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Ufficio del processo: domande entro il 23 settembre

Ultima chiamata del ministero della Giustizia ai giovani giuristi per partecipare al concorso per l’UPP

Scade alle 14:00 del 23 settembre 2021 il bando di per il reclutamento di una prima parte di giovani giuristi destinati all’Ufficio per il processo. Sono 8mila posti totali, messi a bando per l’Ufficio del processo dalla Commissione Ripam (Commissione Interministeriale per l’attuazione del Progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni). Come spiega il decreto legge del 2014, i giovani supporteranno i magistrati nelle attività propedeutiche e collaterali alla decisione del processo.

Ufficio del processo, come candidarsi

Il Bando per il reclutamento di 8.171 giovani giuristi addetti all’UPP pubblicato in Gazzetta Ufficiale N. 62 del 6 agosto 2021 ne spiega approfonditamente modalità di candidatura e processo selettivo. Infatti, si legge, la domanda di ammissione deve essere presentata esclusivamente per via telematica attraverso SPID, compilando l’apposito modulo elettronico sul sistema “Step-One 2019” da www.ripam.cloud.

 

 

Ufficio del processo, requisiti

I requisiti per candidarsi all’ufficio del processo prevedono:

-laurea triennale in Scienza dei servizi giuridici L-14;

-o laurea in giurisprudenza;

-laurea specialistica o magistrale in ambito economico e giuridico.

Inoltre, sono anche ammesse le lauree L-18 (Scienze dell’economia e della gestione aziendale); L-33 (Scienze economiche); L-36 (Scienze politiche e delle relazioni internazionali), ma solo per una quota ristretta dei posti banditi.

Ufficio del processo, le prove

La procedura di reclutamento si basa sulla valutazione dei titoli; a punteggio pari, il tirocinio svolto presso il ministero della Giustizia è titolo preferenziale. Inoltre, la prova scritta: un test di quaranta quesiti a risposta multipla da risolvere in sessanta minuti; punteggio massimo trenta punti.

Le materie sono: diritto pubblico; ordinamento giudiziario; lingua inglese. Per ogni risposta: esatta +0.75; mancata 0 punti; sbagliata -0.375 punti. Si supera la prova se si raggiunge il punteggio minimo di 21/30. La prova si svolgerà esclusivamente attraverso strumentazione informatica.

Ufficio del processo, assunzioni e retribuzioni 

Le assunzioni all’ufficio del Processo sono finanziate con fondi del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). I contratti saranno a tempo determinato e della durata di circa tre anni. In merito alle retribuzioni: funzionario di Area III, posizione economica F1, 29.511,36 euro (con 13 mensilità). Il lordo mensile è di 2.303,39; il netto tra i 1.600/1.650 euro mese.

 

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Pensionati professionisti- stop al contributo di solidarietà

Pensionati professionisti: stop al contributo di solidarietà

Il contributo di solidarietà dei professionisti in pensione è incompatibile con il principio del pro-rata

Per la Cassazione (sentenza n. 23363/ 2021), il contributo di solidarietà richiesto al professionista titolare di pensione di anzianità non è dovuto perché impone “una trattenuta su un trattamento […] già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere che tali atti siano incompatibili con il rispetto del principio del pro-rata e diano luogo a un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali ex art. 23 Cost. la cui imposizione è riservata al legislatore.” In effetti, il principio del pro-rata prevede che le modifiche alle regole del calcolo debbano essere applicate per il futuro e non per quanto già versato in passato.

Non dovuto il contributo di solidarietà: viola il principio del pro-rata

Succede che, riformando la decisione del giudice di primo grado, il giudice d’Appello dichiari non dovuto da parte del professionista titolare della pensione di anzianità, il contributo di solidarietà reclamato dalla Cassa previdenziale di appartenenza. Quindi, succede che tale Cassa ricorra in Cassazione, sostenendo la violazione dell’art.3, comma 12 legge n.335/1995 in combinato disposto con l’art. 13 del Regolamento di disciplina previdenziale della Cassa stessa.

