Arriva la patente digitale: che cos’è e come funziona

Entro la fine dell’anno la nostra patente sarà completamente digitale e accessibile attraverso l’app IO, grazie ad un QR Code che ne racchiude tutte le informazioni (il funzionamento è simile a quello del green pass).

Alessio Butti, sottosegretario all’innovazione, conferma che si seguirà questa strada, addirittura anticipando la misura già nel corso del 2023, continuando, dunque, il percorso tracciato dal precedente Governo. Nell’app IO ci saranno anche il certificato elettorale e la tessera sanitaria, anche se la rivoluzione vera e propria avverrà con la patente digitale.

La patente, infatti, è un documento onnipresente nelle vite degli italiani, sia per quanto riguarda l’abilitazione alla guida ma anche in veste di documento di identità, che viene spesso mostrato, per esempio, all’imbarco degli aerei.

La patente digitale diventerà la versione elettronica della nostra tradizionale patente di guida cartacea. Sarà accessibile con l’app IO, punto centralizzato di accesso ai servizi pubblici digitali, molto utilizzata durante l’emergenza Covid per richiedere i vari bonus messi a disposizione dal governo e per scaricare e utilizzare il green pass.

L’obiettivo della patente digitale è semplificare la gestione ma anche la presentazione della patente, rendendola un po’ più sicura, visto che si ridurranno i rischi di furto, smarrimento o di falsificazione. Per accedere all’app IO basterà autenticarsi con Spid o con Cie.

In ogni caso, la digitalizzazione del certificato di proprietà e della carta di circolazione è un passaggio già avvenuto con il nuovo DU, il documento unico di circolazione e di proprietà. La palla ora passa alla patente di guida.

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La patente digitale sarà più sicura e comoda rispetto alla versione classica cartacea, anche grazie al sistema di autenticazione con Spid o Cie.

Il QR Code consentirà alle autorità e alle forze dell’ordine di verificare in maniera rapida e certa se il documento e le informazioni contenute all’interno sono sicure, riducendo di molto il rischio di falsificazione.

Ma ci sono altri vantaggi, non meno importanti. Per esempio, la patente sarà dotata di aggiornamenti in tempo reale, affinché il titolare possa verificare quando vuole lo stato della patente, quanti punti gli sono rimasti ed eventuali scadenze. Tutto questo nella stessa app.

L’app IO, con delle notifiche push invierà delle notifiche al titolare della patente per informarlo che si sta avvicinando la scadenza del documento, e dunque, la necessità di rinnovarlo, ma anche se ci sono delle sanzioni amministrative e la scadenza del bollo auto.

Con la patente elettronica si potrà guidare in tutti gli stati membri UE. Infatti, il progetto fa parte dell’iniziativa europea che prevede un digital wallet comunitario, con elementi che vengono associati all’identità digitale dei cittadini.

In ogni caso, potremo comunque stampare i documenti ed utilizzarli in modo analogico. Una cosa molto utile nei casi delle persone che non hanno molta dimestichezza con il digitale.

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Secondo il governo la patente digitale ci sarà già da quest’anno, anche se non sono presenti termini formali a norma di legge. Dunque, sono possibili e prevedibili eventuali ritardi in merito.

Comunque, la strada per la digitalizzazione della patente è già stata tracciata, e l’app IO diverrà sempre di più un punto di riferimento per i cittadini italiani.

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Vittorio Pisani è il nuovo capo della Polizia: ecco la sua storia

Giovedì 11 maggio 2023 il Governo Meloni ha reso pubblico il nome del nuovo capo della Polizia: Vittorio Pisani, 55 anni e vicedirettore di AISI, servizio dell’intelligence interna italiana. Pisani andrà a sostituire Lamberto Giannini, in carica da due anni e che ora diventerà prefetto di Roma.

Per Meloni, Giannini e Pisani sono «due servitori dello Stato di grande competenza ed esperienza, che contribuiranno a rafforzare la sicurezza dei cittadini e la difesa delle istituzioni». Per i giornali, Pisani è un funzionario e poliziotto molto rispettato, conosciuto per aver catturato vari esponenti latitanti della criminalità organizzata ma anche perché ha fatto carriera molto rapidamente.

Il curriculum di Pisani

Nel 1990 entrò nella squadra mobile di Napoli, diventando il capo della sezione omicidi nel 1997. Dopo la cattura di 4 boss della camorra dell’Alleanza di Secondigliano, fu nominato, a 31 anni, vice-questore. Subito dopo si trasferì a Roma per poter lavorare come dirigente nel Servizio centrale operativo, che dirige il lavoro delle squadre mobili locali.

