Oltre Bitcoin ed Ethereum, l’esplosione dei token fantasma

È una corsa senza precedenti, che somiglia sempre più a un Far West finanziario. Nel mondo delle criptovalute vengono lanciati circa 50mila nuovi token digitali ogni giorno, in un ecosistema di 850 exchange globali spesso privi di regole stringenti. Il numero complessivo di asset ha superato quota 21 milioni, mentre la capitalizzazione complessiva ha raggiunto i 4mila miliardi di dollari, quattro volte il valore delle società quotate a Piazza Affari.

Dietro queste cifre da capogiro si nasconde però un mercato frammentato e poco trasparente. Escludendo i “giganti” come Bitcoin (2.300 miliardi), Ethereum (500 miliardi) e le principali stablecoin ancorate al dollaro (Usdt e Usdc per oltre 240 miliardi complessivi), rimane un patrimonio di circa 1.000 miliardi distribuito tra memecoin speculative, progetti blockchain con basi tecnologiche più solide e, non di rado, schemi fraudolenti.

Token non sono azioni

La confusione più grande riguarda la natura dei token. Molti investitori li percepiscono come quote di una start up o di una piattaforma, ma in realtà non attribuiscono diritti di proprietà, voto o dividendo, salvo rare eccezioni di security token regolamentati. A differenza delle azioni, il valore di un token non è legato direttamente ai risultati economici dell’azienda o della blockchain che lo emette.

Il problema della diluizione

Spesso i token sono pre-minati e concentrati nelle mani di fondatori e venture capital. Quando questi decidono di monetizzare, immettono grandi volumi sul mercato con effetti depressivi sui prezzi. Nel mondo azionario esistono vincoli di lock-up e obblighi di disclosure; nel settore cripto, invece, la gestione dell’offerta è totalmente discrezionale, e la continua emissione di nuovi token per pagare spese operative o incentivare utenti funziona come una “stampante monetaria interna”, che svaluta costantemente i token già in circolazione.

Il rischio del listing

Un altro punto critico è la dinamica della quotazione sugli exchange. Nelle Ipo tradizionali l’ingresso in Borsa impone regole di trasparenza; nei mercati cripto il listing diventa spesso una exit strategy per i fondi di venture capital, che liquidano i token acquistati a prezzi stracciati nelle prime fasi. Così, gli investitori retail finiscono a comprare a valori gonfiati, subendo nei mesi successivi il crollo dovuto alle vendite degli insider.

Il verdetto

Il settore delle criptovalute è cresciuto in dimensioni e rilevanza, ma rimane lontano da standard minimi di protezione per chi investe. Il rischio per il retail è evidente: ciò che sembra un investimento nel futuro tecnologico è, in realtà, spesso l’acquisto indiretto di un debito verso i finanziatori della prima ora.

La domanda che resta aperta è se i regolatori riusciranno a trasformare questo Far West in un mercato più maturo, prima che i piccoli risparmiatori paghino il prezzo più alto.


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Hollywood contro l’IA cinese: Disney, Universal e Warner citano in giudizio MiniMax

Los Angeles, 17 settembre 2025 – Hollywood alza il livello dello scontro contro le aziende dell’intelligenza artificiale accusate di sfruttare opere protette senza autorizzazione. Nel mirino è finita MiniMax, giovane start up di Shanghai valutata 3 miliardi di dollari e sostenuta da colossi come Alibaba, che punta alla quotazione in Borsa ma ora deve difendersi da una causa legale presentata in California da Disney, Universal e Warner Bros Discovery.

Secondo la denuncia, MiniMax avrebbe costruito la sua app di punta, Hailuo AI, sfruttando personaggi iconici come Darth Vader, i Minions, Wonder Woman e Shrek, utilizzati per generare immagini e video ad alta definizione marchiati con il logo dell’azienda. Non solo: la start up avrebbe promosso i propri servizi negli Stati Uniti lasciando intendere un’approvazione inesistente da parte dei titolari dei diritti.

«MiniMax ignora completamente la legge statunitense sul copyright e tratta i personaggi dei querelanti come se fossero propri», si legge nell’atto di citazione. Una linea durissima, che segue i precedenti già avviati contro Midjourney, accusata dello stesso approccio nell’addestramento dei propri algoritmi.

