Si può essere dipendenti da Internet?

L’Istituto Superiore di Sanità, l’Iss, qualche settimana fa ha pubblicato una mappa dove sono rappresentate le «risorse territoriali», come cliniche, consultori e centri pubblici e privati che mettono a disposizione professionisti capaci di aiutare le persone che soffrono di una particolare dipendenza: quella da Internet.

In Italia, secondo la mappa, ci sono 102 risorse territoriali, e almeno 3.667 persone attualmente sono in cura per gestire la dipendenza da Internet. Non sembra esserci, tuttavia, un vero e proprio consenso a livello scientifico per quanto riguarda l’esistenza di tale fenomeno.

In un rapporto del 2022, l’Iss dichiara che «fin dalla sua comparsa nella letteratura scientifica questo fenomeno è stato accompagnato da vivaci dibattiti sulla sua definizione e concettualizzazione. Si discute molto sul fatto che le persone siano dipendenti da Internet stesso o dalle attività realizzate nell’ambiente di internet, e se utilizzare il termine dipendenza da internet o dipendenze da attività online specifiche come il gioco online o la dipendenza dal sesso virtuale».

La dipendenza da internet in psichiatria

Per gli esperti che hanno compilato la più recente edizione del DSM-5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, attualmente non ci sarebbero prove sufficienti per inserire la dipendenza da internet all’interno del manuale, nella categoria delle dipendenze comportamentali.

Spiega il professor Roberto Poli, direttore del dipartimento Salute mentale e dipendenze dell’Ospedale di Cremona: «Si dovrebbe piuttosto parlare di dipendenze da contenuti specifici, che prima si svolgevano offline e si sono poi sviluppate online con caratteristiche molto simili».

«Per esempio», continua, «oggi il gioco d’azzardo avviene meno con le slot machine e molto online, e lo stesso si può dire dello shopping compulsivo. Non c’è quasi mai una dipendenza dallo smartphone o dal computer in quanto strumenti, ma piuttosto dai contenuti e dalle attività che si possono raggiungere attraverso internet».

Che cos’è una dipendenza?

Per dipendenza, nella letteratura scientifica, viene intesa una condizione patologica che si caratterizza da una ricerca compulsiva di stimoli gratificanti, che persiste nonostante ci siano conseguenze avverse, associata, tipicamente, al modello dei disturbi correlati all’abuso di sostanze.

Da qualche decennio esiste un ramo di studio sulle dipendenze, che va ad esplorare le relazioni patologiche nei confronti di attività e comportamenti, ovvero, le dipendenze comportamentali (il disturbo da gioco d’azzardo rientra in questa categoria).

Alcuni psichiatri sono convinti che si possa sviluppare una dipendenza partendo da ogni attività che inizialmente risulta piacevole, come lo shopping, lo sport, il sesso e internet.

La possibilità che le nuove tecnologie possano causare dipendenza è stata presa in considerazione a partire dalla fine degli anni ’90. Lo psichiatra Jerald Block, nel 1997 sostenne che internet potesse ispirare gli stessi modelli di utilizzo eccessivo delle sostanze stupefacenti, conducendo alle conseguenze negative delle dipendenze, come l’isolamento sociale, il distacco dalla scuola o dal lavoro e l’impossibilità di controllare il proprio comportamento.

Dalla diffusione degli smartphone in poi si è cominciato a discutere sempre più di questa dipendenza, soprattutto in relazione ai social media. Un tema controverso e confuso, visto che la maggior parte delle persone che hanno partecipato alla costruzione delle piattaforme più famose dice che la progettazione era destinata alla creazione di dipendenza, per riuscire a mantenere le persone sulle piattaforme il più a lungo possibile.

Ma per la scienza non è ancora possibile affermare che internet causi dipendenza. Sono stati fatti molti studi preliminari negli ultimi 20 anni, soprattutto per quanto concerne il rapporto con i social. Alcuni esperti interpretano l’abuso di internet come un sintomo di altri disturbi sottostanti. Infatti, chi dimostra un rapporto decisamente malsano con internet probabilmente convive con altri disturbi, come depressione, ansia, disturbo da deficit di attenzione e iperattività e disturbo ossessivo-compulsivo.

Incomprensioni tra generazioni

Per qualcuno esiste anche un problema di incomprensione generazionale per quanto riguarda il ruolo di internet nelle vite dei più giovani. Spiega il ricercatore e psicologo Patrick Markey: «Se vediamo bambini che giocano ai videogiochi o guardano video di YouTube, ai nostri occhi è come se stessero perdendo tempo e non fossero produttivi. Potremmo desiderare che siano fuori a giocare a baseball o qualcosa del genere, ma per quella generazione quello è il loro parco giochi pixellato. Non tutto è un segnale di un comportamento patologico».

