Articolo 254 D.L. 34/2020 – Misure urgenti in tema di concorso notarile ed esame di abilitazione all’esercizio della professione forense

1. Ai fini del completamento delle procedure e delle attività relative al concorso per esame a 300 posti per notaio bandito con decreto dirigenziale 16 novembre 2018 e all’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato bandito con decreto del Ministro della giustizia 11 giugno 2019, e’ consentita la correzione degli elaborati scritti con modalità di collegamento a distanza, ai sensi dell’articolo 247, comma 7, con le modalità di cui al comma 2.

2. Il presidente della commissione notarile nominata a norma dell’articolo 5 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 166 e, su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello nominate a norma dell’articolo 22, commi 4 e 7, del regio decreto 27 novembre 1933 n. 1578, il presidente della commissione centrale di cui all’articolo 22, quinto comma, del medesimo regio decreto possono autorizzare la correzione da remoto degli elaborati scritti, purché siano mantenuti i medesimi criteri di correzione già adottati dalle commissioni d’esame. Ove si proceda ai sensi del periodo precedente, il presidente della commissione notarile e i presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato fissano il calendario delle sedute, stabiliscono le modalità telematiche con le quali effettuare il collegamento a distanza e dettano le disposizioni organizzative volte a garantire la trasparenza, la collegialità, la correttezza e la riservatezza delle sedute, nonché a rispettare le prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei commissari e del personale amministrativo. I presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato provvedono ai sensi del periodo precedente in conformità ai criteri organizzativi uniformi stabiliti dalla commissione centrale.

3. Il presidente della commissione nominata a norma dell’articolo 5 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 166 per il concorso notarile e, su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello, il presidente della commissione centrale di cui all’articolo 22, quinto comma, del regio decreto 27 novembre 1933 n. 1578 per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato possono autorizzare, per gli esami orali delle procedure di cui al comma 1 programmati sino al 30 settembre 2020, lo svolgimento con modalità di collegamento da remoto ai sensi dell’articolo 247, comma 3, secondo le disposizioni di cui al comma 2, ferma restando la presenza, presso la sede della prova di esame, del presidente della commissione notarile o di altro componente da questi delegato, del presidente della sottocommissione per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato, nonché del segretario della seduta e del candidato da esaminare, nel rispetto delle prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei candidati, dei commissari e del personale amministrativo. I presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato procedono allo svolgimento delle prove in conformità ai criteri organizzativi uniformi stabiliti dalla Commissione centrale.

4. Nel caso di adozione di modalità telematiche per l’esame orale, il presidente impartisce, ove necessario, disposizioni volte a disciplinare l’accesso del pubblico all’aula di esame. 5. Le disposizioni di cui ai commi 3 e 4 si applicano anche alle prove orali dell’esame per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori bandito con decreto dirigenziale 10 aprile 2019. 6. All’articolo 47, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, alla fine, dopo le parole: «in materie giuridiche», aggiungere le parole: «, anche in pensione».

Testo completo del Decreto Legge “Rilancio” del 19 maggio 2020 n.34.

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Il processo penale telematico: informazioni sul deposito

Il processo penale telematico: informazioni sul deposito

Il provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia contiene le informazioni sul deposito nel processo penale telematico.

Nonostante la Fase 2 sia partita, la Giustizia non ha ripreso completamente la propria attività e si trova ancora relegata alla dimensione digitale, i cui capisaldi sono:
– le udienze da remoto,
– il deposito telematico.

L’introduzione del processo penale telematico per far fronte alle limitazioni imposte dal contenimento al contagio da COVID-19 ha sollevato parecchi dubbi: tra i penalisti scorre il timore che le udienze da remoto minino l’oralità che contraddistingue il penale e giochino a sfavore della reale tutela della parti.

Portavoce delle proteste è stata la Giunta dell’Unione delle Camere Penali che, in un comunicato pubblicato ancora il 24 marzo sul proprio sito, spiegava: «la Giunta, unitamente all’Osservatorio, stigmatizza il rischio che, attraverso la “decretazione d’emergenza” per il rischio epidemiologico, possano introdursi e “stabilizzarsi” prassi normative che smaterializzino la presenza delle parti nel processo».

Se per le udienze da remoto la procedura è abbastanza semplice (basta scaricare uno dei due software di videoconferenza, Teams o Skype for Business), è invece meglio offrire una panoramica delle disposizioni sul deposito degli atti nel processo penale telematico.

PROCESSO PENALE TELEMATICO: COME FUNZIONA IL DEPOSITO

 

  • Cosa si può depositare telematicamente?

È possibile depositare telematicamente memorie, documenti, istanze previste dall’art. 415-bis, comma 3, c.p.p. e previste dal comma 12-quarter.1 dell’art.83 del decreto n.18 del 17 marzo “Cura Italia”.

  • Quali caratteristiche devono avere gli atti da depositare?

L’atto da depositare telematicamente presso il P.M., deve essere un documento informatico con le seguenti caratteristiche:
– un PDF creato a partire da un documento testuale. È ammessa la copia di porzioni di testo, non è ammessa la scansione di immagini;
– sottoscritto con firma digitale PAdES o CAdES. Se gli atti sono firmati digitalmente da più soggetti, uno deve essere il depositante;
– il deposito comprensivo di atti e allegati non può superare i 30 Megabyte.

