Giudice di pace, udienza rinviata al 2031. Gli avvocati romani: “Sconcerto e preoccupazione”

Il rinvio dell’udienza del giudice di pace? Al 7 luglio del 2031! È solo l’ultimo, sconcertante esempio di una giustizia al collasso. Succede a Busto Arsizio, in Lombardia, ma la situazione è drammatica ovunque e da tutta Italia arrivano notizie di impressionanti ritardi nell’amministrazione della giustizia di prossimità.

Abbastanza da spingere il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta, a scrivere al Ministro della Giustizia Nordio per richiedere interventi urgenti per potenziare gli organici.

Una lettera,  scrive Nesta, che “consegue allo sconcerto creatosi a seguito del provvedimento, recentemente emesso dal Giudice di Pace di Busto Arsizio, con il quale è stata fissata l’udienza di discussione al 7 luglio 2032. Non si tratta di un errore materiale, bensì della drammatica testimonianza di una Giustizia che non è più in grado di garantire risposte ai cittadini in tempi ragionevoli, come garantito dall’art. 111 della Costituzione”.

“Il Giudice di Pace – prosegue Nesta  – rappresenta l’accesso primario alla giurisdizione per il cittadino e svolge un ruolo funzionale nella deflazione del contenzioso ordinario. Tuttavia la cronica assenza di mezzi e di risorse rende la previsione normativa una finzione giuridica, in contrasto con i principi del giusto processo e dell’efficienza dell’amministrazione della giustizia”.

A Roma, come in altri uffici giudiziari italiani, si registrano quotidianamente ritardi cronici nella fissazione delle udienze,  improvvise sospensioni delle stesse per mancanza di giudici,  ruoli congelati,  rinvii delle udienze superiori a 18 mesi e gravi disfunzioni del sistema informatico.

I dati del monitoraggio nazionale confermano una scopertura degli organici dei Giudici di Pace del 63%, con punte che nelle grandi città raggiungono l’80%. A Roma, nonostante il recente insediamento di 16 nuovi Giudici Onorari di Pace, la situazione resta critica, con un arretrato che non consente una gestione ordinata dei ruoli.

“I progressi registrati in merito alla scopertura del personale amministrativo, passata dal 40% al 32%, rappresentano un segnale positivo ma decisamente insufficiente a fronteggiare l’emergenza – conclude Nesta  – Pertanto, a nome dell’Avvocatura romana,  chiedo, con l’urgenza del caso, l’adozione di misure straordinarie per il reclutamento di Giudici di Pace, un piano di assunzioni straordinarie del personale amministrativo, il potenziamento dell’infrastruttura informatica”. Il rischio è di creare “un vulnus inaccettabile al diritto di difesa e far venire meno la fiducia del cittadino nelle Istituzioni e nello Stato di Diritto”.


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Patrocinio a spese dello Stato: nessun contributo unificato finché l’istanza è in attesa

Arriva un importante chiarimento dal Ministero della Giustizia sul patrocinio a spese dello Stato e sulle modalità di iscrizione a ruolo delle cause civili in attesa della decisione sull’ammissione al beneficio. A fare luce sulla questione è la circolare n. 81673 del 24 aprile 2025, diramata dal Dipartimento per gli affari di giustizia in risposta ai dubbi sollevati dagli uffici giudiziari a seguito delle novità introdotte dalla legge di bilancio 2025.

Il nodo nasce dalle nuove disposizioni che impediscono l’iscrizione a ruolo delle cause in mancanza del pagamento del contributo unificato, pari almeno a 43 euro. Un meccanismo che rischiava di bloccare le cause avviate da chi ha richiesto l’ammissione al gratuito patrocinio, senza però aver ancora ottenuto il relativo provvedimento.

La prassi confermata dal Ministero

Negli anni, si era consolidata una prassi che permetteva comunque di iscrivere la causa, purché fosse depositata l’istanza di ammissione debitamente protocollata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, con riserva di integrare il fascicolo non appena fosse disponibile il provvedimento. Una prassi che le nuove regole sembravano mettere in discussione.

Il Ministero ha però confermato la legittimità di questa procedura, sottolineando come il diritto di difesa, garantito dalla Costituzione, non possa essere sacrificato per ritardi non imputabili alla parte interessata. Gli uffici giudiziari, dunque, sono tenuti a procedere con l’iscrizione a ruolo, a patto che l’istanza sia regolarmente depositata e protocollata.

