Impugnazioni via PEC, la Consulta chiamata a decidere sui limiti della riforma Cartabia

Un semplice errore nell’indirizzo PEC può compromettere irrimediabilmente il diritto di difesa? La questione, di grande rilevanza pratica per avvocati e cittadini, approda davanti alla Corte costituzionale.

Con l’ordinanza n. 30071, la Cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’articolo 87-bis, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 150/2022, introdotto dalla riforma Cartabia. La norma prevede che l’impugnazione sia dichiarata inammissibile se trasmessa a un indirizzo PEC diverso da quello dell’ufficio che ha emesso il provvedimento, anche quando l’atto perviene comunque al giudice competente entro i termini di legge.

Il caso concreto

Il ricorso trae origine da un reclamo proposto da un detenuto al Tribunale di sorveglianza, tramite posta elettronica certificata, ma inviato all’indirizzo dell’ufficio giudiziario e non a quello specifico della sezione di sorveglianza che aveva adottato il provvedimento. Nonostante la coincidenza fisica delle sedi e la circostanza che l’atto fosse comunque arrivato al giudice competente, il Tribunale dichiarava l’inammissibilità del reclamo.

I rilievi della Cassazione

Secondo la Suprema Corte, l’esigenza di rapidità e certezza delle comunicazioni processuali non può tradursi in un ostacolo sproporzionato all’accesso alla giustizia. Il formalismo rigido della norma rischia infatti di comprimere il diritto a un equo processo sancito dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali.

La Cassazione ha quindi rimesso la questione alla Consulta, chiamata a valutare se l’impossibilità di sanare un vizio meramente formale rappresenti una compressione eccessiva delle garanzie difensive, soprattutto nei procedimenti successivi al primo grado previsti dall’ordinamento.

Verso un chiarimento costituzionale

La decisione della Corte costituzionale potrà incidere significativamente sull’interpretazione delle regole processuali introdotte dalla riforma Cartabia e, più in generale, sul rapporto tra esigenze di efficienza del sistema giudiziario e tutela effettiva dei diritti. Una pronuncia che gli operatori del diritto attendono con particolare attenzione, perché potrebbe segnare un punto di svolta nell’uso degli strumenti telematici nel processo penale e civile.


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Banche venete, la Cassazione conferma le sanzioni Consob

Nessuno sconto sulle responsabilità emerse nei casi Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Con quattro ordinanze depositate dalla Seconda sezione civile, la Corte di Cassazione ha confermato integralmente le sanzioni amministrative irrogate da Consob nei confronti di amministratori e sindaci delle due banche, a seguito delle irregolarità che hanno segnato i primi anni dello scorso decennio.

Le ordinanze, rubricate dai numeri 24238 a 24241, respingono i ricorsi presentati da alcuni ex amministratori e sindaci delle due popolari venete, già destinatari di sanzioni pecuniarie comprese tra i 30mila e i 140mila euro. Le contestazioni spaziavano dall’omessa adozione di procedure adeguate, alle scorrettezze in materia di valutazione di adeguatezza delle operazioni, fino alle pratiche opache nei trasferimenti di azioni e nei finanziamenti concessi ai clienti per l’acquisto di titoli propri.

Le violazioni contestate

Per Veneto Banca, le irregolarità riguardavano in particolare i rapporti con la clientela e i meccanismi di finanziamento incrociato per sostenere il valore delle azioni. Quanto a Popolare di Vicenza, sotto la lente era finito soprattutto l’aumento di capitale del 2014, accompagnato da informazioni poi rivelatesi non veritiere e da gravi ritardi nell’evasione delle richieste di disinvestimento dei soci.