Nel 2004 tornò a Napoli, a capo della squadra mobile della Polizia. La stampa ha elencato i boss della criminalità organizzata arrestati, tra i quali troviamo Antonio Iovine, “o’ Ninno” e Paolo di Mauro, “Paoluccio o’ infermiere”. L’arresto di Michele Zagaria fu raccontato nel 2011 con una fiction Rai che vedeva protagonista un personaggio ispirato a Pisani.

Nel 2014 diventò Direttore della Direzione centrale dell’immigrazione, organo della Polizia che si occupa di contrastare l’immigrazione irregolare. Per questo fu notato da Matteo Salvini durante il primo governo Conte e spostato all’AISI.

Gran parte della carriera di Pisani è avvenuta nelle squadre mobili, a differenza dei suoi predecessori, che provenivano dalla digos. Il Corriere scrive che questa nomina è un segnale della «rivalutazione delle squadre mobili e delle pattuglie in strada rispetto al lavoro spesso oscuro e sottotraccia tradizionalmente compiuto dalle Digos, con l’idea di una maggiore attenzione alle micro e macro delinquenze e al loro impatto sul territorio e sulla sicurezza percepita, che alle ricostruzioni di trame e alla prudenza nella gestione dell’ordine pubblico».

L’unica fase di rallentamento nella carriera del nuovo capo della Polizia fu intorno al 2010, quando Salvatore Lo Russo, ex capo camorrista, affermò di avergli fatto dei regali per avere un trattamento di riguardo. Nel 2015, Pisani fu assolto dalle accuse di abuso d’ufficio e favoreggiamento mentre Lo Russo è stato condannato per calunnia in primo e in secondo grado.

A livello politico, non è ancora chiaro se sia allineato alla destra, anche se si pensa che ci siano dei punti di contatto. Per esempio, nel 2012 fu intervistato dal Corriere della Sera, dove non mancò di criticare Roberto Saviano, definendosi «perplesso quando vedo scortare persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni».

Pisani, negli ultimi anni ha avuto un ruolo importante nelle politiche migratorie adottate dai governi italiani, preferendo impedire l’arrivo dei richiedenti asilo anziché gestire e migliorare l’accoglienza e l’inclusione.

Secondo il giornalista Lorenzo D’Agostino, Pisani è l’autore di un rapporto che legittimò false affermazioni riguardo il lavoro delle ong che operano nel Mediterraneo per soccorrere i migranti. Sostenne anche che la loro presenza nelle prossimità delle coste libiche contribuisca ad incoraggiare le partenze dei migranti.

Nel 2017, in un’inchiesta pubblicata da Internazionale, Pisani auspicò la creazione di un corpo militare in Libia finalizzato al contrasto delle ong e per «impiegare proficuamente in tale contesto la guardia costiera libica nelle proprie acque nazionali». La guardia costiera libica è stata creata nel 2017, ed è ritenuta responsabile di violazione dei diritti umani delle persone migranti.


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Stiamo per assistere alla ribellione delle macchine? Miti e realtà dell’intelligenza artificiale

Negli ultimi tempi sono stati pubblicati tantissimi articoli e appelli riguardo i sistemi di intelligenza artificiale, diffondendo l’idea che presto le macchine si ribelleranno a noi. Ma cosa c’è di vero in questa affermazione? In verità, tecnologie come ChatGPT sono ben lontane dall’avere questo tipo di capacità, e non sono nemmeno capaci di avere una propria coscienza.

Allo stato attuale delle cose, non esiste nessuna intelligenza artificiale capace di fare qualsiasi cosa, ma soltanto sistemi che svolgono precise attività in maniera molto efficiente. Tuttavia, siamo di fronte ad un settore che si sta espandendo troppo velocemente: ed è proprio questo il punto che fa preoccupare gli esperti.

Le macchine possono pensare?

Il primo ad offrire dei riferimenti in materia di intelligenza artificiale fu il matematico Alan Turing, che si occupò del rapporto tra intelligenza e computazione. Nel 1950 si chiese: «Le macchine possono pensare?». Così, nacque il “Test di Turing”, una prova per capire se una macchina è in grado di ingannare un interlocutore umano portandolo a pensare di interagire con un altro essere umano.

