deposito atti penali

Deposito atti penali: confermata proroga del doppio binario

Entra nel DL Milleproroghe (n. 215/2023), approvato il 28 dicembre 2023 dal Consiglio dei Ministri, la proroga per gli addetti dell’Ufficio per il processo.

È stato dato anche l’ok al DM Giustizia n. 217/2023, che consente di prolungare il doppio binario per quanto riguarda il deposito degli atti giudiziari.

I due provvedimenti sono stati pubblicati in GU n. 303/2023.

Carlo Nordio ha dato il via libera al prolungamento dei contratti dei giovani dell’Upp, assunti attraverso i concorsi precedenti. Come spiega una nota di Via Arenula, si tratta di una misura prevista dal Pnrr: «Seguiranno a breve nuove assunzioni di addetti presso gli uffici giudiziari per il completamento degli obiettivi concordati con l’Europa».

Prolungata anche la durata di 36 mesi dei contratti del personale a tempo determinato.

L’art.1, stabilisce «le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti e documenti, nonché la consultazione e gestione dei fascicoli informatici nel procedimento penale e nel procedimento civile, assicurando la conformità al principio di idoneità nel mezzo e a quello della certezza del compimento dell’atto».

Perciò, «come richiesto da magistrati e avvocati conserva il doppio binario per il deposito degli atti giudiziari con lo slittamento al 31 dicembre 2024 del processo penale telematico obbligatorio».

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Come stabilito nell’art. 10 del DL Milleproroghe, sono state spostate al 31 dicembre 2024 le disposizioni in merito al deposito tramite invio da PEC di documenti, atti e istanze nei procedimenti militari penali. Nel DL, inoltre, si prevede che il massimo periodo di permanenza dei magistrati nello stesso ufficio giudiziario, con le stesse funzioni/nello stesso gruppo di lavoro/nella stessa posizione tabellare scada in data precedente al 31 dicembre 2024.

È stata spostata al 17 ottobre 2024 la data entro il quale si potrà continuare a delegare l’ascolto dei minori ai giudici onorari.

Per quanto riguarda le impugnazioni, è scattata la proroga al 30 giugno 2024 per quanto riguarda l’efficacia delle modifiche della riforma Cartabia.


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Perché diventare Avvocato?

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Perché diventare Avvocato?

Per diventare avvocato è necessario seguire un percorso lungo e pieno di ostacoli, prima di arrivare all’esame conclusivo.

La professione dell’avvocato comporta parecchie soddisfazioni, a livello umano e professionale. Ma quali sono i principali motivi per cui buttarsi a capofitto nella professione dell’avvocato?

Il primo motivo per diventare avvocato coincide con la gestione del tempo. Infatti, sono pochissimi i lavori che ti permettono di organizzare al meglio la giornata, secondo le tue esigenze. In ogni caso, ci sono dei vincoli di tipo legale relativi alle udienze, che solitamente si svolgono di mattina.

Oltre a questo, non ci sono altri vincoli. Non dovrai mai dar conto a nessuno del tempo passato in studio e della tua organizzazione del lavoro. Potresti scrivere gli atti al mattino presto o in tarda serata.

Il lavoro di avvocato, a differenza di altri impieghi pubblici o dipendenti, è decisamente meritocratico. Quanto lavori, infatti, corrisponde a quanto guadagni. Nel corso degli ultimi 20 anni ci sono state moltissime iscrizioni alla facoltà di giurisprudenza, perché la professione dell’avvocato è ben remunerata, e perché permette l’accesso a tanti concorsi.

Lo scorso anno, invece, si è registrato un forte calo degli iscritti all’esame così come alla facoltà stessa.

Fare l’avvocato sarà molto utile al fine di destreggiarsi tra vari inconvenienti. Si tratta di una professione decisamente impegnativa, che mette davanti a continui interrogativi, ai quali bisogna rispondere con velocità e intelligenza.

Adeguare le strategie difensive agli imprevisti potrebbe terrorizzare, ma al tempo stesso rendere le cose più elettrizzanti, evitando di incorrere nella classica monotonia del lavoro d’ufficio.

