Gli scritti degli avvocati e il diritto d’autore

Gli scritti degli avvocati e il diritto d’autore

Gli scritti tecnici prodotti dagli avvocati sono protetti dal diritto d’autore?
Quale elemento può definirli come opere creative o testi “standard”?

Un indirizzo lo offre la Cassazione con l’ordinanza n.10300/2020.

LA CREATIVITÀ ALLA BASE DEL DIRITTO D’AUTORE

Il caso in oggetto all’ordinanza racconta di un avvocato che scrive un regolamento fieristico per un cliente.
Dopo un po’ di tempo, l’avvocato scopre che il suo testo è stato copiato di pari passo da un’altra società senza che questa avesse chiesto l’autorizzazione. A suggerire tale condotta, l’avvocato della società.

L’autore chiama in causa tale avvocato, che viene condannato a risarcire i danni per plagio ma che poi ricorre in appello e vince.

L’autore non accetta la decisione e ricorre in Cassazione contestando:

  • la violazione della legge sul diritto d’autore n.633/1941, rimproverando alla Corte d’Appello il giudizio che un opera tecnica non possa essere anche creativa;
  • la richiesta di provare la creatività insita nell’opera “come se si trattasse di un requisito soggettivo la cui sussistenza o meno possa essere dimostrata sulla base di elementi estranei all’opera stessa, che dovrebbero essere allegati e documentati”;
  • il rigetto della tutela dell’opera in base all’idea che l’esistenza di altri testi regolamentari simili neghi il requisito della creatività.

La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e conferma che nel testo non è riconoscibile alcuna rielaborazione creativa e originale di nozioni giuridiche note, né prassi o esperienze personali del professionista. In sostanza, vi sono solo indicazioni pratiche standard.

La mancanza di creatività e “soggettività” non permette quindi di ritenere l’opera meritevole di protezione del diritto d’autore. 

[Fonte: Studio Cataldi]

Hai bisogno di computer e di strumenti informatici che ti permettano di svolgere la tua professione in modo veloce, sicuro ed efficiente? Scopri i nostri prodotti.

———

LEGGI ANCHE:

Il tuo studio sempre a disposizione? Scegli il cloud

Formazione per avvocati: il CNF modifica il regolamento

 

gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: chi paga se le condizioni economiche del cliente cambiano?

Il gratuito patrocinio nasce per garantire l’assistenza legale alle fasce economicamente più deboli della popolazione. L’avvocato che offre il suo lavoro viene retribuito dallo Stato.

Ma cosa succede se le condizioni economiche dell’assistito migliorano? Il gratuito patrocinio sussiste ancora? E i compensi dell’avvocato chi li paga?

Con l’ordinanza n. 10669/2020, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha spiegato che un avvocato non può mai chiedere il pagamento del proprio compenso all’assistito se manca il provvedimento di revoca da parte del giudice del procedimento principale.

GRATUTO PATROCINIO E REQUISITI

Il caso in oggetto dell’ordinanza vede protagonista un avvocato che presenta ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere il pagamento del suo compenso da parte di una cliente, la quale aveva richiesto il gratuito patrocinio.

L’avvocato ritiene che sia la cliente a dover pagare poiché, nell’arco dell’assistenza prestata, l’aver contratto matrimonio ha comportato un aumento del reddito che l’avrebbe esclusa dal beneficio dell’assistenza gratuita.

La Cassazione però ricorda che l’art.85 del D.P.R. n. 115/2002 fa divieto al difensore in gratuito patrocinio di chiedere e percepire i compensi dal proprio assistito e che tale condotta costituisce un grave illecito disciplinare professionale.

L’ordinanza spiega che:
l’ammissione al patrocinio dello Stato è ammessa fintantoché il giudice ne disponga la revoca sulla base della mancanza dei presupposti indicati all’art. 136 del DPR 115/2002);
– che tale norma considera l’ipotesi che le condizioni reddituali dell’assistito possano cambiare nel corso del processo;
– che se ciò dovesse accadere, la revoca dell’assistenza gratuita avviene dal momento dell’accertamento delle modificazioni reddituali e tramite provvedimento del magistrato.

Nel caso in cui mancassero i presupposti per l’ammissione, l’assistito avesse agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il provvedimento ha anche effetto retroattivo.

In sostanza, è compito del giudice del procedimento stabilire la presenza delle condizioni di ammissibilità al gratuito patrocinio e la sua eventuale revoca.

Nel caso trattato, il giudice non ha mai verificato le condizioni economiche della donna né ha emesso un provvedimento di revoca, pertanto l’avvocato non avrebbe mai dovuto chiedere il pagamento dei propri compensi alla cliente, nonostante la mutata situazione reddituale la potessero potenzialmente escludere dal gratuito patrocinio.