  • Come si procede al deposito telematico?

Il deposito nel processo penale telematico avviene a partire dal PST all’indirizzo http://pst.giustizia.it.
È necessario accedere all’Area Riservata e poi alla sezione Portale Deposito atti Penali.

Possono accedere coloro che risultano iscritti nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) come avvocati. È anche necessaria che la nomina del difensore sia annotata nel Re.Ge.WEB.

Il deposito degli atti di nomina del difensore è possibile successivamente all’avvenuta notifica della conclusione delle indagini preliminari.

Il deposito è indirizzato all’ufficio giudiziario del P.M. e la procedura segue questa scaletta:
a) inserire i dati richiesti;
b) caricare i file dell’atto e degli allegati;
c) inviare il deposito.

Dopodiché, il portale genera la ricevuta di accettazione che può essere scaricata. Nella ricevuta sono indicati:
a) un identificativo unico nazionale (anno/numero);
b) i dati inseriti dal depositante;
c) data e ora dell’invio come rilevati dai sistemi del Ministero.

Il portale indica lo stato d’avanzamento del deposito.
I possibili stati sono:
INVIATO: l’invio è riuscito;
IN TRANSITO: il deposito è in attesa di essere indirizzato al sistema dell’Ufficio del P.M. destinatario;
IN FASE DI VERIFICA: il deposito è giunto nel sistema dell’Ufficio del P.M. destinatario;
ACCOLTO: l’atto inviato è stato associato al procedimento;
RIGETTATO: il deposito è stato rifiutato (viene indicata la motivazione);
ERRORE TECNICO: c’è un problema in fase di trasmissione e si dovrà provvedere a effettuare nuovamente il deposito.

La sicurezza della trasmissione dei documenti è garantita dalla cifratura asimmetrica e da chiavi di sessione conformi all’articolo 14, comma 2 del provvedimento del 16 aprile 2014.
Quando il deposito risulta “in transito”, il portale cancella tutti i dati personali.

Per avere un quadro completo sul deposito degli atti nel processo penale telematico vi invitiamo a leggere il testo originale del provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia

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Riconoscere l’accesso a Internet in costituzione?

Come sarebbe stato, questo lockdown, se non avessimo avuto Internet? Saremmo riusciti a portare avanti il nostro lavoro, a tenerci aggiornati sulla situazione, a mantenere le relazioni e come avremmo impiegato il tempo libero confinati tra le 4 mura di casa nostra?
Come avrebbero reagito alla crisi le aziende, il settore sanitario e la scuola senza potersi appoggiare alle nuove tecnologie?

Dunque, che il digitale sia diventato un elemento fondamentale della nostra vita è ormai chiaro. Ma le quarantena generata da COVID-19 ci ha anche mostrato che non tutti gli italiani godono allo stesso modo di questa opportunità e che una parte ne è esclusa in misura più o meno marcata.

E per evitare il perpetrarsi delle disuguaglianze c’è chi chiede il riconoscimento dell’accesso a internet in Costituzione.
Ma è proprio necessario inserire il diritto alla rete nella nostra carta fondamentale? O ci sono già dei riferimenti nei quali farlo rientrate?

INTERNET IN COSTITUZIONE

È passato circa un decennio da quando Stefano Rodotà proponeva un primo riconoscimento dell’accesso a Internet in Costituzione.

All’epoca la rete aveva già dimostrato il suo impatto sui diversi aspetti della vita dei cittadini, e Rodotà proponeva una modifica costituzionale che garantisse l’accesso a Internet per tutti, che incentivasse l’alfabetizzazione informatica e, in ultima analisi, favorisse l’inclusione sociale dei cittadini e i loro i rapporti interpersonali, lavorativi e anche con la PA.

La modifica non è mai stata conclusa ed è solo stata ripresa più e più volte.

Durante l’emergenza COVID-19 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha espresso nuovamente l’idea di rivedere la carta fondamentale per inserire l’accesso a Internet come “diritto costituzionalmente tutelato”, in relazione al principio di uguaglianza sostanziale espresso nell’art. 3, comma 2.

IN EUROPA

Tra i paesi europei, solo la Grecia ha inserito l’accesso a Internet in Costituzione, nel 2001.

La modifica costituzionale non ha portato grandi risultati dal punto di vista delle performance digitali calcolate in base agli indicatori del Report DESI (“The Digital Economy and Society Index”) della Commissione Europea.

I parametri sono: connettività, capitale umano, uso dei servizi internet, integrazione della tecnologia digitale, servizi pubblici digitali.

La Grecia occupa la terzultima posizione tra i 29 paesi considerati, ma ha fatto registrare miglioramenti più marcati rispetto la media europea nella digitalizzazione dei servizi pubblici grazie a un piano nazionale di digitalizzazione 2016-2021.
Anche gli utenti di internet sono aumentati, ma ma mancano ancora una cultura digitale diffusa e connessioni veloci. 

Significa che inserire l’accesso a Internet in Costituzione è inutile? No. Ma ci devono essere piani e risorse per trasformare un diritto in una realtà.

