Carceri, Russo (DAP): “Allarmante la questione sanitaria”

Il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP), Giovanni Russo, ha sollevato preoccupazioni riguardo alla salute dei detenuti, descrivendo la situazione come “drammatica” sotto il profilo sanitario. Durante una riflessione con TrendSanità, Russo ha evidenziato che, nonostante il sovraffollamento e i diritti dei detenuti siano tematiche su cui il DAP sta lavorando quotidianamente, la questione sanitaria rimane una delle più gravi.

“La salute è un aspetto fondamentale. Quando parlo direttamente con i detenuti, non emergono prima il sovraffollamento o le problematiche relative ai diritti, ma una condizione sanitaria che lascia molto a desiderare. Sebbene la sanità penitenziaria sia gestita dalle ASL, il Dipartimento avverte come una propria manchevolezza l’incapacità di garantire ai detenuti un’assistenza sanitaria equivalente a quella dei cittadini liberi”, ha dichiarato Russo.

Le difficoltà nell’assistenza sanitaria e la mancanza di personale

Uno dei problemi principali riguarda la diagnostica. Molti esami di base, non particolarmente specialistici, non vengono eseguiti perché richiedono il trasferimento dei detenuti in ospedale, ma spesso questi trasferimenti non avvengono a causa della carenza di personale. Questo impedisce ai detenuti di sottoporsi a controlli preventivi necessari, creando frustrazione e disagi che potrebbero sfociare in patologie più gravi.

Russo ha anche sottolineato che la composizione multietnica della popolazione carceraria rende necessario un approccio personalizzato. “Circa un terzo della popolazione carceraria non appartiene alla nostra comunità originaria, portando con sé patologie e risposte alle terapie molto diverse dalle nostre. Questo richiede un trattamento preventivo e curativo individualizzato”, ha spiegato.

Investimenti in tecnologia: la telemedicina come risposta

Per fronteggiare queste problematiche, il DAP ha avviato investimenti in nuove tecnologie, come la telemedicina. Già in oltre 45 istituti penitenziari, la telemedicina è attiva con risultati soddisfacenti. Questa innovazione ha permesso di risolvere parzialmente i problemi legati ai trasferimenti dei detenuti e ha migliorato l’efficienza dei trattamenti sanitari.

L’intelligenza artificiale come strumento di prevenzione

Un altro passo importante verso il miglioramento delle condizioni sanitarie e della sicurezza in carcere è l’uso dell’intelligenza artificiale (AI). “La vera svolta arriverà grazie all’intelligenza artificiale. Stiamo lavorando con l’AGID per implementare sistemi di allerta che ci permettano di rilevare segnali di disagio nei detenuti, prevenendo tragici eventi come i suicidi. L’intelligenza artificiale non sarà un ‘Grande Fratello’, ma uno strumento specifico per monitorare le necessità individuali”, ha concluso Russo.


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Niente aumenti per le multe stradali nel 2025 ma si teme una “stangata” nel 2026

Il Governo Meloni ha deciso: nel 2025 non ci sarà l’adeguamento delle multe stradali all’inflazione. Attraverso un comma del decreto Milleproroghe, è stato confermato il rinvio già disposto per il biennio 2023-2024, prorogandolo di un ulteriore anno. Il prossimo aggiornamento scatterà quindi solo nel 2026, ma il rischio di un aumento pesante delle sanzioni preoccupa le associazioni dei consumatori.

Il motivo della proroga
La decisione del Governo è motivata dalla volontà di contenere il peso economico sulle famiglie italiane, già provate dal caro-vita e dall’aumento dei prezzi al consumo. Tuttavia, le associazioni dei consumatori hanno lanciato l’allarme: il congelamento degli aumenti potrebbe portare a una “stangata” per gli automobilisti, con rincari cumulativi che rischiano di gravare pesantemente sulle loro tasche.

Cosa prevede il decreto Milleproroghe
Il decreto stabilisce che, entro il 1° dicembre 2025, un nuovo provvedimento dovrà adeguare le sanzioni stradali all’inflazione del biennio 2024-2025. Di norma, il Codice della Strada prevede un aggiornamento delle multe ogni due anni in base all’indice FOI (Indice dei Prezzi al Consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati), come stabilito dall’art. 195 del Codice.