Adele Minutillo, un’autrice del rapporto dell’Iss sopracitato, spiega che in Italia, oggi, da un punto di vista clinico si utilizza la dipendenza da internet come un termine ombrello, nel quale vengono compresi atteggiamenti problematici online, come lo shopping compulsivo, l’eccessivo consumo di pornografia o di videogiochi, il rapporto malsano con le relazioni virtuali e la dipendenza dal gioco d’azzardo.

Spiega Minutillo: «Un comportamento è considerato problematico quando va a togliere qualcosa alla vita dell’individuo, quando diventa l’attività preminente nella sua vita quotidiana, togliendo spazio a relazioni affettive, relazioni amicali, attività lavorative».

La sintomatologia

Secondo l’Iss, i sintomi della dipendenza da internet sono:

  • Una «preoccupazione per internet, come pensare alle attività che si svolgeranno durante il prossimo accesso alla rete»;
  • La necessità di trascorrere sempre più tempo online per riuscire a raggiungere lo stesso grado di soddisfazione;
  • Tentare e fallire di ridurre l’utilizzo di internet;
  • Irritabilità, malumore e depressione nel caso in cui non si possa utilizzare internet;
  • Affidarsi a internet per migliorare o regolare l’umore;
  • Mettere a rischio relazioni o lavoro per riuscire ad utilizzare di più internet.

Nonostante la descrizione di una sintomatologia del disturbo da dipendenza da internet, «non c’è attualmente consenso sui criteri diagnostici per questa condizione in campo accademico e clinico, l’inclusione della diagnosi da disturbo da uso di internet rimane controversa e richiede ulteriori ricerche».

Curare e prevenire il fenomeno

In Italia non ci sono strutture che si concentrino esclusivamente sulla dipendenza da internet, anche se abbiamo centinaia di psichiatri e psicologi che hanno sviluppato un bagaglio di conoscenze per coloro che ritengono di avere un problema con la tecnologia.

Questi casi vengono trattati con la psicoterapia, che sia di gruppo, individuale o familiare. I comportamenti collegati alla dipendenza da internet di solito si manifestano negli adolescenti, e spesso è necessario includere i genitori nella terapia.

Alcuni centri si occupano di prevenzione del fenomeno, e cercano di educare ad un uso maggiormente consapevole della tecnologia. «Spesso prima di rendersi conto di star utilizzando qualcosa in una modalità dannosa per sé, che crea dei disagi e problemi di adattamento, ci vuole un po’ di tempo», spiega Micol Parolin, professoressa dell’Università di Padova che si occupa di dipendenze comportamentali.

Malesseri e bisogni

Non si tratta di una «tossicodipendenza tradizionale, in cui ci si addentra nei meccanismi dell’illegalità e del divieto ed è chiaro che si sta facendo qualcosa di dannoso. A ciò si aggiunge il fatto che in tutte le situazioni di dipendenza c’è un aspetto di negazione del problema e di difficile consapevolezza: tante persone arrivano magari a chiedere aiuto non tanto perché hanno un problema con internet ma perché sentono di stare molto male, di essere in un momento depressivo. È solo nella consultazione col professionista che emerge poi la consapevolezza di avere un problema con internet».

Altre volte, invece, sono i genitori a interpretare il fatto che i figli passino troppo tempo su internet come problema principale, mentre nella realtà si tratta di un sintomo di malessere più generalizzato. «Per questo è importante anche educare meglio i genitori, spiegando loro cos’è internet, quali sono le motivazioni e gli aspetti attrattivi che ha per i ragazzi, quale funzione sociale ha per loro il fatto di passarci molto tempo, per far sì che poi possano distinguere quello che è effettivamente un uso problematico da quello che è un uso eccessivo soltanto ai loro occhi. Perché spesso non hanno un’idea precisa di quali sono i bisogni dei ragazzi: internet ha una forte funzione socializzante, e questo va capito».

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Professionisti: l’equo compenso diventa legge

Con la legge 49/2023, ovvero la legge sull’equo compenso, dal prossimo 20 maggio cambieranno alcuni principi che caratterizzano i rapporti tra committenti e professionisti, che siano essi collegiati o organizzati in elenchi, associazioni e registri (legge 4/2013). Alcune previsioni riguardano i rapporti economici tra i professionisti e i committenti “forti”, come banche, PA, assicurazioni e società partecipate; esclusi, invece, agenti di riscossione e società di cartolarizzazione.

Per l’occasione, il legislatore ha posto alcuni punti fermi per quanto riguarda il tema delle tariffe, in ottica di riequilibrio delle retribuzioni dei professionisti rispetto ai committenti “forti”. Si pone fine al periodo di liberalizzazione cominciato nel 2006.

Ora, ritorneranno le tariffe vincolanti dedicate alle attività professionali. Di fatto, l’art. 12 della legge 49/2023 abroga la norma che aveva soppresso il sistema delle tariffe vincolanti (art. 2 comma 1 DL 229/2006).