 

 

Infatti, secondo la Cassa, la Corte di appello ha ritenuto non dovuto il contributo di solidarietà, sulla base di un’erronea attribuzione di illegittimità del Regolamento di disciplina previdenziale della Cassa a carico dei pensionati. Inoltre, ha ignorato la pronuncia della Suprema Corte proprio in merito al contributo di solidarietà adottato dalla Cassa di Previdenza dei Ragionieri commercialisti ed esperti contabili (2004-2008) che applica legittimamente l’art. 2 del Dlgs. n. 509/1994 e dall’art. 3, comma 12 della legge n. 335/1995.

A questo punto, la Cassazione rigetta il ricorso: il motivo sollevato è manifestamente infondato. Ciò, in quanto gli enti di previdenza privati non possono -nemmeno al fine di garantire l’equilibrio tra bilancio e stabilità della gestione- emanare “atti o provvedimenti che impongano una trattenuta (nella specie un contributo di solidarietà) su un trattamento già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, perché incompatibili con il principio del pro-rata”. Nello specifico, l’art.23 della Costituzione dispone che “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Infine, un ultimo chiarimento: gli atti e le deliberazioni degli enti sono legittimi ed efficaci se la loro finalità è di assicurare equilibro finanziario a lungo termine. Finalità che, per il suo carattere provvisorio e temporaneo, rende il contributo di solidarietà incompatibili con obiettivi prolungati nel tempo.

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Decreto ingiuntivo: messaggi WhatsApp sono prova

Decreto ingiuntivo: messaggi WhatsApp sono prova

Il Giudice di Latina ritiene i messaggi WhatsApp prova documentale per credito ingiuntivo

La stampa di messaggi Whatsapp attestanti l’esistenza di un credito è prova idonea per l’accoglimento di un ricorso per decreto ingiuntivo. Questa è la decisione espressa dal Giudice di Pace di Latina nel decreto n. 2399 depositato in data 25.06.2021.

I messaggi WhatsApp costituiscono prova documentale

Succede che nell’ambito di una compravendita di due cani di piccola taglia vi sia un inadempimento dell’obbligazione di pagamento. Infatti, pur avendo regolarmente consegnato all’acquirente i due animali da compagnia, il venditore si vede negare il pagamento dalla controparte. Succede quindi che il venditore indirizzi all’acquirente numerosi solleciti, sia a mezzo telefonico, sia a mezzo dell’app WhatsApp.

 

 

In questo caso, si tratta di messaggi che lasciano una doppia traccia: una nella memoria dell’app, l’altra nello smartphone. In effetti, leggendo un estratto dello scambio di messaggi tra i due, si assiste alla formulazione di una vera e propria ricognizione di debito ex art. 1988 c.c da parte dell’acquirente. Vale la pena riportarne qui un passaggio fondamentale:

Acquirente: “Ciao F. va bene per me 200 [euro] alla volta è perfetto. Quanto vuoi per tutti e due. Così mi organizzo. Ogni volta ti mando foto [del pagamento]”.

Venditore: “Per tutte e due 1400, visto che [il cane] è piccola e io non l’avrei venduta come fattrice”.

Acquirente: “Ok perfetto, va bene, ogni volta scaliamo ok, ogni fine settimana ti carico”.

Ora, in linea con sentenze precedenti in materia di SMS (Cassazione, Sez. I, n. 19155, datata 17.07.2019), il Giudice ritiene tali messaggi WhatsApp sufficienti prove scritte ex artt. 633 ss. C.p.c. In effetti, per funzionare, suddetta app si serve dell’utenza telefonica di mittente e destinatario: tali messaggi rientrano nelle riproduzioni informatiche e rappresentazioni meccaniche. In questo quadro, proprio come gli SMS, i messaggi WhatsApp sono da considerarsi alla stregua di una qualunque altra prova documentale.