Cerchi un software per la gestione della fattura elettronica? Scopri Service1.

———

LEGGI ANCHE:

Mancata consegna della notifica via PEC: l’imputabilità del destinatario non è certa

Il tuo studio sempre a disposizione? Scegli il cloud

 

Riforma della Giustizia: tecnologia, risorse economiche e ruolo degli avvocati

Riforma della Giustizia: tecnologia, risorse economiche e ruolo degli avvocati

L’incontro tenutosi tra il Min. Bonafede e il Consiglio Nazionale Forense, l’Organismo Congressuale Forense, l’Unione Nazionale delle Camere Civili e l’Associazione Nazionale Magistrati ha portato a un risultato non molto concreto ma incoraggiante: la volontà di portare avanti una riforma della Giustizia che non incespichi in vincoli economici e che coinvolga l’avvocatura in modo diretto.

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA: LA PROPOSTA DI LEGGE FERMA

C’è da dire che esiste già una proposta di legge delega per la riforma, che però è ferma in Commissione Giustizia.
Tale proposta, secondo Antonio De Notaristefani, presidente dell’Uncc, presenta alcuni elementi positivi, tra i quali la soppressione del filtro in appello o la riformulazione della fase della sospensiva.

Ma la nuova riforma della Giustizia non può certamente concretizzarsi senza tenere conto dei cambiamenti portati dal COVID-19.
De Notaristefani spiega: «Rispetto ad un progetto che risale ai primi di quest’anno questi cinque mesi trascorsi sono in realtà un’epoca totalmente diversa. Ciò che poteva andar bene allora non può andar bene oggi. Il che significa che non si può più pensare ad una riforma a costo zero, perché sappiamo tutti che la Giustizia civile ha un impatto sull’economia, è un dato acquisito».

LE RISORSE ECONOMICHE

Come riportato dal quotidiano il Dubbio nell’articolo Bonafede, sì agli avvocati: «Più fondi per la Giustizia», De Notaristefani ha così proseguito: «Discutere del progetto di riforma ha senso solo in una prospettiva molto più ampia, che tenga conto del fatto che il nostro Paese si deve riprendere da una delle crisi più gravi del dopoguerra. Nello stesso tempo, forse per la prima volta, è ipotizzabile destinare risorse importante alla Giustizia, senza toglierle alla scuola o alla sanità, si tratterebbe di risorse aggiuntive. Serve un intervento davvero serio e non a costo zero».

E infatti, la base economica per realizzare la riforma si trova nei 175 miliardi del Recovery Fund, di cui un quarto è proprio destinato alla Giustizia.

IL RUOLO DEGLI AVVOCATI E DELLA TECNOLOGIA

Dunque i professionisti forensi avranno un ruolo di primo piano nella concretizzazione della riforma. Nelle prossime settimane, avvocatura e magistratura potranno stendere le proprie proposte “tecniche” che poi verranno discusse dalle parti politiche.

Durante l’incontro, il Min. Bonafede ha dichiarato di voler far proseguire il connubio tra giustizia e tecnologia stabilito durante i mesi di quarantena.
Gli strumenti e le modalità che sono stati usati durante l’emergenza, prime fra tutte le udienze da remoto, non saranno affatto messe da parte. E le organizzazioni forensi non si sono dimostrate contrarie a priori alla digitalizzazione del processo civile, a patto che questa non venga imposta dall’alto, ma che venga concesso agli avvocati di decidere quale la modalità, da remoto dal vivo, sia la più adeguata a tutelare gli interessi dei loro clienti.

Sempre De Notaristefani ha espresso bene il concetto con queste parole: «Il processo civile è dei cittadini, non dei giudici. Quindi devono essere i cittadini, attraverso i loro avvocati, a scegliere la tipologia di udienza che secondo loro è più rispondente ai loro interessi. Nessuno potrà mai dirci “tu devi difendere in questo modo”. Lo decidiamo noi».

Hai bisogno di computer e di strumenti informatici che ti permettano di svolgere la tua professione in modo veloce, sicuro ed efficiente? Scopri i nostri prodotti.

———

LEGGI ANCHE:

Flessibilità oraria e digitalizzazione: la ricetta del Ministero della Giustizia

Articolo 83 D.L. 18/2020 – Disposizioni In Materia Di Giustizia Civile E Penale

Mancata consegna della notifica via PEC: l’imputabilità del destinatario non è certa

Mancata consegna della notifica via PEC: l’imputabilità del destinatario non è certa

Cosa succede in caso di mancata consegna della notifica via PEC?

Una parziale risposta ce la offre la Cassazione con la sentenza n.19283/2020.

ACCETTAZIONE E MANCATA CONSEGNA DELLA NOTIFICA VIA PEC

Il Tribunale di Catania fissa un’udienza alla quale istante e difensore non si presentano. La rappresentanza viene dunque affidata al difensore d’ufficio.