Esiste un fattore umano importantissimo che non deve essere trascurato in questa scelta. Nel corso dell’esistenza, troviamo figure professionali che accompagnano i momenti più belli, così come i più brutti. L’avvocato fa parte proprio di queste figure, intervenendo nel risolvere diversi problemi dei loro clienti.

Alcuni casi coinvolgono molti sentimenti, positivi e negativi. Ebbene, per un avvocato vedere un cliente soddisfatto e felice del risultato ottenuto crea un fortissimo senso di gratitudine.

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Il settore della giustizia è uno dei pochi in cui si assiste ad una fortissima espansione digitale. Da anni, ormai, si assiste alla trasformazione del processo civile telematico.

Un’espansione digitale di questo calibro è una spinta importante, poiché permette di vedere sentenze, caricare atti e svolgere gran parte delle attività lavorative comodamente dal proprio ufficio.

Le varie competenze acquisite come avvocato, congiuntamente ad una pratica quotidiana, potranno essere riconvertite in settori differenti. Dunque, un avvocato potrebbe lasciare la libera professione per diventare giurista d’impresa, o, ancora, dedicarsi ai concorsi pubblici.

L’avvio della carriera, soprattutto nel mondo della libera professione, è un momento molto delicato. Cassa Forense, per questi motivi, ha messo a disposizione alcuni incentivi per gli avvocati neoiscritti. Il contributo minimo soggettivo viene ridotto nei primi 6 anni d’iscrizione alla Cassa, se tale data decorre prima dei 35 anni d’età.

Leggi anche: La professione dell’avvocato affascina ancora i neolaureati in Giurisprudenza?

Il mondo legale è in continua evoluzione, vista anche la sempre maggior richiesta di specializzazione in determinate branche del diritto. Tale aspetto permette ai giovani di scegliere qual è il loro settore di preferenza, utilizzando master, stage e dottorati per potersi specializzare.

Anche se oggigiorno si tende ad affermare che il mondo dei professionisti legali sia in crisi, le opportunità di guadagno sono ancora molto elevate, come nel caso del diritto amministrativo o societario, che, non essendo ancora saturi, permettono l’accesso a degli ottimi guadagni, proporzionati rispetto alle competenze e al lavoro dell’avvocato.


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Licenziamento legittimo se il sindacalista offende la sua azienda sui social

Arriva l’It Wallet: è l’addio definitivo a SPID e CIE?

Licenziamento legittimo se il sindacalista offende la sua azienda sui social

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 35922, afferma che i limiti al diritto di critica valgono anche per il lavoratore sindacalista. Infatti, tale mansione, non salva in alcun modo il dipendente dal rischio di licenziamento a causa delle offese pubblicate sul profilo Facebook accessibile a tutti.

Nello specifico, sono stati contestati alcuni commenti su Facebook «gravemente lesivi dell’immagine e del prestigio dell’azienda nonché dell’onorabilità e dignità dei suoi responsabili».

Riportiamo qualche esempio:

  • «Si informano tutti i gentili colleghi […] che, qualora si voglia aderire e iscriversi alla Fit-Cgil perché trattati come stracci»;
  • «Il vecchio oggi di prima mattina va a caccia dei suoi autisti che si sono iscritti al sindacato per fargli le solite minacce o false promesse»;
  • «Come mai questi hanno tutta questa fottuta paura che la gente si iscrive? Io personalmente l’unica risposta che mi riesco a dare è che hanno qualcosa da nascondere e non sono puliti”;
  • “Sto vecchio di merda sempre a rompere i coglioni alla gente il sabato mattina, ma andasse a fare un giro in montagna».

L’azienda è legittimata a licenziare il sindacalista, «sul rilievo che i fatti contestati e ritenuti addebitabili al dipendente, a titolo di dolo o di negligenza grave e ingiustificabile, travalicassero ogni limite di critica e di satira e impedissero la prosecuzione del rapporto di lavoro».

L’ex dipendente, dopo aver proposto ricorso, sostiene di essere stato oggetto di «licenziamento discriminatorio per ragioni di appartenenza sindacale […] per aver escluso la scriminante del diritto di critica».