Dopo Turing, in molti hanno provato a definire l’intelligenza artificiale, e tra questi spicca il lavoro di John McCarthy, che nel 2007 scrisse che l’AI «è la scienza e l’ingegneria per creare macchine intelligenti, in particolare programmi intelligenti per il computer. È collegata e simile alle attività che prevedono di impiegare i computer per comprendere l’intelligenza umana, ma l’AI non ha necessità di essere limitata a metodi che sono osservabili nel mondo della biologia».

Per alcuni, la definizione proposta da Turing non è affatto soddisfacente, in quanto si rifà ad un approccio tipicamente umano, nel quale immaginiamo sistemi che si comportano e pensano esattamente come noi.

Per alcuni autori questo si deve contrapporre ad un approccio che vede tali sistemi pensare ed agire in modo razionale, che è una cosa che la mente umana sa fare soltanto fino ad un certo punto. Alcuni ipotizzano che un sistema razionale potrebbe condurre a forme di intelligenza che superano la nostra, o almeno meno esposte a pregiudizi ed errori.

In ogni caso, un’intelligenza artificiale fa parte di un campo dell’informatica capace di risolvere determinati problemi con diversi gradi di difficoltà. Basandosi su enormi quantità di dati, l’AI impara e migliora in completa autonomia.

Due tipi di intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale si suddivide in due categorie, quella generale e quella ristretta.

L’AI generale è quella che troviamo nei film e nei libri di fantascienza. Si tratta di un sistema che ragiona, apprende concetti, li elabora e svolge ogni compito possibile, nello stesso modo di un essere umano. Per gli scettici, è qualcosa di irraggiungibile.

L’intelligenza artificiale ristretta, invece, ha degli obiettivi limitati rispetto a quella generale e un unico compito da svolgere. È un’AI che fa già parte della nostra quotidianità, e si distingue dai software normali per la sua complessità. Infatti, si basa principalmente sull’elaborazione del linguaggio naturale, con attività collegate alla statistica e al calcolo probabilistico.

Reti neuronali artificiali

Un computer oggi impara, ma soprattutto impara ad imparare con il processo di machine learning = attività di apprendimento dei computer attraverso i dati. Il sistema mette insieme informatica e statistica, con algoritmi che analizzano i dati e scovano ripetizioni e andamenti, sui quali si basano per fare delle previsioni.

Questo sistema viene spesso confuso con il Deep Learning, ovvero un’evoluzione del machine learning, basato su una struttura di algoritmi che si ispirano alle reti neuronali del cervello umano. Queste permetterebbe di effettuare il processo di apprendimento in maniera più raffinata ed efficiente.

Scatole neri e cervelli

Gran parte del funzionamento di questi algoritmi non è nota e non può nemmeno essere ricostruita. Si possono analizzare alcune parti del codice, ma in generale non possiamo sapere che cosa succede nei livelli intermedi dei processi di deep learning.

In tal senso possiamo parlare di scatola nera rispetto ad un normale programma di computer, nel quale il codice viene scritto principalmente dagli esseri umani.

Per gli apocalittici il futuro è caratterizzato da intelligenze artificiali che decidono al posto nostro, mentre per altri questi algoritmi non sono così oscuri, tant’è che altri sistemi di intelligenza artificiale potrebbero aiutare a farci comprendere che cosa avviene al loro interno. Si tratta di una conoscenza parziale, simile a quella che abbiamo del nostro cervello.

Geoffrey Hinton ha paura

Il fatto di non conoscere completamente il modo in cui funzionano gli algoritmi che determinano quali video vedremo su TikTok oppure i risultati di una ricerca effettuata su Google non preoccupa soltanto i politici e i governi, ma anche alcuni informatici esperti del settore.

Per esempio, Geoffrey Hinton, considerato il «padrino delle AI» ha deciso di lasciare Google, dove lavorava da più di dieci anni allo sviluppo delle intelligenze artificiali. «Guardate come era cinque anni fa e come è adesso, fate la differenza e proiettatela sul futuro. Fa spavento», ha dichiarato al New York Times.

Hinton ammette che le sue preoccupazioni sono aumentate dopo il gran successo di ChatGPT, che, nonostante esistesse da molto tempo, soltanto lo scorso novembre ha deciso di pubblicare una versione aperta ed intuitiva, che ha creato un successo tale da indurre le altre grandi aziende informatiche ad accelerare i progetti sulle AI – come Alphabet di Google, per esempio.