La richiesta dell’istante viene rigettata e questo decide di ricorrere per Cassazione portando a suo favore un’unica motivazione: la violazione della legge processuale, poiché la decisione del Tribunale è stata presa a seguito di un’udienza per la quale dichiara che egli e il suo difensore non sono stati regolarmente citati; la conseguenza è la nullità assoluta e insanabile.

La Cassazione ritiene fondato il motivo, infatti:

a) gli atti dimostrano che l’avviso di fissazione dell’udienza è stato trasmesso tramite mail PEC e che la notifica è stata accettata ma non consegnata;

b) la notificazione può ritenersi perfezionata via deposito in cancelleria (art. 16, comma 6, d.l. 16 ottobre 2012, n. 179) solo nel caso in cui la mancata consegna del messaggio sia imputabile al destinatario;

c) l’imputabilità al destinatario si verifica quando la sua casella PEC risulta piena.
L’art. 20, comma 5, del d.nn. 21 febbraio 2011, n. 44, obbliga il detentore della casella PEC a dotarsi di un servizio che avvisi automaticamente della saturazione della casella PEC e a verificare periodicamente che lo spazio disponibile sia ancora sufficiente;

d) nel caso in esame, gli atti non permettono di risalire alla causa che ha generato la mancata consegna; di conseguenza, non è possibile verificare la regolarità della notificazione.

Partendo da questi presupposti, la Cassazione conclude che sia necessario procedere con un nuovo giudizio per verificare le cause della mancata consegna della notifica via PEC contenente l’avviso.
Nel caso in cui si giungesse a capire che la causa non è imputabile al destinatario, bisognerà procedere a replicare l’intera procedura con una nuova notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza.

Hai bisogno di una casella PEC affidabile? Scopri la Posta Elettronica Certificata di Servicematica.

———

LEGGI ANCHE:

Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata

Perfezionamento delle notifiche la cui ricevuta di accettazione sia generata dopo le 21


LEGGI ANCHE

atto in pdf da scansione è valido ai fini della notifica

L’atto in pdf da scansione è valido ai fini della notifica

La terza sezione civile della Corte di Cassazione ha emesso una sentenza, la 532/2020, particolarmente interessante ai fini del processo telematico poiché indica che un…

Nasce Effe Legal, società tra avvocati con forte connotazione tecnologica

Dalla cooperazione tra il Gruppo Fire e un gruppo di esperti legali con esperienza nella gestione e nel recupero giudiziale e stragiudiziale dei crediti bancari,…

Arriva la normativa che blocca le chiamate di telemarketing anche per i cellulari

DPR contro squilli molesti anche ai numeri di cellulare: la fine del telemarketing selvaggio È in arrivo il decreto che permetterà di evitare la ricezione delle chiamate…

D.L. n. 28 del 30 aprile 2020: le novità per il processo civile

D.L. n. 28 del 30 aprile 2020: mediazione obbligatoria e altre novità per il processo civile

Lo scorso 25 giugno è stata approvata in via definitiva la conversione in legge con modifiche del Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19”.

I decreto tocca diversi temi: il tracciamento dei dati tramite la App Immuni, la detenzione domiciliare, il rinvio della riforma delle intercettazioni, l’uso dei droni da parte della Polizia penitenziaria, ma anche alcuni elementi del processo civile.

LE PRINCIPALI NOVITÀ PER IL PROCESSO CIVILE

Le udienze da remoto

Le udienze da remoto si devono svolgere con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario e tramite modalità che salvaguardino il contraddittorio e la partecipazione delle parti.
Le modifiche al D.L. specificano che “il luogo posto nell’ufficio giudiziario da cui il magistrato si collega con gli avvocati, le parti ed il personale addetto è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti di legge”.

Il deposito telematico degli atti

Il D.L. modificato stabilisce che, dal 9 marzo al 31 luglio 2020, nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione dinanzi al tribunale e alla corte di appello, il deposito degli atti del magistrato sia effettuato esclusivamente in via telematica.
È possibile il deposito non telematico solo se i sistemi informatici della giustizia non fossero operativi.

La mediazione

Dal 9 marzo al 31 luglio 2020, gli incontri di mediazione possano essere svolti telematicamente se tutte le parti sono concordi.
Terminato questo periodo, si potrà continuare con lo svolgimento telematico, sempre che vi sia il consenso delle parti.

L’avvocato firma digitalmente e dichiara autografa la sottoscrizione del proprio cliente apposta in calce al verbale e all’accordo di conciliazione.
L’esecutività dell’accordo è data dalla sottoscrizione con firma digitale del verbale del procedimento telematico apposta dal mediatore e dagli avvocati.