Per la Corte, al lavoratore viene «garantito il diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro […] ma ciò non consente di ledere sul piano morale l’immagine del proprio datore di lavoro con riferimento a fatti non oggettivamente certi e comprovati, poiché il principio della libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost. incontra i limiti posti dell’ordinamento a tutela dei diritti e delle libertà altrui e deve essere coordinato con altri interessi degni di pari tutela costituzionale».

La Cassazione, inoltre, ricorda che i limiti previsti nel diritto alla critica vengono applicati anche ad un rappresentante sindacale, sottolineando che il lavoratore agisce in duplice veste, poiché «quale lavoratore, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, (mentre) in relazione all’attività di sindacalista si pone su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantite dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi».

Per concludere, la Corte di merito ha seguito i principi di diritto sopracitati, escludendo il legittimo esercizio di diritto alla critica per le espressioni «intrise di assai sgradevole volgarità» utilizzate dal sindacalista, pubblicate su Facebook e accessibili a tutti.


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Arriva l’It Wallet: è l’addio definitivo a SPID e CIE?

Il nostro smartphone ci ascolta? Arrivano nuove conferme

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Arriva l’It Wallet: è l’addio definitivo a SPID e CIE?

Nel 2024 debutterà l’It Wallet, il cosiddetto “portafoglio digitale”, che sostituirà le identità digitali come CIE e SPID. L’obiettivo è rendere più facile e veloce il rapporto tra cittadini e PA.

In realtà, It Wallet non sostituirà le identità digitali, che, dunque, non smetteranno di esistere. Il portafoglio digitale fungerà semplicemente da contenitore, divenendo in tal modo il principale strumento per poter interagire con la PA.

It Wallet consentirà la conservazione dei propri documenti in formato digitale, affinché possano essere sempre presenti nel nostro smartphone.

All’interno del nuovo portafoglio digitale sarà possibile conservare carta d’identità, CIE, SPID, tessera sanitaria, tessera della disabilità e più avanti anche patente di guida, documenti privati e tessera elettorale.

Dichiara Vincenzo Fortunato, del comitato interministeriale per la transizione digitale: «A gennaio-febbraio sarà pronto e pubblicizzato il wallet. Avrà all’interno la carta di identità elettronica ma anche la tessera sanitaria digitale, licenza di guida, carta europea della disabilità».

Alcuni utenti potranno utilizzare It Wallet già negli ultimi giorni del 2023 in veste di tester, per tutti gli altri il portafoglio digitale sarà disponibile entro la metà del 2024. Per accedervi bisogna avere l’app IO, che necessita di SPID o CIE per l’accesso.

Per Alessio Butti, sottosegretario all’Innovazione, il sistema «è in fase di elaborazione e prevede due soluzioni», ovvero una privata e una pubblica, che abbiano «medesimi standard tecnologici, per garantire l’interoperabilità e per fornire le stesse garanzie ai cittadini».

Si stima che 42,5 milioni di cittadini useranno It Wallet entro il 2025. CIE e SPID contano già 39,3 milioni e 36,4 milioni di utenti, nonostante il lento tasso di crescita registrato negli ultimi due anni.


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Il nostro smartphone ci ascolta? Arrivano nuove conferme

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Il nostro smartphone ci ascolta? Arrivano nuove conferme

Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, se il nostro smartphone ascolta segretamente le nostre conversazioni. Un dubbio che diventa sempre più grande quando appaiono annunci, sui social o in altri luoghi del web, collegati a qualcosa di cui abbiamo soltanto parlato con amici e parenti.

Possiamo dare una spiegazione razionale a questo fenomeno? Beh, in primo luogo, potrebbe essere che se parliamo con un’altra persona di qualcosa che ci interessa, probabilmente abbiamo anche fatto qualche ricerca in merito.

Se, invece, siamo sicurissimi di non aver mai cercato il nostro oggetto d’interesse sul web, è probabile che lo smartphone non ci abbia ascoltato; semplicemente, alcuni sistemi di intelligenza artificiale che analizzano i dati online, dopo un intricato processo di ragionamento, potrebbero aver indovinato i nostri desideri.