 

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covid 19 vaccino non è sperimentale

Covid-19: il vaccino non è sperimentale

Tar del Friuli sul vaccino anti Covid-19: fase sperimentale ultimata con la commercializzazione

Con la sentenza del 10 settembre 2021, n. 261, il Tar Friuli Venezia Giulia prende posizione su una serie di questioni attualmente molto dibattute. Stiamo parlando della sperimentalità del vaccino contro il Covid-19 e di un eventuale indennizzo da parte dello Stato. Non solo: il Tar affronta anche il tema della limitazione della libertà individuale ad un trattamento sanitario.

Il Tar del Friuli frena i no-vax: i vaccini anti Covid-19 non sono sperimentali

E’ recente la decisione del Tar del Friuli Venezia Giulia in merito ad alcuni tra i più importanti celebri cavalli di battaglia dei no-vax. Nello specifico, i punti affrontati sono tre:

 

 

  • Innanzitutto, la parte più interessante, ovvero, la natura ancora sperimentale del vaccino contro il Covid-19. Infatti, per i giudici, i quattro vaccini attualmente disponibili per la battaglia contro l’infezione da Covid-19 «non sono in “fase di sperimentazione”». Ciò, in quanto «non può considerarsi tale la procedura di autorizzazione condizionata da parte della Commissione, previa raccomandazione dell’EMA. Si tratta [invece] di uno strumento “collaudato” che arriva a valle di un “rigoroso processo di valutazione scientifica” che non consente alcuna equiparazione dei vaccini a “farmaci sperimentali”».
  • In secondo luogo, l’indennizzo da parte dello Stato in caso di danni da vaccinazione. A tal proposito, i giudici ricordano che non c’è alcuna esenzione di responsabilità nel firmare il consenso informato al momento dell’inoculazione del siero. Dunque, l’indennizzo scatta di diritto per tutti i cittadini, e non solo per chi ha l’obbligo di vaccinazione (ad esempio, gli operatori sanitari). Ciò, in quanto la Corte Costituzionale (sentenza del 23 giugno 2020, n. 118) estende il risarcimento anche alle vaccinazioni non obbligatorie ma solo “raccomandate”.
  • In ultimo, la limitazione della libertà individuale ad un trattamento sanitario. Circa questo argomento, il Tar ricorda che, nel contesto dell’emergenza pandemica, l’interesse generale a prevenire lo sviluppo del Covid-19, è di natura pubblica, perciò deve necessariamente venire prima dell’interesse del singolo. Dunque «la salute collettiva giustifica la temporanea compressione del diritto al lavoro del singolo che non vuole sottostare all’obbligo vaccinale» (nel caso di specie, un operatore sanitario).

 

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Avvocati: partita l’operazione Poseidone INPS

 Che cos’è la gestione Poseidone e chi deve iscriversi alla Gestione separata

Con “Operazione Poseidone” si definisce l’attività di accertamento avviata dall’INPS nei confronti di liberi professionisti e lavoratori autonomi. Il fine è di verificare l’esistenza di crediti contributivi da parte di tali lavoratori nei confronti dell’Istituto. Avviata nel 2010, l’operazione Poseidone prende le mosse dai dati sul mancato versamento dei contributi da parte di chi esercita attività di arti o professioni.

Operazione Poseidone e obbligo dell’iscrizione alla gestione separata INPS per i lavoratori autonomi

L’Operazione Poseidone nasce dall’incrocio dei dati dell’Agenzia delle Entrate e quelli in possesso dell’Istituto Nazionale di Previdenza. Nello specifico, essa si sviluppa dalla necessità di colmare il mancato versamento dei contributi da parte di soggetti che esercitano attività di arti e professioni. Dunque, nella categoria rientrano anche gli Avvocati, ai quali l’INPS ha provveduto ad inviare appositi avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta.

