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La corsa alla successione di Palamara

Aperto il bando per la Procura generale di Cassazione: novanta candidature per dieci posti

Dieci sono i posti di sostituto procuratore generale messi ultimamente a concorso dal Consiglio Superiore della magistratura; quasi novanta i magistrati che ne hanno fatto domanda. È tanto difficile trovare numeri del genere per altri incarichi, quanto è superfluo sottolineare come la Procura generale della Corte di Cassazione non manchi occasione di confermarsi l’ufficio giudiziario più ambìto del paese.

Corsa ai posti di sostituto procuratore: tra curricula notevoli, nell’ombra di quelle dichiarazioni shock

La grande mole di domande giunte per l’assegnazione dei dieci posti di sostituto procuratore non agevola certamente la scelta da parte del Csm. Infatti, i curricula degli aspiranti -tra i quali ve ne sono diversi appartenenti ad ex componenti di Palazzo dei Marescialli- sono quasi tutti di livello molto elevato. Inoltre, se già negli anni scorsi i concorsi per la Procura generale erano accompagnati da polemiche, quest’anno il tutto sarà probabilmente amplificato.

 

 

Il motivo principale del grande interesse per l’assegnazione di queste cariche risiede nel libro intervista all’ex Presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara. Infatti, proprio nel libro realizzato con il direttore di Libero, Alessandro Sallusti, Palamara racconta le modalità di selezione dei futuri inquilini del Palazzaccio. Si tratta di affermazioni fonte di «forte preoccupazione per il vulnus recato alle funzioni di fondamentale rilevanza ordinamentale della Procura generale», per le quali -comunque- non è stata richiesta alcuna smentita o rettifica.

Vale la pena ricordarne qui qualche passaggio, tra i più salienti: «Faccio un esempio, quaranta posti da assegnare tra giudici della Cassazione e procuratori generali. Bene. I quattro capicorrente si siedono informalmente e prima di qualsiasi votazione ufficiale attorno a un tavolo (normalmente quello del capogruppo della corrente più importante, ubicato al primo piano del palazzo del Csm), ognuno con il suo elenco […]». Quindi, prosegue: «[…] non si va per curriculum, come si dovrebbe; si va per mera spartizione e un magistrato altrettanto bravo ma non iscritto ad una corrente è fuori, non ha speranza che la sua domanda venga accolta».

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Danno le dimissioni il presidente e i tre consiglieri Picchioni, Orlando e Savi

A seguito della sua sospensione, Andrea Mascherin rassegna le dimissioni da presidente del Consiglio Nazionale Forense. Ugualmente, per il sopraggiunto limite dei due mandati alla guida dell’avvocatura italiana, con lui si dimettono anche i tre consiglieri Picchioni, Orlando e Savi. L’evento chiude una vicenda lunga ormai quasi tre anni in cui si stabilisce che il divieto del doppio mandato nei Consigli degli ordini circondariali forensi vige anche per chi abbia svolto l’incarico in epoca anteriore all’entrata in vigore delle citate disposizioni (Leggi n. 247 del 2012 e n. 113 del 2017).

Mascherin si dimette spontaneamente dalla presidenza del Cnf prima della sentenza definitiva

Le recenti dimissioni del presidente del Cnf e dei tre consiglieri Picchioni, Orlando e Savi chiudono una vicenda lunga ormai tre anni. Infatti, alla base della decisione -seppur spontanea- vi è la sentenza (32781 del 19 dicembre 20218) in cui viene esplicitamente vietato il doppio mandato nei Consigli degli ordini circondariali forensi. In effetti, tale divieto si rivela operativo anche per chi abbia già svolto l’incarico in epoca anteriore rispetto all’entrata in vigore delle sopracitate disposizioni.

In realtà, Mascherin tiene a precisare di essersi “dimesso pur non avendo avuto una sentenza definitiva”. In particolare, la sua tenuta -sempre a suo dire- si discosterebbe da quella di Michele Prestipino, il quale invece non si sarebbe dimesso nonostante una sentenza definitiva a suo carico. Inoltre, nella sentenza della Corte d’Appello emessa per Mascherin, non vi sarebbe alcuna costrizione.

Scaturisce dunque chiara la volontà del presidente dimissionario di emergere come una figura che sceglie di dimettersi e non ne è, invece, costretta. Dunque, a fondamento della sua decisione ci sarebbe la volontà di interrompere l’attesa per la sentenza definitiva (sarebbe durata un altro anno), in altre parole, il bene del Consiglio Nazionale Forense.

 

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