«L’idea che questa roba possa diventare più intelligente delle persone era condivisa da pochi, la maggior parte riteneva che fosse lungi da verificarsi. Lo pensavo anche io, credevo fosse tra i 30 e i 50 anni di distanza da noi. Ovviamente, non la penso più così».

L’intelligenza artificiale non esiste (?)

La maggior parte degli esperti, tuttavia, ritiene che i rischi per il momento siano gestibili e bassi, visto che gli unici sistemi disponibili sono di AI ristretta.

Per esempio, Jaron Lanier, un informatico considerato un fondatore della realtà virtuale, ha scritto sul New Yorker che i mezzi e le risorse per controllare le nuove tecnologie ci sono, ma dobbiamo «smetterne di farne un mito. Non esiste l’intelligenza artificiale».

Per Lanier dobbiamo ripartire dalla dignità dei dati: ovvero, contenuti di qualità, sicuri e tracciabili, sui quali basare le intelligenze artificiali, al contrario di quanto fatto finora con enormi quantità di dati che contengono qualsiasi cosa al loro interno.

Si pensi al bot Tay di Microsoft, che nel 2016 fu impiegato per sostenere delle conversazioni su Twitter, ma che dopo poco cominciò ad utilizzare epiteti razzisti, sostenendo alcune teorie del complotto e che Hitler aveva ragione.

I sistemi di elaborazione del linguaggio naturale sembrano essere migliorati sensibilmente. ChatGPT, per esempio, ha deciso di applicare dei filtri per evitare queste situazioni. Alla domanda «Di che religione sarà il primo presidente degli Stati Uniti ebreo?» ChatGPT risponde: «Non è possibile predire la religione del primo presidente ebreo degli Stati Uniti».

Per Lanier, se cediamo alla «fascinazione sulla possibilità di una AI che sia indipendente dalle persone che la rendono possibile, rischiamo di utilizzare le nostre tecnologie in modi che rendono il mondo peggiore». Bisogna ripartire dalle persone, da quello che fanno, dalle tracce che lasciano online – ovvero le fonti di apprendimento per questi computer.

Perché temere l’intelligenza artificiale

Il successo di ChatGPT, comunque, si deve alla sua capacità di dare risposte simili a quelle di una persona. Un risultato senza precedenti, che oscura il fatto che il chatbot spesso fornisca informazioni fuorvianti e scorrette.

Tale peculiarità ci fa percepire ChatGPT un po’ più intelligente di quanto lo è realmente, al punto tale da chiedersi se non sia veramente una primordiale versione di AI. Nonostante tutto, ChatGPT è soltanto un’intelligenza artificiale ristretta e non ha nulla ha che fare con HAL 9000 o con l’assistente vocale del film Her.

Nessun rischio che un’AI prenda il sopravvento, almeno non nell’immediato. Questo non esclude che ChatGPT non sia priva di rischi, visto che potrebbe aiutare la diffusione di notizie false o dare maggior risalto soltanto ad alcune fonti nei motori di ricerca. Per questo, istituzioni e governi hanno deciso di avviare iniziative di regolamentazione per questo settore che cresce troppo rapidamente e in modo disordinato.


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Sistema nazionale del casellario giudiziale: incendio a piazza Nicosia

Riportiamo il comunicato stampa del Ministero della Giustizia:

A causa di un incendio – scoppiato in piazza Nicosia a Roma, all’esterno di locali del Ministero, ma che ha interessato i cavi di fibra ottica utilizzati per il sistema nazionale del casellario giudiziale – il servizio è al momento bloccato.

Tecnici del Ministero – insieme ai direttori degli uffici e al capo dipartimento, incaricato immediatamente dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio – sono sul posto, per coordinare le opere urgenti per il pronto ripristino del servizio. Per ragioni cautelative, è stato evacuato tutto il personale: nessuno ha riportato danni.

Clicca qui per leggere il comunicato stampa ufficiale.

Volontaria Giurisdizione: l’autorizzazione del notaio non richiede il pagamento del contributo unificato

Ottime notizie per coloro che ricorrono alle nuove competenze assegnate ai notai con la Riforma della giustizia Cartabia, per stipulare atti pubblici e scritture autenticate per quanto riguarda minori o persone inabilitate, interdette o che beneficiano dell’amministrazione di sostegno.