ALTERNATIVE ALLA COSTITUZIONE

Lo scopo della Costituzione è tutelare i diritti fondamentali garantendo la costruzione di una realtà in cui essi possano essere esercitati.

Sancire il diritto di accesso a Internet in Costituzione senza poi avere le risorse per le infrastrutture necessarie a garantirlo è inutile.
La crisi sanitaria innescata dal coronavirus si sta trasformando in una crisi economica ed è difficile immaginare di riuscirci proprio ora. 

In ogni caso, come suggerisce Angelo Alù, consigliere di Internet Society – Osservatorio Giovani e Internet, il diritto all’accesso a Internet potrebbe già rientrare:

– nelle disposizioni previste dagli articoli 2, 3 e 9 della Costituzione,

– nell’art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 4 che afferma: “La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici”,

nel D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione digitale – CAD), art. 3 sul diritto all’uso delle tecnologie e sulle iniziative di alfabetizzazione informatica per la diffusione della cultura digitale.

E poi ci sono la Carta della cittadinanza digitale e la Dichiarazione dei Diritti in Internetal cui art. 2 si legge che:
1. L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.
2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
3. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
4. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite.
5. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità”.

E voi cosa ne pensate? È necessario riconoscere l’accesso a internet in Costituzione, oppure i riferimenti già disponibili sono sufficienti?

In ogni caso, se l’esperienza del lockdown vi ha spinto a rivedere il vostro rapporto con Internet e le nuove tecnologie, vi invitiamo a scoprire i prodotti e i servizi informatici che abbiamo a disposizione per studi legali e aziende

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L’art.83 del Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020 illustra le disposizioni in materia di Giustizia civile e penale istituite per cercare di far funzionare il sistema nonostante i limiti imposti per far fronte all’epidemia da COVID-19. La spinta verso un processo penale da remoto è diventata più consistente, dividendo l’opinione di avvocati e magistrati tra coloro che vedono positivamente la novità e coloro che la vivono come una minaccia.

Gli elementi portanti dell’attuale processo penale telematico sono:
– le udienze da remoto, tramite Skype for Business o Teams di Microsoft,
– il deposito telematico degli atti.

Le udienze via computer non sono proprio una novità poiché già prima dell’emergenza erano usate nelle situazioni previste dall’articolo 146-bis del Codice di procedura penale: detenuti in carcere per reati di criminalità organizzata o terrorismo, persone ammesse a programmi o misure di protezione.

Ora, le udienze da remoto sono state estese anche agli imputati liberi o sottoposti a misure cautelari non detentive.

Tra le varie voci critiche verso la deriva telematica del processo penale vi è quella dell’Unione delle Camere Penali che avanza il timore, condiviso da molti, che la novità non sia limitata al solo periodo emergenziale ma venga mantenuta anche dopo la sua fine.

IN CHE COSA CONSISTE IL PROCESSO PENALE DA REMOTO

 

Dal 9 marzo al 30 giugno, le udienze penali che richiedono la sola presenza di PM, parti e difensori, ausiliari del giudice, polizia giudiziaria, interpreti consulenti e periti possono essere svolte da remoto tramite i programmi di videoconferenza Skype for Business o Teams.

Il giudice comunica a tutti i soggetti il giorno e l’ora dell’udienza e la modalità di collegamento.

I difensori attestano l’identità dei propri assistiti che, come già detto, parteciperanno dalla stessa postazione del difensore.

Se l’imputato/indagato si trova agli arresti domiciliari, lui e il difensore possono partecipare all’udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria che consenta la videoconferenza.
L’identità del l’imputato/indagato viene accertata dall’ufficiale di polizia giudiziaria presente.

Nella fase delle indagini preliminari è permesso il compimento di atti tramite collegamento da remoto. L’avvocato difensore partecipa tramite collegamento remoto dal suo studio legale o dal luogo in cui si trova il suo assistito.

È possibile depositare telematicamente gli atti di nomina del difensore, le memorie, altri documenti e le istanze previste dall’art. 415-bis, comma 3, c.p.p.

PERCHÈ IL PROCESSO PENALE TELEMATICO NON CONVINCE

 

La mancanza di un vero contraddittorio

Il processo penale è un processo che si basa sull’oralità, ma le udienze in video da remoto impediscono un reale dibattito.

L’Avv. Domenici, vicepresidente di Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) sezione Lucca, spiega: «Non è ammissibile  che il processo penale venga, in nome dell’emergenza epidemiologica, stravolto e trasformato in un processo in videoconferenza, comprimendo così il diritto di difesa ed il contraddittorio che presuppongono l’oralità e l’immediatezza dell’accertamento giudiziale» [Fonte].

Privacy

Le procedure del processo penale da remoto tutelano la privacy dei coinvolti? Chi, magari all’interno dell’azienda produttrice, può accedere ai dati delle videoudienze?

Il dubbio è sorto anche a il presidente delle Camere penali, l’Avv. Caiazza che ha scritto al Garante della Privacy per proporre «modifiche che consentano la trattazione in sicurezza dei processi. Possiamo fare in modo che si vada in aula il meno possibile e che il numero dei partecipanti sia il più basso possibile. Ma non si può smaterializzare l’aula».

L’impatto dei limiti tecnologici

Oltre ai problemi di sicurezza informatica a monte, ci sono anche i limiti tecnologici dei soggetti coinvolti.