Nessun bis in idem

Uno dei punti sollevati nei ricorsi riguardava la presunta natura “penale” delle sanzioni Consob, che – secondo i ricorrenti – avrebbe comportato una duplicazione rispetto alle condanne per manipolazione del mercato. La Cassazione, invece, ha ribadito che le sanzioni amministrative previste dagli articoli 190 e seguenti del Testo unico della finanza non sono assimilabili a quelle penali: hanno finalità e incidenza diverse e non pongono quindi problemi di compatibilità con il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 6 della Cedu.

I doveri del collegio sindacale

La Suprema Corte ha inoltre richiamato l’attenzione sul ruolo dei sindaci nelle banche. La complessità dell’organizzazione interna, sottolineano i giudici, non può ridurre o attenuare l’obbligo di vigilanza di ciascun componente del collegio sindacale. In caso di carenze nei sistemi di controllo e nelle procedure aziendali, i sindaci rispondono per concorso omissivo “quoad functionem”. Non solo devono vigilare sul corretto operato della banca, a tutela degli azionisti e degli investitori, ma sono anche tenuti a denunciare immediatamente eventuali anomalie alla Banca d’Italia e alla stessa Consob.


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Giustizia amministrativa low cost: con 60 euro si può arrivare al Consiglio di Stato

Un procedimento amministrativo di alto livello, con decisione finale del Consiglio di Stato o del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia, a costi quasi simbolici. Non è fantascienza, ma la realtà del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, istituto giuridico nato nell’Ottocento e tuttora utilizzato, soprattutto da chi intende contestare provvedimenti in materia edilizia, urbanistica, ambientale o fiscale.

Introdotto con le cosiddette leggi Rattazzi del 1865, il ricorso straordinario si presenta come una delle forme più complete di “ADR” (Alternative Dispute Resolution) applicate al diritto amministrativo. La sua peculiarità è quella di coniugare la funzione consultiva del Consiglio di Stato con effetti pratici assimilabili a una sentenza: il parere reso dai giudici amministrativi, infatti, viene formalizzato in un decreto presidenziale vincolante per le amministrazioni coinvolte.

Accessibile a tutti, senza obbligo di avvocato

A differenza del ricorso al TAR, per il ricorso straordinario non è obbligatoria l’assistenza di un legale: può proporlo anche un privato cittadino o un’impresa senza intermediazioni professionali. I costi sono minimi: il contributo unificato ammonta a 650 euro, ridotto a 100 in Sicilia in base a recenti norme a sostegno dei cittadini con redditi medio-bassi.

Il procedimento, che va attivato entro 120 giorni dalla conoscenza dell’atto, si caratterizza per un contraddittorio ampio: le parti possono depositare memorie e documenti, ottenere – in presenza dei requisiti – la sospensione cautelare dell’atto impugnato e, se necessario, persino adire l’azione di ottemperanza contro le amministrazioni che non si adeguano alla decisione.

Tempi contenuti e garanzia di qualità

Nonostante la natura amministrativa, il ricorso straordinario offre tempistiche competitive: in media poco più di un anno per la definizione, con tempi analoghi sia al Consiglio di Stato che al CGA siciliano. Il valore del parere, reso da collegi di magistrati altamente qualificati, garantisce una solidità giuridica non inferiore a quella di una sentenza amministrativa di annullamento.

La rivoluzione digitale: basta un clic

Dal 2014, la Regione Siciliana ha digitalizzato il procedimento: tramite una piattaforma online accessibile con SPID o CIE, è possibile caricare il ricorso e la documentazione direttamente da casa, monitorando lo stato dell’iter in tempo reale. Una semplificazione che rende la procedura ancora più veloce ed economica, riducendo drasticamente la burocrazia.

Una giustizia “a portata di clic”

Definito dal giurista Giovanni Cattaneo nell’Italia liberale come “una giustizia gratuita, perché non costa più che un foglio di carta”, oggi il ricorso straordinario è ancora più immediato: il foglio non serve nemmeno, basta un clic. Una forma di tutela che, pur poco conosciuta, resta una via efficace, semplice e democratica per reagire agli atti illegittimi della pubblica amministrazione.