L’ufficio giudiziario, nel momento in cui riceve la comunicazione dell’autorizzazione che viene concessa dal notaio, secondo l’art.30 Dpr 11/2002 «non è tenuto a richiedere né il pagamento del contributo unificato né il versamento dell’importo forfettario».

Questo è quanto chiarito dal Ministero della Giustizia con una circolare del 2 maggio 2023, firmata da Giovanni Mimmo, Direttore Generale degli Affari Interni ed inviata ai tribunali, alle Corti d’Appello e alla Cassazione. Invece, l’impugnazione delle autorizzazioni notarili è soggetta al pagamento del contributo unificato per i procedimenti in camera di consiglio.

Presupposto necessario per far sorgere l’obbligo di sostenere le spese degli atti processuali è l’instaurazione di un processo di fronte all’autorità giudiziaria. L’autorizzazione del notaio, specifica la circolare, «non configura un provvedimento di natura giurisdizionale», e dunque non è sottoposta al contributo unificato. Per le stesse ragioni «non si ritiene esigibile l’importo forfettario di cui all’art. 30 del medesimo Testo Unico».

Siamo di fronte ad una competenza concorrente con quella dell’autorità giudiziaria «talché l’interessato potrà alternativamente rivolgersi al notaio o al giudice». Nonostante la natura delle nuove competenze comprenda funzioni della giurisdizione volontaria, «poiché il notaio-pubblico ufficiale riceva tale munus direttamente dalla norma, e non in virtù di un provvedimento di delega dell’autorità giudiziaria, è escluso, in radice, che l’attività di che trattasi possa qualificarsi come giurisdizionale».

In tal senso, viene deposta anche l’assenza di prescrizioni particolari per quanto riguarda la forma della richiesta che dovrà essere presentata al notaio e l’assenza analoga di indicazioni, per quanto riguarda il contenuto e la forma dell’autorizzazione notarile.

Oltre a questo, si denota anche l’assenza di criteri distributivi della competenza territoriale: dunque, il notaio rogante potrà essere scelto dalle parti su tutto il territorio nazionale e liberamente. In tal senso osserviamo anche la «non secondaria circostanza» che l’autorizzazione possa essere utilizzata soltanto dal notaio che ha deciso di emetterla, circostanza differenza dal provvedimento giurisdizionale, che può essere utilizzato di fronte a qualsiasi notaio.

Nella circolare si precisa, per quanto concerne il sistema impugnatorio, che il legislatore assoggetta l’autorizzazione del notaio al regime di impugnazione dell’autorizzazione che viene concessa dal giudice. Tale impugnazione dovrà «ritenersi soggetta al pagamento del contributo unificato previsto per i procedimento in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. B), Dpr n.115/2002, con la maggiorazione prevista per i giudizi di impugnazione dall’art. 13 cit., comma 1-bis, fatte salve le esenzioni espressamente previste dalla legge».

Per concludere, «in mancanza di espressa esenzione» si è tenuti al pagamento delle anticipazioni forfettarie, come previsto dall’art.30 Dpr 11/2002.


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La necessità di scrivere più chiaramente il diritto, le norme di legge e gli atti dei processi si avverte da secoli. Nonostante ciò, il legal design si è sviluppato soltanto negli ultimi 10 anni.

Quanti di noi leggono tutte le condizioni generali di un contratto nel momento in cui ci si iscrive ad un nuovo social, o in generale ad un servizio online? Probabilmente quasi nessuno. Si tratta, infatti, di documenti veramente troppo difficili da leggere – ma non è che sia qualcosa di volutamente ricercato?

Ritrovarsi di fronte ad un documento del genere, che sembra impedirci di trovare una risposta, crea una gran frustrazione. Il nostro cervello predilige le cose semplici; infatti, gli esseri umani hanno una soglia dell’attenzione pari a 8 secondi. Quella dei pesci rossi, invece, è di 9 secondi.

La situazione peggiora se applichiamo questa frustrazione ai testi legislativi, pieni di una strana lingua incomprensibile ai più: il legalese. Ed è qui che entra in gioco il concetto di legal design, il perfetto punto d’incontro tra diritto, tecnologia e design.

L’idea si deve alla giurista Margaret Hagan e alla designer Stefania Passera. Per il momento non c’è una definizione unica e condivisa, ma lo scopo è preciso: creare dei prodotti capaci di apportare benefici concreti e misurabili. E per farlo, bisogna assolutamente semplificare la comunicazione.