A partire dal 2026, quindi, le multe per le infrazioni stradali subiranno un incremento proporzionale all’andamento dell’inflazione. Se l’inflazione dovesse mantenere ritmi elevati, i rincari potrebbero essere significativi.

Le reazioni delle associazioni dei consumatori
Se da un lato la sospensione degli aumenti è stata accolta positivamente, dall’altro le associazioni dei consumatori chiedono misure più incisive. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori (UNC), ha proposto di annullare definitivamente l’adeguamento biennale, per evitare che nel 2026 si verifichi un aumento “a valanga” che incorpori le percentuali non applicate negli anni precedenti.

“Se non si specifica chiaramente che nel 2026 scatterà solo l’adeguamento relativo al biennio 2024-2025, rischiamo di trovarci con un aumento che comprende anche gli adeguamenti non effettuati negli anni precedenti”, ha dichiarato Dona. La prospettiva è che il rialzo possa arrivare al 17,7%, considerando anche gli arretrati non applicati nel periodo 2020-2024.

Il rischio di una “stangata” per gli automobilisti
L’allarme lanciato dalle associazioni è concreto. Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti, ha calcolato che l’adeguamento delle multe all’inflazione potrebbe portare a rincari dal +3% al +51%, a seconda dell’andamento dei prezzi. L’aumento potrebbe scattare già dal 1° gennaio 2026, e l’accumulo delle percentuali non applicate potrebbe tradursi in un rialzo complessivo del 17,6%.

Esempi concreti? La multa per divieto di sosta, oggi pari a 42 euro, potrebbe salire fino a 49 euro, un aumento non trascurabile per gli automobilisti, soprattutto in un contesto economico già gravoso.

Il rinvio deciso dal Governo Meloni ha l’obiettivo di dare respiro ai cittadini, ma rischia di trasformarsi in una “trappola” nel 2026, quando gli aumenti potrebbero sommarsi, con un impatto significativo sulle multe stradali. Le associazioni dei consumatori chiedono al Governo maggiore chiarezza e la garanzia che non si verifichi un accumulo di aumenti. Resta da vedere se l’esecutivo accoglierà queste richieste o se, a partire dal 2026, gli automobilisti dovranno fare i conti con un salasso.


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Petrelli: “Come fa Caselli a considerare fatalità gli errori giudiziari?”

“Imbarazzante.” È con questa parola che Francesco Petrelli, presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, definisce la reazione della magistratura alla proposta di istituire una giornata dedicata alle vittime degli errori giudiziari. Una proposta che, secondo Petrelli, non dovrebbe destare preoccupazioni tra i magistrati, ma spingerli a una riflessione più profonda.

“Perché mai una giornata di riflessione dovrebbe ingenerare sfiducia nella magistratura?” si chiede Petrelli, rispondendo alle affermazioni del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia, e alle dichiarazioni di Gian Carlo Caselli, che ha definito la proposta “demagogica”. L’avvocato traccia un parallelismo: “Sarebbe come dire che le giornate dedicate alla povertà o alla violenza sulle donne ingenerassero sfiducia negli uomini”.

Gli errori giudiziari non sono fatalità

Il punto centrale della riflessione di Petrelli è la gravità con cui gli errori giudiziari impattano sulla libertà delle persone. Non si può accettare, dice, l’idea di Caselli secondo cui gli errori sarebbero una “fisiologia” del sistema, una sorta di esito inevitabile, come se si trattasse di una semplice divergenza di vedute sui processi. “La giustizia penale non è un gioco di società – afferma Petrelli – in cui a volte si vince e a volte si perde”.

Secondo il presidente delle Camere Penali, se un cittadino trascorre mesi o anni in custodia cautelare e poi viene prosciolto o assolto, non si può parlare di “esiti contrastanti”, ma di “un fatto patologico” che richiede una riflessione seria e responsabile.

I numeri di un’emergenza taciuta

Petrelli richiama l’attenzione sui dati del Ministero della Giustizia: su 80.000 misure di custodia cautelare adottate in un anno, almeno 8.000 si concludono con assoluzioni. “Dati che – sottolinea – andrebbero analizzati su un arco di tempo più ampio, ma che già così mostrano una realtà preoccupante.” La riflessione non si limita al dato numerico, ma si estende ai costi umani e sociali: “I danni per le vittime sono incalcolabili e il costo per lo Stato, in termini di indennizzi, è enorme.”