Connessioni lente che causano una trasmissione video a singhiozzo, magari unita un alto numero di partecipanti renderebbero l’udienza da remoto assai difficile da gestire e andrebbero a ridurre ancor di più un contraddittorio già penalizzato.

Lo squilibrio di potere

Per spiegare questo punto ci rifaremo a quanto l’Avv. Caiazza ha scritto sulla sua pagina Facebook.

Per prima cosa va ricordato che «spetta al giudice ogni valutazione in ordine alle modalità di svolgimento delle udienze», ma Caiazza spiega anche che:

il Collegio dà categoriche disposizioni a tutte le parti processuali, collocandole ora qui ora là, purché non in Aula.
Innanzitutto, si indica la piattaforma, cioè Teams di Microsoft, secondo le indicazioni ministeriali. […]
Ma la parte più stupefacente di questo incredibile atto processuale è il gioco della assegnazione dei posti.
Premesso che gli imputati detenuti si collegheranno dal carcere (non in videoconferenza, ma su Teams), «il Pubblico Ministero si collegherà dal proprio ufficio; gli imputati liberi e quelli agli arresti domiciliari si collegheranno dallo studio dei loro difensori; i difensori dai loro rispettivi studi professionali» ma, attenzione, «un solo collegamento per ciascun imputato», quindi se i difensori sono due, si arrangino entrambi presso uno dei due studi. Quanto ai testi di Polizia Giudiziaria, «dagli uffici di un servizio territoriale della propria Arma di appartenenza».

Quindi «il Tribunale dispone non solo che le parti debbano avere Teams su un proprio computer, e che debbano saperlo usare; ma dispone anche dei diritti proprietari degli avvocati rispetto ai propri studi, dove d’imperio non solo essi dovranno stare, ma dovranno altresì ricevere i propri assistiti e l’eventuale co-difensore (che dunque avrà invece l’obbligo di trasferta)».

 

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La Fase 2 della Giustizia: “una vera e propria babele”

prescrizione

Processi e prescrizione: la situazione dei tribunali italiani

Per parlare di prescrizione dobbiamo prima fare il punto della situazione in cui ci troviamo ora, maggio 2020:

  • durante il lockdown la Giustizia è rimasta (quasi) completamente ferma;
  • ora che la Fase 2 è iniziata, la Giustizia arranca e, a causa della mancanza di regole condivise a livello nazionale, la vera e propria ripresa sembra spostarsi a settembre;
  • permane l’incognita di possibili nuovi lockdown che possano bloccare nuovamente l’attività giudiziaria.

Ne consegue che tutti i procedimenti che non sono stati -e non saranno- svolti durante questo periodo di emergenza andranno ad aggiungersi all’arretrato che già da molto tempo ingolfa il sistema italiano.

LA RIFORMA DELLA PRESCRIZIONE

Presi dalle vicende del coronavirus ci siamo un po’ dimenticati della riforma della prescrizione voluta dal Ministro Bonafede ed entrata in vigore il 1 gennaio 2020.
Lo scopo della riforma è alleggerire il carico di lavoro delle Corti.

Esattamente, quanto grave è la situazione della prescrizione in Italia?

Trovare dati precisi e aggiornati non è semplice.
In questo articolo ci rifaremo a quelli emessi dalla Direzione generale di statistica e analisi organizzativa del Ministero della Giustizia (rielaborati da altre fonti che vi indichiamo alla fine del testo) che però si fermano al 2017.

All’epoca, le sentenze di prescrizione sono state 125.659, circa 20.000 in più rispetto all’anno precedente.

Di tutti questi processi:
– circa 65.000 sono stati prescritti davanti al Giudice per le indagini preliminari (Gip) o al Giudice dell’udienza preliminare (Gup);
– poco meno di 30.000 sono stati interrotti davanti al tribunale ordinario;
– circa 2.500 davanti al giudice di Pace;
– circa 28.000 in Corte di appello;
670 in Cassazione.

Questi dati hanno poco senso se non consideriamo il numero totale dei procedimenti definiti che, nel 2017, ha raggiunto quasi il milione. Ciò significa che i processi finiti in prescrizione sono stati circa il 12%.

PRESCRIZIONE E DIFFERENZE GREOGRAFICHE

Secondo i dati del Ministero della Giustizia, sempre relativi al 2017, si evince quanto segue:

  • – i distretti con la più alta quota di processi prescritti in fase di indagine sono stati Brescia (19%), Cagliari (14%), Venezia (13%), e Milano (11%);
  • – i distretti con la più alta quota di prescrizioni dopo il rinvio a giudizio ma prima della sentenza di primo grado sono stati Salerno (30%), Cagliari (17%) e Reggio Calabria (15%);
  • – i distretti con la più alta quota di prescrizioni in corte d’appello sono stati Trento (40%), Catanzaro (38%) e Potenza (37%).

La lentezza dei processi è uno dei difetti principali della giustizia italiana, non solo nel penale ma anche nel civile. Basti pensare che, ancora 10 anni fa, per concludere una causa civile nel nostro paese erano necessari 564 giorni, 238 in più della media dei paesi OCSE.

COSA CI ASPETTA?