Il modello MiniMax: “Hollywood in tasca”

Fondata appena quattro anni fa, MiniMax ha già conquistato milioni di utenti in oltre 200 Paesi, proponendo un modello semplice: un abbonamento mensile che promette “Hollywood in tasca”. Una formula che a Los Angeles è suonata come una provocazione, soprattutto perché Hailuo AI è considerata tra le applicazioni più avanzate per la generazione di video realistici, capace di competere con rivali del calibro di Midjourney o Kling.

La controffensiva Disney

Mentre combatte in tribunale, Disney non resta alla finestra. La multinazionale ha annunciato il lancio di una nuova piattaforma, in collaborazione con Webtoon Entertainment, che metterà a disposizione oltre 35mila fumetti Marvel e Star Wars. Contestualmente, Disney acquisirà il 2% della società coreano-americana, con l’obiettivo di consolidare la propria presenza tra i giovani lettori digitali e rafforzare un ecosistema sempre più integrato tra streaming, sport e fumetti.

La posta in gioco

Il caso MiniMax evidenzia la crescente tensione tra creatività tradizionale e tecnologie emergenti. Da un lato, gli studios temono una deriva di “pirateria digitale” che minacci la tutela del copyright; dall’altro, start up come MiniMax cavalcano la rivoluzione generativa per conquistare pubblico e capitali.

La battaglia legale californiana sarà uno dei primi veri banchi di prova per capire come i tribunali affronteranno l’impatto dell’intelligenza artificiale sui diritti d’autore e, di riflesso, sul futuro dell’industria culturale globale.


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Mobilità sostenibile, gli italiani restano legati all’auto: solo il 10% comprerebbe un’elettrica

Roma, 17 settembre 2025 – L’Italia sogna una mobilità più verde, ma resta fortemente legata alle quattro ruote tradizionali. È quanto emerge dall’indagine sulla mobilità sostenibile condotta dall’Istituto Piepoli, presentata all’ECO Festival della mobilità sostenibile e delle città intelligenti, organizzato in concomitanza con la Settimana europea della mobilità.

Secondo il sondaggio, il 77% degli italiani considera l’auto il mezzo di riferimento, mentre soltanto il 10% si dice pronto ad acquistare un veicolo elettrico, nonostante il 38% ritenga che tra dieci anni sarà il mezzo più diffuso. L’indice di mobilità sostenibile elaborato dal report si ferma a 66 su 100, con valori più alti tra i giovani e nelle grandi città.

Auto sì, trasporto pubblico poco

Il 65% del campione dichiara di essere dipendente dall’auto, mentre solo il 19% utilizza con regolarità il trasporto pubblico. Sei italiani su dieci percepiscono l’esistenza di alternative sostenibili nella propria area, ma le differenze territoriali restano significative.

Il nodo elettrico

Fra gli scettici verso l’auto elettrica, il 55% indica il prezzo elevato come principale ostacolo, il 43% teme la scarsa autonomia, il 19% considera eccessivo il fabbisogno energetico e il 17% teme rischi di incidenti legati alle batterie. Sulle infrastrutture, solo il 21% giudica sufficienti e accessibili le colonnine di ricarica.

Le voci del governo

Nel suo intervento, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha ipotizzato una revisione degli obiettivi UE: “Entro il 2035 non avremo solo l’elettrico, ma anche altre tecnologie come idrogeno e biometano. Va superato il no ideologico ai biocarburanti”.
Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha sottolineato il problema dell’età media del parco auto italiano, ormai salita a 13 anni: “Decarbonizzare è una sfida enorme, ma va affrontata in modo realistico, senza penalizzare la sostenibilità sociale ed economica del Paese”.

Merci, rifiuti e incentivi

Il sondaggio evidenzia anche l’importanza della transizione nel trasporto merci, ritenuta prioritaria dall’84% degli intervistati, con il trasporto intermodale ferroviario indicato come soluzione ottimale da 7 italiani su 10.
Sul fronte rifiuti, l’80% giudica efficace la raccolta differenziata nel proprio territorio, ma il 56% chiede più impegno su prevenzione e riuso.