E mentre le vittime e lo Stato pagano, i magistrati non pagano nulla. Petrelli sottolinea infatti l’assenza di un reale controllo di responsabilità nei confronti dei magistrati, evidenziando che oltre il 95% delle 1.800 segnalazioni disciplinari ricevute nel 2023 è stato archiviato. Solo il 4,3% ha dato luogo a un procedimento disciplinare e, di questi, un numero esiguo si è concluso con condanne.

La “casta” impermeabile al cambiamento

Petrelli non risparmia critiche al corporativismo della magistratura, che definisce “impermeabile alla società e chiusa nei suoi privilegi”. La chiusura a ogni riforma, dal sistema di valutazione professionale alla revisione delle carriere, fino alla proposta della giornata per le vittime di errori giudiziari, sarebbe, secondo Petrelli, il vero motivo della sfiducia dei cittadini nella giustizia.

La proposta di una giornata dedicata alle vittime degli errori giudiziari, per Petrelli, non è un atto demagogico, ma un’opportunità di crescita per la giustizia. E se la magistratura continuerà a respingerla, il rischio è che il solco tra cittadini e istituzioni si faccia sempre più profondo.


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La Forense Card: un supporto per il pagamento dei contributi previdenziali

La Forense Card si conferma un’innovazione utile e accessibile per i professionisti iscritti alla Cassa Forense, grazie alla collaborazione con la Banca Popolare di Sondrio. Questa carta di credito gratuita offre numerosi vantaggi senza spese di emissione o canoni, e non richiede l’apertura di un conto dedicato: basta essere titolari di un qualsiasi conto corrente bancario o postale.

Come richiederla e a chi è riservata

Destinata esclusivamente agli iscritti alla Cassa Forense, la Forense Card può essere richiesta online tramite firma digitale, accedendo all’area riservata del sito della Cassa.

Utilizzi principali della Forense Card

  1. Pagamenti previdenziali: consente il versamento online dei contributi previdenziali, in unica soluzione o a rate, senza spese aggiuntive.
  2. Acquisti e prelievi: permette di pagare presso esercizi commerciali convenzionati e prelevare contanti presso gli sportelli ATM Visa e Mastercard, sia in Italia che all’estero.
  3. Fondi per esigenze personali: previa attivazione, è possibile richiedere una somma per necessità improvvise, accreditata direttamente sul conto corrente.

Perché scegliere la Forense Card

  • I contributi previdenziali possono essere pagati online in qualsiasi momento (24/7).
  • Nessun addebito per i pagamenti in unica soluzione.
  • Il versamento è immediato alla Cassa Forense, mentre l’addebito sul conto corrente avviene il 15 del mese successivo.
  • Possibilità di rateizzare i contributi da 2 a 18 mesi, con la prima rata senza interessi.
  • I contributi rateizzati sono fiscalmente deducibili nell’anno del pagamento.

Per ulteriori informazioni, si invita a consultare la pagina dedicata alla Forense Card sul sito ufficiale della Cassa Forense.


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Divieto di utilizzo firma digitale: un ostacolo alle pari opportunità per le persone con disabilità

Il 10 dicembre scorso, la Corte Costituzionale ha esaminato il caso sollevato da Carlo Gentili, un uomo affetto da sclerosi laterale amiotrofica, che non ha potuto utilizzare la firma digitale per supportare una lista elettorale alle regionali del Lazio. Non essendo in grado di firmare fisicamente, Gentili è stato escluso dalla possibilità di partecipare alla vita politica, sollevando così una questione importante di discriminazione.

In Italia, le persone con difficoltà motorie che non possono firmare manualmente hanno la possibilità di usare strumenti tecnologici sicuri, come la firma qualificata, per partecipare a referendum e leggi popolari. Tuttavia, questa stessa possibilità non viene estesa alla presentazione delle liste elettorali, limitando così la partecipazione politica di chi vive con una disabilità.