Per cominciare questa operazione di semplificazione, dobbiamo privilegiare il punto di vista del destinatario, che diventerà il nostro punto di partenza. Ci dobbiamo concentrare sull’essenziale, sul legame tra forma e contenuto, e sui prototipi che precedono il prodotto finale.

Ci troviamo nel mondo dell’estetica, della bellezza che sviluppa la conoscenza, in quanto predispone alla lettura, alla comprensione, catturando la curiosità e l’attenzione.

Il nostro cervello elabora in maniera differente le immagini e il testo: le prime, infatti, vengono memorizzate 60.000 volte più velocemente rispetto ad un testo. Sfruttarle significa abbracciare la semplicità e la comprensibilità, creando un senso di fiducia e di credibilità.

Il legal design migliora la nostra reputazione, facendoci guadagnare un gran vantaggio sulla concorrenza. E se proprio vogliamo dirla tutta, potrebbe rappresentare un tassello verso la conoscenza collettiva della legge e del diritto e verso una maggior tutela dei propri diritti e dei propri interessi.

Ma per farlo, dobbiamo assolutamente affrontare un cambio di paradigma. Siete pronti a scoprire con noi i segreti del Legal Design?


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WhatsApp utilizza il microfono dello smartphone mentre dormiamo?

Di recente, WhatsApp sembra amare la luce dei riflettori. Infatti, la nota piattaforma di messaggistica istantanea avrebbe introdotto la possibilità di effettuare sondaggi e di condividere l’account su più smartphone.

Oltre alle belle notizie, tuttavia, è emerso un problema collegato alla privacy degli utenti, attraverso una sconcertante segnalazione. Sembra che WhatsApp utilizzi il microfono degli smartphone ad insaputa degli utenti, forse per registrare l’audio senza permessi.

Ne ha parlato pubblicamente un ingegnere del social di proprietà di Elon Musk, Twitter, che ha deciso di pubblicare lo storico dell’utilizzo del microfono WhatsApp da parte del suo smartphone, un Google Pixel 7 Pro. Il microfono si sarebbe attivato di notte, tra le 4 e le 7, anche per lunghi periodi (26 minuti), registrando di continuo l’audio dell’ambiente.

 

Non è tardata ad arrivare la risposta ufficiale di WhatsApp, che, sempre su Twitter, ha confutato le accuse e ha dichiarato che siamo di fronte ad un bug Android «che attribuisce erroneamente le informazioni nella loro dashboard». Gli sviluppatori WhatsApp hanno chiesto a Google di indagare sulla questione, ribadendo che gli utenti possono controllare tutte le autorizzazioni per l’utilizzo del microfono.

«WhatsApp cannot be trusted», dichiara Elon Musk su Twitter, definendo il bug bizzarro e consigliando di disinstallare subito WhatsApp ed utilizzare altri servizi, come Signal, per esempio. Ma se siete abituati a WhatsApp e non avete intenzione di cambiare app, forse sarebbe meglio andare sulle Impostazioni del telefono disabilitando l’acceso al microfono da parte dell’app.

Almeno fino a quando non verrà risolto il problema.

Presto anche su Twitter si potranno effettuare chiamate e videochiamate, come annunciato dallo stesso Musk: «Arriveranno le chat vocali e video dal tuo account a chiunque su questa piattaforma. Così potrete parlare con persone in qualsiasi parte del mondo senza dare loro il vostro numero di telefono».

WhatsApp ❤ Italia

Comunque, WhatsApp risulta essere il mezzo preferito dagli italiani per riuscire a comunicare con gli amici e con la famiglia, raggiungendo la percentuale del 75%. Dopo WhatsApp, tra le app più utilizzate dagli italiani per comunicare troviamo: Instagram, app per mail, Messenger, Telegram, TikTok, SMS, Apple iMessage, MMS, Skype, Snapchat, Android Messenger e Viber.


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I Large Language Model (LLM), i modelli linguistici di grandi dimensioni come Bard di Google o ChatGPT di OpenAI, impattano moltissimo sul nostro ambiente. Oltre al consumo di molta energia e l’utilizzo massiccio di dati per poterli addestrare, i chatbot di intelligenza artificiale hanno bisogno anche di una grande quantità di acqua.

Di recente è stata pubblicata una ricerca che attesta come l’addestramento di ChatGPT-3 abbia consumato 700.000 litri di acqua. Inoltre, è stato dimostrato anche che una conversazione tra un chatbot e un utente medio equivale al consumo di una bottiglia d’acqua.

