Nordio: «Giustizia più efficiente per un’Italia più competitiva»

Una giustizia più rapida, moderna e indipendente per rilanciare l’economia nazionale. È questa la visione al centro della riforma costituzionale promossa dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che, in un’intervista a margine della celebrazione per il 44° anniversario del quotidiano economico, ha spiegato come i principali interventi normativi in cantiere siano pensati non solo per rafforzare lo Stato di diritto, ma anche per rendere l’Italia più attrattiva agli occhi degli investitori internazionali.

Separazione delle carriere e giudice terzo

Il punto cardine resta la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, considerata essenziale per assicurare la piena imparzialità del giudice e garantire quella distanza istituzionale che, secondo Nordio, è necessaria per tutelare il principio del giusto processo.

«La riforma – spiega il Guardasigilli – punta a liberare la magistratura dai condizionamenti interni, riducendo il peso delle correnti e rafforzando la fiducia dei cittadini nella terzietà del giudice». Una misura che, secondo il ministro, non indebolisce il sistema, ma lo rende più trasparente e coerente con le migliori pratiche europee.

Processo più veloce, Stato più competitivo

Altro tassello fondamentale è la riduzione dei tempi processuali, tanto nel civile quanto nel penale. Il ministro rivendica i progressi già compiuti e annuncia ulteriori interventi per tagliare i tempi della giustizia. «Abbattere i ritardi significa dare certezze a cittadini e imprese», osserva Nordio. «Una giustizia che funziona è un incentivo diretto per chi vuole investire nel nostro Paese».

La svolta digitale

Accanto agli interventi ordinamentali, la riforma prevede anche un forte potenziamento della digitalizzazione del sistema giudiziario. «La piena efficienza – sottolinea il ministro – non può prescindere dall’adeguamento tecnologico. Abbiamo già avviato un piano per informatizzare i procedimenti e semplificare l’accesso ai servizi giudiziari, a beneficio anche delle pubbliche amministrazioni».

Una modernizzazione che non riguarda solo gli uffici giudiziari, ma l’intero impianto organizzativo del Ministero della Giustizia, che punta a divenire un modello di efficienza nel contesto della pubblica amministrazione.

Carceri e legalità diffusa

Il ministro ha ribadito anche l’impegno nella lotta al sovraffollamento carcerario, altro punto critico del sistema giustizia. In questo senso, la riforma prevede un insieme di misure volte a coniugare rigore, sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali.

Il dialogo con Anm e Csm

Sulle critiche mosse dall’Associazione Nazionale Magistrati e sul dibattito interno al Consiglio Superiore della Magistratura, Nordio tende la mano: «Il confronto è sempre aperto. Nonostante le divergenze, il rapporto con Anm e Csm è costante e cordiale. Tutti condividiamo l’obiettivo di rafforzare la giustizia italiana».


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Assegno di inclusione, nessuna interruzione: arriva il bonus ponte fino a 500 euro

L’assegno di inclusione non si ferma: chi chiederà il rinnovo dopo i primi 18 mesi di percezione non dovrà più affrontare un mese di sospensione. Grazie a un emendamento al decreto-legge n. 92/2025 (Dl Ilva), appena approvato dalla Camera con voto di fiducia, i beneficiari riceveranno un contributo straordinario fino a 500 euro, pari all’importo della prima mensilità del rinnovo. Una misura pensata per evitare vuoti di copertura economica in attesa della ripresa regolare dell’erogazione.

Il bonus una tantum sarà destinato ai nuclei familiari che, verificati i requisiti, presenteranno istanza di rinnovo dell’Adi per altri 12 mesi entro i termini previsti. Il pagamento avverrà insieme alla prima mensilità del rinnovo, entro il mese di dicembre.

Un ponte tra i due cicli di erogazione

L’Adi, operativo da gennaio 2024, ha raggiunto a giugno il primo traguardo dei 18 mesi di durata previsti. Gli attuali beneficiari, avvisati tramite sms dall’INPS, potranno presentare domanda di rinnovo dal 1° luglio. In base alla normativa, senza la misura-ponte appena introdotta, la nuova erogazione sarebbe partita da agosto solo per chi avesse presentato la domanda entro il 31 luglio, con un mese di stop nel mezzo. Ora, invece, il contributo straordinario eliminerà ogni soluzione di continuità, garantendo un doppio importo nel primo mese utile del rinnovo.