Ma qualcosa, ora, è cambiato. Per la prima volta in assoluto è stata trovata una prova, che incrimina alcune società di marketing che pubblicizzano dei software creati proprio per ascoltare le conversazioni delle persone.

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La testata 404 Media è riuscita ad individuare una pagina web della società CMG, Cox Media Group che promuoveva un particolare servizio chiamato “Active Listening”. La società, dopo l’articolo, ha prontamente cancellato la pagina, ma ormai le carte erano già state messe in tavola.

Per promuovere il servizio, CMG ha scritto: «Che cosa significherebbe per il tuo business se potessi targhetizzare dei potenziali clienti che stanno attivamente discutendo dei loro bisogni nelle conversazioni quotidiane? No, non si tratta di un episodio di Black Mirror, ma di “dati vocali”. E CMG ha le capacità per usarli a vantaggio del tuo business».

L’azienda dichiara di essere in grado di ascoltare le conversazioni attraverso smartphone e smart tv, riuscendo ad identificare i consumatori basandosi sulle loro parole. Non ci sono certezze, tuttavia, che il servizio promosso da CMG sia stato utilizzato e quali risultati avrebbe prodotto. Nella promozione, comunque, erano presenti i meccanismi di funzionamento del servizio.

Per esempio: sei un rivenditore d’auto milanese e decidi di acquistare il servizio Active Listening. Ebbene, sarai in possesso di un software che analizza i dati di tutte le persone che transitano in un raggio di 5/10 km dal negozio. Se il sistema rileva delle frasi come “Abbiamo bisogno di una nuova auto”, Active Listening provvederà ad inviare delle inserzioni web relative alla tua concessionaria.

In ogni caso, non ci sono conferme relative alle società che hanno deciso di affidarsi al servizio. Dunque, non è semplice stabilire quanto c’è di vero in Active Listening. Non è nemmeno chiaro l’effettivo meccanismo di funzionamento del servizio e soprattutto in che modo raccoglie i dati, soprattutto nel caso degli utenti iPhone, che ricevono una notifica quando un’app utilizza il microfono.

Secondo CMG, «è del tutto legale che i telefoni e gli altri dispositivi ti ascoltino. Ciò avviene perché i consumatori danno di solito il loro consenso quando accettano i termini e le condizioni dei software o delle app che scaricano». L’azienda, quindi, si appoggia al trucchetto del dare il consenso senza aver prima letto.

Secondo quanto dichiarato, il servizio sarebbe utilizzato da Google, Amazon e Microsoft. 404 Media ha tentato di contattare Microsoft, senza ricevere risposte. Amazon invece ha dato una spiegazione: «Il prodotto descritto non sarebbe utilizzabile sui dispositivi Echo, perché non condividiamo le registrazione vocali con terze parti».

Google, invece, dichiara che «da anni, Android impedisce alle applicazioni di raccogliere audio quando non sono attivamente utilizzate». Possiamo dire di non avere certezze assolute, ma sicuramente tanti nuovi dubbi e sospetti: il nostro smartphone ci ascolta?

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L’Ordine degli avvocati di Bologna, con l’aiuto dell’Ufficio scolastico bolognese, ha pensato ad un progetto finalizzato alla valorizzazione dei concetti di legalità e di convivenza civile nelle scuole secondarie di primo grado e secondarie superiori. Il progetto comprende lavori di gruppo, discussioni guidate e interventi frontali.

La Commissione Scuola e legalità del Coa bolognese ha deciso di collaborare al fine di diffondere la cultura dell’educazione alla democrazia e alla legalità, per contribuire allo sviluppo della persona e alla conoscenza dei diritti della cittadinanza.

Il progetto intende attuare le garanzie costituzionali, affinché si possano raggiungere gli obiettivi previsti dall’Agenda 2030, approvata dall’Assemblea Onu, per lo sviluppo sostenibile, e per contribuire alla realizzazione di una società rispettosa dei diritti degli esseri umani, dei principi di uguaglianza e di sconfiggere qualsiasi tipo di discriminazione.