La novità della conversione in legge prevede che il mediatore, una volta firmato digitalmente l’accordo, possa inviarlo agli avvocati delle parti tramite PEC.  In questi casi, l’istanza di notifica dell’accordo può essere trasmessa all’ufficiale giudiziario via PEC. Sarà compito dell’ufficiale giudiziario scaricare dal messaggio di posta PEC le copie analogiche per eseguire la notificazione ai sensi degli artt. 137 e ss. c.p.c.

Controversie contrattuali causate dall’emergenza COVID-19

Il D.L. n. 6/2020 (art. 6-bis) ha stabilito che l’impatto delle misure di contenimento del contagio da COVID-19 possa valere come motivo per l’eventuale sollievo della responsabilità del debitore (ex artt. 1218 e 1223 c.c.), esteso anche alle eventuali penali in caso di ritardati o omessi adempimenti.
Il D.L. n. 28/20 dispone che la mediazione sia obbligatoria per le controversie in materia di inadempimento contrattuale che ricadono nelle fattispecie indicata sopra.

Hai bisogno di computer e di strumenti informatici che ti permettano di svolgere la tua professione in modo veloce, sicuro ed efficiente? Scopri i nostri prodotti.

———

LEGGI ANCHE:

Formazione per avvocati: il CNF modifica il regolamento

Riforma delle intercettazioni. Cosa cambia per avvocati e assistiti.


LEGGI ANCHE

Certificazione UNI 11871

Da oggi si può ottenere la certificazione UNI 11871

Avvocati, commercialisti e contabili a partire da oggi, 27 giugno 2023, potranno ottenere la certificazione UNI 11871, certificazione di conformità per una moderna e corretta…

giornalisti

I giornalisti contro la riforma Cartabia

Da mesi, giornalisti e cronisti giudiziari si stanno lamentando dell’applicazione di alcune norme della riforma della giustizia Cartabia. In particolar modo si riferiscono ai rapporti…

cassazione relatore

Magistrati: un nuovo concorso per 400 posti

Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 30 del 12 aprile 2024 – 4a serie speciale ‘Concorsi ed esami’ – il decreto ministeriale dell’8 aprile 2024 con cui…

Regolamento CNF n.6/2014

Formazione per avvocati: il CNF modifica il regolamento

Con la delibera n.228 del 18 giugno, il CNF ha apportato una modifica al “Regolamento per la formazione continua (Regolamento CNF n.6/2014).

La modifica consiste nell’aggiunta dell’art. 22-bis sull’“equipollenza dei corsi di formazione professionale ai fini dell’iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell’articolo 4, comma 6, del Decreto del Ministro della Giustizia 24 settembre 2014, n. 202”.

CONTENUTI DEL NUOVO ARTICOLO SULLA FORMAZIONE PER AVVOCATI

L’art. 22-bis spiega che la frequenza e il superamento dei corsi di formazione indicati nel Regolamento sono i requisiti necessari per l’iscrizione al registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento (D.M.G. n.202 del 24 settembre 2014) a patto che i corsi rispettino i seguenti requisiti:

  • siano organizzati da uno dei soggetti indicati negli artt. 8 (CNF), 9 (COA) e 10 (altri soggetti, pubblici o privati) del Regolamento;
  • siano stati accreditati ai sensi delle disposizioni indicate nel Regolamento;
  • abbiano una durata minima di 40 ore e trattino almeno le seguenti discipline: diritto civile e commerciale, diritto fallimentare e dell’esecuzione civile, diritto tributario e previdenziale, economia aziendale.

Qualora i corsi fossero organizzati da uno dei soggetti di cui agli artt. 9 e 10, l’istanza per ottenere la dichiarazione di equipollenza deve essere inviata via PEC al CNF, il quale valuterà entro 90 giorni dalla ricezione, con provvedimento motivato.

Scopri i corsi di formazione di Servicematica.

 

———

LEGGI ANCHE:

Perfezionamento delle notifiche la cui ricevuta di accettazione sia generata dopo le 21

Il tuo studio sempre a disposizione? Scegli il cloud

Perfezionamento delle notifiche la cui ricevuta di accettazione sia generata dopo le 21

Perfezionamento delle notifiche la cui ricevuta di accettazione sia generata dopo le 21

La Cassazione torna a esprimersi sul perfezionamento della notifica eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione venga generata dopo le ore 21 ma entro le ore 24.

IL CASO

Un cittadino nigeriano ricorre in appello dopo essersi visto rifiutate la protezione internazionale.
La Corte d’Appello di Bologna dichiara il ricorso inammissibile poiché notificato in via telematica (ex art. 16 comma 3 d.l. n. 179 del 2012) oltre le 21 dell’ultimo giorno utile e quindi perfezionato tardivamente il giorno successivo.