Quanto agli strumenti per accelerare la transizione, i cittadini invocano soprattutto nuovi incentivi economici (36%) e un rafforzamento del trasporto pubblico locale (33%). Ma solo un italiano su tre ritiene adeguate le misure attualmente in vigore.


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AI, il costo nascosto dell’innovazione: i chip del futuro consumeranno fino a 15mila watt a modulo

L’intelligenza artificiale corre veloce, ma dietro ai progressi straordinari delle sue applicazioni si nasconde una sfida colossale: l’energia. Secondo un nuovo studio del TeraByte Interconnection and Package Laboratory (TeraLab) del Kaist in Corea del Sud, i chip di nuova generazione potrebbero arrivare a consumare fino a 15.360 watt per singolo modulo entro il 2035, spingendo al limite le infrastrutture di alimentazione e raffreddamento.

La ragione è l’evoluzione della memoria ad alta larghezza di banda (Hbm), che passerà da Hbm4 nel 2026 a Hbm8 nel 2038. Ogni passo garantirà più potenza di calcolo, ma a costo di un fabbisogno energetico esponenziale. Già nel 2026 le GPU arriveranno a 800 watt, per poi toccare 1.200 watt entro il 2035. Accoppiate con 32 stack Hbm da 180 watt ciascuno, il consumo di un singolo modulo raggiungerà i 15 kW.

Il nodo dei data center

Per i grandi modelli linguistici e i sistemi fondativi di IA, questi numeri rappresentano un punto critico. Il Dipartimento dell’Energia USA stima che il raffreddamento costituisce già il 40% dei consumi dei data center, e i chip di prossima generazione spingeranno ancora più in alto la soglia. Le conseguenze vanno ben oltre il design dei processori: dalla distribuzione di potenza a livello di rack, fino alla pianificazione delle reti elettriche e degli impianti di raffreddamento.

Alcune città, come Dublino, hanno già imposto moratorie sui nuovi data center, mentre Francoforte e Singapore stanno affrontando gravi limiti di capacità. Un singolo modulo da 15 kW acceso in continuo può costare fino a 20mila dollari l’anno solo di energia elettrica, senza contare i sistemi di raffreddamento.

L’energia come nuovo parametro di competitività

Se in passato la metrica chiave era la velocità di calcolo, oggi la sfida è l’accesso alla potenza elettrica. Le regioni con abbondanza di energia – come i Paesi nordici, il Midwest americano o gli Stati del Golfo – diventano poli attrattivi per l’IA. Al contrario, aree con reti sature rischiano di trasformarsi in “deserti dell’intelligenza artificiale”.

Il caso italiano

In Italia, la situazione non è meno delicata. Al 30 giugno 2025 la capacità di generazione nazionale era di circa 120 GW, ma già oggi emergono tensioni: le richieste di connessione da parte degli impianti rinnovabili saturano virtualmente la rete, mentre le aree metropolitane – in particolare Milano e la Lombardia – soffrono colli di bottiglia nelle cabine primarie. Qui la domanda crescente dei data center rischia di superare le capacità di prelievo.

Una questione nazionale

Garantire al Paese competitività nell’era dell’IA significa elaborare un nuovo patto nazionale sull’energia e le infrastrutture digitali. Un piano che anticipi le necessità future e non rincorra emergenze, evitando il rischio di ritardi strutturali che potrebbero tradursi in disuguaglianze e deindustrializzazione.

Il messaggio per le aziende è chiaro: nell’era dell’intelligenza artificiale, il vero limite non sarà il numero di operazioni al secondo, ma i kilowatt disponibili.


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Cybersecurity, 1,5 miliardi per trasformare le start up in campioni globali

Roma, 17 settembre 2025 – Un miliardo e mezzo di euro per dare forza alle idee e far correre le imprese italiane della cybersicurezza. È l’asse portante del Piano per l’industria cyber, messo a punto dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) insieme al Dipartimento per la trasformazione digitale e ai ministeri delle Imprese, dell’Università e degli Esteri.