Il risultato, dunque, è la rinascita delle tariffe obbligatorie, che ora saranno determinate dai decreti ministeriali di competenza. Per esempio: un avvocato che svolge un’attività professionale per una PA dovrà veder applicato l’equo compenso con i criteri contenuti nel regolamento del DM Giustizia 55/2014, così come stabilito dal DM 147/2022.

Gli onorari professionali d’ora in poi si determineranno basandosi su più elementi, come il pregio e l’urgenza dell’attività prestata, la natura, l’importanza, il valore e la difficoltà dell’affare. E ancora, sulle condizioni soggettive del cliente, sul numero, sulla complessità delle questioni trattate e sui risultati conseguiti.

Tale terminologia, appartenente al mondo forense, verrà estesa a tutte le categorie di professionisti. In questo contesto riemergono i poteri degli ordini professionali, facendo valere anche i vari doveri deontologici, infliggendo sanzioni ai professionisti che applicano dei compensi troppo bassi, così come stabilito dall’art.5 comma 5.

Sono vietati accordi o clausole squilibrate, che verranno prontamente eliminati dal contratto senza determinare l’interruzione del rapporto professionale. Per esempio, non verranno ammessi obblighi di anticipazione delle spese, prestazioni gratuite, divieti di pretendere acconti, prestazioni retribuite a scalare, clausole salvo buon fine e obblighi di utilizzo a pagamento dei software dei committenti.

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La legge interviene anche sul regime di prescrizione, stabilendo, prima di tutto, che al pagamento del compenso, il diritto del professionista si prescriva a partire dal termine del rapporto con il cliente. Inoltre, viene uniformato il regime di responsabilità professionale.

L’azione per l’ottenimento del risarcimento dei danni che sono stati provocati dal professionista viene prescritto a partire dal giorno in cui è stata effettuata la prestazione. Resta il termine decennale, ma cambia la data di decorrenza, poiché in precedenza si era stabilito che la prescrizione dovesse decorrere nel momento in cui il cliente, in quanto prestatore “non qualificato”, si fosse accorto dell’errore professionale (sentenza 8703/2016 della Cassazione).

Se dovesse avvenire una situazione di contestazione con il cliente, il Consiglio di appartenenza o il professionista si dovranno rivolgere ad un Tribunale civile, capace di utilizzare nuovi tariffari come parametri di riferimento (art.3 e 4). Infine, all’art. 10 si istituisce un Osservatorio nazionale sull’equo compenso, che segnalerà condotte e interpretazioni lesive in materia.

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L’attuale narrativa pressapochista descrive i giovani di oggi come perennemente assorbiti nel mondo del digitale. Tuttavia, prima di commettere l’errore di fare di tutta l’erba un fascio, puntando il dito sulle ultime generazioni, approfondiamo un nuovo trend che si sta diffondendo sempre più tra la Gen Z: quello dei dumbphone.

In un report diffuso dal Wall Street Journal il 2 maggio 2023, emerge come numerosi giovani nati indicativamente tra il 1997 e il 2012 (Generazione Z o GenZ) abbiano una necessità molto particolare. Anche se vengono descritti come “nativi digitali”, i giovani della GenZ sono stanchi di vivere una vita fatta di notifiche infinite.

Non si tratta di una nostalgia dei cellulari dei primi anni 2000, ma della volontà di ridurre le distrazioni, pur rimanendo connessi ai servizi necessari per vivere nell’era del web. In questo contesto si inserisce il mercato dei dumbphones, l’esatto opposto degli smartphones (dumb = stupido, smart = intelligente).

Dumb Phone, smart choice

Un dumbphone è uno smartphone che possiede poche funzionalità, quelle necessarie, per intenderci. Corrispondono ai modelli economici che ricevono sms, effettuano chiamate, accedono limitatamente ai social e consentono di giocare a giochi come Snake. Insomma, cellulari che garantiscono l’essenziale.

Basta dare un’occhiata al sito ufficiale di Nokia per capire come il mercato stia virando verso questa tipologia di dispositivi. In generale, quello che accade è che gran parte dei giovani della GenZ (ma non solo loro) comincia ad utilizzare un dumbphone come telefono secondario.

Infatti, nei momenti in cui si ha bisogno di fare “digital detox”, lo smartphone viene lasciato a casa, spento, per affidarsi al dumbphone. Ciò avviene quando, per esempio, si esce con altri e si socializza, oppure in contesti nei quali non si vogliono le distrazioni dalle classiche applicazioni.

Nokia sta vendendo parecchi dumbphone negli USA. Per esempio, Lars Silberbauer di HMD Global dichiara che non siamo di fronte ad un trend ridotto, poiché più passa il tempo, più le vendite aumentano. Sempre più persone, dunque, mirano ad un dispositivo secondario, che permette di allontanarsi, almeno per un po’ di tempo, dall’infinito scrolling e dalle notifiche.

Il minimalismo digitale è il futuro?