Caldo estremo e lavoro: nuove deroghe sulla Cig

Lo stesso provvedimento introduce misure eccezionali per fronteggiare le emergenze climatiche, in particolare le ondate di calore. Tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2025, le imprese potranno accedere alla Cassa integrazione ordinaria (Cigo) senza incorrere nei consueti vincoli temporali:

  • sarà possibile presentare nuove domande anche se si sono già raggiunte le 52 settimane continuative di Cig;
  • sarà rimosso il limite delle 52 settimane in un biennio mobile;
  • non sarà dovuto il contributo addizionale (normalmente tra il 9% e il 15%).

Un’estensione riguarda anche la Cisoa, la cassa per i lavoratori agricoli, applicabile in caso di riduzioni dell’attività causate da intemperie stagionali, anche ai dipendenti a termine.

Prolungamenti anche per la Cigs

La Cassa integrazione straordinaria (Cigs) è stata prorogata fino al 2027 per le aziende con accordi sottoscritti entro il 26 giugno 2025. Inoltre, per il solo anno 2025, le imprese con meno di 15 dipendenti potranno beneficiare di 12 settimane aggiuntive di Cig e Cigs tra il 1° febbraio e il 31 dicembre, senza obbligo di versare il contributo addizionale.


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Dazi USA, via libera da Trump: ora l’Italia cerca esenzioni per salvare le imprese

Dopo una giornata di attesa e incertezza, nella notte è arrivata la firma di Donald Trump: il presidente statunitense ha dato ufficialmente attuazione all’accordo commerciale con l’Unione europea, riducendo dal 20 al 15% le tariffe sulle importazioni americane di prodotti europei, compresi auto e componenti. Il provvedimento, effettivo dal 1° agosto, segna l’avvio concreto dell’intesa stretta pochi giorni fa con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

A Palazzo Chigi si tirano le prime somme, con l’attenzione ora rivolta alla “seconda fase” della trattativa: quella sulle esenzioni e regimi speciali. Per il governo italiano, è qui che si gioca la partita più delicata per tutelare le imprese nazionali da un impatto economico che, secondo stime della Cdp, potrebbe comunque restare contenuto, attorno ai 4 miliardi di euro.

Un danno contenuto, ma non trascurabile

Se da un lato la riduzione dei dazi rappresenta un sollievo parziale, il rischio per alcuni settori resta. Al momento, non risultano pronti piani di compensazione per le aziende danneggiate, anche perché il governo aspetta di vedere le mosse di Bruxelles prima di intervenire in modo diretto.

Ciononostante, si intravede una possibile finestra di opportunità: rispetto ad altri Paesi esportatori come l’India, che continuerà a subire tariffe del 35%, l’Italia potrebbe guadagnare quote di mercato nei settori dove le esportazioni sono più competitive.

L’Italia guarda alle clausole speciali

La priorità, per Farnesina, MEF e Ministero delle Imprese, è ottenere deroghe e regimi agevolati per i comparti più sensibili. In cima alla lista ci sono prodotti agricoli e farmaci, anche se le speranze di esenzione per il vino sembrano già ridotte al minimo.

Sulle materie prime, invece, come acciaio e alluminio, l’ordine esecutivo prevede ancora dazi molto pesanti, fino al 50%. Da qui la necessità, secondo Palazzo Chigi, di far ripartire al più presto il negoziato con Washington per modulare gli effetti delle nuove misure.

Tajani: «L’euro forte è il vero problema»

Nel frattempo, dalla diplomazia economica arrivano richieste precise anche all’Europa. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani chiede una svolta nella politica monetaria europea: «La BCE deve agire per svalutare l’euro rispetto al dollaro. Il cambio troppo forte è un danno maggiore dei dazi».

Sulla stessa linea anche l’altro vicepremier, Matteo Salvini, che torna a criticare il Green Deal europeo, definendolo un ostacolo aggiuntivo in un contesto già difficile per le imprese.