Con il contributo degli avvocati bolognesi è stato possibile creare interventi educativi destinati agli studenti delle scuole. Questi, oltre ad assistere ad alcune lezioni, diventeranno protagonisti attivi: previsti, infatti, anche confronti diretti con avvocati affinché sia possibile l’approfondimento di diversi temi, come la partecipazione alla vita sociale, civile, economica.

Presenti anche proiezioni multimediali e simulazioni processuali. Per quanto riguarda la parte riservata alla Costituzione italiana, molto sarà incentrato sull’utilizzo sicuro e consapevole delle nuove tecnologie e del web, riferendosi all’articolo 111 della Carta.

Gli studenti saranno impegnati in sei moduli. Quello riguardante il giusto processo e la giustizia penale è molto interessante: punti cardine del modulo sono i principi costituzionali e sovranazionali direttamente collegati alla cronaca giudiziaria. Presente anche una simulazione del processo penale.

Questo modulo prevede quattro incontri di due ore, e verranno analizzati casi di cronaca giudiziaria, i principi del giusto processo, l’errore giudiziario, il processo mediatico e la simulazione del processo penale. Presente in classe un penalista, che fornirà ai giovani alcune nozioni sui principi costituzionali del processo penale.

Grazie allo studio dei principi costituzionali degli art. 13, 24, 27 e 111 sarà possibile ripercorrere tutte le tappe del processo, facendo vedere ai giovani che cosa succede realmente, fornendo loro basi e strumenti necessari per la comprensione del processo penale e dei principi del mondo della giustizia.

Si parlerà, inoltre, anche del ruolo difensivo e della funzione dell’avvocato nel processo. L’attenzione ricadrà anche sulla comprensione del ruolo svolto dalla giustizia penale per quanto concerne la tutela dei diritti umani fondamentali. Si parlerà, in particolar modo, delle conseguenze del “processo mediatico” e verrà analizzato l’errore giudiziario del caso Enzo Tortora.

Il referente del progetto, chiamato “Scuola e legalità” è Francesco Maisano, consiglieri dell’Ordine degli avvocati di Bologna, insieme a Mario Turco, Marta Tricarico e Alessandro Martinuzzi. Componenti esterni saranno gli avvocati Marinella Oliva, Giulia Zanioli, Maria Luisa Caliendi e Maria Antonietta Farati.


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Deposito Telematico, Firma Digitale: valida anche se generata con un software differente

Brainoware, un computer che mescola neuroni umani e chip elettronici

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Secondo il regime emergenziale previsto dalla Riforma Cartabia, nell’ambito del processo telematico il documento generato e firmato in formato digitale non risulta sempre inammissibile, ma soltanto irregolare in caso di divergenza dalle regole del DGSIA.

Apporre la firma digitale su un atto che è stato depositato tramite pec è un requisito necessario, pena, l’inammissibilità. Tuttavia, se la firma digitale è presente, non è rilevante dove sia stata apposta nel documento.

Se si fa uso di un software differente rispetto a quello che riconosce il sistema informatico presente nell’ufficio del giudice, l’atto viene considerato irregolare, poiché la firma digitale, oltre ad essere necessaria, non ha rilevanza per quanto concerne la posizione della sua apposizione.

Con la sentenza n.51409/2023, la Corte di cassazione penale ha deciso di annullare la precedente decisione presa dal Tribunale di sorveglianza, che aveva considerato inammissibile un reclamo contro l’applicazione dell’art. 41 bis, poiché l’atto sembrava essere privo sia della firma del difensore ma anche della firma digitale.

Il Tribunale, infatti, non riteneva valida la firma digitale che era stata utilizzata dal difensore, in quando la firma digitale in questione apparteneva ad un software che apponeva la firma in alto a sinistra del primo foglio, e non in calce.

Per la Cassazione, l’assenza della firma in calce denota l’assenza di rilevanza giuridica. Il documento, al fine di essere trasmesso, dovrebbe essere stampato, firmato e scannerizzato per la trasmissione telematica.

Ma la questione non si poneva in caso di un documento completamente creato e successivamente inviato in formato digitale. Nemmeno la mancanza della firma digitale poteva, dunque, essere contestata, poiché la Cassazione predilige l’orientamento che considera irregolari soltanto le discrepanze tecniche con rilevanza formale per quel che riguarda l’apposizione della firma digitale.

