Processo penale, l’appello a rischio: il vento efficientista ridisegna le impugnazioni

Nel processo penale il giudizio d’appello rischia di perdere progressivamente la sua funzione di riesame nel merito della decisione di primo grado. A segnalarlo sono diversi esperti e operatori del diritto, che vedono nella lunga stagione di riforme — dalla Commissione ministeriale del 2014, passando per la legge Orlando del 2017 fino alla recente riforma Cartabia — una progressiva erosione delle garanzie difensive in nome di un’efficienza processuale che privilegia la rapidità sulla qualità delle decisioni.

Al centro del dibattito c’è il concetto di sfavor impugnationis, ovvero la tendenza a scoraggiare le impugnazioni, considerate un inutile rallentamento per il cosiddetto “processo breve”. Un orientamento che, secondo una parte della dottrina, ha trasformato il secondo grado di giudizio da strumento di verifica autonoma delle decisioni a semplice controllo formale della motivazione della sentenza impugnata.

Il rischio di una giustizia superficiale

Il tentativo di accelerare i tempi processuali ha prodotto una serie di interventi normativi e giurisprudenziali che puntano a restringere le maglie delle impugnazioni, a partire dalla richiesta di una sempre più marcata specificità dei motivi d’appello. Una tecnica che, secondo molti, finisce per assimilare l’appello a un ricorso per cassazione, basato sul controllo della motivazione e non più sull’analisi sostanziale della decisione.

Il paradosso evidenziato da penalisti e studiosi è che si richiede al difensore di costruire motivi d’appello rapportati puntualmente alla sentenza impugnata, senza però aver modificato in modo coerente le norme sulla cognizione del giudice d’appello. Il risultato è una procedura ibrida e confusa, in cui l’appello oscilla tra gravame di merito e ricorso motivazionale.

Cassazione più leggera, meno garanzie per gli imputati

Il quadro si complica ulteriormente se si considera l’obiettivo implicito di sgravare la Corte di Cassazione dai ricorsi motivati da vizi di motivazione, trasferendo il relativo controllo alle Corti d’appello. Così facendo, il secondo grado perderebbe la possibilità di riesaminare il fatto e la prova, limitandosi a vagliare la coerenza logica delle sentenze.

Un’evoluzione che, avvertono i critici, finirebbe per ridurre drasticamente le garanzie del sistema penale, aumentando il rischio di errori giudiziari irreparabili. Del resto, un controllo formale sulla motivazione difficilmente riuscirà a cogliere eventuali travisamenti della prova o valutazioni manifestamente ingiuste.

Un modello processuale sempre più selettivo

Altra criticità riguarda il rischio di una progressiva estensione nel giudizio d’appello della cultura dell’inammissibilità per manifesta infondatezza, già ampiamente diffusa in Cassazione. Una selezione all’ingresso che, sommata alla restrizione dei poteri di cognizione nel merito, potrebbe svuotare l’appello di ogni funzione effettiva di controllo sostanziale sulla decisione di primo grado.

Conclusioni: il prezzo del processo breve

Quello che si prospetta, dunque, è un processo penale dove il diritto alla doppia conforme — pilastro di qualunque sistema garantista — diventa un fatto sempre più residuale. L’ossessione per i tempi rapidi e il richiamo strumentale all’efficientismo imposto dal PNRR rischiano di sacrificare i principi di verità e giustizia, che dovrebbero restare valori irrinunciabili in uno Stato di diritto.


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Fisco, stretta sulle partite IVA: più controlli per chi rifiuta il concordato

L’Agenzia delle Entrate alza il livello di vigilanza sulle partite IVA che sceglieranno di non aderire al concordato preventivo biennale per il 2025-2026. Lo rende noto la circolare 9/E/2025, che fissa i criteri aggiornati di accesso e illustra le conseguenze per chi resterà fuori dall’accordo, previsto per oltre due milioni di contribuenti soggetti agli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA).

Se da un lato il nuovo concordato premia i soggetti più virtuosi, dall’altro rafforza i controlli nei confronti di chi non coglierà l’opportunità. Gli accertamenti fiscali potranno infatti contare su un utilizzo più intenso delle banche dati a disposizione del Fisco, compresa la Superanagrafe dei conti correnti, che contiene informazioni di sintesi sui rapporti finanziari di ogni contribuente.