Il precedente della Cassazione

A rafforzare questa posizione interviene anche una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6888 del 14 marzo 2025, che ha ribadito il principio della retroazione degli effetti del patrocinio gratuito alla data di presentazione dell’istanza al Consiglio dell’Ordine, anche quando l’ammissione venga concessa successivamente dal giudice. In tal caso, le spese e i compensi maturati nel frattempo saranno comunque a carico dello Stato.

Le indicazioni operative

Secondo quanto stabilito dalla circolare, gli uffici giudiziari dovranno pertanto accettare il deposito degli atti e iscrivere la causa a ruolo con la sola istanza protocollata. Nel caso in cui l’ammissione venga successivamente negata e la decisione del magistrato non confermi il beneficio, le spese annotate saranno recuperate nei confronti della parte.


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Via libera definitivo al Decreto PA: stabilizzazioni e nuove assunzioni nella Giustizia

Nella seduta del 7 maggio 2025, l’Aula del Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione del Decreto legge n. 25/2025, il cosiddetto Decreto PA, contenente una serie di misure urgenti per il funzionamento e il rafforzamento della pubblica amministrazione. Sul testo, già passato alla Camera lo scorso 23 aprile, il Governo aveva posto la questione di fiducia. La conversione in legge arriva dunque prima della scadenza fissata per il 13 maggio.

Stabilizzazioni e potenziamento negli uffici giudiziari

Tra le modifiche più rilevanti introdotte durante l’esame parlamentare spicca un pacchetto di interventi dedicati al settore giustizia, con l’obiettivo di rafforzare gli uffici giudiziari e rendere più stabile il personale impiegato nei progetti legati al PNRR.

In particolare, viene ridotto da 24 a 12 mesi il requisito minimo di servizio continuativo per accedere alla stabilizzazione dei contratti a tempo determinato negli Uffici per il processo. Il periodo richiesto dovrà essere maturato entro il 30 giugno 2026.

3.000 nuove assunzioni e fondi per i concorsi

Il provvedimento autorizza inoltre un incremento straordinario della dotazione organica del Ministero della Giustizia, prevedendo l’assunzione di 2.600 funzionari e 400 assistenti. A copertura di queste nuove posizioni è stato stanziato un fondo di 800.000 euro per il 2025, destinato all’organizzazione delle relative procedure concorsuali.

Facoltà assunzionali prorogate fino al 2026

Un’ulteriore misura significativa riguarda la proroga delle facoltà assunzionali del Ministero della Giustizia fino al 31 dicembre 2026, in deroga alle attuali norme. Questo permetterà di proseguire le assunzioni straordinarie già previste nell’ambito delle riforme della giustizia e degli interventi amministrativi finanziati con il PNRR.

Concorsi penitenziari, idonei senza limite

Novità anche per il personale dell’amministrazione penitenziaria: fino alla fine del 2026, nei concorsi di settore non sarà applicato il limite del 20% per il numero massimo di idonei oltre i vincitori. Saranno quindi considerati idonei tutti i candidati che supereranno le prove concorsuali, indipendentemente dalla posizione raggiunta in graduatoria.


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Mediazione obbligatoria, stop all’eccezione in appello: la Cassazione chiarisce i limiti

Importante chiarimento della Corte di Cassazione in materia di mediazione obbligatoria. Con l’ordinanza n. 5474 del 2025, la Suprema Corte ha ribadito che, nelle controversie soggette a mediazione preventiva — come quelle ereditarie — l’eccezione di improcedibilità per mancato esperimento della procedura conciliativa può essere proposta soltanto nel giudizio di primo grado e, precisamente, entro la prima udienza. Se ciò non avviene, la parte decade dal diritto di sollevarla e in appello non potrà più essere fatta valere.

Il principio si fonda sul disposto dell’articolo 5, comma 2 del D.lgs. 28/2010, così come modificato dalla recente Riforma Cartabia, secondo cui l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice entro la prima udienza di comparizione.

Nel caso concreto esaminato dalla Corte, relativo a una successione ereditaria, nessuna delle parti aveva sollevato l’eccezione in tempo utile e il giudice di primo grado non aveva rilevato il vizio. Di conseguenza, in appello non è stato possibile bloccare il processo per avviare una mediazione, neppure in presenza di una materia che la legge riconosce come obbligatoria per questo percorso.