Alla luce dei cambiamenti che COVID-19 sta portando alla Giustizia – cambiamenti tecnologici, procedurali e anche comportamentali – ci riesce difficile giungere a una qualsiasi previsione partendo da dati che, ormai, si riferiscono a un mondo assai diverso da quello in cui viviamo oggi.

L’unica certezza, come già suggerito, è che il problema degli arretrati non ha giovato né dello stop dovuto alle misure di contenimento né alle difficoltà che caratterizzano la ripartenza della Giustizia.

[Fonti: TrueNumbers-prescrizione; TrueNumbers-tribunali; AGI
Approfondimenti: Numero di procedimenti penali 2003 -2019, Ministero della Giustizia]

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Smart working: l'accesso da remoto ai registri della cancelleria

Smart working: l’accesso da remoto ai registri della cancelleria

Pochi giorni fa, sul sito dedicato al processo civile telematico è stato pubblicato un intervento firmato da Enrico Consolandi, Presidente della sezione Famiglia del Tribunale di Brescia, in cui spiega come potrebbe essere possibile garantire l’accesso da remoto ai registri della cancelleria.
I contenuti dell’intervento sono stati ideati nella prima fase dell’emergenza COVID-19, ma continuano a rimanere validi anche ora che la Fase 2 della Giustizia è stata avviata.

La ripartenza della Giustizia non è iniziata con le migliori premesse, data la mancanza di un protocollo condiviso a livello nazionale che ha portato ogni ufficio giudiziario ad adottare le proprie regole.

Leggi l’articolo “La Fase 2 della Giustizia: una vera e propria babele”

E poi, come è noto a tutti che, nonostante siano passati due mesi dall’imposizione delle misure di contenimento per limitare la diffusione del coronavirus e dalla “conversione” allo smart working, non è ancora la possibilità di accede in remoto ai registri della cancelleria.

Enrico Consolandi propone quindi una sua soluzione: «una proposta di evoluzione tecnologica della giustizia nella direzione di rendere effettiva e concreta la possibilità di consentire ai cancellieri di tutta Italia di poter lavorare senza dover accedere fisicamente sul luogo di lavoro, con un progetto che si auspica trovi ampia condivisione e adesione.»

FINALITÀ DELLO SMART WORKING

La proposta si basa su un’evoluzione tecnologica che consenta il telelavoro.
Le finalità sono 3:

– GESTIRE L’EMERGENZA

Al fine di garantire una riduzione delle presenza presso gli uffici giudiziari, si dovrebbe permettere l’accettazione di atti difensivi e provvedimenti giurisdizionali depositati in via telematica da parte del personale in smart working o sottoposto a quarantena.
In questo modo, anche in caso di nuovi lock down, l’attività giudiziaria proseguirebbe.

– RISOLVERE CARENZE TERRITORIALI
Una volta passata l’emergenza sanitaria, si dovrebbe continuare con il lavoro da remoto in modo da favorire la flessibilità del personale e risolvere la «disomogeneità territoriale fra domanda di lavoro e necessità degli uffici giudiziari, alla base di una ormai strutturale carenza negli uffici del Nord Italia».

– MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI LAVORO
Lo smart working permetterebbe di ridurre gli spostamenti del personale. A fronte di una riduzione dei costi ad esso correlati, dovuti alla non-presenza in sede, i lavoratori potrebbe godere di un migliore rapporto tra vita lavorativa e vita privata.

COSA MANCA PER FARE IL SALTO DI QUALITÀ

GARANTIRE SICUREZZA, RISERVATEZZA E CONFIDENZIALITÀ

È necessario impostare delle regole che indichino al lavoratore quali comportamenti deve adottare per far sì che il suo lavoro non venga esposto a rischi.
Un esempio di rischio si avrebbe nel caso in cui il computer utilizzato per lo smart working fosse lo stesso utilizzato da altri membri del nucleo familiare.

AFFRONTARE GLI ASPETTI TECNICI/TECNOLOGICI

Ai lavoratori in remoto devono essere dati gli strumenti adeguati per svolgere le loro mansioni. Soprattuto, servono computer personali ottimamente configurati (ve ne sono di dismessi e riutilizzabili), collegamenti sicuri alla rete della giustizia (VPN ed Endpoint), accesso a internet veloce (con la consegna di modem portatili, le “saponette, i cui contratti sono stipulati dall’amministrazione e non dal lavoratore).
La stessa amministrazione deve potenziare la propria infrastruttura e le proprie misure di sicurezza e dotarsi di una rete di tecnici informatici pronti a intervenire.

QUANDO L’ACCESSO DA REMOTO AI REGISTRI DELLA CANCELLERIA?

L’articolo si conclude riportando il testo integrale della circolare del Ministero della Giustizia del 2 maggio 2020 in cui vengono spiegate le misure effettivamente intraprese nel periodo emergenziale per remotizzare il processo civile telematico:

In soli 15 gg si è operata una remotizzazione per alcuni applicativi in uso per il nostro personale per una platea assolutamente significativa:

  oltre 7.600 gli abilitati ad oggi che sugli applicativi da remoto di tipo “amministrativo”

  circa 26.000 gli utilizzatori ad oggi della piattaforma e-learning 

  circa 30.000 gli utenti oggi abilitati all’utilizzo dell’applicativo Teams per la videoconferenza (Licenze Microsoft Office 365 E1), comprensivi anche di magistrati ordinari e onorari e  di altra platea di utenti. 