L’obiettivo è chiaro: accompagnare start up e PMI, spesso nate da intuizioni brillanti ma con pochi mezzi, verso una crescita solida, fino a farne attori competitivi a livello internazionale. Per questo nasce il Cyber Innovation Network, una vera e propria “palestra” dove testare idee e prototipi, verificarne la sostenibilità tecnica ed economica e prepararli al mercato.

I capitali in campo

Il motore finanziario sarà alimentato dal Fondo nazionale innovazione, gestito da Cdp Venture Capital, che mette sul piatto 1,45 miliardi di euro. Una quota significativa è destinata alla cybersecurity, con investimenti sia nelle fasi iniziali sia nei percorsi di espansione delle imprese non ancora quotate ma con forte potenziale. A questo si aggiungono i programmi europei Digital Europe e Horizon Europe, che nel biennio 2023-2024 hanno già mobilitato 375 milioni e che continueranno a sostenere il settore nel triennio 2025-2027.

La sfida internazionale

Il Piano non punta solo a far nascere nuove imprese, ma anche a proiettarle all’estero. Tre gli obiettivi dichiarati: rafforzare la resilienza del Paese, aumentare l’autonomia tecnologica e rendere le aziende italiane competitive sui mercati globali.

Due gli strumenti principali:

  • il Global Start up Programme, promosso dal Ministero degli Esteri e gestito da Ice, che offre percorsi di formazione, mentoring, incontri con investitori e occasioni di networking internazionale;

  • il Centro di Innovazione Italiano a San Francisco, punto di riferimento negli Stati Uniti per start up e PMI che vogliono confrontarsi con il cuore dell’ecosistema tecnologico globale.

Una filiera integrata

L’idea di fondo è costruire per la prima volta una filiera completa: dalla ricerca ai finanziamenti, fino alla proiezione internazionale. Non bastano più i laboratori e le buone idee, servono capitali, sostegno strutturato e strumenti per crescere all’estero.

Il Piano, con i suoi 1,5 miliardi di euro, segna un passaggio strategico: la cybersicurezza diventa settore prioritario di investimento, con l’ambizione di trasformare le intuizioni fragili di oggi nei campioni nazionali e globali di domani.


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AI, l’Italia vara la sua legge nazionale: tra diritti, sicurezza e un miliardo per le imprese

Roma, 17 settembre 2025 – Dopo tre passaggi parlamentari e un percorso lungo oltre un anno, l’Italia è pronta a dotarsi di una legge organica sull’intelligenza artificiale. Il Senato si appresta a dare il via libera definitivo al disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri nell’aprile 2024, che contiene deleghe al governo e misure di immediata applicazione per regolare ricerca, sviluppo e utilizzo dei sistemi di IA.

La norma – composta da 28 articoli – rappresenta il primo passo verso un allineamento con l’AI Act europeo, che dovrà avvenire entro dodici mesi con uno o più decreti legislativi. L’obiettivo dichiarato è duplice: garantire la competitività delle imprese e al tempo stesso tutelare cittadini e lavoratori da usi distorti o illeciti.

Il testo affida ad AgID e all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale il ruolo di autorità di riferimento, mantenendo però le competenze di Bankitalia, Consob, Ivass e Agcom. Una scelta che ha sollevato critiche dalle opposizioni, che avrebbero preferito un’autorità indipendente. Sul fronte economico, il governo stanzia 1 miliardo di euro attraverso il Fondo di sostegno al venture capital gestito da Cdp Venture Capital, destinato a PMI e grandi imprese attive in IA, cybersicurezza, tecnologie quantistiche e telecomunicazioni.

Le regole settoriali

In sanità, l’intelligenza artificiale potrà essere utilizzata come supporto a diagnosi e cure, ma la decisione finale resterà al medico. I pazienti dovranno essere sempre informati.
Nel lavoro, è previsto un Osservatorio nazionale con compiti di monitoraggio e l’obbligo, per committenti e datori di lavoro, di avvisare i dipendenti quando viene usata l’IA. Lo stesso dovere di informazione varrà per i professionisti verso i clienti.
Per i minori di 14 anni, l’uso dei sistemi sarà consentito solo con il consenso dei genitori.