I dumbphone hanno cominciato a diffondersi in Corea, nel 2019, dove sono stati acquistati principalmente per far superare gli esami agli studenti senza troppe distrazioni, attraverso l’incentivo di uno sconto per acquistare un vero e proprio smartphone.

Ma con il passare del tempo, i dumbphone sono diventati una specie di status symbol. Stiamo assistendo all’alba dell’era del minimalismo digitale, che piace molto anche ai big manager. Martin Cooper, inventore del telefono portatile, dichiara che «le persone che hanno uno smartphone lo guardano troppo, si sono fatte prendere. Sono sconvolto quando vedo qualcuno che attraversa la strada e guarda il cellulare. È una cosa molto comune, sono matti».

Una giornalista del Guardian, Alice O’Keeffe, ammette di amare «il dumbphone. Ho abbandonato il mio iPhone e comprato un telefono vecchio stile, un dumbphone senza internet. Bisogna ricominciare a fermare le persone in strada per chiedere informazioni. Senza internet non abbiamo accesso al conto bancario ogni volta che vogliamo, ma ci sentiamo di sicuro più centrati, meno distratti. Per poche sterline si riconquista il proprio cervello e ciò è impagabile».

Nel febbraio del 2023 è stata diffusa la notizia di un gruppo di ragazzi di New York che ha deciso di fondare il Luddite Club: requisito principale per farne parte è abbandonare lo smartphone per abbracciare uno stile di vita vintage e romantico.

I diciasettenni del Luddite Club si ritrovano sui gradini della Central Library di Brooklyn, per chiacchierare, suonare e leggere. Senza smartphone: «Passiamo semplicemente il tempo», raccontano. «D’estate portiamo pure le amache». Il nome del club trae ispirazione da Ned Ludd, un operaio inglese che nel 1799 fondò un movimento per contestare l’introduzione delle macchine all’interno delle industrie.

Quanto tempo passiamo sui social?

Passiamo online più di 30 anni delle nostre vite. E la maggior parte di questo tempo lo passiamo – rullo di tamburi – sui social! Secondo i dati raccolti da Atlas VPN, le persone con un’età compresa tra 16 e 64 anni, in media, passano il 38% del tempo online sui social.

Nel 2022 hanno passato 23 ore28 minuti ogni mese su TikTok. 4 ore in più rispetto all’anno precedente. Per Atlas VPN, è «la prima volta che TikTok supera YouTube per quanto riguarda il tempo trascorso sui social media».

YouTube, che ha creato gli Shorts per riuscire a competere con il rivale TikTok, attualmente è il secondo social più utilizzato. Nel 2022, infatti, le persone hanno trascorso, in media, 23 ore e 9 minuti ogni mese sulla piattaforma. Un tempo notevole, nonostante sia diminuito di 32 minuti rispetto al 2021.

In ogni caso, Facebook non molla, collocandosi al terzo posto con la sua media di 19 ore e 43 minuti mensili. Seguono WhatsApp con 17 ore e 20 minuti, Instagram con 12 ore, Line (app di messaggistica istantanea) con 10 minuti e 59 minuti, Twitter con 5 ore e 28 minuti, Telegram con 3 ore e 57 minuti e Messenger con 3 ore e 7 minuti.

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Ci sono numerosi traguardi del mondo del diritto occidentale che sono una diretta eredità della scrittura giuridica romana. Una delle più sofisticate produzioni dell’antichità, infatti, è proprio quella dei capitolini, ed è ancora oggi un sistema di leggi oggetto di studio dei giuristi di oggi.

Se oggi applichiamo il concetto della presunzione d’innocenza è proprio grazie ai romani. Un principio fondamentale anche per tutte le epoche successive, che rappresenta una solida ed equa base per i più giovani sistemi giudiziari.

I romani hanno inconsapevolmente contribuito alla nascita del diritto anche con il Codice di Giustiniano, ovvero l’insieme di leggi dell’imperatore Giustiniano, promulgati nel VI secolo d.C. Un testo veramente importante, in quanto fonte legislativa maggiormente completa di tutto il diritto romano. Le nostre conoscenze giuridiche di quel tempo le dobbiamo soltanto a questo testo.

La stessa idea dei tribunali e dei giudici odierni si deve all’esperienza capitolina. I romani, prima di altri, si erano resi conto che le aristocrazie si servivano della legge a proprio piacimento. Dunque, le autorità decisero di realizzare un imparziale sistema di decisioni per i vari casi, che si basava sulla scelta casuale, da parte di una giuria di cittadini che doveva giudicare senza pregiudizi alcune situazioni controverse e delicate.

Oltre al principio di presunzione d’innocenza, i romani contemplavano anche il diritto di voto, la libertà di parola e di professare qualsiasi fede religiosa.

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È arrivato un contrordine da Via Arenula. Sembra che gli elaborati per il concorso in magistratura non debbano più essere «sintetici», come riportato, erroneamente, nel decreto originario del Ministero della Giustizia.

