Nel processo penale il giudizio d’appello rischia di perdere progressivamente la sua funzione di riesame nel merito della decisione di primo grado. A segnalarlo sono diversi esperti e operatori del diritto, che vedono nella lunga stagione di riforme — dalla Commissione ministeriale del 2014, passando per la legge Orlando del 2017 fino alla recente riforma Cartabia — una progressiva erosione delle garanzie difensive in nome di un’efficienza processuale che privilegia la rapidità sulla qualità delle decisioni.
Al centro del dibattito c’è il concetto di sfavor impugnationis, ovvero la tendenza a scoraggiare le impugnazioni, considerate un inutile rallentamento per il cosiddetto “processo breve”. Un orientamento che, secondo una parte della dottrina, ha trasformato il secondo grado di giudizio da strumento di verifica autonoma delle decisioni a semplice controllo formale della motivazione della sentenza impugnata.
Il rischio di una giustizia superficiale
Il tentativo di accelerare i tempi processuali ha prodotto una serie di interventi normativi e giurisprudenziali che puntano a restringere le maglie delle impugnazioni, a partire dalla richiesta di una sempre più marcata specificità dei motivi d’appello. Una tecnica che, secondo molti, finisce per assimilare l’appello a un ricorso per cassazione, basato sul controllo della motivazione e non più sull’analisi sostanziale della decisione.
Il paradosso evidenziato da penalisti e studiosi è che si richiede al difensore di costruire motivi d’appello rapportati puntualmente alla sentenza impugnata, senza però aver modificato in modo coerente le norme sulla cognizione del giudice d’appello. Il risultato è una procedura ibrida e confusa, in cui l’appello oscilla tra gravame di merito e ricorso motivazionale.
Cassazione più leggera, meno garanzie per gli imputati
Il quadro si complica ulteriormente se si considera l’obiettivo implicito di sgravare la Corte di Cassazione dai ricorsi motivati da vizi di motivazione, trasferendo il relativo controllo alle Corti d’appello. Così facendo, il secondo grado perderebbe la possibilità di riesaminare il fatto e la prova, limitandosi a vagliare la coerenza logica delle sentenze.
Un’evoluzione che, avvertono i critici, finirebbe per ridurre drasticamente le garanzie del sistema penale, aumentando il rischio di errori giudiziari irreparabili. Del resto, un controllo formale sulla motivazione difficilmente riuscirà a cogliere eventuali travisamenti della prova o valutazioni manifestamente ingiuste.
Un modello processuale sempre più selettivo
Altra criticità riguarda il rischio di una progressiva estensione nel giudizio d’appello della cultura dell’inammissibilità per manifesta infondatezza, già ampiamente diffusa in Cassazione. Una selezione all’ingresso che, sommata alla restrizione dei poteri di cognizione nel merito, potrebbe svuotare l’appello di ogni funzione effettiva di controllo sostanziale sulla decisione di primo grado.
Conclusioni: il prezzo del processo breve
Quello che si prospetta, dunque, è un processo penale dove il diritto alla doppia conforme — pilastro di qualunque sistema garantista — diventa un fatto sempre più residuale. L’ossessione per i tempi rapidi e il richiamo strumentale all’efficientismo imposto dal PNRR rischiano di sacrificare i principi di verità e giustizia, che dovrebbero restare valori irrinunciabili in uno Stato di diritto.
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