 

 

In effetti, l’Operazione Poseidone prende le mosse dall’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata INPS per alcune particolari categorie di soggetti. Si tratta di chi svolge attività di lavoro autonomo per professione abituale anche se non esclusiva, che non ha l’obbligo d’iscriversi ad un albo professionale o che produce un reddito che non è assoggettato all’obbligo contributivo presso l’Ente previdenziale di appartenenza.

Nello specifico, i destinatari dell’operazione Poseidone sono:

  i liberi professionisti che non hanno una cassa previdenziale a cui iscriversi;

  i co.co.co, ossia i titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa;

  i venditori porta a porta;

  gli spedizionieri doganali non dipendenti;

  i titolari di borse di studio per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca;

  gli amministratori locali;

  i titolari di borse di studio per la mobilità internazionale degli studenti (da maggio a dicembre 2003) e di assegni per attività di tutorato, didattico-integrative, propedeutiche e di recupero;

  i lavoratori autonomi occasionali;

  gli associati in partecipazione;

  i medici titolari di contratto di formazione specialistica;

  i volontari del Servizio Civile Nazionale (dal 2006 al 2008);

  coloro che prestano lavoro occasionale accessorio.

Ora, con il messaggio del 19 agosto n. 2903/2021 l’INPS comunica di aver completato le operazioni di elaborazione dei dati fiscali dei soggetti che hanno presentato il modello unico persone fisiche 2016 in riferimento all’anno d’imposta 2015. Si tratta quindi di chi:

  • ha indicato la produzione di reddito ai fini fiscali nei quadri RE- LM (autonomo) o RH (associazione in partecipazione o lavoratori autonomi di società semplice;
  • non ha compilato il quadro previsto per il calcolo dei contributi e che sarebbe invece tenuto ad iscriversi alla Gestione Separata.

In particolare, nel caso in cui non si sia ancora provveduto all’iscrizione della Gestione Separata, tale comunicazione dona la specifica dell’importo relativo ai contributi non versati e delle sanzioni applicate, consentendo altresì l’iscrizione alla Gestione Separata. Infine, si valuteranno eventuali contestazioni alla luce delle recenti sentenze della Cassazione.

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Cassa forense- nuovi codici tributo F24

Cassa forense: nuovi codici tributo F24

Avvocati, attivi i nuovi codici per il pagamento dei contributi tramite F24

Da oggi, 15 settembre 2021, sono attivi due nuovi codici tributo per i versamenti alla Cassa Forense tramite F24. Si tratta di E105: per il pagamento dell’integrazione contributo soggettivo minimo (artt. 25, 26 Regolamento Unico della Previdenza); e E106, per il pagamento degli interessi da integrazione contributo minimo soggettivo. Quindi, nei primi otto anni anche non consecutivi di iscrizione alla Cassa, è possibile integrare il versamento del contributo minimo annuale previsto.

Contributi avvocati Cassa Forense: i nuovi codici e la compilazione dei modelli

La nota della Cassa Forense informa della novità circa i nuovi codici per i contributi da versare tramite F24. Si tratta di due codici che entrano in vigore da oggi e che permettono di integrare il versamento del contributo minimo soggettivo annuale. Novità rivolta a chi ha prodotto un reddito inferiore a 10.300euro per aver riconosciuto l’intero anno a fini pensionistici. Inoltre, la stessa Cassa Forense suggerisce le modalità di compilazione di suddetto modello F24.

 

 

Nello specifico, dalla propria posizione personale in www.cassaforense.it, si clicca “Pagamenti”- Istituti Volontari- Integrazione Facoltativa Contributo Soggettivo Minimo. Da qui, si genera e stampa il modello F24 (che è già precompilato e personalizzato). Per effettuare il pagamento, è necessario accedere a ENTRATEL/ FISCONLINE utilizzando le proprie credenziali. Quindi, si clicca su F24 WEB e si COPIANO tutti i dati inseriti nel modello F24 personalizzato da Cassa già stampato. Da qui poi si compila “sezione erario” in cui si indicano i codici tributo e l’importo del relativo credito che eventualmente si intende compensare.