Il Dicastero, attraverso una nota sul sito istituzionale, informa che è stato pubblicato un avviso per quanto riguarda gli esami del concorso per 400 posti di magistrato ordinario, così come indetto dal dm del 18 ottobre 2022.

Leggiamo nella nota pubblicata: «Si comunica agli aspiranti candidati che, per mero errore materiale, nell’art. 5 del D.M. 18.10.2022, 2° capoverso, è riportato l’aggettivo “sintetici” nel descrivere la tipologia di elaborati richiesti».

Il secondo capoverso, in realtà, dovrà essere letto: «La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici vertenti su…», al quale segue l’elenco delle materie oggetto d’esame: diritto civile, penale e amministrativo.

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Il decreto di correzione dell’errore materiale, emesso lo scorso 2 maggio 2023, verrà pubblicato in GU – quarta serie speciale “Concorsi ed esami” n.34 del 5 maggio 2023.

Nel frattempo, con il decreto del 21 marzo 2023 è stato pubblicato il “Diario delle prove scritte”, che si terranno alla Fiera Roma il 17,18, e 19 maggio 2023. Il 15 e il 16 maggio, invece, avverranno tutte le procedure preliminari identificative e la consegna dei testi e dei codici per la consultazione.

Per ogni materia oggetto di prova scritta, i candidati avranno a disposizione otto ore per lo svolgimento del tema.


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Il risparmio è amico della sostenibilità. Visti i tempi recenti, non sorprende che Studi legali e professionali abbiamo aumentato la loro consapevolezza per quanto riguarda l’impatto di ogni azione. In molti hanno deciso di riprogrammare i propri investimenti, per cercare di ridurre costi ed emissioni.

Vediamo insieme come operare in maniera maggiormente consapevole e rispettosa nei confronti del nostro Pianeta!

Lampadine a LED

Sostituire le lampadine tradizionali con quelle a LED fa risparmiare moltissimo. L’intensità luminosa prodotta dalle lampadine a incandescenza, infatti, richiede un consumo elettrico cinque volte maggiore rispetto alle lampadine a LED.

Grazie all’innovazione tecnologica, nel mercato si trovano diversi modelli di lampadine a basso consumo energetico, che rappresentano la soluzione ideale per riuscire a ridurre i costi in bolletta, implementando, al tempo stesso, l’impronta ecologica.

Procedure più moderne

Per convertire le procedure verso un’ottica ecologica e per riuscire a raggiungere gli obiettivi di Agenda 2030, risparmiando sui costi, è necessaria una pianificazione strategica, capace di rivalutare flussi di lavoro e dinamiche dello studio.

Bastano piccoli gesti green da adottare nel quotidiano per risparmiare denaro nel lungo periodo. Un esempio efficace, in questo caso, è la sostituzione delle classiche bottigliette di plastica con le borracce, che aiutano a ridurre l’utilizzo e lo smaltimento della plastica.

Più digitalizzazione

Il mondo del paperless implica un bel risparmio economico (addio a toner, risme ed energia per le stampanti). Al tempo stesso, vengono ridotti articoli di cancelleria quali block-notes, post-it e penne, accogliendo calendari digitali e memo.

Nel settore della giustizia la digitalizzazione è sicuramente agevolata, viste le numerose politiche di dematerializzazione dei fascicoli e i processi telematici. Avere a disposizione i documenti in formato digitale agevola il monitoraggio di questi: dunque, il risparmio non sarà soltanto economico, ma riguarderà anche gli spazi di archiviazione e il tempo impiegato per la ricerca e il riordino.

Sei un Avvocato che sogna di accedere alla propria agenda fascicoli, alle scadenze termini e alle udienze, sia da PC che da Smartphone? Hai bisogno di un software dalle funzionalità esclusive ma con un’interfaccia semplice e chiara?

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Detrazioni per il risparmio energetico

Gli interventi destinati all’implementazione del livello di efficienza energetica degli edifici potranno beneficiare della detrazione di una parte delle spese per la realizzazione dei lavori.

Per esempio, i titolari di reddito d’impresa possono usufruire di una detrazione per quanto riguarda i fabbricati strumentali da utilizzare per esercitare l’attività imprenditoriale. L’agevolazione spetta a tutti i contribuenti che possiedono l’immobile che subirà l’intervento.

Potranno beneficiare dell’agevolazione, oltre ai proprietari, anche i titolari di un diritto sull’immobile, i comodatari, i condomini e gli inquilini. La detrazione dovrà essere ripartita in dieci rate annuali dello stesso importo, che oscilla tra il 50% e l’85% del totale, a seconda dell’intervento.

Le spese per la detrazione comprendono sia i costi per i lavori finalizzati all’intervento di risparmio energetico, sia i lavori per le prestazioni professionali necessarie per la realizzazione dell’intervento e per l’acquisizione della certificazione energetica.