Attese da Bruxelles

In assenza di una risposta concreta da parte dell’UE, il governo italiano frena sul varo di eventuali sostegni nazionali alle imprese colpite. L’idea di un allentamento del regime sugli aiuti di Stato, per quanto invocata da più fronti, non entusiasma Roma, preoccupata per i costi e i vincoli che ne deriverebbero.

Per ora, dunque, la linea è chiara: limitare i danni attraverso una trattativa serrata con le autorità americane e fare pressione su Bruxelles per ottenere strumenti efficaci e immediati. La partita commerciale è appena cominciata.


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Licenziamenti dei dirigenti durante il Covid: per la Consulta sono legittimi

I licenziamenti individuali dei dirigenti effettuati durante la vigenza del blocco generalizzato per l’emergenza Covid non violano la Costituzione. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 141 depositata il 31 luglio 2025, respingendo le questioni sollevate da diversi organi giurisdizionali – tra cui la Corte di Cassazione e la Corte d’appello di Catania – in merito alla legittimità dell’esclusione dei dirigenti dalla moratoria emergenziale sui recessi per giustificato motivo oggettivo.

Durante la fase più acuta della pandemia, il legislatore aveva introdotto un divieto temporaneo di licenziamento per giustificato motivo oggettivo applicabile a tutti i lavoratori subordinati, ad eccezione, appunto, dei dirigenti. Una scelta che ha suscitato dubbi di costituzionalità, ritenuta da alcuni giudici in contrasto con l’articolo 3 della Carta per l’evidente disparità di trattamento rispetto agli altri lavoratori, destinatari di una tutela estesa anche ai recessi individuali.

Una tutela differenziata, ma coerente

La Corte costituzionale ha riconosciuto la peculiarità del rapporto dirigenziale, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il dirigente è un soggetto distinto dalle categorie di impiegati, quadri e operai, in quanto “alter ego dell’imprenditore” e portatore di responsabilità e prerogative diverse. Proprio in virtù di questo status, la disciplina emergenziale ha previsto per i dirigenti una tutela modulata, differente da quella applicata al restante personale.

Una decisione che, secondo i giudici della Consulta, rientra pienamente nel margine di discrezionalità del legislatore e non presenta profili di irragionevolezza manifesta. La norma, infatti, risponde ai requisiti fondamentali di temporaneità, eccezionalità e proporzionalità, richiesti per le misure adottate in contesti straordinari.

Nessuna disparità irragionevole

Nel motivare la legittimità dell’esclusione, la Corte ha sottolineato che per i lavoratori non dirigenti era stato introdotto un ammortizzatore sociale ad hoc, la Cassa integrazione Covid-19, che ha permesso alle imprese di contenere l’impatto economico del blocco dei licenziamenti. Tale misura, tuttavia, non era applicabile ai dirigenti, il cui costo è rimasto interamente a carico delle aziende.

In questo quadro, l’eccezione rappresentata dai dirigenti è risultata coerente con la logica complessiva dell’intervento normativo: l’obiettivo non era una tutela universale indistinta, ma una protezione calibrata sulle diverse tipologie di rapporto di lavoro, anche alla luce degli strumenti di sostegno disponibili.

La parola definitiva della Consulta

La sentenza mette dunque fine a un dibattito acceso che ha interessato numerosi contenziosi in sede giudiziaria. La Corte costituzionale ha ribadito che, anche in situazioni straordinarie, la differenziazione normativa è ammissibile quando si fonda su elementi oggettivi e ragionevoli.

La scelta di escludere i dirigenti dal blocco dei licenziamenti individuali, dunque, non solo è compatibile con i principi costituzionali, ma è anche il frutto di una valutazione fondata sull’equilibrio tra diritti dei lavoratori e sostenibilità economica per le imprese. Una linea, quella seguita dal legislatore, che trova oggi piena conferma anche da parte del giudice delle leggi.


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Giustizia e Intelligenza Artificiale: il giudice resta umano, ma l’Ia cambia tutto

Negli uffici giudiziari italiani, così come negli studi legali, è in atto una trasformazione silenziosa ma profonda: l’intelligenza artificiale (IA) è entrata in aula. E non solo come tema di dibattito. L’organizzazione dei ruoli, la ricerca giurisprudenziale, la redazione di atti e pareri, l’analisi dei fascicoli: sono sempre più numerose le attività in cui i nuovi strumenti digitali forniscono supporto concreto a magistrati, avvocati e cancellieri.