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Brainoware, un computer che mescola neuroni umani e chip elettronici

Censura o avvertimento in caso di violazione dell’equo compenso

supercomputer

Brainoware, un computer che mescola neuroni umani e chip elettronici

I biocomputer sono chiamati dagli esperti «intelligenze organoidi», e sono dei particolari tipi di computer che mischiano chip elettronici a neuroni umani.

È stato recentemente pubblicato uno studio su Nature Electronics in cui viene descritto il tentativo più avanzato realizzato in materia, ovvero un dispositivo che combina dei microcervelli artificiali e dei chip elettronici.

Il prototipo del biocomputer è stato realizzato grazie ad un gruppo di ricerca della Indiana University di Bloomington. Si tratta della prima sperimentazione a livello pratico di un approccio nominato “Brainoware”. Lo scopo è avvalersi delle potenzialità dei neuroni umani andando ad integrarli in un hardware elettronico.

Nel cervello umano sono presenti 86 miliardi di neuroni che comunicano tra loro tramite un biliardo di sinapsi. Si tratta di un organo dotato di una potenza di calcolo assolutamente inavvicinabile dalle moderne tecnologie.

Basta una piccolissima porzione di tessuto cerebrale per divenire potente e utile come hardware per computer. Oggi è relativamente semplice procurarsene una, grazie alla tecnologia degli organoidi, ovvero dei piccolissimi organi artificiali che nascono da cellule staminali, capaci di organizzarsi autonomamente in strutture tridimensionali simili ad un organo umano.

Gli organoidi vengono utilizzati per la comprensione dello sviluppo e del funzionamento degli organi umani. Tuttavia, non ci sono clausole che vietano il loro collegamento ad un computer, per osservare che cosa succede.

Brainoware è un organoide composto da cellule cerebrali che presentano vari livelli di sviluppo, che vengono collegate ad un computer che riceve gli input e interpreta gli output.

I ricercatori, per testare le capacità del supercomputer, lo hanno messo alla prova sul riconoscimento vocale, ottenendo una precisione del 78%, e sulla risoluzione di un problema matematico, che ha fruttato ottimi risultati.

L’esperimento ha dimostrato le potenzialità degli organoidi cerebrali in una rete neurale artificiale ibrida. Le performance, attualmente, sono inferiori rispetto a quelle dimostrate dalle intelligenze artificiali elettroniche, quelle “classiche”, ma potrebbero rappresentare un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo di una nuova tecnologia. Per far sì che questo accada ci vorrà tantissimo tempo, poiché sono necessari strumenti complessi e costosi.

Prima che tutto questo diventi realtà, dobbiamo considerare gli aspetti di tipo etico di queste ricerche. È vero che per il momento gli organoidi sono semplici ammassi di neuroni senza coscienza, ma è altrettanto vero che lo sviluppo di tali tecnologie sfumerà sempre di più il confine tra intelligenza artificiale e biologia.

Scrivono gli esperti in un commento: «Più aumenta la complessità di questi organoidi, più si fa critico per la comunità scientifica esaminare la miriade di questioni neuro-etiche che sorgono attorno ai biocomputer che incorporano tessuti neurali umani».

Probabilmente «serviranno ancora decenni prima di poter creare sistemi di biocomputazione generale, queste ricerche genereranno con ogni probabilità intuizioni incredibili nello studio dei meccanismi dell’apprendimento, dello sviluppo neurale e nelle implicazioni cognitive delle malattie neurodegenerative».

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Censura o avvertimento in caso di violazione dell’equo compenso

Cassa Forense, Contributo integrativo minimo: pagamento anche con F24

Censura o avvertimento in caso di violazione dell’equo compenso

Censura o avvertimento per l’avvocato che non rispetta le disposizioni in materia di equo compenso (legge n.49 del 21 aprile 2023). Il CNF ha lanciato la consultazione online con gli altri Consigli territoriali dell’Ordine per modificare il codice deontologico forense, passaggio imposto dalla riforma.