Controlli mirati e incroci di dati

Nessuna “caccia alle streghe”, sottolineano dall’amministrazione finanziaria, ma un’attenzione rafforzata verso le posizioni che, oltre a non aderire al concordato, presentano indicatori di rischio fiscale. Gli incroci tra i dati dichiarativi, i conti correnti e le informazioni già in possesso dell’Agenzia e della Guardia di Finanza consentiranno di costruire profili di rischio più accurati, in modo da programmare controlli mirati e interventi selettivi.

Chi aderirà, invece, dovrà garantire trasparenza assoluta: sarà necessario attestare la veridicità dei requisiti e l’assenza di cause ostative, oltre a rispettare obblighi dichiarativi e contabili. In caso contrario, decadranno i benefici ottenuti, e i contribuenti saranno esposti a sanzioni e verifiche.

Più sanzioni per chi è a rischio

A rendere più stringente il quadro è anche il recente dimezzamento delle soglie che fanno scattare le sanzioni accessorie. Chi sarà colto in violazione — oppure decadrà dal concordato dopo averlo accettato — rischia ora l’interdizione dalle cariche societarie, l’esclusione dagli appalti pubblici e la sospensione dall’esercizio dell’attività.

Il provvedimento rafforza il sistema premiale previsto per i contribuenti più affidabili e amplia i poteri di controllo verso chi non aderisce, prevedendo anche un impiego integrato delle informazioni finanziarie con i dati di archivi pubblici e privati.

Le nuove soglie e le modifiche

Tra le novità principali introdotte dal decreto correttivo figurano le nuove soglie per l’adesione: incrementi di reddito stimati tra il 10% e il 25% a seconda del punteggio ISA ottenuto nell’anno precedente. Cambiano inoltre le regole per il recupero degli aiuti di Stato, le agevolazioni per le assunzioni e le modalità di accertamento.


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Nordio incontra per la prima volta il Servizio Esecuzione sentenze della CEDU

Roma, 25 giugno 2025 – Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha incontrato ieri, nella sede del Ministero in via Arenula, la delegazione del Servizio Esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), a margine di una visita di due giorni in Italia della stessa delegazione.

“È la prima volta che una delegazione del Servizio Esecuzione sentenze del Consiglio d’Europa svolge una missione in Italia e ciò testimonia l’importanza che il nostro Paese riserva alla Convenzione europea per i diritti dell’uomo e alla tutela dei suoi valori”, ha commentato il Ministro; “si tratta di un primo importante passo di un percorso volto a creare uno stabile canale comunicativo tra le istituzioni italiane e le articolazioni del Consiglio d’Europa. Seguiranno quindi altri incontri tecnici”.

La delegazione era composta, tra gli altri, da Gianluca Esposito, Direttore Generale del Consiglio d’Europa; Frederic Dolt, Direttore del Servizio Esecuzione diritti umani; Dimitryna Lilovska, Capo Divisione Esecuzioni; Matteo Fiori, Capo della Sezione IV che si occupa dell’esecuzione delle decisioni della CEDU emesse nei confronti dell’Italia; Lorenzo D’Ascia, Agente del Governo italiano di fronte alla Cedu; e Maria Cristina Ribera, esperto giuridico della Rappresentanza Permanente dell’Italia presso il Consiglio d’Europa.

La stessa delegazione, che ha espresso grande apprezzamento per l’importanza di questa prima missione, sarà domani in visita a Palazzo Chigi.


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Codice rosso, la Consulta interviene sulle pene: necessario prevedere attenuanti per i casi lievi

Le pene previste dal Codice rosso per le lesioni permanenti al viso devono poter essere calibrate in base alla gravità effettiva dei fatti. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 83, depositata il 20 giugno 2025, dichiarando parzialmente illegittimo l’articolo 583-quinquies del codice penale per eccessiva rigidità sanzionatoria.

La norma in questione — introdotta dalla legge n. 69 del 2019, il cosiddetto “Codice rosso” — punisce con la reclusione da otto a quattordici anni chi causa deformazioni permanenti al volto. Secondo la Consulta, però, la disposizione non contempla la possibilità di ridurre la pena nei casi di lieve entità, violando così i principi di proporzionalità, individualizzazione della pena e funzione rieducativa sanciti dalla Costituzione.