Come sottolineato dalla professoressa Marilisa D’Amico e dal movimento Referendum e Democrazia, questa restrizione è una chiara violazione dei diritti individuali e dei principi di uguaglianza e democrazia sanciti dalla nostra Costituzione. È incomprensibile che, nonostante l’esistenza di tecnologie già in uso per superare tali barriere, una persona con disabilità venga privata della possibilità di partecipare pienamente alla politica.

Inoltre, la testimonianza della professoressa Sabrina Di Giulio, malata di SLA e presente durante l’udienza, ha messo in evidenza l’importanza di applicare a tutti i momenti della cittadinanza attiva lo stesso principio di inclusione. Sebbene il sistema di identità digitale pubblica consenta alle persone con disabilità di firmare per iniziative referendarie e leggi popolari, questo diritto non è esteso alla presentazione delle liste elettorali, nonostante la disponibilità di tecnologie adeguate.

La Corte Costituzionale, quindi, si trova di fronte alla responsabilità di adeguare il nostro ordinamento giuridico ai principi costituzionali e alle norme internazionali sui diritti delle persone con disabilità, rimuovendo le barriere legali e tecniche che impediscono la loro partecipazione politica. La tecnologia, infatti, offre strumenti potenti per garantire pari opportunità e il pieno esercizio dei diritti, inclusi quelli legati alla partecipazione politica.


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Indagini preliminari: nessuna retrodatazione se l’iscrizione del reato è ante riforma Cartabia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45843/2024, ha escluso la possibilità di retrodatare l’iscrizione nel registro delle notizie di reato per i procedimenti antecedenti alla riforma Cartabia. La norma introdotta dal Dlgs 150/2022, che consente di far rilevare la mancata tempestività dell’iscrizione da parte del pubblico ministero, non è retroattiva e non può essere applicata ai procedimenti pendenti che risalgono a prima della sua entrata in vigore, fissata al 30 dicembre 2022.

Il caso in esame riguardava un’iscrizione effettuata dal pubblico ministero nel marzo 2022, ben prima della riforma. La difesa dell’imputato aveva invocato la retrodatazione dell’iscrizione, ritenendo che la norma rappresentasse il recepimento di orientamenti giurisprudenziali preesistenti e favorisse i diritti dell’imputato. Tuttavia, la Corte ha rigettato il ricorso, affermando che la nuova disposizione non può essere applicata retroattivamente in assenza di una norma transitoria, e che non si configura un caso di retroattività favorevole.

Di conseguenza, per tutti i procedimenti in cui l’iscrizione nel registro delle notizie di reato sia avvenuta prima del 30 dicembre 2022, non è possibile applicare il rimedio della retrodatazione. In questi casi, rimane valida la possibilità per il pubblico ministero di retrodatare l’iscrizione autonomamente, qualora non fosse stato possibile procedere immediatamente. Se tale facoltà non viene utilizzata, il giudice può valutare eventuali conseguenze disciplinari per l’inadempimento.


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L’avvocato e il dovere di informare le istituzioni forensi

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha recentemente riaffermato, nella sentenza n. 280/2024, l’importanza dell’obbligo per l’avvocato di informare tempestivamente le istituzioni forensi su qualsiasi fatto che possa influire sul suo status professionale, in particolare nel caso in cui l’avvocato sia coinvolto in procedimenti disciplinari. Questo obbligo, stabilito dall’articolo 71 del Codice Deontologico, impone agli avvocati di comunicare ogni atto dell’Autorità Giudiziaria che possa avere rilevanza nel contesto di un procedimento disciplinare.

Il CNF, nell’ambito di un ricorso che ha coinvolto un avvocato sospeso per cinque anni dall’Albo e dall’attività professionale dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Roma, ha sottolineato l’importanza di una corretta e tempestiva comunicazione agli organi competenti. L’incolpato aveva omesso di informare adeguatamente il Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) riguardo all’esito di un procedimento penale che lo coinvolgeva, e aveva commesso gravi violazioni deontologiche, tra cui l’esercizio della professione senza titolo abilitativo e durante un periodo di sospensione.

Nel respingere il ricorso, il CNF ha confermato la congruità della sanzione, facendo riferimento alla gravità delle azioni dell’avvocato, che avevano danneggiato l’immagine dell’intera categoria professionale. La decisione ribadisce l’importanza della trasparenza e della responsabilità da parte degli avvocati nei confronti delle istituzioni forensi, per mantenere alta l’integrità della professione.


