali film e quali serie produrre.

I dati raccolti vengono analizzati e gestiti senza possibilità di risalire ai singoli utenti, ma nonostante tutto non dovrebbero essere sottovalutati i risvolti sulla nostra privacy.

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Gli artificieri di Roma hanno un nuovo cane robot

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È arrivato lo stop alla pubblicazione, sino al termine delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, delle ordinanze di custodia cautelare.

La Camera ha votato positivamente il blitz di Enrico Costa (Azione), che, dopo essersi ancorato alla disciplina relativa alla presunzione d’innocenza, ha visto l’approvazione dello spostamento della soglia della pubblicazione legittima degli atti investigativi, come le intercettazioni, spesso utilizzati dal mondo della cronaca giudiziaria.

Siamo di fronte ad un emendamento alla legge di delegazione comunitaria, approvata dall’Aula con 160 sì e 70 no. Un precedente consisteva nel percorso di conversione del decreto legge con cui il Governo aveva deciso di ampliare la possibilità di intercettare reati di mafia. Il Parlamento aveva introdotto alcune misure restrittive, quali la limitazione degli ascolti “a strascico”.

In ogni caso, gli effetti non avverranno nell’immediato, poiché ci saranno sei mesi di tempo per includere tutte le indicazioni in un decreto legislativo.


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I carabinieri hanno arruolato Saetta, un cane robot, assegnato al Nucleo Artificieri di Roma per svolgere interventi ad alto rischio. È una novità per l’Italia e per le forze dell’ordine: lo scopo è garantire altissimi standard di sicurezza del personale, per poter migliorare l’efficacia a livello operativo.

Al cane robot è stato dato il nome Saetta, che richiama il simbolo che si trova sulle vetture di pronto intervento. Saetta potrà essere controllato grazie ad un tablet sino ad una distanza di 150 metri, e sarà in grado di muoversi su terreni inagibili e normalmente non percorribili da veicoli “normali”.

Saetta effettuerà delle pericolose attività di ricognizione per ultimare, al posto dei militari, operazioni anti sabotaggio. Tutto questo grazie alla sua incredibile capacità di mobilità e di rimozione di ostacoli.

Il nuovo cane robot del Nucleo Artificieri di Roma mapperà i luoghi grazie a dei sistemi di rilevazione avanzati, che portano alla luce eventuali minacce e individuerà anche le più lievi tracce di agenti chimici, radiologici e di esplosivo.

Saetta utilizzerà il proprio braccio robotico per riuscire ad asportare ordigni, anche i grandi petardi inesplosi, che spesso minacciano la salute dei cittadini nelle zone urbane. Inoltre, il robot rifornirà gli equipaggiamenti militari che non possono muoversi.


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