Lavoro smart

Attivare procedure di lavoro a distanza consente di agevolare il risparmio delle utenze e dei materiali di consumo, come carta, prodotti per le pulizie, sapone per le mani, bicchieri di plastica, ecc.

Leggi anche: Lo smart working aiuta a migliorare la qualità del lavoro?

Ridimensionare gli spazi

I locali degli Studi, fino a qualche anno fa, erano veramente ampi. Infatti, il modus operandi richiedeva una stanza come archivio, una sala riunioni, un ingresso come front-office, sala d’attesa e singoli uffici.

Ma negli ultimi tre anni abbiamo assistito ad un impatto significativo sulle procedure, implementando e diffondendo tipologie operative che prima erano ben poco diffuse, come web meeting, smart working e la digitalizzazione degli archivi.

Si è compreso come sia possibile e necessario ridimensionare gli spazi, con notevoli risparmi di tempo e di energia. Uffici maggiormente contenuti, con la condivisione di spazi e luoghi di coworking potrebbe creare occasioni di collaborazione e networking con diverse figure professionali.

Sostituzione delle auto aziendali

Se ci sono auto aziendali, forse è arrivato il momento di sostituirle. I nuovi autoveicoli, anche quelli in leasing, sono molto più green. Inoltre, non sono da sottovalutare gli incentivi, presenti anche per tutto il 2023.

Per le auto elettriche, 5.000 euro di sconto con rottamazione; 3.000 euro, invece, senza rottamazione. Per i veicoli ibridi plug-in 4.000 euro di sconto con rottamazione e 2.000 senza rottamazione. 2.000 euro di sconto, invece, per le auto full e mild hybrid, benzina, diesel, gpl e metano.

Tutto questo entro il limite massimo di spesa che ha stabilito la normativa, tenendo in considerazione che soltanto le auto inferiori a Euro 5 potranno essere rottamate.

Colonnine di ricarica

Se sono stati acquistati veicoli elettrici, si dovrà avere a disposizione una colonnina per poterli ricaricare. In ogni caso, tutti gli Studi dovrebbero cominciare ad incoraggiare collaboratori e partner al passaggio all’elettrico nel momento in cui scelgono una nuova auto, magari anche contribuendo ad installare una colonnina per la ricarica vicino allo Studio.


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Come cancellare i nostri dati personali da Google

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È arrivato il momento di salutare la modalità aereo – anche se, con tutta probabilità, l’icona dell’aeroplano sui nostri smartphone sarà ancora presente.

La Commissione Europea, lo scorso 24 novembre, ha dato l’ok all’utilizzo di smartphone, pc, tablet e smartwatch, quindi a tutti i dispositivi connessi ad Internet, anche durante un viaggio in aereo. La decisione ha permesso ai Paesi membri di prendersi tutto il tempo necessario per assegnare le frequenze 5G agli aerei.

Mai più disconnessi, insomma (tranne in alcuni voli specifici). Da quest’estate «i passeggeri in volo all’interno dell’UE potranno utilizzare lo smartphone al massimo delle proprie potenzialità, comprese le chiamate», si legge in una nota della Commissione.

In bassa quota ci si potrà agganciare alle antenne terrestri; in alta quota, invece, sarà possibile soltanto sugli aerei che hanno attivato il servizio pico-cell, che funziona grazie ad un’antenna che collega la rete mobile a quella satellitare.

«Il cielo non è più un limite»

Secondo il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, «il cielo non è più un limite». Il 5G sembra offrire «opportunità di crescita e servizi innovativi», ma gli addetti ai lavori e i viaggiatori non sembrano, in realtà, esserne così entusiasti.

I primi a percorrere questa strada furono gli Stati Uniti, nel 2013, ma subito le compagnie aeree e l’ente federale bocciò l’idea. Un’innovazione simile, infatti, non porta soltanto benefici, ma potrebbe impattare negativamente sulla qualità dei viaggi in aereo. I passeggeri potrebbero essere costretti ad ascoltare videocall e chiamate di sconosciuti, e secondo il personale di bordo questo aumenterebbe le liti tra i viaggiatori.

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Non è piacevole trovare il proprio numero di telefono o l’indirizzo di casa, anzi, potrebbe essere spaventoso. Tuttavia, ci sono dei modi per proteggere la nostra privacy. Google, infatti, ha ampliato le modalità per richiedere la rimozione dei risultati contenenti informazioni personali. Prima, bisognava soddisfare requisiti decisamente stringenti per riuscire a cancellare i propri dati sensibili dai risultati dei motori di ricerca.

Google, oltre a rimuovere le informazioni personali, valuta anche eventuali richieste di cancellazione di deepfake pornografici, immagini di minori e contenuti espliciti. Nessuna garanzia che tali contenuti vengano rimossi, ma verranno sicuramente deviati e non risulteranno tra i principali risultati su Google.