Le novità in giustizia e copyright

Il Codice penale sarà aggiornato con un nuovo reato: la diffusione illecita di contenuti generati o manipolati da IA, punito con la reclusione da 1 a 5 anni. L’uso “insidioso” dell’intelligenza artificiale diventerà inoltre un’aggravante in vari reati, dalla truffa al riciclaggio. In ambito civile e amministrativo, il ministero della Giustizia riceve una delega per predisporre strumenti cautelari che consentano di bloccare e rimuovere contenuti generati in modo illecito.

Quanto al diritto d’autore, il legislatore sceglie un approccio prudente per non sovrapporsi alla normativa europea: le opere realizzate con il contributo dell’IA saranno protette, purché vi sia un apporto creativo umano, mentre l’uso di contenuti protetti sarà consentito solo in assenza di copyright o per fini di ricerca scientifica e culturale.

“Con questa legge – ha commentato il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti – l’Italia si allinea al quadro europeo, rafforza trasparenza e sicurezza e offre al settore un miliardo di investimenti. È un passo importante per innovare con regole chiare e certe”.


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Riscossione, la Commissione propone lo stralcio di 408 miliardi e più poteri di accesso ai conti correnti

Roma, 17 settembre 2025 – Una montagna di debiti fiscali mai riscossi, che pesa per 1.272 miliardi di euro, rischia di travolgere il sistema della riscossione. La Commissione tecnica istituita per analizzare il “magazzino” dell’ex Equitalia propone un taglio radicale: cancellare 408,5 miliardi di crediti ritenuti irrecuperabili e rafforzare allo stesso tempo i poteri dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione per colpire chi evade davvero.

Secondo i dati presentati, le cartelle destinate a essere stralciate riguardano 9,3 milioni di contribuenti e oltre 27 milioni di posizioni, con una media di 44mila euro a testa. Si tratta in gran parte di somme riferite a persone fisiche decedute, società cancellate, soggetti falliti o posizioni ormai prescritte. A pagare il prezzo più alto sarebbe l’Erario, con oltre 347 miliardi di euro da eliminare, ma anche INPS (38 miliardi) e Comuni (5 miliardi) dovrebbero rinunciare a incassi ormai considerati solo teorici.

La relazione della Commissione non si limita allo “sfoltimento” dei conti. Viene tracciata una vera e propria strategia per il futuro:

  • Accesso esteso ai dati bancari, non solo per verificare l’esistenza di un conto ma anche la sua effettiva consistenza, pur nel rispetto della privacy;

  • Utilizzo dei dati della fatturazione elettronica, così da pignorare crediti vantati dai contribuenti verso terzi in modo rapido e mirato;

  • Digitalizzazione delle notifiche tramite piattaforma SEND, con riduzione degli adempimenti preliminari;

  • Limiti all’uso dilatorio delle rateizzazioni, spesso usate solo per guadagnare tempo;

  • Rafforzamento degli organici dell’Agenzia, con l’assunzione di personale specializzato in materia informatica e gestionale.

Un passaggio centrale riguarda la programmazione dei controlli: troppo spesso, come rilevato dalla Corte dei conti, le verifiche si concentrano su soggetti che finiscono per non pagare, rendendo inefficace l’impiego delle risorse. Nel 2023 quasi il 40% delle maggiori imposte accertate riguardava contribuenti che non avevano né aderito né contestato, con il risultato di cartelle destinate a restare inevase.

Per la Commissione, dunque, occorre cambiare radicalmente approccio: dare priorità a chi può realmente pagare e archiviare rapidamente le posizioni senza chance di incasso. Solo così, sostengono i tecnici, sarà possibile liberarsi da un sistema che negli ultimi vent’anni ha prodotto un arretrato enorme e reso la riscossione inefficace.

La palla ora passa alla politica, che dovrà decidere se seguire la strada indicata dai tecnici o continuare con le periodiche “rottamazioni delle cartelle”. Con una certezza: senza una riforma strutturale, il rischio è di accumulare nuovo debito mentre si cerca di cancellare quello vecchio.