Cassa Forense raccomanda di utilizzare i dati inseriti dalla Cassa stessa nel modello F24 personalizzato e precompilato, ricopiandoli fedelmente in F24WEB. In questo modo, all’iscritto è garantita la corretta rendicontazione del versamento nella propria posizione personale. Infatti, in caso di errate indicazioni di codici o dell’anno di riferimento, non può essere garantita corretta o tempestiva imputazione dei versamenti effettuati.

Cassa Forense: contributi avvocati e codici attivi

I due nuovi codici E105 e E106 si aggiungono al già attivo codice causale contributi dell’Agenzia delle Entrate utilizzabile nel modulo precompilato F24 di Cassa Forense. Cioè:

codice Ente (Cassa Forense): 0013

Invece, i codici causale contributo sono:

E100 “CASSA FORENSE- contributo soggettivo minimo”;

E101 “CASSA FORENSE- contributo di maternità”

E102 “CASSA FORENSE- contributo soggettivo di autoliquidazione (Mod. 5)”;

E103 “CASSA FORENSE – contributo integrativo autoliquidazione (Mod. 5)”.

E104 “CASSA FORENSE – Riscatto art. 37 Reg. Unico Prev. Forense”

E105 “CASSA FORENSE – integrazione contr. Minimo soggettivo (12 mesi)”

E106 “CASSA FORENSE – interessi integrazione contr. Minimo soggettivo”.

 

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Webcam o fotocamera: è possibile essere spiati?

Webcam o fotocamera: è possibile essere spiati?

Come difendersi da virus/ malware che si introducono nei dispostivi controllando la telecamera?

Tra le cose che l’emergenza pandemica ha fatto comprendere con maggior chiarezza è l’importanza centrale assunta delle moderne innovazioni. Tuttavia, ogni cosa ha un prezzo, dunque, in cambio della tecnologia, si deve probabilmente rinunciare alla propria riservatezza. E, in effetti, la nostra privacy potrebbe essere sotto l’attacco di malintenzionati, in qualsiasi momento.

Come spiare una persona attraverso webcam o fotocamera

Per gli hacker, introdursi abusivamente nella webcam di un pc non è impossibile: basta utilizzare un virus (magari tramite link, email ingannevoli o con il download di files sospetti) ed il camfecting è fatto. In questo modo, la webcam azionata da remoto può essere usata per guardare ogni cosa all’interno del campo visivo, violando così la privacy del proprietario. Inoltre, i Rat -o “Trojan di accesso remoto” – possono registrare qualsiasi cosa: dai tasti ai files salvati su disco.

 

 

Quando detto pocanzi per la webcam del computer è valido anche per la fotocamera dello smartphone. In modo identico, il malintenzionato utilizza il virus per intrufolarsi nel dispositivo e ne assume il pieno controllo. Inoltre, lo stesso risultato che si ottiene da remoto lo si può raggiungere anche mediante modifica fisica: è quanto accade -soprattutto con gli smartphone- con l’installazione manuale dello spyware. Infatti, questo software malevolo è in grado di leggere messaggi, scattare fotografie e fare riprese utilizzando la fotocamera.

Dal punto di vista giuridico, servirsi degli strumenti sopra citati significa commettere reato; in particolare:

  • Interferenze illecite nella vita privata;
  • Accesso abusivo a sistema informatico;
  • Violazione di corrispondenza;
  • Detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici (se si diffondono in rete password e credenziali della vittima);
  • Estorsione (se si chiede in cambio del materiale ottenuto illecitamente del denaro).

Ora, la vittima può recarsi presso qualsiasi presidio delle forze armate e sporgere denuncia o querela; se ne occuperà la polizia postale. Tuttavia, prevenire è meglio che curare, perciò, è bene: effettuare solo download sicuri, scaricare un buon antivirus e -se necessario- sottoporre il dispositivo al controllo periodico di un tecnico esperto.