Un cambiamento che promette velocità, efficienza e razionalizzazione, ma che incontra un limite invalicabile: la decisione giuridica non può essere automatizzata. Lo stabilisce in modo chiaro l’AI Act europeo (Reg. UE 2024/1689), che entrerà pienamente in vigore nell’agosto 2026, e lo ribadisce il disegno di legge nazionale in discussione in Parlamento. Nessuna macchina, insomma, potrà mai sostituire il giudizio umano su fatti, prove e diritto.

L’ambito giudiziario, infatti, è stato classificato tra quelli a più alto rischio nel quadro europeo dell’intelligenza artificiale: richiede trasparenza, controllo e garanzie rafforzate. In gioco c’è l’equilibrio delicato tra efficienza tecnologica e tutela dei diritti fondamentali.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio è stato netto: «L’intelligenza artificiale va integrata con l’ingegno umano, non può mai diventarne surrogato». Il pericolo di manipolazione delle informazioni e distorsione della realtà è troppo alto per consentire scorciatoie automatizzate.

Una rivoluzione sotto sorveglianza

Pur con questi limiti, l’IA ha già trovato spazio operativo nella macchina della giustizia. Il disegno di legge nazionale ne prevede l’uso per attività ausiliarie e organizzative, come la gestione dei carichi di lavoro, l’ottimizzazione dei tempi dei procedimenti e la semplificazione delle attività amministrative.

Per guidare questo processo, il Ministero della Giustizia ha istituito un Osservatorio permanente e ha avviato programmi di formazione specifica per magistrati e personale amministrativo. «Non è una semplice attività formativa – ha dichiarato Antonio Mura, capo dell’ufficio legislativo – ma un passaggio strategico per acquisire controllo su uno strumento potente e potenzialmente rischioso».

I progetti in campo

Il cambiamento è già in corso. Il programma “Nemesis”, in uso presso l’Ispettorato generale, punta alla razionalizzazione interna dei flussi e delle banche dati. La “Piattaforma per le indagini”, pensata per supportare l’attività investigativa della polizia giudiziaria e dei PM, rappresenta un altro tassello importante.

Nel contesto del PNRR è stato sviluppato anche il progetto “Data Lake”, un sistema informativo centrale in grado di raccogliere e analizzare una vasta mole di dati giudiziari. L’IA in questo caso è utilizzata per migliorare la qualità dell’analisi, proteggere i dati sensibili (con tecniche di anonimizzazione e pseudonimizzazione) e affrontare in modo mirato fenomeni come la violenza di genere.

Tra le soluzioni più avanzate figura anche la Banca dati di merito, che grazie all’IA permette ricerche rapide tra i provvedimenti e la sintesi automatica delle sentenze. Il sistema viene inoltre utilizzato per monitorare i tempi di definizione dei procedimenti (disposition time), con l’obiettivo di raggiungere i target previsti dal PNRR.

L’esempio di Perugia

Non mancano sperimentazioni locali. Alla Procura generale di Perugia è stato sviluppato un sistema per la redazione dei mandati di arresto europeo. Il software, alimentato con i documenti dell’indagine, genera una bozza completa e modificabile in pochi minuti. «I tempi si riducono drasticamente – spiega il procuratore generale Sergio Sottani –. È chiaro che resta necessario il controllo umano, ma il risparmio operativo è evidente».

Il progetto, ormai a regime, è stato indicato come buona prassi e potrebbe essere esteso ad altri uffici giudiziari.


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Enti del Terzo Settore come nuovi protagonisti nella tutela delle fragilità

Un nuovo modello di amministrazione di sostegno prende forma grazie alla proposta di legge elaborata dalla Fondazione Terzjus, con il sostegno istituzionale del Cnel. Il fulcro dell’iniziativa è semplice quanto rivoluzionario: attribuire anche agli Enti del Terzo Settore (Ets) la possibilità di essere nominati amministratori di sostegno, in alternativa alle persone fisiche, per restituire al ruolo una funzione realmente sociale e integrata.