I casi esaminati

La pronuncia trae origine da tre procedimenti penali aperti a Taranto, Bergamo e Catania per episodi di gravità molto diversa: da una cicatrice di pochi centimetri sotto la palpebra a un morso durante una festa, fino a una lesione mascellare aggravata dall’uso di armi. Nonostante le evidenti differenze, tutti rientravano nella medesima cornice edittale, senza margini per una valutazione attenuata.

Il principio affermato dalla Consulta

Richiamando la propria giurisprudenza sulla necessità di una “valvola di sicurezza” nelle previsioni sanzionatorie più severe, la Corte ha sottolineato come un minimo edittale elevato e un ventaglio ampio di condotte punibili impongano di riconoscere al giudice la possibilità di graduare la pena, specie quando il fatto è oggettivamente di scarsa entità o privo di dolo intenzionale.

La Consulta ha inoltre censurato il secondo comma dell’articolo, che disponeva l’automatica interdizione perpetua dai pubblici uffici per chiunque venisse condannato o patteggiasse per questo reato. Anche in questo caso, la Corte ha imposto che la pena accessoria sia applicabile a discrezione del giudice e comunque entro i limiti di durata fissati dalla legge.

Pur riconoscendo la ratio di tutela personale e sociale alla base della norma del Codice rosso, la Corte costituzionale ha ribadito che la severità delle pene deve sempre essere bilanciata da strumenti di flessibilità che permettano di tenere conto della concreta gravità del fatto e della personalità dell’imputato.


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Tribunale per i minorenni, invio atti via PEC: 8 euro il costo per copia penale

Anche nel processo penale minorile l’invio di copie di atti via PEC o email avrà un costo forfettizzato di 8 euro per ciascuna trasmissione, indipendentemente dal numero di pagine. Lo ha stabilito il Ministero della Giustizia con il provvedimento n. 0111883 del 10 giugno 2025, chiarendo l’applicazione dell’articolo 269-bis del Testo unico spese di giustizia (TUSG) alle richieste di copie penali presso i Tribunali per i minorenni.

La questione sollevata da Bari

A porre il tema è stata una nota del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari, che aveva segnalato come negli uffici minorili, dove il fascicolo informatico e il sistema gestionale TIAP non sono ancora operativi, il personale debba procedere manualmente a scannerizzare gli atti cartacei per inviarli via posta elettronica certificata. Una procedura laboriosa e dispendiosa di tempo che, secondo la nota, mal si concilia con l’importo forfettario fissato dalla norma, applicata indistintamente anche in assenza di digitalizzazione.

La posizione del Ministero

Con il provvedimento ministeriale del 10 giugno, la Direzione generale affari interni ha ribadito che, a prescindere dallo stato di attuazione del processo penale telematico, il costo per l’invio telematico di copie di atti penali resta fissato a 8 euro, come previsto dall’art. 269-bis del d.P.R. n. 115/2002.

Il Ministero richiama inoltre i termini contrattuali per la digitalizzazione dei fascicoli giudiziari, affidata per lotti a partire da luglio 2024 e destinata a concludersi entro il 30 giugno 2026, precisando che fino ad allora il regime dei diritti di copia via PEC resta applicabile.

Un costo per ogni invio, non per pagina

Il provvedimento precisa infine che il diritto di copia si applica per ogni singola mail inviata, indipendentemente dal numero di pagine trasmesse con il messaggio di posta elettronica certificata. Una regola già chiarita dal Ministero in una precedente nota di marzo 2025, ora confermata anche per il settore penale minorile.

La situazione nelle sedi minorili

La decisione del Ministero arriva in un contesto in cui la digitalizzazione del processo penale minorile risulta ancora indietro rispetto al resto del sistema giustizia. Fino al completamento della transizione digitale, gli uffici giudiziari continueranno a gestire manualmente le copie richieste, applicando comunque il costo forfettario stabilito dalla norma.


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Processo penale telematico, riparte il confronto tra UCPI e Ministero: fissati incontri periodici sulle criticità

Si è svolto venerdì scorso il primo incontro ufficiale tra l’Unione delle Camere Penali Italiane e la Direzione generale per i servizi applicativi del Dipartimento per l’innovazione tecnologica della Giustizia, un appuntamento che segna l’avvio di un tavolo di confronto permanente sulle problematiche legate al processo penale telematico.