 

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Avvocati- cassa forense o gestione separata

Avvocati: dove pagano i contributi se guadagnano poco

Gli avvocati il cui reddito è inferiore ai 5 mila euro annui deve iscriversi alla Gestione separata o alla Cassa Forense?

Anche se la questione “Dove paga i contributi l’avvocato che guadagna poco?” è ormai risolta dalla nuova disciplina dell’ordinamento della professione di avvocato, non sono poche le controversie ancora pendenti in merito all’assoggettamento alla previdenza obbligatoria di chi esercita la professione forense.  Vale infatti la pena ricordare che, ad oggi, l’iscrizione alla Cassa Forense è obbligatoria -indipendentemente dal reddito- per gli avvocati iscritti ad Albi forensi.

 

 

Avvocati: iscrizione alla gestione Separata per i lavoratori autonomi occasionali

L’iscrizione alla gestione Separata è obbligatoria per i liberi professionisti:

-che sono senza cassa di previdenza;

– che non possono iscriversi alla Cassa, pur avendola, per incompatibilità: ex. L’ingegnere coperto da altre forme di previdenza obbligatorie -come il Fondo pensione lavoratori dipendenti Inps- non può essere iscritto contemporaneamente anche all’ente di categoria (Inarcassa);

– che non risultano integralmente coperti dalla cassa professionale di appartenenza.

Infatti, l’iscrizione obbligatoria presso la gestione Separata discende dal principio di universalizzazione della copertura assicurativa: tutti coloro che percepiscano un reddito derivante da attività professionale, per la quale vi sia l’obbligo legislativo di iscrizione all’albo, devono averla. Tuttavia, l’obbligo d’iscrizione alla gestione separata non sorge qualora il reddito annuo prodotto sia inferiore a 5mila euro e derivi da lavoro autonomo occasionale.

Iscrizione presso la gestione Separata per lavoratori autonomi occasionali

La Cassazione ha confermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla gestione Separata Inps per un professionista iscritto all’albo o ad un elenco è collegata all’esercizio abituale di una professione. Dunque, se il professionista svolge l’attività abitualmente e non versa i contributi alla cassa di categoria, deve iscriversi alla gestione Separata, a prescindere dal reddito prodotto. La soglia limite entro la quale il professionista che svolge lavoro autonomo occasionale non deve iscriversi alla gestione Separata sono i 5mila euro annui lordi. Superata tale cifra si rende necessaria l’iscrizione anche se il lavoro autonomo è svolto occasionalmente.

Avvocato: iscrizione alla Cassa Forense o alla gestione Separata?

In base alla normativa vigente, e riprendendo quanto detto qui finora, se l’avvocato non è iscritto a Cassa Forense ma svolge attività abituale, allora egli è obbligato ad iscriversi presso la gestione Separata, indipendentemente dall’ammontare dei compensi percepiti. Invece, se l’attività è svolta occasionalmente, l’iscrizione diventa obbligatoria solo al superamento della soglia di compensi pari a 5mila euro annui.

Perciò, la mera iscrizione all’Albo forense o la titolarità di partita Iva non sono elementi sufficienti a dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale.

Infine, va detto che secondo l’attuale ordinamento, basta l’iscrizione agli Albi professionali forensi per avere l’obbligo di iscriversi presso la Cassa Forense.

 

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Iscrizione alla Gestione Separata: conta l’attività non il reddito

avvocato deve essere e apparire integerrimo

L’avvocato deve essere e anche apparire integerrimo

Il comportamento del professionista deve rispettare i canoni di correttezza e onestà anche apparente

Per il suo alto ruolo, l’avvocato deve essere e anche apparire integerrimo. L’autorevolezza del professionista risiede sia nella sua preparazione e talento personale, che nell’onestà e correttezza del suo comportamento. Di conseguenza, non solo il comportamento del singolo legale deve rispettare tali canoni: egli stesso deve apparire tale.