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Scrive Michelle Chang, responsabile delle politiche globali Google, dopo aver annunciato le nuove funzioni: «L’accesso aperto alle informazioni è un obiettivo fondamentale della ricerca, ma lo è anche mettere le persone in condizione di avere gli strumenti necessari per proteggersi e mantenere private le proprie informazioni sensibili e di identificazione personale».

Dunque, le nuove procedure aiutano a tutelarci da minacce quali fughe di informazioni e doxxing, ovvero, quando qualcuno decide di pubblicare online informazioni private su qualcun altro, senza averne il permesso.

Come funziona la procedura per la richiesta di rimozione dei dati personali

Per cominciare, visitiamo la pagina per l’assistenza di Google e clicchiamo sul pulsante Avviare la richiesta di rimozione. Viene chiesto se sono stati contattati i proprietari del sito web dove sono pubblicati i contenuti da cancellare: operazione non necessaria, quindi basta cliccare su No, preferisco non farlo.

Google, poi, chiederà che cosa vogliamo eliminare, e noi potremo specificare quali sono le informazioni che vorremmo rimuovere. Tutti questi passaggi valgono per la rimozione di risultati da siti web attivi. Esiste un modulo separato, invece, per le pagine memorizzate nella cache.

Google chiederà se la richiesta riguarda la condivisione di dati per finalità di doxxing, che definisce come «condivisi o meno con un intento dannoso oppure a scopi di minaccia o di molestia». Per inoltrare la richiesta dovremmo inserire anche il nome completo, paese di residenza e mail. Le richieste di rimozione valgono soltanto per informazioni che riguardano la persona che presenta la domanda oppure qualcuno che si rappresenta ufficialmente.

Nel modulo possono essere inviati sino a 1000 link contemporaneamente. Google richiede anche di inserire l’url che rimanda al contenuto o all’immagine. Alla richiesta va allegato uno screenshot che aiuti a capire in che punto della pagina appaiono le informazioni personali da rimuovere.

Alla fine di tutto verrà richiesta la condivisione di un elenco dei termini di ricerca pertinenti, come il nome completo e il soprannome. Arriverà una mail da Google nella quale viene confermato che la richiesta è stata correttamente ricevuta. Non ci sono delle tempistiche, ma Google vi avviserà dopo aver deciso se rimuovere quanto richiesto o se non fare nulla, fornendo adeguate spiegazioni in qualsiasi caso.

Meglio prevenire che curare. Dai un’occhiata ai prodotti Servicematica, pensati appositamente per la privacy di tutti, privati e aziende. Se hai qualche domanda, non esitare a contattarci al 041 309 4509. Oppure scrivici direttamente sui social 😊

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Esame avvocato: Aiga chiede «immediati chiarimenti» al Ministero

Aiga, l’Associazione Italiana Giovani Avvocati chiede al Ministero della Giustizia di «dare immediati chiarimenti sul calendario delle seconde prove orali e sulle modalità d’esame per la sessione 2023-2024», viste le «numerose segnalazioni provenienti da diverse Corti d’Appello, sulla attuale situazione di incertezza sulle date di inizio della seconda prova orale».

Dunque, Aiga spera nel «rispetto delle tempistiche tipiche dell’esame d’avvocato, con la fissazione dei preappelli nell’immediato e delle prove ordinarie a far data dal mese di settembre». Francesco Paolo Perchinunno, presidente di Aiga, chiede di «sollecitare le commissioni territoriali a pubblicare nel più breve tempo possibile il calendario per le seconde prove, garantendo ai candidati adeguato periodo di preparazione e di organizzazione dello studio».

Continua Perchinunno: «Vista l’attuale situazione di incertezza anche sulle modalità d’esame per la sessione 2023/2024, appare improcrastinabile dare precise indicazioni sulla tipologia scelta per il prossimo esame di abilitazione».

In tutta Italia sono già cominciati i corsi di preparazione: alcuni si basano sulle vecchie modalità di redazione di atti e pareri, altri preparano i candidati al cosiddetto orale rafforzato. Per Giulia Pesce, Coordinatrice Aiga, «ciò contribuisce ad ingenerare ancora maggiore, inaccettabile, confusione nella vasta platea dei praticanti interessati a sostenere l’esame».

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Piantedosi vuole introdurre il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici

Matteo Piantedosi, il Ministro dell’Interno, ha intenzione di introdurre il riconoscimento facciale negli ospedali, nelle stazioni e nelle aree commerciali di Milano, Roma e Napoli. Tecnicamente, installare telecamere biometriche o sistemi simili in luoghi pubblici è vietato ai privati e soggetto al parere del Garante della Privacy se chi richiede di installare tale misura è una PA o la magistratura.