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Ministero della Giustizia, i direttori in sciopero contro la soppressione del loro ruolo

Mercoledì 3 settembre 2025 gli uffici giudiziari italiani si fermeranno: i direttori del Ministero della Giustizia hanno proclamato uno sciopero nazionale, accompagnato da presidi e iniziative di protesta in diverse città.

Al centro della mobilitazione c’è la bozza del nuovo ordinamento professionale del personale non dirigenziale dell’Amministrazione giudiziaria, diffusa dal Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria lo scorso 26 giugno. Il testo prevede la soppressione del profilo del direttore, con il suo assorbimento nella più generica famiglia professionale dei servizi amministrativi dell’Area Funzionari.

Le contestazioni dei direttori

Il Coordinamento nazionale direttori giustizia giudica la misura “priva di fondamento giuridico” e denuncia il rischio di un demansionamento strutturale: “Si tratta di un intervento che svilisce la dignità professionale e contraddice i principi di buona amministrazione”.

I direttori richiamano il D.M. Giustizia del 9 novembre 2017, che attribuisce loro compiti di natura tecnica, gestionale e specialistica: funzioni vicarie del dirigente, attività ispettive, formazione del personale e partecipazione a commissioni ministeriali. Attività che – sottolineano – rispondono pienamente ai requisiti dell’Area delle Elevate Professionalità introdotta dal CCNL Funzioni Centrali 2022-2024.

La battaglia legale

La vertenza non resta confinata alla protesta sindacale. Il 12 luglio scorso, presso il Tribunale del Lavoro di Napoli, è stato depositato il primo ricorso individuale da parte di un direttore in servizio, per accertare il demansionamento subito. È il primo tassello di una battaglia giudiziaria che si affianca allo stato di agitazione permanente già dichiarato.

L’appello al dialogo

Chiediamo un confronto serio e costruttivo – afferma Nunzia Paudice, presidente del Coordinamento – per modificare la bozza dell’ordinamento e tutelare le funzioni e l’identità professionale dei direttori. In assenza di risposte concrete, siamo pronti a proseguire con ulteriori iniziative sindacali e giudiziarie”.


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Gli operai specializzati sono introvabili. In 4 casi su 10 al colloquio di lavoro non si presenta nessuno

Nel 2024, su un totale di 5,5 milioni di nuovi ingressi previsti nel mercato del lavoro, quasi 840 mila (pari al 15 per cento del totale delle entrate attese) hanno riguardato operai specializzati. La ricerca di queste figure si è rivelata particolarmente impegnativa: nel 63,8 per cento dei casi, infatti, gli imprenditori hanno segnalato notevoli difficoltà nel reperimento e, quando la selezione ha avuto esito positivo, il processo ha richiesto in media quasi cinque mesi. Nessun’altra professione richiesta dalle aziende[1] ha evidenziato livelli di difficoltà e tempi di ricerca superiori a quelli riscontrati per gli operai specializzati. Inoltre, in quattro casi su dieci l’insuccesso nel trovare questo profilo è stato determinato dall’assenza di candidati presentatisi al colloquio. In sintesi, per molte realtà produttive, soprattutto di piccole e piccolissime dimensioni, individuare figure quali carpentieri, gruisti, fresatori, saldatori od operatori di macchine a controllo numerico computerizzato rappresenta una sfida estremamente complessa. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha esaminato i report di Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Sistema Informativo Excelsior del 2024 e del trimestre agosto-ottobre 2025.