Il Ministero spiega che «ciò precisato si sottolinea quindi alle SS.LL. la platea di soggetti abilitati da remoto sino ad oggi raggiunta, unita a quella che seguirà con l’ulteriore espansione degli applicativi da remoto, sia assolutamente sufficiente a supportare logiche di ampio uso dello smart working anche in fase due, specie se connesse al ventaglio di soluzioni organizzative per il lavoro in tale contesto suggerite nei paragrafi che precedono».

E aggiunge: «in una prospettiva di supporto al lavoro agile anche in vista di una fase tre, ma soprattutto in una ben diversa di approntamento di strumenti per un vero e proprio piano organizzativo per l’emergenza in generale, sta ragionando con gli interlocutori istituzionali anche a logiche di remotizzazione di larga parte dei servizi che possano consentire un rapido approntamento di remotizzazione di servizi mappati in casi di emergenza (terremoti, alluvioni ecc.), anche con garanzia di sicurezza che siano condivise doverosamente anche da altre competenti istituzioni (Dipartimento per l’Informazione e la sicurezza, Dipartimento per l’innovazione e la digitalizzazione e Agenzia per l’Italia digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e che tengano conto  dell’inserimento  di  alcuni  servizi  Giustizia nel  perimetro di servizi critici a  seguito dell’inserimento del Ministero della Giustizia nel perimetro di Sicurezza Nazionale.
L’acquisto di strumentazione hardware dedicata al lavoro agile è peraltro uno dei prerequisiti per una differente modalità di accesso ai registri informatizzati nel  rispetto delle politiche di sicurezza adottate dal Ministero della Giustizia».

Non è presente una risposta sul perché non sia ancora possibile  l’accesso da remoto ai registri della cancelleria (e se mai davvero lo sarà).

Qui il testo dell’articolo di Enrico Consolandi.

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La digitalizzazione della Giustizia: quale futuro?

[EVENTO ONLINE 14 MAGGIO] Food and Wine Law – nuovi scenari aziendali per le cantine e per l’enoturismo

L’emergenza COVID-19 apre nuovi scenari per le cantine e l’enoturismo. Cosa aspettarci?

Questo evento online sarà il primo di una serie di corsi altamente professionalizzanti tramite teledidattica e – pandemia permettendo – anche dal vivo presso i luoghi di produzione.

Il primo evento è aperto a tutti e sarà trasmesso in diretta sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di AVVOCATI.

L’iniziativa è organizzata in collaborazione con Servicematica.

Introduce:

Stefano Franchi, presidente AIGA Teramo

Intervengono:

Andrea Borroni, Professore di diritto comparato,
studioso di protezione delle tipicità agroalimentari,

Giorgio Liserre, esperto di diritto vitivinicolo e founder App Cantinaconforme

Presenta e conduce:

Rosa Colucci, direttore responsabile della rivista Avvocati

food and wine

Digitalizzazione della Giustizia

La digitalizzazione della Giustizia: quale futuro?

La digitalizzazione della Giustizia ha subito una forte e inaspettata accelerazione durante gli ultimi mesi caratterizzati dall’epidemia da COVID-19.
Una digitalizzazione un po’ forzata e caotica.

La Fase 2 della Giustizia, iniziata oggi 12 maggio 2020, sta avvenendo con alcune difficoltà, generata soprattutto dall’assenza di linee guida nazionali.
Il risultato è che ogni ufficio giudiziario ha ora le proprie regole, diverse da quelle degli altri. Come l’ha definita l’OCF: “una vera babele“. 

Ma oltre ai problemi organizzativi legati al rispetto delle misure di contenimento, c’è poi una marcata serie di problemi tecnici. Giusto per fare un esempio: se, da un lato, si vuole favorire lo smart working per garantire il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti, dall’altro, il personale amministrativo non ha ancora modo di poter accedere in remoto ai fascicoli e ai registri.

La digitalizzazione della Giustizia, con le sue incertezze e le sue potenzialità, ha suscitato un discreto dibattito fra coloro che sostengono che sia un bene e altri che la percepiscono come una minaccia.

IL PASSATO E IL FUTURO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA

La digitalizzazione della Giustizia non è certo una novità di questo periodo.

Già nel Piano d’azione in materia di Giustizia elettronica europea del 2009 si suggeriva l’uso della videoconferenza.
In Italia questa tecnologia è stata usata principalmente per i processi penali che coinvolgono detenuti pericolosi per i quali è auspicabile evitare qualsiasi spostamenti dal carcere alle aule giudiziarie [agenda digitale]

Considerando la situazione attuale, anche cercando di essere ottimisti, dobbiamo considerare tre elementi:

  • – con le attuali misure di contenimento non sarà possibile garantire gli stessi volumi di lavoro dell’epoca pre-coronavirus;
  • – vi è sempre la possibilità che i contagi tornino ad aumentare e che vengano imposte nuove misure restrittive alle attività giudiziaria,
  • – al già mastodontico arretrato che la Giustizia aveva prima dell’emergenza, si aggiungerà anche quello di questi mesi di stop, rendendo il sistema ancor più costipato.