Il cittadino ricorre in Cassazione, sostenendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 147 c.p.c. e 16-septies, d.l. n. 179/2012, in relazione agli artt. 3, 24, 111 della Costituzione.

L’idea è che:
– la Corte di Bologna non abbia interpretato la normativa in materia secondo una visione costituzionale,
– al ricorrente non sia stato quindi riconosciuto il diritto di sfruttare completamente, fino alle 24, l’ultimo giorno utile per la notifica,
– non sia stato considerando il limite orario delle 21 come un semplice elemento di tutela del riposo del destinatario della notifica, ma come un limite al mittente.

IL PERFEZIONAMENTO DELLE NOTIFICHE PER IL DESTINATARIO E IL MITTENTE

La Cassazione accetta il ricorso e con l’ordinanza n. 12052 del 22 giugno 2020 spiega che:

1) è incostituzionale la parte dell’art. 16-septies del D.L. n. 179 del 2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014) in cui è indicato che la notifica eseguita telematicamente e la cui ricevuta di accettazione venga generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 è perfezionata per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento della generazione della ricevuta;

2) il limite delle ore 21 va a tutelare il riposto del destinatario, il quale, altrimenti, sarebbe costretto a controllare con costanza la propria casella mail anche in orario notturno, pertanto, è giustificabile che il perfezionamento della notifica sia differito alle 7 del giorno successivo;

3) Ciò però non significa che la stessa limitazione temporale ricada anche sul mittente, al quale verrebbe così impedito di sfruttare tutto il tempo a disposizione  fino alle 24.

 

Hai bisogno di computer e di strumenti informatici che ti permettano di svolgere la tua professione in modo veloce, sicuro ed efficiente? Scopri i nostri prodotti.

———

LEGGI ANCHE:

Casella PEC piena? Ecco quando la notificazione di un atto è perfezionata

Quando una notificazione non viene consegnata perché la casella pec è piena

 


LEGGI ANCHE

#ioapro il giudice disapplica il Dpcm

Cena in pieno lockdown: Tribunale annulla la multa di 800 euro al ristoratore #ioapro Come tutti ricorderete bene il 15 gennaio 2021 eravamo in pieno lockdown: se non si…

Diffamazione via Messenger: quando la Cassazione esclude il reato per mancanza di dolo

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’invio di messaggi diffamatori su Messenger non integra il delitto di diffamazione in assenza di dolo.

IA e magistratura, Galoppi (MI): intelligenza artificiale supporto e non sostituto

Per il Segretario Nazionale di Magistratura Indipendente è fondamentale che i magistrati e le istituzioni rimangano vigili nel garantire che la giustizia resti un dominio…

Flessibilità oraria e digitalizzazione: la ricetta del Ministero della Giustizia

Flessibilità oraria e digitalizzazione: la ricetta del Ministero della Giustizia

Nella circolare del 12 giugno, il Ministero della Giustizia fornisce indicazioni utili per individuare misure organizzative che consentano la ripresa delle attività amministrative e giudiziarie nonostante il persistere dei limiti imposti dall’emergenza sanitaria.

Di particolare interesse sono gli articoli 3 “Misure organizzative del personale: flessibilità oraria e qualità dei servizi – dal lavoro agile emergenziale al lavoro agile di qualità” e 4 “Misure in tema di digitalizzazione del processo e dei procedimenti amministrativi di competenza degli uffici giudiziari”.

ART. 3 “MISURE ORGANIZZATIVE DEL PERSONALE: FLESSIBILITÀ ORARIA E QUALITÀ DEI SERVIZI – DAL LAVORO AGILE EMERGENZIALE AL LAVORO AGILE DI QUALITÀ”

L’art. 3 sottolinea come il lavoro agile sia stata la modalità ordinaria con cui è stato portato avanti il lavoro del personale amministrativo durante la prima fase dell’emergenza.
Il Ministero dichiara che il passaggio a questa modalità inedita è stato ben accettato, con il 77% del personale degli uffici convertito al lavoro agile.

Questo piccolo successo non deve essere accantonato ma, anzi, sfruttato e migliorato.

In particolare, la circolare invita gli uffici a considerare tutte le altre opzioni contrattuali disponibili e finora poco utilizzati nel settore giudiziario:

  • flessibilità oraria,
  • turnazioni e orario pomeridiano,
  • – orario multiperiodale,
  • rotazione dei servizi di cancelleria,
  • co-working (il lavoro da remoto svolto in un ufficio diverso da quello dove ha sede il servizio).

Il lavoro in presenza non viene affatto lasciato da parte e, anzi, rimane la priorità, ma la ricetta per la ripresa prevede anche il lavoro in remoto e la flessibilità oraria.
Quest’ultima permette una più ampia apertura degli sportelli, in modo da stemperare la presenza degli utenti ed evitare assembramenti.