A rappresentare la Giunta dell’UCPI il Presidente Gian Domenico Caiazza, il Segretario Luca Romanelli e il delegato di Giunta Ernesto Totani. Al centro della riunione, le numerose criticità che da mesi l’Unione segnala come ostacoli concreti all’effettiva attuazione del processo penale telematico e alla piena tutela del diritto di difesa.

Le criticità sul tavolo

Tra le questioni più urgenti, l’accesso al fascicolo informatico, la mancata visibilità dei fascicoli nelle diverse fasi processuali, le difficoltà nella produzione di atti in udienza, le problematiche con le costituzioni di parte civile, i ritardi nella richiesta e nel rilascio delle copie degli atti e nella consultazione dei fascicoli.

In particolare, è stato ribadito che senza una piena disponibilità e funzionalità del fascicolo informatico diventa impossibile garantire il rispetto dei principi di parità delle armi e il corretto esercizio del diritto di difesa, obiettivo dichiarato della recente riforma del processo penale.

Il nodo delle certificazioni e le criticità di Roma

Nel corso dell’incontro è intervenuto anche il Presidente della Camera Penale di Roma, Giuseppe Belcastro, che ha rappresentato le specifiche difficoltà operative riscontrate nella Capitale, a partire dai ritardi sistematici nel rilascio delle certificazioni previste dall’articolo 335 del codice di procedura penale, atti indispensabili per l’attività difensiva.

Un canale di interlocuzione stabile

Dal confronto è emersa una condivisione sulla necessità di intervenire tempestivamente per rendere operativo il fascicolo informatico e rivedere tempi e modalità di rilascio dei certificati. La Direzione generale si è impegnata a proseguire i lavori in modo continuativo, fissando già un nuovo incontro per il prossimo 10 luglio.

Prima di quella data, l’Unione — attraverso l’Osservatorio sull’Informatizzazione del processo penale — provvederà a riepilogare le problematiche più rilevanti riscontrate nei diversi distretti, con l’obiettivo di definire una serie di interventi tecnici concreti e condivisi.


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Accesso abusivo ai sistemi informatici aziendali: la Cassazione ribadisce i limiti e le responsabilità penali

Accedere alla posta elettronica aziendale di colleghi per motivi personali o di controllo non autorizzato costituisce reato. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23518 depositata il 20 giugno 2025, confermando la condanna di un amministratore di sistema che aveva violato la casella email di un dipendente in predicato di diventare amministratore delegato, appropriandosi di oltre 1500 messaggi.

Il caso e le accuse

La vicenda ha riguardato il responsabile informatico di un’azienda che, abusando delle proprie credenziali di accesso, aveva consultato ripetutamente la posta elettronica di un ex dipendente, leggendo 97 messaggi e scaricandone oltre 1500, alcuni dei quali riferiti ai rapporti con il futuro amministratore delegato. La sua condotta, secondo i giudici, non rientrava tra i controlli aziendali leciti previsti dallo Statuto dei lavoratori, ma si configurava come un controllo difensivo privo di fondato sospetto e senza il rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza richiesti dalla normativa.

Due reati e un’aggravante

La Suprema Corte ha confermato che in simili casi si configurano due distinte fattispecie penali: da un lato l’accesso abusivo a sistema informatico o telematico (art. 615-ter c.p.), che scatta anche quando il soggetto è formalmente abilitato ma utilizza le credenziali per finalità estranee a quelle per cui gli sono attribuite; dall’altro, la violazione di corrispondenza (art. 616 c.p.), legata alla consultazione dei contenuti riservati presenti nella casella di posta elettronica.

Particolarmente rilevante, inoltre, la conferma della circostanza aggravante prevista dall’art. 615-ter, comma 2, n. 3, c.p., relativa alla modifica delle password di accesso. L’imputato, infatti, aveva alterato le credenziali e i dati di recupero della casella email, impedendo al titolare di riaccedervi e causando un blackout del sistema informatico aziendale protrattosi per oltre quattro mesi, con notevoli costi per il ripristino.

Controlli aziendali e limiti normativi

La sentenza torna a precisare i confini dei controlli difensivi attuabili dal datore di lavoro: è possibile eseguire verifiche anche di natura tecnologica per proteggere beni aziendali o prevenire comportamenti illeciti, ma solo in presenza di un fondato sospetto e nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, acquisendo dati esclusivamente successivi all’insorgere del sospetto stesso.