La Corte ha però ricordato che il giudice d’appello mantiene la facoltà, e non l’obbligo, di disporre una mediazione anche oltre il primo grado, ma solo nei casi in cui lo ritenga utile alla definizione della controversia. Si tratta della cosiddetta “mediazione delegata propria”, prevista dal nuovo art. 5-quater del decreto legislativo sulla mediazione, norma introdotta dalla Riforma Cartabia per valorizzare la mediazione come strumento efficace e consensuale di risoluzione dei conflitti.

Diverso invece il caso della “mediazione delegata impropria”, che riguarda i procedimenti in cui la legge impone il tentativo di conciliazione prima dell’avvio del giudizio e che può essere ordinata solo entro la prima udienza di primo grado.

La pronuncia della Cassazione conferma una tendenza ormai diffusa nei tribunali italiani, dove si moltiplicano i protocolli d’intesa tra magistrati, ordini professionali e università per promuovere la cultura della mediazione. Sempre più spesso, infatti, i giudici inviano le parti in mediazione durante il processo, vedendo in questo strumento non una semplice via alternativa alla causa, ma un metodo moderno di gestione consensuale dei conflitti, che restituisce alle persone il potere di decidere il proprio destino fuori dalle aule giudiziarie.


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Decreto Sicurezza, penalisti in piazza: “Parlamento umiliato, è deriva autoritaria”

Una piazza compatta e indignata quella che ieri, a Roma, ha ospitato la protesta contro il decreto Sicurezza voluto dal governo Meloni. A promuovere la manifestazione l’Unione delle Camere Penali, con il sostegno di esponenti delle opposizioni e del mondo giuridico, esclusi i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Tra slogan duri e interventi accorati, è stata denunciata quella che molti hanno definito «una forzatura istituzionale senza precedenti».

Ad aprire la serie di interventi il presidente dei penalisti italiani, Francesco Petrelli, che ha descritto il provvedimento come «un pericolo per i diritti fondamentali e le libertà individuali, che rischiano di essere drasticamente compressi». Tesi condivisa anche dalla vicepresidente del Senato, Anna Rossomando (Pd), che ha ricordato come «da oltre un anno il Parlamento stesse lavorando a una legge sulla sicurezza, coinvolgendo magistrati, università e sindacati. Il governo ha scelto di azzerare tutto con un decreto legge, un atto che calpesta le regole della democrazia parlamentare».

Duro anche il giudizio di Maria Elena Boschi, presidente dei deputati di Italia Viva: «In pochi minuti, il Consiglio dei ministri ha cancellato un anno di confronto e sacrificato il dibattito parlamentare. È uno sfregio alla democrazia e alla funzione del Parlamento».

Anche Alleanza Verdi e Sinistra ha fatto sentire la sua voce attraverso Ilaria Cucchi e Peppe De Cristofaro: «Questo decreto non renderà l’Italia più sicura, ma più repressiva e ingiusta. Usare la decretazione d’urgenza per ostacolare il dissenso è una deriva autoritaria».

Dalla piazza è arrivato poi il durissimo intervento di Riccardo Magi (+Europa), che ha parlato di «un mostro giuridico di 40 articoli, una mina vagante per l’ordinamento democratico». Magi ha annunciato di aver avviato personalmente un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, chiedendo anche ai presidenti di Camera e Senato di fare altrettanto per difendere le prerogative del Parlamento.

Presente anche Gaetano Scalise di Noi Moderati, che ha illustrato proposte di modifica, tra cui una per tutelare le detenute madri, prevedendo gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico al posto del carcere.

Sul palco si è alternato anche il magistrato Ciccio Zaccaro, segretario di AreaDg, la corrente progressista dell’Anm, che ha ribadito: «La sicurezza deve essere al servizio dei diritti e delle garanzie, altrimenti diventa autoritarismo».

Non è mancata Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino, giunta al quindicesimo giorno di sciopero della fame per protestare contro il decreto e a favore di un provvedimento di indulto.