ALL’ART. 4 “MISURE IN TEMA DI DIGITALIZZAZIONE DEL PROCESSO E DEI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI DI COMPETENZA DEGLI UFFICI GIUDIZIARI”

Per realizzare quanto detto qui sopra è necessario avere il giusto assetto tecnologico. L’art.4 parla proprio di tecnologia, offrendo ulteriori spunti sull’organizzazione del lavoro.

Innanzi tutto, viene ripreso l’art. 83 del D.l. 18/2020, le cui innovazioni rimarranno in vigore fino al 31 luglio. Tra queste figurano:

  • – l’introduzione delle notificazioni nel processo penale (sistemi SNT e PECTIAP-document@)
  • – la remotizzazione delle udienze e delle attività di indagine,
  • – il deposito obbligatorio degli atti introduttivi nel PCT,
  • – il pagamento telematico obbligatorio del contributi unificato per il deposito degli atti nel PCT,
  • – l’avvio del deposito telematico nel processo penale con valore legale per gli atti di cui all’art. 415 bis cpp a partire dal 25 giugno,
  • – l’inoltro tramite portale NDR delle notizie di reato e dei seguiti per la polizia giudiziaria,
  • – l’avvio del PCT in Cassazione.

Poi, la circolare si concentra sull’acquisto di pc portatili da distribuire al personale amministrativo e alla magistratura dopo valutazione.

Al momento, il Ministero dichiara che ci sono:

  • circa 9.000 utenti abilitati sugli applicativi da remoto di tipo amministrativo,
  • circa 26.000 utenti della piattaforma di e-learning,
  • circa 45.000 utenti abilitati all’utilizzo di Teams per le videoconferenze e le udienze da remoto.

Nonostante i numeri appaiano positivi, l’utilizzo giornaliero di questi strumenti è, in proporzione, scarso, ad eccezione della piattaforma di e-learning.

Il Ministero si prefigge di distribuire i pc portatili nei singoli uffici valutando la tipologia di dipendente al quale consegnarli, ma anche l’effettivo utilizzo dei software per la remotizzazione. Tutto ciò, in accordo con un piano di smart working basato sulla qualità dei risultati.

Il Ministero invita i capi degli uffici e i dirigenti amministrativi:

  • – a spingere l’adozione degli strumenti informatici,
  • – a monitorare l’utilizzo di questi da parte del personale abilitato,
  • – ad organizzare l’accesso dell’utenza ai servizi tramite tecnologie di uso comune, anche istituendo protocolli in collaborazione con le istituzioni territoriali interessate (i consigli dell’ordine degli avvocati e altre professioni).

Qui il link per leggere l’intero contenuto della circolare.

Hai bisogno di computer e di strumenti informatici che ti permettano di svolgere la tua professione in modo veloce, sicuro ed efficiente? Scopri i nostri prodotti.

———

LEGGI ANCHE:

Processo Penale Telematico: partenza il 25 giugno

Articolo 83 D.L. 18/2020 – Disposizioni In Materia Di Giustizia Civile E Penale

 

Assistenti digitali e rischio privacy

Assistenti digitali e rischio privacy

Provate a ripensare a come avete trascorso le settimane di lockdown? Probabilmente avrete passato, per lavoro o per svago, molto più tempo del solito al computer o con lo smartphone (o tablet) in mano.

Senza tecnologia la quarantena sarebbe stata indubbiamente più difficile, ma tutta questa tecnologia che non ci abbandona mai ci mette anche in contatto, spesso inconsapevolmente, con quelli che vengono definiti ‘assistenti digitali’.

Erroneamente, molti do noi pensano che gli assistenti digitali siano solo dispositivi come Alexa di Amazon o Google Echo/Google Home. Non è affatto così.

Questa mancanza di consapevolezza ci espone a dei rischi poiché ci rende incapaci di tutelare a dovere la privacy dei nostri dati e delle nostre informazioni personali.

ASSISTENTI DIGITALI: “CHI” SONO

Gli assistenti digitali sono tutti quei software ai quali possiamo avanzare delle richieste vocali.

Questa dimensione orale porta gli utenti a confondere gli ‘assistenti vocali’ con gli ‘assistenti digitale’.

I primi sono dispositivi che si connettono alla rete wi-fi di un luogo e, grazie al loro sistema di intelligenza artificiale, sono in grado di elaborare il linguaggio umano e rispondere alle nostre domande (fare ricerche su internet, accendere o spegnere luci o elettrodomestici, interagire con un calendario digitale, ecc.).

I secondi sono il software vero e proprio.

Come potete immaginare, gli assistenti digitali non si trovano solo dentro smart speaker come Alexa, ma anche dentro i nostri computer o smartphone, nelle auto, negli smartwatch e altrove.
Siri di Apple e Cortana di Microsoft sono altri due esempi molto chiari.