La proposta è stata presentata durante l’incontro “Amministrazione di sostegno e Terzo Settore. Sinergie per un sistema integrato di protezione giuridica e sociale”, ospitato proprio dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. A supporto della riforma, anche il report realizzato da Antonio Fici e Marco Renna per conto della Fondazione Ravasi Garzanti, che offre uno spaccato comparativo sul funzionamento dell’amministrazione di sostegno in sette paesi europei, con particolare attenzione a Austria e Germania, dove già oggi il giudice può affidare tale funzione a organizzazioni non profit.

«Gli enti del Terzo Settore – ha spiegato Fici – rappresentano attori credibili, privi di scopo di lucro e fortemente motivati a operare nell’interesse delle persone fragili. Dopo la riforma del 2017, sono strutture dotate di competenze organizzative e sensibilità sociale».

Un istituto da ripensare a vent’anni dalla sua nascita

L’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto nel 2004, nacque con l’intento di garantire un accompagnamento personalizzato alle persone parzialmente o totalmente prive di autonomia. Ma, come evidenzia Luigi Bobba, presidente di Terzjus, quell’intento originario si è progressivamente snaturato.

«Nel 65% dei casi oggi l’amministrazione di sostegno è ridotta a uno strumento di mera gestione patrimoniale», ha dichiarato Bobba. «Dei circa 400.000 soggetti coinvolti, almeno 260.000 hanno perso ogni capacità di autodeterminazione, e questo pone interrogativi sull’efficacia del modello attuale, reso ancora più fragile dalla lentezza della giustizia e dalla crescente pressione demografica legata all’invecchiamento della popolazione».

Da qui la necessità di un nuovo approccio. Secondo la proposta, modificando l’articolo 408 del codice civile, si potrebbero aprire ai giudici nuove possibilità di scelta, in cui gli Ets rappresentino una figura tutelare affidabile e qualificata, con solide basi etiche e strutture idonee a svolgere con continuità e competenza questo delicato compito.

Una riforma possibile su due binari

Oltre alla proposta autonoma presentata da Terzjus e Cnel, Bobba ha indicato anche un secondo possibile canale normativo: l’inserimento di un emendamento al disegno di legge delega n. 2393, già approvato in Senato e attualmente all’esame della Camera. Il ddl mira al superamento dell’interdizione in favore di un rafforzamento dell’amministrazione di sostegno, e potrebbe costituire il contesto ideale per includere anche il ruolo degli enti non profit come nuovi soggetti attivi.

Il sostegno del Governo: “Sfida cruciale per il Paese”

Durante l’evento ha preso la parola anche la ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, sottolineando l’importanza di un sistema che riconosca negli Ets interlocutori privilegiati. «Parliamo di realtà formate da persone che conoscono davvero il significato dell’accoglienza e della presa in carico, capaci di accompagnare i più fragili lungo tutto il loro percorso di vita, con competenze professionali e umane di altissimo livello».


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Privacy e concorrenza: una stretta di mano che tutela i dati e il mercato

Un’alleanza strategica si consolida tra due pilastri della tutela dei cittadini: l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), meglio nota come Antitrust, e il Garante per la protezione dei dati personali. I rispettivi presidenti, Roberto Rustichelli e Pasquale Stanzione, hanno firmato un protocollo d’intesa triennale che inaugura una nuova fase di cooperazione, con l’obiettivo di agire in modo più efficace e coordinato in aree di comune interesse.

Il fulcro dell’accordo risiede nello scambio reciproco di segnalazioni. Quando, nel corso di un’indagine, una delle due autorità dovesse rilevare una presunta violazione di competenza dell’altra, procederà prontamente a informarla. Questo meccanismo di “allerta incrociata” punta a colmare eventuali lacune e a garantire che ogni infrazione, che si tratti di concorrenza sleale o di una gestione scorretta dei dati, non passi inosservata.

Ma la collaborazione non si ferma qui. Le due istituzioni si impegnano a condividere informazioni periodiche sulle rispettive linee di intervento e sui procedimenti avviati, in particolare quelli che toccano ambiti di interesse comune. L’obiettivo è creare una sinergia che permetta di avere una visione più completa e un’azione più incisiva.