La sanzione più severa scatta nel momento in cui il legale decide di accettare dei compensi inferiori rispetto a quella stabiliti dai parametri forensi, mentre quella minima avviene nel caso di trasgressione degli obblighi di comunicazione.

Leggiamo nella relazione di accompagnamento: «Il professionista che accetta un compenso iniquo è già in qualche modo vittima di un cliente “forte” e non andrebbe ulteriormente vessato da obblighi e/o sanzioni».

Questa nuova norma verrà inserita nella parte del Codice Deontologico Forense che va a disciplinare i rapporti con l’assistito. La censura riguarderà l’avvocato che preventiva o concorda un compenso considerato non proporzionale alla propria prestazione professionale e non conforme ai parametri forensi.

La sanzione minima dell’avvertimento è prevista nel momento in cui l’avvocato predispone il contratto, la convenzione o qualsiasi altra forma di accordo con il cliente, senza avvisare che il compenso dovrà rispettare «i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia».

Leggiamo nella nota del CNF: «L’autonomia deontologica è stata declinata a rime praticamente obbligate». Sarà il legislatore a disporre l’adeguamento dei codici deontologici degli avvocati e degli altri professionisti, al fine di «assicurare l’effettività delle misure adottate anche grazie alla leva del rilievo disciplinare delle condotte improprie».

La stessa nuova fonte statale prefigura la pattuizione o l’accettazione dei compensi al di sotto dei parametri, con la relativa violazione dell’obbligo di comunicazione. Osserva il CNF: «L’argomento del rilievo disciplinare ben può essere utilizzato dall’avvocato nelle trattative con i clienti “forti” per sottrarsi alle pressioni più spinte ed ottenere magari condizioni contrattuali più vantaggiose».

Effettivamente, «non prevedere rilievo disciplinare per i contegni illeciti avrebbe rischiato di minare la effettiva precettività delle norme». A metà del mese di gennaio si concluderanno le consultazioni con i Coa.


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Cassazione: non è possibile rinunciare al gratuito patrocinio

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Con una nota, Cassa Forense comunica che il contributo minimo integrativo per il 2023 potrà essere versato anche tramite modello F24, oltre a PagoPA. L’utilizzo del modello F24 permette di compensare il contributo previdenziale con i crediti sia per le spese che per i diritti e gli onorari che spettano agli avvocati ammessi al gratuito patrocinio.

Tale adempimento ha visto la conferma a seguito della sentenza n. 18854/2023 del Tar del Lazio, che ha respinto il ricorso avanzato dalla Cassa contro la riscossione del contributo minimo integrativo del 2023 da parte dei ministeri vigilanti.

Il contributo ammonta a 805,00 euro e scadrà il prossimo 31 dicembre: per questo motivo è «posto in riscossione a partire da martedì 19.12.2023 a mezzo PagoPA». Cassa, con la nota in questione, rende noto che «nonostante i tempi ristretti conseguenti alla pronuncia del Tar si è riusciti ad inserire anche tale modalità».

Per compilare il modello F24 Ordinario – Sezione Altri Enti Previdenziali e Assicurativi bisogna indicare:

  • il codice ente identificativo di Cassa Forense: 0013;
  • il codice sede: nessun valore;
  • il causale contributo: E107;
  • il codice posizione: nessun valore;
  • il periodo di riferimento: dal 12/2023 al 12/2023.

I professionisti per cui l’anno 2023 è incluso nei primi cinque anni d’iscrizione all’albo saranno esonerati dal contributo minimo integrativo, e dovranno versare il 4% con il modello 5/2024.

Per gli avvocati iscritti a Cassa Forense per i quali il 2023 è compreso tra il sesto e il nono anno e che si siano iscritti prima dei 35 anni d’età dovranno pagare la metà, ovvero 402,50 euro. Nel caso degli avvocati che nel 2023 sono arrivati a 10 o più anni d’iscrizione, questi dovranno versare l’intera somma di 805,00 euro.

I praticanti iscritti alla Cassa non sono tenuti a pagare il contributo minimo integrativo per tutto il periodo di svolgimento del praticantato, così come i pensionati, a partire dall’anno successivo alla pensione.


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I televisori ci osservano?

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