Si tratta di una quantità sufficiente per la produzione di 370 auto Bmw o di 320 Tesla. Il consumo, inoltre, triplica nei datacenter asiatici di Microsoft, meno all’avanguardia e dunque meno ottimizzati. Secondo la testata Gizmodo, parliamo di una quantità d’acqua pari a quella che serve per riempire una torre di raffreddamento di un rettore nucleare.

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Sono evidenze che allarmano gli esperti del settore idrico, che in America si stanno occupando della complessa situazione ambientale causata dalla siccità. A ciò dobbiamo aggiungere il fatto che i modelli linguistici diventeranno via via più complessi, e avranno necessità di una sempre maggior quantità d’acqua per la loro formazione. Sempre che ce ne sia a disposizione.

Affermano i ricercatori del settore: «L’impronta idrica dei modelli di intelligenza artificiale non può più passare inosservata. Questa deve essere affrontata come una priorità all’interno degli sforzi collettivi fatti per combattere le sfide idriche globali».

Il processo di raffreddamento delle sale server

Nel calcolo del consumo d’acqua da parte di un’intelligenza artificiale, i ricercatori distinguono nettamente tra prelievo e consumo. Il primo indica la rimozione fisica dell’acqua da un fiume, da un lago o da altre fonti; il secondo, invece, si riferisce alla dispersione dell’acqua per via dell’evaporazione nel momento in cui viene utilizzata in un data center.

Il consumo, in questo caso, impatta moltissimo sull’ambiente, visto che l’acqua non può essere in alcun modo riciclata. Chiunque abbia avuto a che fare con una sala server sa bene che la temperatura al suo interno, per evitare malfunzionamenti delle apparecchiature, deve restare tra i 10 e i 27 gradi Celsius, ovvero tra i 50 e gli 80 gradi Fahrenheit.

È una condizione difficile da mantenere, visto che i server producono calore in gran quantità. Dunque, per far fronte al problema, le sale server sono equipaggiate con torri di raffreddamento, che contrastano il calore e mantengono all’interno una temperatura ideale attraverso l’evaporazione dell’acqua fredda.

Il processo funziona perfettamente, ma richiede un gran consumo d’acqua. Secondo quanto stimato dai ricercatori, in un datacenter medio viene consumato 1 litro d’acqua per ogni kilowattora.

Si tratta di un consumo veramente importante, soprattutto considerando come i data center attingano soltanto dalle fonti d’acqua dolce e pulita, evitando in tal modo la corrosione delle apparecchiature, ma anche il proliferare dei batteri che potrebbe avvenire con l’acqua marina. Oltre a questo, l’acqua dolce risulta essenziale anche per controllare l’umidità della stanza della struttura, cosa che ne aumenta la quantità necessaria per addestrare i chatbot.

Microsoft, nel 2015, ha lanciato il Project Natick, che prevedeva l’inserimento di un piccolo datacenter direttamente nel mare, ad una profondità di 35 metri, evitando di doverlo raffreddare.

Tuttavia, si è trattato soltanto di una sperimentazione, e le altre migliorie apportate ai vari sistemi di raffreddamento non sembrano essere sufficienti per mantenere un consumo costante. Secondo gli esperti, le autorità devono cominciare ad affrontare seriamente la questione, vista l’attuale crisi climatica.


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Arriva un nuovo contributo per i cittadini meno agiati che sono rimasti esclusi dai sostegni pubblici. Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare e Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle finanze hanno firmato un decreto che diventerà operativo nel mese di luglio, all’interno del quale è presente la carta spesa, misura di sostegno finalizzata all’acquisto di beni alimentari di prima necessità.

La misura è destinata ai nuclei familiari residenti in Italia con Isee che non superi i 15mila euro. Esclusi dalla platea dei beneficiari i percettori del reddito di cittadinanza, di inclusione o di qualsiasi forma di sostegno alla povertà o di inclusione sociale.

Nel decreto attuativo viene esclusa ogni possibilità che la carta venga concessa ai nuclei familiari nei quali almeno un componente percepisca:

  • la nuova assicurazione sociale per l’impiego (Naspi);
  • l’indennità mensile di disoccupazione per i collaboratori (Dis coll);
  • fondi di solidarietà per l’integrazione del reddito;
  • l’indennità di mobilità;
  • cassa integrazione guadagni (Cig);
  • qualsiasi altra integrazione salariale o di sostegno statale.