Riscossione, svolta sui crediti inesigibili: stralcio da 408 miliardi e accesso ai conti correnti
La relazione della commissione tecnica propone pignoramenti più rapidi grazie ai dati della fattura elettronica e priorità ai debitori realmente solvibili

Il magazzino della riscossione potrebbe presto alleggerirsi di un peso enorme: 408,5 miliardi di crediti ormai giudicati irrecuperabili, accumulati in oltre 27,6 milioni di cartelle esattoriali a carico di circa 9,3 milioni di contribuenti. Una media di 44mila euro a testa che, secondo la commissione tecnica incaricata di elaborare proposte, rappresenta un fardello ingestibile e destinato a non produrre mai entrate effettive per lo Stato.

La relazione finale, appena completata, indica due linee di azione. Da un lato, lo stralcio dei crediti inesigibili, così da liberare risorse e concentrare l’attività della riscossione su posizioni realisticamente esigibili. Dall’altro, un deciso rafforzamento degli strumenti investigativi e operativi a disposizione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione: accesso alla Superanagrafe dei conti correnti, consultazione massiva dei rapporti finanziari e utilizzo dei dati della fattura elettronica per intercettare eventuali crediti vantati dal contribuente verso terzi, così da procedere immediatamente al pignoramento.

La strategia punta a rendere la riscossione più rapida e mirata: niente più atti di intimazione multipli, notifiche digitali attraverso la piattaforma SEND, e limiti all’abuso delle rateizzazioni, spesso usate solo per rinviare i pagamenti.

Secondo la commissione, occorre anche cambiare approccio nella programmazione dei controlli: concentrare le verifiche su soggetti realmente in grado di versare quanto dovuto ed evitare di disperdere energie su posizioni destinate a rivelarsi infruttuose. Non a caso, i dati della Corte dei conti mostrano come nel 2023 quasi il 40% delle maggiori imposte accertate derivasse da contribuenti che poi non hanno né aderito né contestato gli accertamenti, finendo col lasciare in sospeso debiti difficilmente esigibili.

Il risultato atteso? Una riscossione meno dispersiva, capace di colpire chi può pagare davvero, liberando al contempo il sistema da un enorme “magazzino” di cartelle fantasma che finora hanno solo ingolfato i bilanci dello Stato.


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Anomalie Servizi PCT – Consultazione

15Si comunica che a causa di anomalie da parte del Sistema Ministeriale (non di Servicematica), si stanno verificando delle interruzioni temporanee nei sistemi di consultazione dei fascicoli telematici.

Consigliamo di ripetere l’operazione in un secondo momento, se non dovesse andare a buon fine.

Non ci sono comunicazioni da parte del Ministero sulle tempistiche di risoluzione del problema.

Ricordiamo che sarà possibile depositare telematicamente con Service1 seguendo l’apposita guida al seguente link LINK GUIDE


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Roma. Non è un precedente vincolante, ma la sentenza depositata dalla Corte di Cassazione rischia di segnare una svolta nel delicato tema delle occupazioni abusive. I giudici del terzo grado hanno stabilito che la presenza di minori o di persone vulnerabili all’interno di un immobile occupato non può essere motivo sufficiente per sospendere a tempo indeterminato l’esecuzione di uno sfratto.

Il caso riguarda una donna di Firenze, proprietaria di un capannone di circa 700 metri quadrati, occupato abusivamente da una trentina di persone fin dal 2013. Nonostante le ordinanze di sgombero, l’esecuzione è stata rinviata per anni a causa della presenza, tra gli occupanti, di bambini e disabili. Solo nel 2018 il Comune aveva proposto una sistemazione alternativa, ma nel frattempo la proprietaria aveva subito pesanti danni economici: avrebbe voluto ristrutturare e affittare l’immobile.

La decisione della Suprema Corte

Accogliendo il ricorso, i giudici hanno stabilito un principio chiaro: il proprietario non può farsi carico delle emergenze sociali, che spettano invece allo Stato e agli enti pubblici affrontare. «La pubblica amministrazione tiene una condotta illecita se ritarda o rifiuta di dare esecuzione a un provvedimento giudiziario», hanno scritto i magistrati.

La conseguenza è stata la condanna al risarcimento: alla donna dovranno essere riconosciuti oltre 180 mila euro per il danno subito in cinque anni di mancato utilizzo dell’immobile.