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Avvocati, illeciti verso i terzi: la Cassazione chiarisce che la violazione è permanente

Con l’ordinanza n. 14701 del 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno fissato un principio di particolare rilievo in materia di responsabilità disciplinare forense: l’inadempimento dell’avvocato nei confronti di terzi estranei al mandato professionale non si esaurisce nel momento in cui si verifica, ma rappresenta un illecito disciplinare di natura permanente.

Il caso sottoposto alla Corte

La vicenda trae origine da un procedimento disciplinare promosso nei confronti di un avvocato accusato di non aver adempiuto a obbligazioni assunte verso soggetti terzi, al di fuori di un rapporto di mandato professionale. La questione giuridica rimessa alle Sezioni Unite riguardava la qualificazione temporale dell’illecito: se dovesse essere considerato istantaneo — e quindi soggetto a prescrizione dal momento in cui si realizza — o se, al contrario, dovesse configurarsi come illecito permanente, con decorrenza della prescrizione posticipata fino alla cessazione della condotta lesiva.

Il principio di diritto enunciato

La Corte ha optato per la seconda soluzione, affermando che “l’inadempimento di obbligazioni assunte nei confronti dei terzi è un illecito permanente”. In particolare, le Sezioni Unite hanno precisato che l’illecito disciplinare previsto dall’articolo 64 del Codice deontologico forense, relativo all’inadempimento dell’avvocato verso terzi, si caratterizza per una situazione antigiuridica che si protrae nel tempo. Non conta solo il momento in cui l’obbligazione viene violata, ma il perdurare della situazione di inadempimento, che continua a ledere il decoro della professione e l’affidamento riposto dai terzi nella figura dell’avvocato.

Le conseguenze della decisione

Questa qualificazione ha effetti diretti sulla decorrenza dei termini di prescrizione dell’azione disciplinare: essendo un illecito permanente, la prescrizione inizia a decorrere solo dal momento in cui viene meno la situazione lesiva, cioè dall’adempimento o dalla cessazione della condotta omissiva.

Inoltre, la sentenza richiama l’attenzione sull’importanza del comportamento extraforzoso degli avvocati, anche al di fuori del mandato professionale. La loro condotta nei rapporti personali e commerciali con i terzi continua infatti a riflettersi sulla dignità della professione e sul corretto esercizio della funzione forense.


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L’UE rafforza la sua cibersicurezza con la crittografia post-quantistica

Gli Stati membri dell’UE, sostenuti dalla Commissione, hanno pubblicato una tabella di marcia e un calendario per adottare una forma più complessa di cibersicurezza, la cosiddetta crittografia post-quantistica. Basata su algoritmi complessi, si tratta di un traguardo chiave per contrastare le minacce informatiche avanzate.

Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutiva per la Sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, ha dichiarato: “Con l’ingresso nell’era quantistica, la crittografia post-quantistica è fondamentale per garantire un livello elevato di cibersicurezza, rafforzando i nostri sistemi contro le minacce future. La tabella di marcia per la crittografia post-quantistica fornisce una direzione chiara per garantire la solida sicurezza della nostra infrastruttura digitale.

Le tecnologie quantistiche possono svolgere compiti complessi e fornire soluzioni alle sfide globali odierne, tra cui i cambiamenti climatici, l’individuazione di catastrofi naturali e la ricerca di nuove soluzioni nell’assistenza sanitaria. Il potenziale della tecnologia quantistica di apportare benefici sociali è controbilanciato dai rischi che il suo uso improprio può comportare per la cibersicurezza delle nostre comunicazioni e infrastrutture connesse. Una soluzione efficace a queste sfide è la crittografia post-quantistica, che utilizza metodi di crittografia basati su complessi problemi matematici difficili da risolvere anche per i computer quantistici.

Tutti gli Stati membri dovrebbero iniziare la transizione alla crittografia post-quantistica entro la fine del 2026, mentre la protezione delle infrastrutture critiche dovrebbe essere trasferita alla crittografia post-quantistica il prima possibile, entro la fine del 2030.

In risposta alla raccomandazione della Commissione pubblicata l’11 aprile 2024, il gruppo di cooperazione NIS ha sviluppato la strategia rispecchiando la necessità che l’Europa agisca ora, dato che lo sviluppo dei computer quantistici avanza rapidamente.

La tabella di marcia relativa alla crittografia post-quantistica è disponibile online.