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Addio all’abuso d’ufficio, Nordio soddisfatto: “Stop a strumentalizzazioni”

La Corte Costituzionale ha respinto i ricorsi contro l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio e il ministro della Giustizia Carlo Nordio incassa il risultato con evidente soddisfazione. «Massima soddisfazione per una decisione che conferma la bontà della nostra scelta — ha commentato Nordio — e rammarico per chi, anche all’interno della magistratura, ha strumentalizzato questa battaglia».

Il Guardasigilli ha infatti puntato il dito contro parte delle toghe e delle opposizioni, accusandole di aver ostacolato un provvedimento che, a suo dire, libererà gli amministratori locali da inutili paure e frenerà il clima di sospetto che condizionava le scelte della pubblica amministrazione. «Auspico — ha aggiunto Nordio — che in futuro cessino queste polemiche pretestuose, che nuocciono all’immagine del Paese e all’efficacia della giustizia».

Dal centrodestra l’esultanza è corale. Fratelli d’Italia parla di «un passo avanti importante, che mette fine a strumentalizzazioni e accuse infondate», mentre il presidente della Lombardia Attilio Fontana definisce «assurdo e dannoso il reato di abuso d’ufficio», rivendicando di aver sempre sostenuto la sua eliminazione.

Di tutt’altro tenore le reazioni del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle. Alfredo Bazoli, vicecapogruppo del Pd al Senato, definisce il provvedimento «opportunisticamente sbagliato» e destinato ad «indebolire i presidi contro gli abusi di potere». Duro anche il commento dei 5 Stelle, che parlano di «esultanza fuori luogo» da parte della maggioranza e denunciano «l’ennesima scelta che lascia più indifesi i cittadini di fronte agli abusi del potere pubblico».

In attesa delle motivazioni della sentenza, la frattura politica resta netta: per il governo Meloni si tratta di una riforma che rende la giustizia più efficiente e libera gli amministratori dal timore di indagini pretestuose, per le opposizioni è l’ennesima conferma di un approccio sbilanciato a favore dei potenti.


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Geolocalizzare i lavoratori in smart working è vietato: scatta la sanzione da 50mila euro

Il controllo dei lavoratori in smart working tramite sistemi di geolocalizzazione è una pratica vietata. A ribadirlo è stato il Garante per la Privacy, che ha sanzionato con una multa da 50mila euro un ente che aveva utilizzato un’app per localizzare i propri dipendenti durante le giornate di lavoro agile.

La vicenda riguarda un sistema che permetteva di tracciare la posizione dei dipendenti attraverso i dispositivi aziendali — smartphone e notebook — per verificare che si trovassero nel luogo concordato per lo svolgimento dell’attività da remoto. Un controllo che, di fatto, violava le regole previste dallo Statuto dei lavoratori e dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR).

La normativa consente l’utilizzo di strumenti di controllo a distanza solo per specifiche finalità, come la tutela del patrimonio aziendale o per motivi di sicurezza, e mai per verificare in modo diretto la prestazione lavorativa, se non in presenza di accordi chiari e specifici autorizzati dagli organi competenti. Nel caso esaminato, il monitoraggio era stato attivato in modo sistematico su circa 100 dipendenti, attraverso la richiesta di timbrare virtualmente l’inizio e la fine dell’attività e di comunicare la propria posizione via mail.

Il Garante ha giudicato il comportamento gravemente lesivo dei diritti dei lavoratori, sottolineando che il lavoro agile garantisce maggiore libertà nella gestione della vita privata e lavorativa. La geolocalizzazione costante rappresenta, invece, un’ingerenza indebita nella sfera personale, anche se l’applicazione richiedeva il consenso dei dipendenti: in questo contesto, infatti, il consenso non è considerato valido, essendo rilasciato in un contesto di subordinazione.

Il caso è emerso a seguito del reclamo di una dipendente, che ha denunciato le pressioni ricevute per attivare il sistema di localizzazione. Da qui, le indagini hanno portato alla sanzione amministrativa e all’obbligo, per l’ente, di disattivare l’applicazione e di interrompere immediatamente il trattamento illecito dei dati.

Un richiamo forte al rispetto della privacy dei lavoratori da remoto e alla necessità, per le aziende, di attenersi a criteri di liceità, correttezza e trasparenza nel trattamento dei dati personali, come previsto dal GDPR.