Oltre a condividere i dati delle indagini, l’Antitrust e il Garante Privacy potranno anche condurre indagini conoscitive congiunte e sottoporre segnalazioni condivise al Parlamento e al Governo. In questo modo, l’unione delle competenze delle due autorità potrà produrre un impatto maggiore nel dibattito legislativo su temi cruciali.

Per coordinare tutte queste attività, è stato istituito un Tavolo tecnico che vedrà la partecipazione dei responsabili degli uffici competenti. Questo organo sarà il punto di incontro per esaminare non solo le singole questioni, ma anche per definire i dettagli tecnici necessari all’attuazione dell’accordo.

Il protocollo prevede inoltre l’organizzazione di incontri periodici, campagne informative congiunte e attività formative, a dimostrazione di una volontà comune di non limitare la collaborazione ai soli casi di violazione, ma di estenderla a una più ampia opera di prevenzione e sensibilizzazione.


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Covid, svolta dalla Cassazione: riapertura possibile per i processi sull’epidemia colposa

Il reato di epidemia colposa può configurarsi anche in assenza di un’azione diretta di diffusione del virus, ma per omissione di atti dovuti da parte dello Stato. A sancirlo, con una pronuncia destinata a lasciare il segno, sono le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 27515 del 2025 hanno fornito un’interpretazione innovativa dell’articolo 438 del codice penale, riscrivendo i confini della responsabilità penale nella gestione della pandemia da Covid-19.

La decisione, emessa il 10 aprile e accompagnata dalle motivazioni depositate il 28 luglio, rappresenta un punto di svolta per centinaia di procedimenti giudiziari archiviati o sospesi negli ultimi anni. Per la prima volta, la Corte ha chiarito che il reato può sussistere anche in caso di omissione di comportamenti dovuti da parte delle pubbliche autorità, come la mancata distribuzione di dispositivi di protezione individuale, l’assenza di formazione per il personale sanitario o il ritardo nella comunicazione del rischio alla popolazione.

A darne notizia, con una nota ufficiale, è l’associazione #Sereniesempreuniti, che dal 2020 rappresenta i familiari delle vittime del Covid. “La sentenza delle Sezioni Unite riconosce che l’epidemia colposa può configurarsi anche in forma omissiva – scrive l’associazione – superando un’interpretazione anacronistica del reato, risalente al codice Rocco del 1929, che richiedeva l’azione materiale di diffusione del contagio”.

Gli elementi individuati dalla Suprema Corte, secondo l’associazione, coincidono con il cuore delle indagini avviate dalla Procura di Bergamo e successivamente trasferite a Roma, dove il procedimento prosegue su impulso delle opposizioni presentate dagli avvocati dei familiari. Tra i nomi coinvolti figurano alti dirigenti del Ministero della Salute dell’epoca, tra cui Ranieri Guerra e Giuseppe Ruocco, per i quali è stata disposta l’imputazione coatta.

“È un passaggio fondamentale per il riconoscimento della verità – commenta l’avvocata Consuelo Locati, che guida il team legale insieme ai colleghi Giovanni Benedetto, Luca Berni, Alessandro Pedone e Piero Pasini –. Le motivazioni della Corte sottolineano con chiarezza il ruolo delle omissioni istituzionali e l’impatto che queste hanno avuto sulla salute pubblica. Il pronunciamento rafforza anche le nostre azioni civili in corso presso il Tribunale di Roma”.

Non meno rilevante è il potenziale impatto della sentenza sul piano internazionale. “Solo il 5% dei ricorsi presentati alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo arriva a fase di giudizio – sottolinea Locati – e la nostra causa è tra questi. Ora possiamo contare su un precedente giurisprudenziale che rende ancora più solida la nostra posizione”.

Per i familiari delle vittime, la decisione della Cassazione segna una nuova fase. “Finalmente – concludono da #Sereniesempreuniti – si afferma un principio di giustizia che attendevamo da anni. È la conferma che il nostro percorso, intrapreso in solitudine nel 2020, aveva un fondamento giuridico ed etico. Continueremo a lottare perché nessuna omissione resti senza risposta”.