È proprio alla luce di ciò che, forse, la digitalizzazione della Giustizia diventa necessaria.
La tecnologia e la dematerializzazione dei processi potrebbero infatti  apportare benefici in termini

  • – di tempo, con una riduzione dei tempi morti
  • – di costi, grazie, per esempio, alla riduzione degli spostamenti
  • – di accesso alla Giustizia, che sarà garantito anche in caso di nuovi lock down.

Insomma, la tecnologia permette di tutelare i  principi costituzionali del diritto di difesa (art.24) e del buon andamento dell’amministrazione (art.97). [agenda digitlae]

A proposito di diritti costituzionali e digitalizzazione della Giustizia, Salvatore Scuto, su Il Sole 24 Ore, scrive: “Il problema, infatti, più che sul piano tecnologico si pone sul piano della tutela del contraddittorio, dell’oralità, dell’immediatezza, della riserva di legge che costituiscono la più alta espressione di una regola epistemologica per la formazione della prova, riconosciuta come valida dalla collettività al punto da essere contenuta in Costituzione.”

Questo elemento è stato particolarmente sentito da molti avvocati penalisti che hanno vissuto come un limite l’imposizione delle udienze da remoto.

La questione è certamente delicata, ma è chiaro che sarà davvero difficile tornare alla Giustizia di un tempo.

LE SOLUZIONI?

Le opinioni dell’avvocatura sulla digitalizzazione della Giustizia sono variegate.

C’è chi accoglie con grande entusiasmo le novità, chi con grande timore.
C’è chi sostiene che l’unico modo per far ripartire la Giustizia ora sia depenalizzando alcuni reati e favorendo i riti alternativi, chi invece dice che agli avvocati dovrebbe essere revocato il periodo feriale estivo di quest’anno. 

Da un punto di vista puramente informatico, noi siamo d’accordo con chi sostiene che se si vuol davvero digitalizzare la Giustizia, allora bisogna:

  • – impostare delle regole omogenee e condivise (per esempio, stabilire quali comportamenti le parti devono tenere durante una videoconferenza),
  • modernizzare l’infrastruttura tecnologia a disposizione di tutti i soggetti coinvolti,
  • – impostare procedure e strumenti per la tutela della privacy e per la sicurezza informatica.

Il cambiamento non è mai semplice.
Anche ai tempi dell’introduzione del Processo Civile Telematico si poteva assistere a una spaccatura tra chi lo accoglievano con favore e chi lo vedeva come una minaccia.
Ora però il PCT non fa più notizia e, anzi, c’è davvero qualcuno che tornerebbe indietro?

[Spunti e approfondimenti:

Il Sole 24 Ore: Giustizia, perché per riprendere servono soluzioni condivise

Panorama: La Giustizia al bivio. Ci salverà l’udienza virtuale.  

La Stampa: Depenalizzazione dei reati e riti alternativi. Per la giustizia è l’unica ripartenza possibile.

Agenda Digitale: Udienze a distanza causa coronavirus, come vanno e i problemi.

Starmag: La Giustizia non riparte. Che cosa non funziona. ]

 

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fase 2 della giustizia

La Fase 2 della Giustizia: “una vera e propria babele”

La Fase 2 della Giustizia inizia domani 12 maggio e terminerà il 31 luglio 2020.

Questa fase inizia dopo due mesi di stop in cui sono stati garantiti solo pochi procedimenti: nel civile, quelli relativi alla famiglia e alla tutela delle persone; nel penale, quelli per le convalide di arresto o quelli in cui i difensori dei detenuti hanno chiesto di procedere.

Queste trattazioni continueranno a essere garantire e, piano piano, altre verranno riprese, ma i procedimenti meno urgenti verranno posticipati a settembre.

Sarà possibile tornare alla realtà precedente a COVID-19? Non da subito e forse mai.

GLI OSTACOLI DELLA FASE 2 DELLA GIUSTIZIA

La riapertura delle attività della Giustizia non avviene certo a emergenza risolta.

Il coronavirus è ancora fra noi e molte sono le misure di sicurezza sanitaria alle quali avvocati, giudici, personale ausiliario e cittadini dovranno sottostare.
Misure che rendono l’operatività molto più complicata di un tempo e che non si limitano certo all’obbligo di mascherine, guanti, gel disinfettante ed eventuali barriere che possano limitare la diffusione del virus.

Chi di voi frequenta i palazzi della Giustizia sa, infatti, che molti non sono strutturati per garantire la distanza interpersonale ed evitare gli assembramenti.
A queste limitazioni ambientali si aggiungono alcune abitudini, come quella di fissare tutte le udienze alla medesima ora costringendo gli avvocati ad attendere il proprio turno in uno spazio apposito.
Questa abitudine è stata spazzata via dalle misure di contenimento dei mesi appena trascorsi, durante i quali si è preferita una programmazione delle udienze distanziate nel tempo.

Proprio la necessità di garantire il distanziamento sociale ed evitare gli assembramenti, fa prevedere una Fase 2 della Giustizia caratterizzata da:
ingressi limitati,
prenotazioni,
turni e orari flessibili del personale,
utilizzo limitato agli spazi più grandi e aerati,
– udienze in remoto o a numero chiuso o a porte chiuse,
– promozione della trattazione scritta (nel civile ove non sia richiesta la presenza dei difensori),
– promozione delle videoconferenze,
– ulteriore spinta al processo civile telematico (già ampliato a tutti gli atti introduttivi e alla Cassazione).