L’autorevolezza dell’avvocato risiede anche nell’onesta e correttezza del suo comportamento

Succede che un avvocato venga incolpato di aver violato il codice deontologico per aver tenuto comportamenti compromettenti l’immagine della professione. Nello specifico, lo si accusa di aver utilizzato espressioni gravemente sconvenienti ed offensive verso il Pubblico Ministero del Tribunale.  Quindi, il Consiglio Distrettuale di Disciplina competente irroga nei suoi confronti la sanzione dell’avvertimento.

 

 

L’incolpato contesta la decisione: le espressioni utilizzate non sono sconvenienti perché utilizzate a fini prettamente critici del provvedimento impugnato. Ora, il CNF afferma che “nell’ambito della propria attività difensiva, l’avvocato deve e può esporre le ragioni del proprio assistito con rigore, utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone”. Però, “il diritto della difesa incontra un limite insuperabile nella civile convivenza, nel diritto della controparte o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato”.

Così, “[…] nel criticare e contrastare le decisioni impugnate, tale potere/dovere trova un limite nei doveri di proibità e lealtà […]”. Dunque, l’esercizio di difesa non esonera l’avvocato dal rispetto delle norme deontologiche nella redazione dell’atto. Infine, si scontrano con il dovere di autorevolezza di un avvocato anche il suo utilizzo di espressioni semplicemente sconvenienti.

 

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diffamazione via email

Reato di diffamazione a mezzo email

Il reato di diffamazione aggravata per mezzo di email aziendale

Il reato di diffamazione si commette nel parlare o scrivere male di una persona non presente. In effetti, si tratta di un delitto in cui si rischia spesso di incorrere, che potrebbe riguardare ognuno di noi.

Allora, attenzione a quando si scrive o si pronuncia una frase offensiva nei confronti di una persona, soprattutto quando si è in presenza di altre. 

La diffamazione via mail e le sue conseguenze

Notoriamente, la comunicazione via mail è diretta, in quanto si instaura tra due persone: mittente e destinatario. Ciononostante, in alcuni casi ben precisi è possibile trovarsi di fronte ad email a contenuto diffamatorio. Si tratta di contenuti che si trovano su email inviate simultaneamente a più soggetti: in copia nascosta; o su casella di posta condivisa da più persone.

 

 

  • Il primo caso: si parla male di una persona in una email in cui vi sono soggetti in copia nascosta. Qui, il reato è di “diffamazione aggravata”: la posta elettronica è “un particolare e formidabile mezzo di pubblicità”;
  • Il secondo caso: si invia un’email ad una casella di posta che è condivisa da più persone. Ad esempio, si scrive alla casella di posta di un’azienda di cui più soggetti hanno le credenziali d’accesso. Qui, la Cassazione specifica: “l’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone anche nell’ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto e sempre che tale accesso a più persone sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza”.

Infine, si parla di reato di diffamazione anche se non vi è contemporaneità nell’invio dei diversi messaggi di posta elettronica. Un esempio: l’ e-mail inviata ad una sola persona e poi ad altre costituisce reato da norma penale (art. 595 c.p.). Identico trattamento viene riservato alla posta elettronica certificata (PEC), il cui valore legale è pari a quello di una raccomandata.

Denuncia per diffamazione a mezzo mail: competenza

Nel caso in cui si ritenga di essere stati diffamati, esiste una procedibilità ben precisa.

Innanzitutto, si può scegliere se agire in sede penale o civile.

  • La prima soluzione, quella penale, prevede che la querela sia sporta entro tre mesi dal reato, pena l’improcedibilità (art. 597 codice penale). Qui, per costituirsi e richiedere il risarcimento danni, è necessario attendere l’inizio del procedimento.
  • Invece, in sede civile, per ottenere il dovuto risarcimento danni non serve sporgere alcuna querela. Infatti, davanti al giudice civile bisognerà dimostrare che sussiste effettivamente un danno ingiusto alla reputazione e che questo danno è stato causato colpevolmente (o dolosamente) dall’offensore.

 

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