Implicazioni per il futuro

La sentenza non crea diritto nuovo – l’Italia non è un Paese di common law – ma rappresenta una forte indicazione per giudici, ufficiali giudiziari e pubbliche amministrazioni. Potrà dunque essere richiamata in casi analoghi, rafforzando la tutela della proprietà privata e limitando la prassi dei rinvii sine die quando si tratta di famiglie con minori.

Resta fermo che la questione abitativa è un problema sociale serio, ma la Cassazione ha ribadito che non può essere scaricato sui singoli cittadini, già tenuti a contribuire con la tassazione.


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Un riconoscimento della capacità italiana è arrivato anche dall’estero: poche settimane fa, il governo francese ha concesso ad Avio, società privata italiana, la licenza decennale per gestire i lanci del razzo Vega dal centro spaziale della Guyana francese, al fianco della storica Arianespace.

Una cornice internazionale e un primato europeo

La normativa italiana si fonda sul principio cardine fissato dall’articolo VI dell’Outer Space Treaty del 1967: ciascuno Stato deve garantire che i propri operatori privati rispettino le norme applicabili alle attività spaziali. Con la legge 89/2025, l’Italia ha colmato un vuoto normativo e, di fatto, anticipato l’Unione Europea, che solo lo scorso giugno ha presentato la proposta di regolamento European Space Act. Quest’ultima, però, non entrerà in vigore prima del 2030, mentre l’Italia ha già posto le basi di un sistema nazionale operativo.

La legge introduce requisiti stringenti di sostenibilità, elevati standard di sicurezza e un regime di autorizzazioni pensato per integrare pubblico e privato. Tuttavia, molte questioni cruciali sono rinviate ai decreti attuativi, ancora in fase di elaborazione.

I nodi irrisolti

Tre sono le principali criticità aperte.

  1. Il confine tra spazio e atmosfera.
    La linea di Kármán, a 100 km sopra il livello del mare, è generalmente considerata il limite tra aeronautica e spazio. Ma la realtà è più complessa: la legge italiana classifica come spaziali le piattaforme stratosferiche (che operano tra i 18 e i 50 km) e sembra includere anche i voli suborbitali, destinati a decollare e atterrare dagli spazioporti. Un settore, questo, dove l’Italia gioca d’anticipo: l’Enac ha firmato un accordo con Virgin Galactic per i voli dal futuro spazioporto di Grottaglie, in Puglia. Resta però da chiarire chi avrà la competenza regolatoria definitiva: Asi o Enac?

  2. L’ambito di applicazione territoriale.
    La legge italiana adotta un doppio criterio: autorizza sia le attività spaziali svolte sul territorio nazionale, indipendentemente dalla nazionalità dell’operatore, sia quelle condotte da operatori italiani all’estero. Una scelta che amplia la giurisdizione, avvicinando l’Italia alla Francia, ma diversa dall’approccio olandese, che applica il criterio territoriale in modo più restrittivo.

  3. Il coordinamento con altre leggi nazionali.
    Resta complesso armonizzare la disciplina spaziale con norme già vigenti come la legge 241/1990 sul procedimento amministrativo e il Decreto legge 21/2012 sul golden power, che attribuisce al governo poteri speciali in settori strategici. La convivenza tra queste norme e la legge 89/2025 dovrà essere chiarita con i decreti attuativi.

Una sfida di governance globale

Il cammino dell’Italia nel diritto dello spazio rappresenta un passo decisivo per governare un settore in rapida espansione, la cosiddetta space economy, che ormai vale centinaia di miliardi a livello mondiale. Le regole non hanno soltanto una funzione tecnica, ma anche geopolitica: garantire trasparenza e sicurezza significa infatti incidere sugli equilibri futuri tra Stati, agenzie e operatori privati.

Con la legge 89/2025 l’Italia ha scelto di collocarsi in posizione di avanguardia, ma molto dipenderà dalla rapidità e dall’efficacia con cui verranno sciolti i nodi ancora irrisolti. Perché nello spazio, più che altrove, le regole sono il vero motore che decide chi può correre e chi resta indietro.


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