Che dire poi delle carenze tecnologiche? Basti pensare che per il personale amministrativo in smart working è ancora impossibile accedere da remoto a registi e fascicoli

IL VERO PROBLEMA DELLA FASE 2

Ciò che abbiamo descritto non è certo insormontabile: con una buona organizzazione tutto può essere gestito, snellito, risolto.

Appunto, servirebbe un’organizzazione che favorisse una Fase 2 della Giustizia omogenea a livello nazionale.

Ma a poche ore dalla ripresa delle attività giudiziarie, questa organizzazione manca completamente.

Anzi, ciò che è successo è esattamente il contrario.

In assenza di un piano di azione condiviso, i capi degli uffici hanno potuto scegliere in modo autonomo le regole da applicare alle attività giudiziarie durante la Fase 2.

Ciò significa che da domani ci troveremo con una Giustizia che funziona in modo diverso da sede a sede: a Venezia varranno delle regole, a Roma altre, a Palermo altre ancora.

L’Organismo Congressuale Forense ha segnalato la presenza di “oltre duecento provvedimenti dei capi degli Uffici Giudiziari. Una vera e propria babele”.

L’OCG aveva già sottolineato la necessità di un piano nazionale condiviso che potesse far riprendere le attività giudiziarie in modo omogeneo in tutto il paese sia da un punto di vista di procedure, ma anche di risorse umane e materiali.

La conseguenza di questa disomogeneità è che molte sedi stanno posticipando l’avvio completo delle attività, mantenendo la situazione vista durante i mesi di emergenza, garantendo un ridotto numero di procedimenti a discapito dei cittadini.
Il timore è che la ripresa totale della Giustizia avvenga persino dopo l’estate.

Davanti a questa Fase due della Giustizia caotica e alle sue conseguenze, l’Organismo Congressuale Forense ha proclamato in via d’urgenza lo stato di agitazione dell’avvocatura, rimettendo all’Assemblea la decisione delle iniziative da prendere in tal senso.

[Fonti: Il Sole 24 Ore]

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Avvocati: l’offerta di prestazioni gratuite è un illecito disciplinare

Con la sentenza n. 148/2019 il Consiglio Nazionale Forense  ha stabilito che l’offerta di prestazioni gratuite o a un costo simbolico è un illecito disciplinare poiché si configura come accaparramento di clientela.

Nella sentenza si legge: «costituisce illecito disciplinare l’informazione, diffusa anche attraverso siti internet, fondata sull’offerta di prestazioni professionali gratuite ovvero a prezzi simbolici o comunque contenuti bassamente commerciali, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commerciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico».

IL CASO

Un avvocato viene condannato a tre mesi di sospensione dal Consiglio Distrettuale di Disciplina dell’Umbria. Tra le ragioni, anche l’aver proposto a una potenziale cliente il pagamento dell’onorario solo nel caso di vittoria della causa, richiedendo solo il pagamento degli oneri e delle spese processuali, allo scopo di ottenere l’incarico.

Successivamente, l’avvocato chiede e ottiene il pagamento dell’onorario precedentemente proposto solo in caso di vittoria, dichiarando, mentendo, che la somma riguarda solo alcune spese proporzionali al valore della causa.

Ancora, dopo la sospensione dall’esercizio della professione, l’avvocato convince la cliente a non revocargli il mandato, dichiarando, anche questa volta in mala fede, che la causa era la sua e la doveva gestire lui.

Infine, dopo l’esito negativo del giudizio di primo grado, l’avvocato propone alla cliente di ricorrere in appello ed eventualmente in cassazione, offrendo le proprie prestazioni gratuitamente.

L’avvocato ha poi fatto ricorso contro la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina adducendo tra i motivi la prescrizione dell’azione disciplinare, l’eccessività della sanzione ma anche l’insussistenza dell’illecito disciplinare di accaparramento della clientela.

Il CNF ha riconosciuto una parziale prescrizione e ha ridotto la sanzione a 2 mesi.

PERCHÈ L’OFFERTA DI PRESTAZIONI GRATUITE È UN ILLECITO DISCIPLINARE

L’offerta di prestazioni gratuite non è di per sé una violazione del codice deontologico, ma per il CNF questa condotta diventa un illecito disciplinare quando la gratuità viene utilizzata come leva per l’accaparramento di clientela che, altrimenti, non conferirebbe alcun mandato.
Ed è proprio ciò che ha fatto l’avvocato in questione. 

Nella sentenza il CNF rileva che «come, mentre i quattro canoni complementari dell’art. 19 del previgente CDF sono relativi a specifiche fattispecie incriminatrici che certamente – ed in tale misura in accordo con quanto dedotto dal ricorrente – non sono integrate dalle condotte qui in esame, il divieto generale previsto in apertura della medesima disposizione proibisce, invece, più genericamente, qualsiasi condotta finalizzata all’acquisizione di clientela che sia posta in essere con modalità non conformi alla correttezza e al decoro».

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