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Rallentamenti nei sistemi telematici: impatti e aggiornamenti per il deposito telematico

A causa degli ultimi “patch day” (in realtà patch week), si stanno verificando disagi che coinvolgono tutti gli Uffici Giudiziari dei distretti di Corte di Appello su tutto il territorio nazionale. Questi problemi impattano anche il Portale dei Servizi Telematici, inclusi il Portale del Processo Penale Telematico e il Portale dei Giudici di Pace.

Come impatta questa anomalia?
Ieri, lunedì 16 dicembre, già nel tardo pomeriggio, gli avvocati che hanno effettuato un deposito hanno ricevuto correttamente la prima PEC di “accettazione”. Tuttavia, non hanno ricevuto la seconda PEC di “consegna”. Oggi, martedì 17, oltre a non ricevere la seconda PEC, è stata ricevuta la terza PEC con l’errore “utente non abilitato al processo civile telematico”.

Causa dell’anomalia
Il problema è legato al fatto che il sistema ministeriale non riesce ad interrogare al sistema “Reginde”, dove sono registrate le anagrafiche degli avvocati. Di conseguenza, il sistema non è in grado di verificare lo stato delle abilitazioni, causando l’errore nella ricezione delle PEC.

Implicazioni per il deposito telematico
Ricordiamo che, secondo la Legge Cartabia (Legge n. 134/2021), il deposito telematico è considerato perfezionato con la sola prima PEC, che attesta l’invio del documento al sistema giustizia. Le PEC successive (seconda e terza) sono informative e non influenzano la validità del deposito. Pertanto, anche in caso di problemi con la ricezione della seconda e terza PEC, il deposito resta valido.

Cosa fare?
In attesa che il problema venga risolto dal Ministero della Giustizia, si consiglia di monitorare gli aggiornamenti ufficiali sul sito https://servicematica.com/avvocati/interruzioni-pct/  e di contattare i seguenti uffici per ulteriori chiarimenti:

Inoltre, è fondamentale continuare a tenere traccia della prima PEC, che è quella che conferma il deposito.

Servicematica continua a monitorare attentamente la situazione. “Rimaniamo a disposizione -spiegano i tecnici SM- per ogni ulteriore chiarimento e per fornire supporto tecnico qualora fosse necessario”.


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Mafie digitali: IA, dark web e chat criptate, le nuove armi del crimine organizzato

Il crimine organizzato sta evolvendo rapidamente, e oggi il web rappresenta per le mafie un’opportunità senza precedenti per muoversi liberamente e senza confini territoriali. Le organizzazioni criminali, simili a vere e proprie holding, stanno sfruttando le tecnologie più avanzate, tra cui l’intelligenza artificiale (IA), il dark web e le chat criptate, mettendo a dura prova l’attuale sistema investigativo, che fatica a tenere il passo con l’evoluzione dei mezzi informatici.

Questa nuova criminalità, sempre più cyber, è una delle economie più redditizie al mondo. La sfida per contrastarla coinvolge legislatori, forze dell’ordine, magistrati e tecnici, e tocca temi cruciali come la privacy, i confini territoriali e la sovranità. La lotta al crimine informatico è un’emergenza che necessita di una risposta globale e coordinata.

A Roma, giuristi, esperti di cybersicurezza e forze dell’ordine si sono riuniti in occasione della presentazione del libro “Algoritmo criminale: IA, mafie e web” di Pierguido Iezzi e Ranieri Razzante, per approfondire le dinamiche della criminalità digitale e il ruolo dell’intelligenza artificiale. Secondo gli autori, la connessione internet ha reso possibile l’anonimato e l’azione indisturbata contro la legge, fenomeno che l’IA ha amplificato, complicando enormemente il lavoro delle forze investigative.

Colosimo: “Lotta al crimine con gli stessi strumenti informatici”
Chiara Colosimo, presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, ha sottolineato la responsabilità del governo nell’affrontare questa sfida, ma anche i numerosi ostacoli da superare. “Garantire una maggiore possibilità di indagine o proteggere la privacy è un dilemma”, ha affermato. Colosimo ha evidenziato come le organizzazioni criminali stiano utilizzando algoritmi di Machine Learning per riciclare denaro, realizzare frodi e gestire flussi informativi protetti dalle autorità giudiziarie. La soluzione, secondo lei, è esportare un modello di lotta al crimine che sfrutti le stesse tecnologie a disposizione delle mafie.