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Allarme “quishing”: la nuova truffa dei QR code colpisce i parcheggi

Sta prendendo piede anche in Italia una nuova e subdola tecnica di truffa digitale, che sfrutta i QR code affissi sui parcometri cittadini. Diverse forze dell’ordine, associazioni di consumatori e la Polizia Postale hanno segnalato nelle ultime settimane casi di “quishing” — phishing tramite QR code — capace di sottrarre dati bancari e personali agli automobilisti, approfittando della loro fiducia nei pagamenti digitali e della disattenzione causata dalla fretta.

Come funziona la truffa dei QR code

Il meccanismo è tanto semplice quanto efficace. I truffatori sovrappongono adesivi con QR code fasulli sopra quelli originali dei parcometri. Chi scansiona il codice, credendo di collegarsi al sito ufficiale del gestore del parcheggio o di app note come EasyPark, viene invece indirizzato a pagine web contraffatte, praticamente indistinguibili da quelle autentiche.

Convinti di effettuare un pagamento regolare, gli utenti inseriscono i dati della propria carta di credito o vengono invitati a scaricare finti aggiornamenti, inconsapevoli di trovarsi su un sito gestito da cybercriminali. Il furto di dati è immediato e spesso il danno economico si consuma in pochi minuti.

Chi è più a rischio e dove sono avvenuti i primi casi

Tra le vittime più esposte ci sono persone anziane e utenti poco avvezzi alle tecnologie digitali. Episodi recenti sono stati registrati a Verona, nel canton Vaud in Svizzera, ad Hannover e nel Regno Unito, dove una donna di 71 anni ha perso oltre 15mila euro cadendo nella trappola di un QR code contraffatto.

Il fenomeno del “quishing” e le sue varianti

Questa tecnica di phishing via QR code ha preso il nome di “quishing”, dall’unione di QR e phishing. È più difficile da riconoscere rispetto al phishing tradizionale via email o SMS, perché sfrutta un oggetto fisico presente nello spazio pubblico e una tecnologia — il QR code — considerata affidabile.

Oltre ai parcometri, i codici truffaldini sono stati rinvenuti su colonnine per la ricarica di auto elettriche, sportelli bancomat e persino cartelli stradali, con l’obiettivo di carpire dati bancari o installare malware nei dispositivi delle vittime.

Come riconoscere un QR code sospetto

Gli esperti suggeriscono di prestare attenzione ad alcuni segnali:

  • Verificare se il codice è un adesivo sovrapposto o appare manomesso.
  • Controllare sempre l’indirizzo del sito a cui si viene indirizzati: deve iniziare con https e corrispondere a quello ufficiale del gestore.
  • Diffidare da richieste di inserimento di dati completi di carte o PIN.
  • Esaminare la grafica e la qualità del codice: colori strani, caratteri insoliti o loghi sgranati possono essere campanelli d’allarme.

Consigli per proteggersi

Per ridurre il rischio, è consigliabile:

  • Scaricare app di pagamento solo dai canali ufficiali come Google Play o App Store.
  • Digitare manualmente l’indirizzo web del gestore anziché scansionare codici sconosciuti.
  • Usare carte prepagate dedicate per i pagamenti online.
  • In caso di dubbio, optare per il pagamento tradizionale con monete o POS.

Le contromisure tecnologiche in arrivo

In risposta al fenomeno, alcune città europee stanno sperimentando QR code incisi direttamente su supporti rigidi o stampati in 3D sulla segnaletica, rendendo impossibile la sovrapposizione di adesivi falsi. Si studiano anche sistemi di verifica automatica dei codici e controlli periodici sulle colonnine pubbliche.

Cosa fare se si è vittima di una truffa QR code

Chi si accorge di aver inserito dati su un sito falso deve immediatamente:

  1. Contattare la banca per bloccare la carta o il metodo di pagamento.
  2. Sporgere denuncia alle forze di polizia o alla Polizia Postale.
  3. Segnalare il QR code sospetto al gestore del parcheggio o agli agenti di zona.
  4. Monitorare attentamente i movimenti bancari per individuare eventuali anomalie.

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Chatbot Legali: come l’Intelligenza Artificiale sta trasformando il lavoro dell’Avvocato

Le legal chatbot sono degli assistenti virtuali automatizzati, che rispondono a domande di tipo legale con un linguaggio “naturale”, e spesso offrono anche consigli agli…

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