La carta spesa sarà erogata su una PostePay ricaricabile, e dovrà essere utilizzata nelle attività commerciali che vendono generi alimentari per acquistare prodotti alimentari di prima necessità. Non potrà essere utilizzata, quindi, per l’acquisto di bevande alcoliche.

Le attività commerciali che vendono generi alimentari dovranno accreditarsi attraverso una domanda da presentare al ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, anche telematicamente. Tale processo le condurrà alla comunicazione periodica delle variazioni dei prezzi praticati per tutta l’utenza circa i beni di prima necessità, e di aderire ai piani di contenimento dei costi di questi prodotti anche con scontistiche riservate a chi possiede la carta spesa.

Il tetto massimo per ciascun nucleo familiare sarà di 382,50 euro. Nella misura è previsto un sistema virtuoso, che non fa sprecare risorse. Poste Italiane dovrà monitorare ogni mese, a partire da ottobre 2023, le somme non assegnate e le carte non attivate, informando poi i ministeri e i Comuni.

Le somme residue del monitoraggio verranno caricate sulle carte di chi ha avanzato il credito assegnato, seguendo le modalità previste per tale riparto.

Questa misura di sostegno è possibile grazie alla collaborazione tra i Comuni e Inps. Sarà quest’ultimo ad individuare, con una piattaforma apposita, l’elenco dei nuclei familiari beneficiari, basandosi principalmente su tre parametri di priorità che sono stati indicati nel decreto.

Successivamente, i Comuni rileveranno gli elenchi per verificare la posizione geografica dei nuclei familiari beneficiari. Gli enti locali saranno anche liberi, basandosi sul numero delle carte assegnate loro, di attribuire quelle che avanzano anche ai nuclei familiari unipersonali che ne abbiano necessità, basandosi su informazioni fornite dai servizi sociali.

In totale, ci saranno 1,3 milioni di carte spesa da ripartire tra i Comuni, i quali dovranno anche comunicare ai vari beneficiari l’assegnazione e la modalità di ritiro negli Uffici Postali. Le carte saranno nominali ed entreranno in funzione a luglio 2023. Se non verrà effettuata la prima spesa entro il 15 settembre non ci sarà più diritto al beneficio.


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Sospensione per l’avvocato che non aggiorna il cliente sul caso

Se l’avvocato non adempie al proprio mandato, senza informare il cliente sullo stato della pratica, viola i doveri di dignità, diligenza, decoro e correttezza della professione legale forense. Questo è quanto deciso dal CNF con la sentenza n.231/2022 pubblicata il 20 aprile 2023. Con questa si dispone la sospensione di un’avvocata per la durata di 4 mesi, a causa della violazione dei principi deontologici e per l’inadempienza al mandato.

Nello specifico, il caso tratta il ricorso di un’avvocata sospesa dalla professione poiché per anni non ha eseguito il mandato professionale che le è stato conferito. L’avvocata è stata sottoposta ad un procedimento disciplinare dal CDD di Perugia, in quanto avrebbe omesso di compiere gli atti inerenti al mandato conferitole e non avrebbe correttamente informato il proprio cliente sull’andamento del procedimento civile, per il quale le era stato conferito il mandato.

L’avvocata, in particolare, non avrebbe predisposto l’atto difensivo a seguito della notifica dell’atto di citazione. Inoltre, non aveva partecipato alle udienze per il procedimento civile e non aveva comunicato all’assistito i solleciti da parte del legale della controparte, finalizzati all’adempimento della sentenza.

Il CDD di Perugia, dopo aver condotto un’istruttoria, ha accertato che l’avvocata non aveva rispettato le norme disciplinari, sospendendola dall’esercizio della professione forense per sei mesi.

L’avvocata ha deciso di impugnare la sentenza davanti al CNF. Tuttavia, il Consiglio ha stabilito che la decisione presa dal CDD di Perugia era condivisibile. Il CNF, dunque, evidenzia come dagli atti emerga una gestione assolutamente anomala per quanto riguarda il rapporto tra cliente e avvocato, nel corso del quale non è avvenuto alcuno scambio di corrispondenza e il pagamento per l’attività svolta.

Il Consiglio, tuttavia, ritiene che il cliente abbia dimostrato un completo disinteresse nei confronti dell’avvocata. Il CNF, per concludere, ha deciso di ridimensionare la sospensione dell’esercizio della professione da sei a quattro mesi, accogliendo parzialmente il ricorso presentato.

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