Inoltre, in Italia l’utilizzo delle tecnologie per il riconoscimento facciale viene regolato da una moratoria, che vieta di adottare la tecnologia almeno fino alla fine del 2023. Tale provvedimento lascia alle autorità lo spazio legislativo per poter richiedere al Garante l’autorizzazione, nel caso serva per indagini da parte della magistratura oppure per prevenzione di alcuni reati.

La moratoria è entrata in vigore nel 2021, e da allora ha bloccato ogni tentativo di installazione di tali sistemi nei luoghi pubblici. Questo è anche il caso del dispositivo Sari Real Time, appartenente alla Polizia di Stato.

Falsi positivi: il caso Alonzo Sawyer

Nonostante queste tecnologie vengano utilizzate sempre più, non sembrano essere del tutto affidabili e spesso generano falsi positivi, che impattano molto sulle minoranze etniche, violano il diritto alla privacy ed espongono a condotte discriminatorie.

Si pensi, per esempio, al caso Alonzo Sawyer. Per riuscire a fare uscire di prigione il marito, Carronne Sawyer ha dovuto prendere una settimana di ferie. Sawyer, infatti, è stato formalmente accusato di aver aggredito un autista di bus nel Maryland, a Baltimora, e di avergli successivamente rubato lo smartphone.

Tuttavia, la donna sapeva con certezza che il marito era innocente, dato che nel momento del “delitto” stava dormendo con lei sul divano. Tutto questo è avvenuto a causa di un software per il riconoscimento facciale, che ha attestato una probabile corrispondenza tra il sospettato e Alonzo.

Sorveglianza di massa in Real Time

Ricordiamo il parere negativo dal Garante della Privacy nei confronti di Real Time di Sari, sistema delle forze dell’ordine che identifica un volto, confrontandolo successivamente con le immagini delle persone foto-segnalate alle autorità.

Il sistema, attualmente non attivo, attraverso una serie di telecamere installate analizza in Real Time i volti delle persone riprese, confrontandole con una banca dati, una watch-list, che contiene 10 mila volti.

Ma per il Garante, «oltre ad essere privo di una base giuridica che legittimi il trattamento automatizzato dei dati biometrici per il riconoscimento facciale ai fini di sicurezza, realizzerebbe, per come è progettato, una forma di sorveglianza indiscriminata/di massa».

Il Garante, «in linea con quanto stabilito dal Consiglio d’Europa, ritiene di estrema delicatezza l’utilizzo di tecnologie di riconoscimento facciale per finalità di prevenzione e repressione dei reati. Va considerato in particolare che Sari Real Time realizzerebbe un trattamento automatizzato su larga scala che può riguardare anche persone presenti a manifestazioni politiche e sociali, che non sono oggetto di “attenzione” da parte delle forze di polizia».

Tale decisione è arrivata dopo un’istruttoria del 2018, nella quale il Garante ha acquisito alcune informazioni, come la valutazione d’impatto realizzata dal ministero dell’Interno, dove viene spiegato che le immagini vengono subito cancellate.

Tale spiegazione, tuttavia, non ha convinto il Garante, poiché «l’identificazione di una persona sarebbe realizzata attraverso il trattamento dei dati biometrici di coloro che sono presenti nello spazio monitorato, allo scopo di generare modelli confrontabili con quelli dei soggetti inclusi nella watch-list».

«Si determinerebbe», aggiunge, «una evoluzione della natura stessa dell’attività di sorveglianza, che segnerebbe un passaggio dalla sorveglianza mirata di alcuni individui alla possibilità di sorveglianza universale».

Ingannare l’algoritmo con la moda

Nel 2019, ad una studentessa in scambio culturale a New York, Rachele Didero, viene l’idea di far combaciare il fashion design con una particolare tecnologia che contrasta il riconoscimento facciale: nasce Cap_able, una startup fashion tech.

Spiega Didero: «L’idea si basa su quelli che si chiamano adversarial textiles. Si tratta della trasposizione su tessuto di alcune immagini, che sono in grado di confondere gli algoritmi di riconoscimento facciale. In particolare noi ci basiamo su Yolo, che è il software di riconoscimento in tempo reale più veloce che esista».

Per riuscire ad avere degli abiti che effettivamente proteggano i dati biometrici delle persone che le indossano, non è soltanto necessario lavorare sulle immagini, ma anche sulla tipologia di tessuto. Il modello brevettato dalla startup di Didero permette di incorporare l’algoritmo all’interno della trama degli indumenti.

«Bisogna creare l’immagine in digitale. Arriva poi la programmazione della macchina di maglieria, che deve rispettare determinati criteri in modo che riesca a riprodurre il tessuto, che può essere anche composto da diversi filati», continua Didero.

Gli abiti progettati da Cap­_able riescono a confondere le telecamere, per impedire loro di riconoscere correttamente un volto, portandola ad identificare animali, oggetti e cibi. «L’adversarial textile funziona un po’ al contrario rispetto a un codice QR. Invece di dare un’informazione, la scherna».

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