  • Rispetto al periodo pre-Covid, i giovani chiedono flessibilità e più tempo libero  

Le cause dello scostamento tra domanda e offerta di lavoro sono molteplici e frequentemente interconnesse. Negli ultimi anni, fattori quali la denatalità e l’invecchiamento della popolazione hanno contribuito a ridurre la disponibilità di forza lavoro. Inoltre, è rilevante sottolineare che molti candidati non possiedono le competenze tecniche e professionali richieste dagli imprenditori, in particolare nel settore manifatturiero, evidenziando lo storico divario persistente tra il livello di apprendimento acquisito durante il percorso scolastico e le esigenze del sistema produttivo. È altresì importante evidenziare che, rispetto al periodo pre-Covid, i giovani sono sempre più alla ricerca di occupazioni che offrano maggiori livelli di flessibilità, autonomia e tempo libero. Parallelamente, mostrano una minore propensione ad accettare incarichi con orari prolungati (in particolare nel weekend) o condizioni lavorative fisicamente gravose. Tendenze che, purtroppo, sono destinate a consolidarsi nel tempo.

  • Gli introvabili

I settori dove è sempre più difficile reperire operai specializzati riguardano l’edilizia e il manifatturiero; in riferimento a quest’ultimo, il legno, il tessile-abbigliamento-calzature e la metalmeccanica sono le filiere dove la ricerca è più impegnativa. Nel settore dell’edilizia, ad esempio, segnaliamo la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro carpentieri, ponteggiatori, cartongessisti, stuccatori, pavimentatori/piastrellisti, palchettisti e gruisti/escavatoristi. Nel comparto del legno sono quasi introvabili i verniciatori, gli ebanisti, i restauratori di mobili antichi e i filettatori attrezzisti. Nel tessile-abbigliamento si faticano ad assumere modellisti, confezionisti e stampatori. Nel calzaturiero, invece, tagliatori, orlatori, rifinitori e cucitori. Nella metalmeccanica, infine, la maggiore difficoltà di reperimento riguarda tornitori, fresatori, saldatori certificati, operatori di macchine a controllo numerico computerizzato e i tecnici di montaggio per l’assemblaggio dei componenti complessi.

  • A Nordest irreperibilità al top: Pordenone, Bolzano, Trento e Gorizia i territori più in difficoltà

Tra tutte le figure professionali richieste dai titolari di azienda, il Nordest è la ripartizione geografica dove nel 2024[2] è stato più difficile reperire sul mercato questi lavoratori.  La situazione più critica ha interessato il Trentino Alto Adige: la difficoltà di reperimento ha toccato il 56,5 per cento. Seguono il Friuli Venezia Giulia con il 55,3, l’Umbria con il 55 la Valle d’Aosta con il 54,5 e il Veneto al 51,5. Il Mezzogiorno, invece, è l’area del Paese dove il reperimento è stato più “facile”. In Sicilia la difficoltà di reperimento è stata del 42 per cento, in Puglia del 41,9 e in Campania del 41. La media italiana è stata del 47,8 per cento.

Pordenone, invece, è la provincia dove gli imprenditori faticano più di tutti gli altri colleghi d’Italia a trovare un lavoratore dipendente; nel 2024 la difficoltà di reperimento della realtà friulana è stata del 56,8 per cento. Seguono Bolzano e Trento con il 56,5, Gorizia con il 56,1 e Cuneo con il 55,9. Caserta con il 39,3 per cento, Salerno con il 38,3 e, infine, Palermo con il 36,9 sono i territori dove è più facile reperire la manodopera. Si segnala, infine, che tra agosto e ottobre di quest’anno le imprese prevedono 1,4 milioni di nuove entrate. A contendersi il primato nazionale sono le Città Metropolitane di Milano e di Roma. Se nel capoluogo regionale lombardo sono previste 115.280 assunzioni, nella Capitale dovrebbero essere 114.200. Seguono Napoli con 60.290, Torino con 42.530, Bari con 42.060 e Brescia con 31.930.