Gabrielli: “Strumenti più performanti per le indagini”
Ivano Gabrielli, direttore della Polizia postale, ha ribadito l’importanza di dotarsi di strumenti tecnologici più avanzati per superare i limiti tecnici che attualmente ostacolano le indagini. “La criminalità digitale è l’ultima frontiera, ma anche la più dinamica”, ha dichiarato. Le forze dell’ordine sono chiamate a contrastare frodi, attacchi hacker e reati informatici, cercando di prevenire i crimini prima che accadano.

Palazzi: “Investire sulla tecnologia per combattere le mafie”
Mario Palazzi, sostituto procuratore presso la DDA di Roma, ha posto l’accento sulla necessità di investimenti politici per potenziare la risposta contro la criminalità informatica. Ha inoltre evidenziato l’importanza di una cooperazione internazionale più stretta, affinché le forze di polizia possano scambiare informazioni in tempo reale, ostacolando così le mafie che approfittano delle differenze legislative. “Le mafie si avvalgono dei migliori servizi tecnologici disponibili sul mercato”, ha aggiunto Palazzi, “e c’è un urgente bisogno di un’attenzione maggiore da parte dei regolatori per affrontare questo nuovo tipo di criminalità”.


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Manovra, contributo unificato. D’Orso: “Assurda norma contro avvocati e clienti”

Roma, 17 dic. – “Rimane in tutta la sua assurdità la norma del governo Meloni contro gli avvocati e i loro clienti sul contributo unificato. Dopo essere rimasti silenti e coperti per settimane, governo e maggioranza si sono presentati all’ultimo minuto in commissione Bilancio con una riformulazione che al danno aggiunge la beffa e l’hanno approvata con un vero e proprio blitz. Per citare una nota espressione del ministro Calderoli, hanno dato una nuova forma ma la sostanza non cambia: forse hanno anche fatto peggio del testo varato in Cdm”.

Così la deputata Valentina D’Orso, capogruppo M5s in commissione Giustizia alla Camera. “Se secondo la versione originale della norma – aggiunge – il mancato o parziale pagamento del contributo unificato avrebbe determinato l’estinzione del procedimento, con la riformulazione appena approvata si stabilisce che la causa non può proprio essere iscritta a ruolo se non è versato il contributo unificato. Non solo, per non allentare in alcun modo la loro morsa verso gli avvocati e i cittadini utenti della Giustizia, hanno previsto la cancellazione dell’invito al pagamento da parte del cancelliere e dispongono che Equitalia Giustizia proceda direttamente alla riscossione a mezzo ruolo senza alcun avviso preliminare. Ma il governo Meloni non è quello del Fisco (presunto) amico? Cosa ne pensano il collega Calderone e Forza Italia che tanto si erano allarmati promettendo interventi risolutivi? Gli ostacoli all’accesso alla Giustizia per le persone in difficoltà economica permangono. Ricordiamo che non stiamo parlando di una potenziale evasione di imposta ma del suo versamento posticipato. Meloni e Giorgetti dimostrano così di voler mercificare i diritti e di voler riservare la giustizia civile solo a chi può permetterselo. Ma siccome al peggio non c’è mai fine, non è tutto. Solo al fine di fare cassa e assumendo una postura punitiva, il governo dispone il versamento di un contributo unificato maggiorato fino al doppio per sanzionare gli avvocati che superino i limiti dimensionali degli atti, così mortificando ulteriormente il lavoro e l’elaborazione giuridica dei professionisti del diritto, ai quali peraltro non si lasciano più margini di discrezionalità sulla necessità di superare i limiti dimensionali degli atti ma si impone di chiedere preventiva autorizzazione al giudice. Insomma un ulteriore aggravio nell’attività dei difensori ed un ulteriore pregiudizio al diritto di difesa. Era difficile fare tanti torti insieme agli avvocati italiani – conclude D’Orso – ma il governo Meloni è riuscito in questa ‘impresa’”


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