PASSIVE LISTENING E RISCHIO PRIVACY

Gli assistenti possono semplificarci la vita e, con grande probabilità, saranno una presenza costante nel nostro futuro.

Secondo una ricerca di mercato svolta dalla società Capgemini, entro il 2021 il 40% dei consumatori europei e statunitensi svolgerà le proprie ricerche su internet tramite un assistente vocale e non più via app o siti web.

Tutto bene, dunque?
Non proprio.

Vanno notate alcuni elementi:

1) Nella maggioranza dei casi gli assistenti digitali e i dispositivi in cui sono inseriti sono prodotti da aziende extraeuropee, dove le leggi sul trattamento dei dati personali differiscono rispetto a quelle in vigore all’interno dell’UE.

2) Anche quando l’assistente digitale è in passive listening – diciamo, in pausa – è sempre in grado non solo di “ascoltare” tramite i suoi microfoni e di vedere tramite webcam ciò che diciamo e facciamo, ma anche di dialogare con altri nostri dispositivi, aumentando la mole di dati raccolti. E i dati che raccoglie non riguardano solo noi, i proprietari, ma anche tutti i soggetti che si trovano nello stesso ambiente (la nostra casa, l’ufficio, l’auto, ecc.).

Tra le informazioni che vengono raccolte figurano:

  • – caratteristiche biometriche (voce e volto);
  • – geolocalizzazione (posizione attuale, percorsi abituali o frequenti, domicilio, luogo di lavoro, ecc.);
  • – dati anagrafici;
  • – stati emotivi;
  • – abitudini, stili di vita, preferenze, ecc.

Per darvi un’idea della potenza del passive listening, nel 2019 il software Amazon Alexa è stato “chiamato” a testimoniare in un processo per omicidio poiché potrebbe aver registrato quanto è successo nel momento in cui il delitto si è compiuto.

La conclusione è che più le persone si affideranno agli assistenti vocali e maggiore sarà la mole di dati che questi potranno raccogliere e trasmettere a soggetti con sedi in paesi extra UE. 

COME PROTEGGERSI

Ecco alcuni consigli.

1) Leggere l’informativa sul trattamento dei dati personali.
Deve sempre essere disponibile sul sito dell’azienda che offre il servizio o all’interno della  confezione del dispositivo in cui è installato il software
In particolare, è bene capire:

  • quali e quante informazioni vengono acquisite direttamente dall’assistente digitale,
  • come vengono utilizzati i dati,
  • – se i dati vengono trasferiti a terzi e con quali finalità,
  • chi riceve i dati e come li riceve,
  • – sono possibili accessi “in diretta” tramite microfono o videocamera da parte di addetti della società produttrice o società che gestisce i servizi connessi,
  • dove vengono conservati i dati e per quanto tempo.

2) Al momento della prima attivazione del dispositivo fornire solo le informazioni strettamente necessarie alla registrazione e all’attivazione dei servizi.
Considerare l’uso di pseudonimi e impostare password o impronte vocali che limitino l’uso da parte dei minori. Ecco il link a un articolo che ti spiega come creare password sicure e facili da ricordare

3) Non usare l’assistente digitale per memorizzare informazioni delicate come password, numeri di carte di credito, informazioni sulla salute, ecc.

4) Controllare l’accesso dell’assistenze digitale ai dati presenti nel dispositivo su cui è installato (galleria fotografica, rubrica dei contatti, calendario, ecc.)

5) Se possibile, scegliere la parola di attivazione evitando termini di uso frequente, nomi di persone care o animali, nomi di oggetti di uso quotidiano.
Più comune è la parola di attivazione è più probabili diventano le attivazioni involontarie.

6) Disattivare le funzioni non necessarie.
Ma anche impostare delle password per quelle più delicate, come la condivisione sui social.

7) Per evitare ogni possibile acquisizione e trasmissione di dati quando il dispositivo non è in uso:

  • – disattivare microfono e videocamera,
  • – spegnere o disattivare del tutto l’assistente digitale.

8) Cancellare periodicamente la cronologia delle informazioni raccolte.
Nel caso di assistenti vocali, è possibile farlo tramite il sito web o l’app di gestione; nel caso di smartphone o altri dispositivi, tramite le impostazioni dello stesso.

9) Nel caso in cui il dispositivo o l’assistente vocale venisse venduto, regalato o dismesso, ricordarsi di disattivare tutti gli account personali e di cancellare tutti i dati personali al suo interno o nella app di gestione.

Anche il Garante della Privacy ha pubblicato il suo decalogo per un uso degli assiste digitali a prova di privacy.