1] Professioni tecniche, conduttori di impianti, dirigenti, professioni qualificate nel commercio/servizi, impiegati e professioni non qualificate

[2] Abbiamo scelto l’ultimo dato medio annuale disponibile per superare eventuali effetti legati alla stagionalità


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Ambiente, stretta penale contro chi abbandona rifiuti: carcere fino a cinque anni

La lotta all’inquinamento entra in una nuova fase. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’8 agosto, il decreto-legge 116/2025 ha introdotto una riforma che ridisegna l’assetto dei reati ambientali, inasprendo pene e sanzioni per chi abbandona rifiuti e rafforzando gli strumenti a disposizione delle autorità.

Tre livelli di reato

Il provvedimento abbandona l’impostazione unica di contravvenzione e crea tre fasce di gravità:

  • Abbandono semplice di rifiuti, punito come contravvenzione ma con sanzioni pecuniarie più alte: da 1.500 a 18.000 euro;

  • Abbandono di rifiuti non pericolosi in contesti gravi (siti contaminati, pericolo per la salute o danno ambientale rilevante), qualificato come delitto, con pene da sei mesi a cinque anni di reclusione;

  • Abbandono di rifiuti pericolosi, anch’esso delitto, punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Sigarette e piccoli rifiuti nel mirino

La riforma interviene anche sul getto di rifiuti di piccole dimensioni – come mozziconi di sigaretta e cartacce – introducendo multe da 80 a 320 euro. È inoltre prevista la sospensione della patente se l’abbandono avviene utilizzando un veicolo. Per individuare i trasgressori sarà possibile utilizzare anche telecamere di sorveglianza.

Flagranza differita e arresti

Un altro tassello riguarda l’arresto in flagranza differita, esteso ora anche agli illeciti ambientali più significativi, dall’inquinamento alla gestione abusiva dei rifiuti. Sarà sufficiente documentazione video-fotografica o telematica per considerare “in flagranza” l’autore del fatto, purché l’arresto avvenga entro 48 ore dall’accertamento.

Le imprese sotto pressione

Il decreto rafforza anche le sanzioni a carico delle imprese, innalzando i limiti previsti dal decreto legislativo 231/2001. Le misure interdittive potranno ora durare fino a un anno, raddoppiando il tetto precedente di sei mesi.

Una svolta repressiva

Con queste modifiche il legislatore ha voluto dare un segnale chiaro: la tutela dell’ambiente passa anche da una linea dura contro comportamenti diffusi ma dannosi, come il getto di piccoli rifiuti, e da un inasprimento delle pene per le condotte più gravi, che minacciano la salute collettiva e compromettono aree già fragili del territorio.


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Avvocati, stop alle condanne fondate solo sulle accuse dei clienti

La responsabilità disciplinare dell’avvocato non può nascere da un racconto unilaterale. Con la sentenza n. 28 del 27 febbraio 2025, il Consiglio nazionale forense fissa un principio netto: la sanzione non può fondarsi esclusivamente sulle dichiarazioni del cliente che espone i fatti — o di qualsiasi soggetto portatore di un interesse personale nella vicenda — senza un’analisi complessiva e approfondita di tutte le prove raccolte.

Il caso: dalla censura al ricorso

La vicenda muove dal Piemonte, dove il Consiglio distrettuale di disciplina aveva irrogato all’incolpato la sanzione della censura per non aver consegnato al cliente alcuni documenti relativi alla causa, nonostante le richieste. L’avvocato ha impugnato la decisione lamentando l’assenza di un supporto probatorio adeguato a reggere l’addebito.

La decisione del CNF

Il CNF accoglie l’impostazione garantista: le sole dichiarazioni dell’esponente (o di altri soggetti coinvolti e interessati) non sono sufficienti a fondare la responsabilità. Il giudice disciplinare ha l’onere di compiere una valutazione equilibrata e integrata dei mezzi di prova, confrontando dichiarazioni, atti, riscontri documentali e ogni altra risultanza procedimentale. Solo all’esito di questo vaglio complessivo può pronunciare una condanna.

Il principio di equilibrio tra tutela e sanzione

La pronuncia cerca un punto di equilibrio tra due esigenze: proteggere i diritti di difesa dell’incolpato e, insieme, assicurare l’effettività delle regole deontologiche. Affidare la sanzione alla mera parola di chi ha un vantaggio dall’esito del procedimento, avverte il CNF, rischia di comprimere indebitamente le garanzie difensive e di indebolire la stessa credibilità dell’azione disciplinare.

Le ricadute pratiche

Per gli organi giudicanti, il messaggio è chiaro: servono riscontri oggettivi, coerenza logica del quadro probatorio e una motivazione che dia conto dell’intero insieme delle risultanze. Per gli avvocati e per i clienti, la decisione ribadisce la centralità della tracciabilità dei rapporti (richieste, risposte, consegna di atti) e l’importanza di formalizzare per iscritto passaggi chiave dell’incarico professionale.


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Le multe fiscali non si ereditano: stop dalla Corte tributaria di Sicilia

Nel 2024 gli italiani hanno pagato oltre 2 miliardi di euro in sanzioni stradali, un aumento del 10% rispetto al 2023. A rivelarlo è un’elaborazione del Centro Studi Enti Locali sui dati diffusi da Mef e Istat, che fotografa un fenomeno sempre più oneroso soprattutto per le famiglie, responsabili della stragrande maggioranza dei pagamenti.

Le città che incassano di più

Il primato spetta a Milano, che nei tre anni presi in esame ha accumulato oltre 431 milioni di euro, seguita da Roma (356 milioni) e dalla Città Metropolitana di Milano (143 milioni). Nella top ten figurano anche Torino, Firenze, Napoli, Bologna e Genova, insieme ad alcune province come Brescia e Palermo.

La stagione “calda” delle multe

Contrariamente all’idea che le sanzioni aumentino nei mesi estivi, i dati mostrano un picco in dicembre, soprattutto nel 2024, quando – complice l’entrata in vigore del nuovo Codice della strada – sono stati raccolti oltre 277 milioni di euro in un solo mese, contro i 231 milioni di dicembre 2023.

I piccoli borghi da record

Se le grandi città guidano la classifica in valori assoluti, a sorprendere è la graduatoria pro capite: il primato va al minuscolo comune dolomitico di Colle Santa Lucia, poco più di 300 abitanti, che nel 2024 ha incassato circa 745 mila euro in contravvenzioni, pari a 2.154 euro per residente. Stessa tendenza in altri centri turistici come Carrodano nello Spezzino (807 mila euro con meno di 500 abitanti) e Rocca Pia in Abruzzo, che con appena 200 residenti ha superato i 280 mila euro di entrate.

Famiglie in prima linea

Il peso economico delle sanzioni grava soprattutto sulle famiglie, che nel 2024 hanno pagato oltre 2 miliardi di euro. Seguono le imprese (145 milioni), le amministrazioni pubbliche (35 milioni) e, a distanza siderale, le istituzioni sociali private (800 mila euro).

Sanzioni fiscali non ereditabili

Accanto all’analisi sul fronte stradale, arriva anche una novità dalla giurisprudenza tributaria: la Corte tributaria di secondo grado della Sicilia (sentenza n. 2325/02/2025) ha stabilito che le sanzioni fiscali non possono essere trasmesse agli eredi. L’appello dell’Agenzia delle Entrate è stato dichiarato improcedibile poiché il contribuente era deceduto prima della notifica, confermando così che le multe tributarie hanno natura personale e non patrimoniale.

Un quadro che mostra due volti della stessa medaglia: da un lato i comuni e le amministrazioni che fanno sempre più affidamento sugli incassi delle multe per finanziare i propri bilanci; dall’altro famiglie e cittadini che vedono crescere un peso spesso percepito come sproporzionato.