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“Con la pubblicazione del bando per il reclutamento di 2.970 nuove unità di personale non dirigenziale, il Ministero della Giustizia compie un passo decisivo verso il rafforzamento dell’amministrazione giudiziaria.
Il concorso prevede 370 funzionari destinati agli Uffici notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP) e ben 2.600 Assistenti da assegnare ai servizi di cancelleria e supporto alla giurisdizione su tutto il territorio nazionale.
Un investimento concreto su efficienza e funzionalità del sistema al fine di garantire una giustizia sempre più vicina al cittadino.
Il Governo Meloni continua a mantenere la parola data: più lavoro, più giustizia, più prossimità.”
È quanto dichiara in una nota Andrea Delmastro delle Vedove, sottosegretario di Stato alla Giustizia.

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Stati Uniti: mercato e innovazione al centro della strategia Trump
La nuova strategia americana, lanciata a luglio dal Presidente Donald Trump con l’“America’s AI Action Plan”, punta su una deregolamentazione senza precedenti. L’obiettivo dichiarato è chiaro: “vincere la corsa” sull’AI. Sono stati eliminati vincoli burocratici e riferimenti a temi come inclusione o transizione ecologica nei documenti federali, a favore di una politica “business-first”.

Washington vuole accelerare la costruzione di data center, fabbriche di chip e infrastrutture energetiche con procedure rapide e permessi “fast-track”. Vengono incentivati modelli open-source e sandbox regolatorie per sperimentare soluzioni AI in settori chiave. Non manca una forte spinta verso la difesa nazionale e la pubblica amministrazione, né un piano per esportare lo “stack AI made in USA” agli alleati, contenendo la dipendenza tecnologica dalla Cina.

Il Giappone sceglie la governance centralizzata e l’etica
Tokyo ha seguito un percorso molto diverso approvando, poco prima dell’estate, una legge quadro che definisce la governance dell’AI come infrastruttura strategica. La gestione è affidata a un “AI Strategy Headquarters” presso l’Ufficio del Primo Ministro e prevede un coordinamento serrato tra Stato, enti locali, aziende, università e cittadini.

L’approccio nipponico mette al centro etica, trasparenza e gestione del rischio, integrando competenze scientifiche e umanistiche. La cooperazione pubblico-privato è obbligatoria e l’alfabetizzazione digitale viene considerata un obiettivo nazionale.

Europa: l’AI Act come modello globale (ma non per tutti)
Con l’AI Act, l’Unione Europea ha scelto una strada ambiziosa: regolamentare l’Intelligenza Artificiale in maniera trasversale, applicando un sistema di classificazione basato sul rischio. È il primo tentativo al mondo di disciplinare l’AI con un unico quadro normativo valido per ogni settore.

Tuttavia, il modello europeo non convince tutti. Alcuni osservatori ritengono che possa frenare l’innovazione, mentre altri lo considerano un baluardo per la tutela dei diritti fondamentali. Solo poche nazioni extra-UE – come Argentina, Cile e Perù – stanno cercando di seguire una strada simile.

La Cina, le economie emergenti e il fronte “laissez-faire”
Pechino ha introdotto regole specifiche per la sola AI generativa, preferendo un approccio selettivo e mirato. Paesi come Indonesia e India stanno valutando regolamentazioni settoriali per sanità, trasporti o agricoltura. Altri ancora, come Brasile e Canada, puntano su forme di governance digitale più ampie senza leggi di prodotto.

Sul fronte opposto troviamo giurisdizioni che privilegiano la deregolamentazione: il Regno Unito è il caso più emblematico, con un modello pro-innovazione che usa solo strumenti di soft law e regolazioni “adattive” quando strettamente necessarie. Una linea condivisa anche da Singapore, Australia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, oggi, dagli stessi Stati Uniti di Trump.

La sfida per la leadership globale è appena iniziata
Il panorama mondiale sull’AI appare come un mosaico frammentato di approcci. Alcuni Stati scommettono su regole chiare per proteggere i diritti e la sicurezza dei cittadini, altri preferiscono lasciare più libertà al mercato per attrarre investimenti e talenti.


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