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Pubblico impiego, sì alle mansioni inferiori ma solo a precise condizioni

Anche nel settore pubblico i dipendenti possono essere chiamati a svolgere, in via eccezionale, mansioni di livello inferiore rispetto al proprio inquadramento. A stabilirlo è un’ordinanza della Corte di Cassazione civile – sezione lavoro (n. 1128 dell’8 maggio 2025), che chiarisce i confini entro cui un’amministrazione può ricorrere a questa possibilità senza violare i diritti dei lavoratori.

Secondo i giudici supremi, il pubblico dipendente ha un dovere di collaborazione nell’interesse dell’ente e della collettività, che può includere anche incarichi diversi da quelli abituali. Tuttavia, tali mansioni devono rientrare nell’ambito della professionalità del lavoratore e non essere completamente estranee al suo percorso formativo e lavorativo. È inoltre necessario che la richiesta derivi da effettive esigenze organizzative e venga gestita in modo marginale e occasionale.

Nel caso esaminato, un’infermiera era stata sistematicamente destinata a compiti tipici degli operatori socio-sanitari (Oss), a causa della carenza di personale. La Corte ha confermato la condanna dell’azienda sanitaria, condannata a risarcire la lavoratrice per il danno alla professionalità e all’immagine, quantificato nel 20% della retribuzione per il periodo interessato.

La pronuncia sottolinea, però, che non è sempre illegittimo impiegare infermieri in mansioni da Oss, purché si tratti di attività compatibili con la loro qualifica e che tali incarichi restino accessori rispetto alle mansioni principali. L’amministrazione pubblica, infatti, può richiedere ai propri dipendenti una certa flessibilità funzionale, ma senza stravolgere il profilo professionale o mortificare le competenze acquisite.

Una decisione che rimette al centro il rispetto della dignità lavorativa nel pubblico impiego, tutelando il diritto di ogni dipendente a vedere riconosciuto il proprio ruolo senza essere impiegato sistematicamente in compiti inferiori al proprio inquadramento.


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L’UE cerca input sulla sua futura politica digitale esterna

La Commissione europea ha pubblicato un invito a presentare contributi per raccogliere riscontri che aiuteranno a definire la politica digitale esterna dell’UE. I contributi confluiranno nella prossima comunicazione congiunta su una strategia digitale internazionale, in fase di elaborazione con l’Alta rappresentante/Vicepresidente Kaja Kallas.

La comunicazione congiunta, che dovrebbe essere pubblicata nelle prossime settimane, delineerà la strategia dell’UE per rafforzare il suo ruolo di attore digitale globale, promuovere i suoi interessi strategici nel settore della tecnologia e della trasformazione digitale e sostenere la trasformazione digitale dei paesi partner.

Ciò comprende azioni volte a promuovere la sovranità tecnologica e la democrazia dell’UE e a rafforzarne la sicurezza e la difesa. Ci si baserà sui recenti progressi nello sviluppo di una rete di partenariati e alleanze digitali con i paesi partner di tutto il mondo e sulla fondazione della diplomazia digitale dell’UE.

L’invito raccoglierà opinioni, fatti e prove per comprendere meglio le sfide sottostanti e le possibili soluzioni, nonché gli effetti previsti delle azioni proposte.

Una serie di portatori di interessi, tra cui le imprese tecnologiche, le associazioni di categoria, le autorità nazionali dell’UE e dei paesi terzi, la società civile, le ONG, il mondo accademico e i cittadini, possono condividere le loro opinioni entro il 21 maggio.


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Abuso d’ufficio, Nordio: “Massima soddisfazione per il provvedimento della Consulta, abrogazione compatibile con obblighi internazionali”

Roma, 8 maggio 2025 – “Esprimo la massima soddisfazione per il contenuto del provvedimento della Corte Costituzionale, che ha confermato quanto sostenuto a più riprese in ordine alla compatibilità dell’abrogazione del reato di abuso di ufficio con gli obblighi internazionali.

Mi rammarica che parti della magistratura e delle opposizioni abbiano insinuato una volontà politica di opporsi agli obblighi derivanti dalla convenzione di Merida.

Auspico che nel futuro cessino queste strumentalizzazioni, che non giovano all’immagine del nostro Paese e tantomeno all’efficacia dell’Amministrazione della giustizia”.

Dichiarazione del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in merito alla sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.


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