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Avvocati, scatta l’illecito se non si avvisa il cliente su tempi e costi del processo

Il caso nasce in Veneto, dove un professionista era stato destinatario della sanzione dell’avvertimento da parte del Consiglio distrettuale di disciplina per non aver fornito al proprio assistito informazioni chiare sulle tempistiche e sulle spese connesse al procedimento. L’avvocato aveva contestato la decisione, sostenendo che una semplice lacuna informativa non potesse tradursi in responsabilità disciplinare.

Il CNF ha però respinto il ricorso, richiamando l’art. 27, comma 2, del Codice deontologico forense, che impone al legale di illustrare sin dall’inizio l’andamento prevedibile del processo e gli oneri economici correlati. L’obbligo di informazione, si legge nella motivazione, non è un adempimento marginale, ma una declinazione del principio generale di correttezza che deve permeare l’intera attività professionale.

In concreto, l’illecito disciplinare si perfeziona nel momento in cui l’avvocato, pur essendo a conoscenza della durata probabile del processo e dei costi da sostenere, omette di comunicarli al cliente. Da quel momento decorre anche la prescrizione della violazione.

La decisione riafferma così un principio destinato ad avere forte impatto sulla prassi forense: il cliente deve essere messo in condizione di valutare con piena consapevolezza le conseguenze – in termini di tempo e denaro – del percorso giudiziario che si accinge ad affrontare.


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Autostrade hi-tech, arriva Navigard: il super-sistema che promette più sicurezza dal 2026

Conto alla rovescia per l’arrivo di Navigard, il nuovo sistema di sorveglianza intelligente annunciato da Autostrade per l’Italia e atteso sulle prime tratte nel 2026. Non un semplice autovelox, ma una piattaforma integrata che combina radar, telecamere, sensori ottici e algoritmi di intelligenza artificiale con l’obiettivo di rendere le nostre autostrade più sicure e di ridurre drasticamente infrazioni e incidenti.

Dall’autovelox al “super-guardiano”

Navigard controllerà la velocità istantanea e media dei veicoli, segnalerà chi viaggia su corsie non consentite e imporrà controlli mirati sui mezzi pesanti. Una vera e propria evoluzione rispetto ai tradizionali sistemi di rilevazione, che si affida a un mix di server periferici e centro di comando centrale per incrociare i dati in tempo reale.

Sicurezza in galleria

Particolare attenzione sarà dedicata alle gallerie più lunghe di 500 metri: sensori e algoritmi AI dovranno individuare veicoli contromano o ostacoli improvvisi, due tra le cause più gravi di incidenti in autostrada, come dimostrano le recenti tragedie di luglio.

Occhio al peso dei camion

Un’altra novità riguarda il monitoraggio dei mezzi pesanti. Grazie a telecamere e sensori digitali sarà possibile verificare automaticamente il rispetto dei limiti di massa, segnalando eventuali anomalie direttamente alla Polizia Stradale.

I tempi dell’attivazione

Secondo il cronoprogramma diffuso dalla società, Navigard dovrebbe essere operativo su alcune tratte pilota a partire dal 2026, per poi estendersi progressivamente ad altre arterie entro il 2027.

Se le promesse saranno mantenute, sarà difficile sfuggire ai nuovi controlli: una sfida tecnologica che potrebbe segnare una svolta storica per la sicurezza stradale.


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Dazi, a rischio l’export delle regioni del sud

La quasi totalità delle regioni del Sud presenta una bassa diversificazione dei prodotti venduti nei mercati esteri. Pertanto, se dopo l’acciaio, l’alluminio e i loro…

AIGA presenta alla ministra Locatelli proposte in materia di disabilità

Nella Sala Refettorio della Camera dei Deputati si è svolto il convegno dal titolo “La disabilità nel [del] sistema della giustizia”, organizzato dai dipartimenti della…

Amministratore di sostegno, AIGA per una proposta di legge

L’AIGA, Associazione Italiana Giovani Avvocati, ha inviato ai Capigruppo della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati una proposta di legge volta a riformare la figura…

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