Infine, va ricordato che i produttori di assistenti digitali sono soggetti a quanto stabilito dal Codice privacy e dal Regolamento UE/2016/679 in materia di protezione dei dati personali, pertanto se i dati raccolti tramite l’assistente digitali sono trasmessi e conservati nei database dell’azienda produttrice o di altri soggetti si può chiederne la cancellazione.

 

Scopri i servizi Privacy per Avvocati e Privacy per Aziende di Servicematica.

———

LEGGI ANCHE:

Il tuo studio sempre a disposizione? Scegli il cloud

Riconoscere l’accesso a Internet in costituzione?

 

Pensione avvocato: i contributi solidaristici del 3% sono esclusi dal calcolo

Pensione avvocato: i contributi solidaristici del 3% sono esclusi dal calcolo

Un avvocato muove causa contro Cassa Forense, convinto di aver ricevuto un trattamento pensionistico inferiore a quello che gli spettava. Nel calcolo della somma, infatti, non compaiono i contributi solidaristici del 3%.

Il Tribunale accoglie la domanda, sostenendo che il calcolo della pensione dovesse essere eseguito in base al Regolamento della Cassa, modificato con provvedimento del 31.12.2009, e condanna Cassa Forense a pagare le somme mancanti.

La Cassa ricorre in Appello, dove la sentenza di primo grado viene ribaltata.
Il giudice sostiene che la modifica del regolamento non sia applicabile ratione temporis alla situazione dell’avvocato. A questo va applicata la disciplina della pensione contributiva, come indicata dal Regolamento del 23/07/2004 (riferito ai contenuti della legge n. 335/1995), con l’esclusione dei contributi solidaristici del 3%.

L’avvocato non demorde e ricorre in Cassazione, dove però la situazione non volge a suo favore.

I MOTIVI DEL RICORSO: DOVE SONO FINITI I CONTRIBUTI SOLIDARISTICI?

L’avvocato sostiene:

1) La violazione dei principi di proporzionalità, corrispettività e reciprocità indicati dalla Riforma del sistema previdenziale di cui alla legge n. 335/1995, in relazione all’art. 2 della Costituzione e agli artt. 10,11, 12, 21 della Legge n.576/1980.

2) L’incoerenza del sistema previdenziale di Cassa Forense, che non rispetta i principi indicati nella legge n. 335/1995 e quelli negli articoli 2, 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione.

3) La violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 21 della legge n. 576/1980 in relazione al punto della sentenza in cui viene confermata la natura solidaristica del 3% dei contributi versati.
La loro esclusione dal calcolo pensionistico sarebbe contraria ai principi ispiratori del sistema così come confermato anche dalla stessa Cassazione che ne aveva negato la natura solidaristica (5098/2003).

4) La violazione e falsa applicazione dell’art. 21 della legge n. 576/1980 e dell’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995, in relazione al rigetto dell’appello incidentale condizionato proposto per ottenere il ricalcolo della pensione o almeno la restituzione dei contributi del 3% versati.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

Nella sentenza n.10866/2020 si conclude che:

-“Il ricorrente è titolare di pensione contributiva ex art. 4 Regolamento generale della Cassa come modificato con delibera del 23 luglio 2004. Tale prestazione deriva dalla contestuale previsione che i contributi versati alla Cassa non sono più restituibili agli iscritti ed ai loro aventi causa, ad eccezione di quelli relativi ad anni non riconosciuti validi ai fini del pensionamento per mancanza del requisito della continuità dell’esercizio professionale (art. 22 della legge n. 576/80). La disposizione regolamentare ha sostituito l’istituto del rimborso dei contributi di cui all’art. 21 della legge n. 576/80 con la pensione contributiva sempre che l’iscritto non si sia avvalso degli istituti della ricongiunzione o della totalizzazione presso altri enti previdenziali, né intenda proseguire nei versamenti alla Cassa al fine di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, calcolata con il sistema retributivo ordinario.

– Secondo la legge n. 335/1995, i contributi solidaristici del 3% non rientrano nel calcolo pensionistico, così come le somme versate a titolo di riscatto o ricongiunzione.

Il sistema pensionistico descritto dal Regolamento della Cassa Forense non viola i contenuti della legge n. 576/1980 e della legge n. 335/1995. Questo perché il dlgs n. 509/1994 concede a Cassa Forense, anche derogando a norme precedenti e di rango superiore, di disciplinare in autonomia le prestazioni a suo carico, perché dotata di autonomia organizzativa, contabile, amministrativa e gestionale.

Per approfondire, qui il testo originale della sentenza n.10866/2020 della Cassazione.

Hai bisogno di computer e di strumenti informatici che ti permettano di svolgere la tua professione in modo veloce, sicuro ed efficiente? Scopri i nostri prodotti.

———

LEGGI ANCHE:

La pensione dell’avvocato e la riforma previdenziale forense 2021

Il tuo studio sempre a disposizione? Scegli il cloud

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto