D.L. Ristori, le misure che riguardano la Giustizia

D.L. Ristori, le misure che riguardano la Giustizia

In attesa del nuovo decreto di oggi 2 novembre 2020 che imporrà misure più restrittive nel tentativo di contenere l’epidemia di COVID, vi proponiamo una panoramica delle disposizioni del D.L. Ristori che toccano la Giustizia.

L’obiettivo del “pacchetto Giustizia” è permettere il proseguimento delle attività in sicurezza davanti alla seconda ondata di contagi.

Indagini preliminari da remoto

Il D.L. Ristori dà la possibilità al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria di procedere con le indagini preliminari sfruttando i collegamenti da remoto, nel caso in cui l’incontro fisico dell’indagato, della parte offesa, del difensore e altri soggetti dovesse comportare un rischio per la salute.

Indagato e persona offesa possono essere interpellati da remoto anche dallo studio del proprio difensore. Il difensore dell’indagato può opporsi alla modalità da remoto.

Udienze penali

Alle persone detenute, internate, fermate, arrestate o in custodia cautelare viene data la possibilità di partecipare mediante collegamento da remoto a qualsiasi udienza, nel caso in cui la presenza fisica dovesse esporli rischi di contagio.

Possono essere svolte in modalità da remoto anche le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, parti private e difensori, ausiliari del giudice, ufficiali o agenti di polizia giudiziaria e interpreti, consulenti o periti.

Le udienze di discussione finale e quelle in cui vengono ascoltati testimoni, periti o le parti potranno essere svolte tramite videoconferenza solo nel caso in cui siano le parti stesse ad esprimere il consenso per tale modalità.

Udienze a porte chiuse

Le udienze dei procedimenti civili e penali che prevedono la presenza del pubblico dovranno ora essere celebrate a porte chiuse (art. 128 c.p.c e art. 472, comma 3, c.p.p.).

Separazioni e divorzi: ok udienze cartolari

Per le separazioni consensuali e i divorzi congiunti il D.L. Ristori introduce la possibilità di sostituite l’udienza con il deposito telematico di note scritte (art. 221, comma 4, del D.L. n. 34/2020). Ciò è possibile solo se tutte le parti sono d’accordo per questa modalità e previa comunicazione della decisione con almeno 15 giorni di anticipo rispetto alla data della prima udienza.

Smart working

Il giudice che dovesse trovarsi in quarantena o isolamento fiduciario per COVID-19 potrà partecipare alle udienze in modalità da remoto.

Lo stesso vale per i magistrati e le deliberazioni collegiali in camera dì consiglio.

Deposito tramite PEC

Nel penale diventa possibile depositare memorie, documenti e istanze relativi al procedimento in via esclusivamente telematica tramite il portale del processo penale telematico del Ministero della Giustizia.

Per gli altri atti è possibile l’invio tramite PEC agli uffici giudiziari (sono validi gli indirizzi degli uffici indicati nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici).

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A volte mi chiedo perché, anziché strapparci i capelli e piangerci addosso, non proviamo ad impiegare la stessa energia più utilmente per capire come usare gli strumenti già a disposizione.

Non voglio semplificare o sottovalutare il problema -che esiste e resta tale -ma ricollocarlo in una dimensione concreta, alla luce degli strumenti ad oggi già disponibili per rispondervi.

Mi riferisco alla questione della partecipazione alle udienze civili in periodo di emergenza sanitaria, con particolare riguardo a quelle già fissate nel periodo di vigenza del sopravvenuto DPCM 24/10/2020 in cui è richiesta la sola comparizione dei difensori.

Già ad inizio ottobre è stato adottato il D.L. 25/2020 che ha prolungato al 31 gennaio 2021 l’emergenza sanitaria e al 31/12/2020 la trattazione scritta delle udienze che richiedano la sola comparizione dei procuratori;

Ciò stante, sebbene sia legittimo, appare utopico attendersi che i giudici motu proprio si attivino per disporre la trattazione scritta delle udienze già calendarizzate con trattazione in presenza, anche perché, spesso, non c’è tempo sufficiente per provvedere d’ufficio, nel senso che tra l’entrata in vigore del DPCM e la data dell’udienza ci sono meno dei trenta giorni richiesti dall’art. DL. 24/2020 art. 221/4

Ciò non esime, però, le parti dal formulare richiesta congiunta di trattazione scritta che “costringe” il giudice a provvedere in questo senso.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il processo civile è pur sempre ad impulso di parte, il che comporta che la parte diligente – cioè, per quel che qui rileva, quella interessata ad ottenere la trattazione scritta – si attivi per sottoporre alla controparte di valutare l’opportunità di depositare un’istanza di trattazione scritta, proprio in ossequio alle norme che raccomandano di evitare gli spostamenti non necessari.

Perché abbia effetto, l’istanza deve essere congiunta, ossia la controparte deve aderire.

Il termine di trenta giorni, infatti, è fissato nell’interesse delle parti, sicché le parti stesse possono concordemente rinunciarvi laddove non lo ritengano indispensabile ai fini difensivi. Questo è certamente un elemento da evidenziare nell’istanza stessa.

E’ lecito attendersi che il Collega avversario condivida senza problemi, fatto salvo- naturalmente – il caso in cui l’udienza sia fissata per un incombente in cui la presenza fisica sia indispensabile (penso, ad esempio, all’udienza di discussione finale).

Io ho provato e funziona.

Poiché mi pare un’iniziativa responsabile nei confronti di tutte le parti coinvolte, allego lo schema dell’istanza e della missiva da inviare al Collega, sperando sia utile a tutti.

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Avvocato Buffoni

Avvocato, titolare dello studio legale Buffoni da Lei fondato in Novara. Si occupa di diritto civile con particolare riguardo alla tutela del risparmio, al diritto bancario, finanziario e assicurativo e consumerismo. In forza di questa decennale esperienza è co-autrice della rivista giuridica ALTALEX e opinionista per il Sole24ore, Plus24 e LaStampa. È relatrice in incontri divulgativi sui temi della cultura finanziaria e bancaria e sviluppo di progetti finalizzati alla gestione alternativa e strategica del conflitto aziendale e privato. Autrice del libro "Mastercash - ricette agrodolci per il risparmio in buoni postali", è direttrice del Comitato scientifico dell Osservatorio Europeo Consumo e Risparmio.

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Il contenuto del Decreto Ristori

Il contenuto del Decreto Ristori

Il Decreto Ristori, dpcm n.137 del 28 ottobre 2020 si compone di 4 titoli:

  • Sostegno alle imprese e all’economia
  • Disposizioni in materia di lavoro
  • Misure in materia di salute e sicurezza
  • Disposizioni finali

TUTTE LE MISURE DEL DECRETO RISTORI

Sostegno alle imprese e all’economia

Le risorse

Come spiega il Min. Delle Finanze Gualtieri, il Decreto Ristori prevede “5,4 miliardi di indebitamento netto, 6,2 miliardi in termini di saldo netto da finanziare”, risorse che andranno a favore di tutte le attività che sono state chiuse o si sono viste ridurre gli orari di lavoro con il DPCM del 24 ottobre.

Nell’allegato del Decreto Ristori è presente l’elenco di tutti codici ateco delle attività potenzialmente beneficiarie di queste misure.

Le risorse sono a disposizione sia di attività che non hanno beneficiato precedenza di alcuna misura di sostegno, gli operatori indicati all’art. 25 bis del decreto Rilancio, e anche le attività che hanno già beneficiato di forme di sostegno.

Agricoltura, pesca e acquacoltura

Sono previsti contributi a fondo perduto per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura avviate dopo il primo gennaio 2019 e che hanno subito delle perdite di fatturato a causa delle misure di contenimento al COVID. Verrà poi istituito un fondo per sostenere questi settori.

Sport

Il Fondo di garanzia per l’impiantistica sportiva riceve 5 milioni.

Viene istituito il Fondo per il sostegno delle Associazioni Sportive Dilettantistiche e delle Società Sportive Dilettantistiche che mette a disposizione 50 milioni per il 2020 con l’intento di sostenere associazioni e società sportive le cui attività siano state sospese a causa delle misure anti-covid.

L’indennità per i lavoratori dello sport prevista dai decreti Cura Italia e Rilancio sale a 800 euro.

Operatori turistici, le fiere e l’export

Aumentano i fondi per coprire le perdite che operatori turistici e culturali hanno subito a causa dell’annullamento di eventi, fiere e congressi e altre attività.

400 milioni vanno alle agenzie di viaggio e ai tour operator; 100 milioni all’editoria, le fiere e i congressi; 100 milioni al settore alberghiero e termale; 400 milioni a chi opera nell’export e nelle fiere internazionali.

Ai lavoratori autonomi e intermittenti dello spettacolo viene concesso un bonus di 1000 euro, mentre viene prorogata la cassa integrazione e l’indennità previste per il settore del turismo.

Il Decreto Ristori prevede il rimborso dei biglietti degli spettacoli dal vivo che sono stati annullati.

Disposizioni in materia di lavoro

Le misure prevedono cassa integrazione ordinaria e in deroga, assegni ordinari, misure sui licenziamenti, esonero dal pagamento degli oneri previdenziali per le aziende che decidono di non presentare domanda per la cassa integrazione, esonero contributivo per le filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura.

Il termine entro il quale presentare il modello 770 è posticipato al 30 novembre 2020.

Vengono aggiunte due mensilità al reddito di emergenza per coloro che ne hanno diritto e per coloro il cui reddito familiare nel mese di settembre sia stato inferiore alla quota prevista dalla misura.

Viene poi prorogato il credito di imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda (mesi di ottobre, novembre e dicembre e per i settori indicati nell’art. 28 del Decreto n. 34/2020), e cancellata la seconda rata dell’Imu, con scadenza al 16 dicembre, per le attività indicate nell’allegato al Decreto Ristori.

Le esecuzioni immobiliari in caso di pignoramento di abitazioni principali sono sospese fino a fine anno.

Misure in materia di salute e sicurezza

Ai medici di base e ai pediatri viene concessa l’autorizzazione a procedere con i tamponi antigeni rapidi (costo dell’operazione: 30 milioni di euro per il 2020).

Nasce un servizio nazionale telefonico dedicato alle persone positive al COVID o che hanno avuto contatti con soggetti positivi. Il servizio coprirà diverse attività: contact tracing, sorveglianza sanitaria, informazione, prevenzione e anche assistenza alle aziende sanitarie locali.

Giustizia, scuola, forze dell’ordine

Nella giustizia si procede con l’uso dei sistemi telematici per le udienze, il deposito degli atti, le indagini preliminari e altre attività, soprattutto in ambito civile e penale, ma anche nell’amministrativo, nel tributario e nel contabile.

La scuola potrà accedere a nuovi fondi per applicare la didattica a distanza.

Si procede con la rimodulazione delle spese per la Polizia e i Vigili del Fuoco, in modo da permettere il monitoraggio e il rispetto delle misure anticontagio.

Vengono rinviate le elezioni in comuni, province e città metropolitane.

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Quando la Pubblica Amministrazione può rifiutare una fattura elettronica?

 

Quando la Pubblica Amministrazione può rifiutare una fattura elettronica?

Quando la Pubblica Amministrazione può rifiutare una fattura elettronica?

Il decreto del MEF pubblicato il 22 ottobre 2020 indica quando la Pubblica Amministrazione può rifiutare una fattura elettronica ricevuta.

Il decreto entrerà in vigore il 6 novembre e contempla 5 eventualità in cui è possibile il rifiuto. Si tratta per lo più di casi in cui il file xml della fattura elettronica contiene errori o manca di informazioni.

I 5 CASI IN CUI LA PA PUÒ RIFIUTARE UNA FATTURA ELETTRONICA

1) La fattura non corrisponde ad alcuna operazione

La fattura elettronica emessa e ricevuta dalla Pubblica Amministrazione è riferita a un’operazione che non risulta essere stata eseguita.

2) L’indicazione del CIG o del CUP manca o è errata

Ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del decreto legge n.66 del 24 aprile 2014, il Codice Identificativo di Gara (CIG) e il Codice Unico di Progetto (CUP) devono essere indicati nella fattura elettronica, tranne nei casi previsti al comma 2,  lettera a), del medesimo articolo.

3) L’indicazione del Codice di Repertorio manca o è errata

Ai sensi dell’articolo 9-ter, comma 6, del decreto legge n.78 del 19 giugno 2015, nella fattura elettronica deve essere indicato il Codice di Repertorio.

4) L’indicazione dell’AIC manca o è errata

Ai sensi del decreto n. 302 del 29 dicembre 2017, nella fattura elettronica vanno indicati il Codice di Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) e il corrispondente quantitativo.

5) L’indicazione del numero e della data della determinazione dirigenziale d’impegno di spesa manca o è errata

Questa indicazione è necessaria per le fatture elettroniche emesse a favore di Regioni ed enti locali.

COSA SUCCEDE QUANDO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE RIFIUTA UNA FATTURA ELETTRONICA

Il rifiuto viene comunicato sempre tramite il Sistema di Interscambio, secondo quanto indiato nel paragrafo 4.5 dell’allegato B al decreto ministeriale 3 aprile 2013, n. 55.

La Pubblica Amministrazione indica al mittente della fattura il motivo del rifiuto, segnalando in quale dei 5 suddetti rientra.

Va ricordato che la Pubblica Amministrazione non può rifiutare alcuna fattura elettronica se gli errori o le omissioni presenti possono essere corretti emettendo una nota di variazione, come indicato nell’articolo 26 del DPR n. 633/1972.

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Esame di abilitazione forense: le preoccupazioni dell’OCF

Esame di abilitazione forense: le preoccupazioni dell’OCF

Tra le riforme che riguardano il mondo forense c’è anche quella dell’esame di abilitazione alla professione, che risente anche della crisi sanitaria che stiamo vivendo.

Le ipotesi presentate non sembrano però incontrare il favore dell’OCF, l’Organismo Congressuale Forense che, con la delibera del 24 ottobre 2020, manifesta tutta la sua preoccupazione davanti alla possibilità che le misure di contenimento all’epidemie di COVID diventino il pretesto per stravolgere l’esame di abilitazione.

Le proposte che stanno circolando non sembrano infatti  “dare soluzione alle problematiche igienico-sanitarie connesse alle sedute per lo svolgimento delle prove di esame, ma nello stesso tempo imporrebbero, attraverso riforme normative emergenziali in un momento di grande difficoltà delle istituzioni, di dare corso ad una improvvisata azione di approntamento di moduli del tutto innovativi, senza sufficiente ponderazione in ordine alla adeguatezza e agli effetti che ne deriverebbero”.

ESAME DI ABILITAZIONE FORENSE, LE RICHIESTE DELL’OCF

Per prima cosa, l’OCF ritiene importante che la sessione di esami venga al momento svolta mantenendo le attuali modalità e andando solo a implementare quelle misure che garantiscono lo svolgimento in sicurezza delle prove.

Pertanto, ha dato mandato all’Ufficio di Coordinamento di:

incoraggiare l’Amministrazione della Giustizia perché l’esame di abilitazione venga svolto compatibilmente alle attuali esigenze igienico-sanitarie;

– agire nel caso le istituzioni dovessero perseguire iniziative normative “improvvide e improvvisate” con l’intento di stravolgere l’esame di abilitazione al di fuori di una riforma dell’Ordinamento Forense che deve partire dalle riflessioni del Congresso Nazionale Forense.

Nel frattempo, l’esame di abilitazione forense è il tema di un’interrogazione parlamentare presentata al Min. Bonafede al fine di ottenere chiarimenti sulle modalità alternative di esecuzione della prova alla luce dei limiti igienico-sanitari attuali.
Si attende risposta.

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Fallimento: qual è il tribunale competente?

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Quando si parla di fallimento, qual è il tribunale competente? Va considerata la sede effettiva dell’impresa o la sede legale?

Con l’ordinanza 22270/2020 del 15 ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha trattato nuovamente la materia.

FALLIMENTO: COSA DICE LA LEGGE

All’art.9, comma 1, della Legge Fallimentare si legge che, in caso di dichiarazione di fallimento, il Tribunale competente è quello presente dove l’impresa ha la propria sede principale.

Ma la sede principale non coincide necessariamente con la sede legale. Difatti, l’imprenditore ha la facoltà di dimostrare che le due sedi si trovano in luoghi diversi.

SEDE LEGALE O SEDE PRINCIPALE?


Una società ricorre contro la sentenza di fallimento emessa dal Tribunale di Catania e la Corte di Appello dichiara l’incompetenza territoriale del Tribunale poiché la sede legale dell’azienda si trova a Sondrio, non a Catania, ed è quindi il Tribunale di Sondrio a risultare competente.

Il Tribunale di Sondrio però risponde che, sebbene la sede legale si trovi in città, la competenza sia del Tribunale di Catania, dove ha sede il cuore direzionale dell’azienda.

La Cassazione sbroglia il nodo nel seguente modo.

Innanzi tutto, ricorda che «in tema di individuazione del tribunale competente a dichiarare il fallimento, ai sensi dell’art. 9, comma 1, l.fall., la presunzione “iuris tantum” di coincidenza della sede effettiva con la sede legale è superabile attraverso prove univoche che dimostrino che il centro direzionale dell’attività dell’impresa è altrove e che la sede legale ha carattere solo formale o fittizio, rilevando a tal fine, in particolare, la mancanza di una concreta struttura operativa presso la sede legale, sicché debba riconoscersi che detta sede sia solo un mero recapito».

Poi, considera alcune evidenze del caso:

a) l’attività nella sede legale appare discontinuità;

b) vi è la presenza di software gestionali e documentazione presso la sede principale;

c) esistono matricole INPS attive aperte a Catania;

d) il domicilio del Presidente del Consiglio di Amministrazione e anche dei componenti del Collegio sindacale è sempre a Catania;

e) gli studi notarili che seguono l’azienda si trovano anch’essi a Catania.

Tutti questi elementi permettono di superare l’iniziale presunzione di corrispondenza tra la sede legale e la sede principale. Se ne deduce che nel caso specifico la competenza a decidere sull’istanza di fallimento va al Tribunale di Catania, luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, e non al Tribunale di Sondrio, dove si trova la sede legale.

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Il giudice può rivalutare il compenso richiesto da un avvocato

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Il compenso di avvocato può essere rivisto dal giudice? Sì.

IL CASO

Un avvocato procede per vie legali al fine di ottenere il pagamento del suo compenso da parte di un cliente assistito in una controversia bancaria. Il cliente si oppone.

Il Tribunale accoglie, sebbene in parte, le richieste del legale, ma ritiene che l’importo debba essere calcolato facendo riferimento al valore della somma attribuita alla parte vincitrice della controversia. Secondo tale calcolo, il compenso risulta però troppo basso per l’avvocato, che ricorre in Cassazione portando un unico motivo: la mancata ottemperanza all’art. 5, comma 2 del d.m n. 55/2014.

Secondo l’articolo, il compenso dell’avvocato deve essere calcolato non in base alla somma riconosciuta alla parte vincitrice ma in base al valore della domanda (“Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda”).

La Corte di Cassazione riconosce che il Tribunale non ha rispettato questa indicazione e con l’ordinanza n. 18942/2020 accoglie il ricorso.

COMPENSO DELL’AVVOCATO: IL RUOLO DEL GIUDICE

Va ricordato che lo stesso art.5 comma 2 del d.m n. 55/2014 indica che il giudice abbia il compito di assicurarsi che il compenso richiesto da un avvocato sia proporzionato al valore effettivo della controversia di riferimento.

Il giudice dunque valuta la somma richiesta alla luce dell’attività svolta dal legale e del valore effettivo della controversia: se fosse sproporzionata, sarà in suo potere decidere di ricalibrarne l’importo.

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L'accesso all'Archivio Digitale Intercettazioni da parte degli avvocati

L’accesso all’Archivio Digitale Intercettazioni da parte degli avvocati

Gli avvocati difensori hanno la facoltà, per il tempo concesso dal PM, di:

1. esaminare gli atti del processo, anche in via telematica,

2. ascoltare le registrazioni presenti nell’Archivio Digitale delle Intercettazioni, ADI,

3. ottenere la copia delle trascrizioni e/o la trasposizione delle registrazioni.

Ma come devono procedere nel caso volessero ascoltare le intercettazioni e consultare altri documenti?

Il Ministero della Giustizia ha pubblicato delle utili schede illustrative che spiegano le modalità di accesso all’Archivio Digitale Intercettazioni da parte degli avvocati.

Ve ne riportiamo una panoramica.

AVVOCATI: COME ACCEDERE ALL’ARCHIVIO DIGITALE INTERCETTAZIONI

Ascolto delle intercettazioni

Il personale della Procura procede all’identificazione dell’avvocato difensore, all’accesso al sistema tramite delle credenziali e all’assegnazione di una postazione d’ascolto individuale.

Eventuali accompagnatori, per esempi gli interpreti, possono essere inseriti nella richiesta di consultazione.

Una volta inserita la richiesta, è possibile cercare i contenuti che l’avvocato difensore desidera consultare.

È l’addetto allo sportello a selezionarli e a procedere con l’eventuale richiesta di copia.

Una volta conclusa la procedura di abilitazione, il sistema produce un documento con l’indicazione di user id (codice fiscale) e password che il legale utilizza per accedere all’ascolto nella sala di ascolto.

Una volta inserite le credenziali, il sistema recupera l’intercettazione richiesta e l’avvocato può procedere tramite il pulsante “Consulta”.

Il sistema tiene traccia delle intercettazioni ascoltate dal legale, e della data e ora di ingresso e uscita dalla sala di ascolto.

L’avvocato difensore può presentare istanza di copia di contenuti ascoltati.

Archivio documentale

Anche l’accesso all’archivio documentale segue una procedura di autenticazione da parte del personale della Procura.

In questo caso, l’abilitazione dell’avvocato difensore può avvenire tramite il REGINDE.

Il personale genera tramite il sistema informatico una password utilizzabile una sola volta, con cui il legale accede all’archivio.

Anche in questo caso, l’accesso avviene dalle sale di ascolto.

Per comprendere meglio i dettagli delle modalità di accesso alle intercettazioni vi consigliamo di visualizzare le schede illustrative presenti nel sito del Ministero della Giustizia.

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Il COVID ha certamente scombinato molti piani e nonostante la (ormai) conclusa fase di riapertura abbia dato una nuova spinta alle riforme, l’incertezza data dall’aumento dei contagi distoglie l’attenzione delle istituzioni, facendo scivolare le riforme che riguardano la professione forense in fondo alla lista delle priorità.

Tra queste figurano certamente le riforme:

– della monocommittenza,

– dell’equo compenso,

– dell’accesso alla professione,

– delle specializzazioni.

LE RIFORME DELLA PROFESSIONE FORENSE

RIFORMA DELLA MONOCOMMITTENZA

In Italia vi sono circa 30.000 avvocati “dipendenti”, professionisti che non hanno quasi mai una clientela propria e che operano presso studi di altri professionisti.

Tali figure non sono disciplinate da alcuna norma, e sarebbe auspicabile porre rimedio alla situazione in modo da poter garantire anche a loro un minimo di tutele.

Si attende ancora la formalizzazione di una proposta di legge.

RIFORMA DELL’EQUO COMPENSO

Si definisce equo quel compenso che è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, e che è conforme ai parametri indicati dal D.M. 55/2014.

L’istituzione nel luglio 2019 del “nucleo di monitoraggio sull’equo compenso per la professione forense” ha portato alla luce un grande numero di condotte non ottimali, sia da parte di clienti privati che da parte della pubblica amministrazione. In sostanza, la disciplina dell’equo compenso non è mai stata davvero applicata.

Tra le varie proposte in campo, anche quella di vietare espressamente alla PA di emanare bandi che non riconoscono alcuna retribuzione delle prestazioni dei professionisti.

RIFORMA DELL’ACCESSO ALLA PROFESSIONE FORENSE

La riforma dell’accesso alla professione forense ha visto il più recente step lo scorso 11 agosto, con il decreto Giustizia d.l. 80/20 che ha posticipato di altri due anni, al 31 marzo 2022, l’avvio dei corsi obbligatoti per accedere all’esame di abilitazione, già prorogato di due anni con il decreto Mille Proroghe d.l. 162/2019.

I corsi di formazione potranno essere tenuti da ordini, associazioni forensi e altri soggetti previsti dalla legge.

Rimane l’incognita sullo svolgimento della prossima sessione d’esami in considerazione dell’andamento dell’epidemia e della possibile estensione dello stato di emergenza.

RIFORMA DELLE SPECIALIZZAZIONI

Delle specializzazioni si parla all’art.9 della legge 247/2012 (legge professionale forense).

La specializzazione può essere acquisita:

  1. dopo un percorso formativo di 2 anni presso le facoltà di giurisprudenza con le quali il CNF e i consigli degli ordini territoriali hanno stipulato convenzioni,
  2. grazie a una comprovata e continuativa esperienza nel settore di specializzazione, che ricopra almeno gli ultimi cinque anni di attività, e a patto che si sia iscritti all’albo da almeno otto anni.

Il D.M. 144/2015 con le disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista doveva attuare l’art. 9, ma così non è stato a seguito delle pronunce contrarie del TAR del Lazio e del Consiglio di Stato.

Per superare l’impasse è stato steso un nuovo schema di decreto ministeriale, il “Regolamento concernente modifiche al decreto del ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell’articolo 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
L’iter di approvazione si è quasi concluso: a inizio 2020 il Consiglio di Stato e le commissioni Giustizia della Camera e del Senato hanno dato parere positivo.
Nonostante ciò, diverse associazioni specialistiche forensi criticano le nuove disposizioni, per due motivi. In primis, consentirebbe l’acquisizione del titolo di specialista anche a soggetti che, al momento del conseguimento del dottorato di ricerca o del master, non sono ancora abilitati alla professione. Poi, la concessione al CNF di stipulare convenzioni anche con associazioni rappresentative non specialistiche risulta essere in contrasto con quanto indicato nel D.M. 144/2015 (l’art. 7).

Entro fine anno la questione dovrebbe essere definitivamente risolta.

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Cashback di Stato: come funziona il bonus bancomat in partenza al 1° dicembre

Cashback di Stato: come funziona il bonus bancomat in partenza al 1° dicembre

Dal 1° dicembre 2020 parte la fase sperimentale dell’operazione cashback di Stato, o bonus bancomat, grazie al quale i cittadini potranno ottenere rimborsi in denaro a seguito di acquisti effettuati con modalità di pagamento elettronico. Il test si concluderà il 31 dicembre.

L’obiettivo del programma è disincentivare l’uso del contante e limitare l’evasione fiscale.

COME FUNZIONA IL SISTEMA CASHBACK

Il cashback è un sistema utilizzato soprattutto dai negozi per fidelizzare i clienti.
Quando un cliente acquista qualcosa, recupera parte della sua spesa economica tramite un rimborso.
Il meccanismo ha le seguenti caratteristiche:

  • – il soggetto che rimborsa è anche il soggetto al quale il consumatore ha versato una somma in cambio di beni o servizi;
  • – la percentuale di rimborso mediamente va dal 5% al 15%;
  • – i rimborsi riguardano gli acquisti eseguiti in un arco temporale preciso e limitato (per es.: un anno);
  • – l’adesione al programma è volontaria.

Il cashback statale differisce leggermente da questo modello poiché, come già suggerito, le finalità sono diverse.

  • il soggetto che rimborsa è lo Stato e non il soggetto al quale il cliente ha versato una somma in cambio di beni o servizi;
  • – la percentuale di rimborso è decisa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;
  • – anche l’arco temporale di riferimento è deciso dal MEF;
  • – il beneficiario può essere solo un consumatore maggiorenne, residente in Italia e privato, quindi non sono contemplati gli acquisti nell’ambito dell’esercizio d’impresa, arte o professione;
  • – l’adesione al programma è sempre volontaria.

COSA FARE PER ADERIRE AL PROGRAMMA CASHBACK DI STATO

La prima cosa da fare è registrarsi al programma cashback tramite l’App IO e indicare il proprio codice fiscale, l’IBAN e una o più carte da utilizzare per i futuri pagamenti elettronici.

Ogni volta in cui le carte registrate vengono utilizzate per l’acquisto in negozi, i dati della transazione vengono trasmessi alla piattaforma gestita da PagoPA.

Con scadenza semestrale, viene calcolato il rimborso in base agli importi spesi. Il rimborso viene accreditato direttamente sul conto corrente indicato.

Al momento, mancano ancora informazioni precise sull’importo massimo delle spese, il numero delle transazioni valide e l’entità dei rimborsi. Quando il sistema cashback sarà a pieno regime, la percentuale di rimborso dovrebbe essere del 10% su un massimo di 1.500 € per semestre.

Sono anche previsti rimborsi speciali per i primi 100.000 aderenti che effettuano il maggior numero di transazioni. I rimborsi seguiranno una graduatoria.

LA PRIVACY

Il sistema su cui si basa il bonus bancomat è alquanto semplice, ma implica il trattamento di dati personali su larga scala. Ciò significa che vi sono delle questioni legate alla privacy che vanno assolutamente considerate.

Con il provvedimento n. 179 del 13 ottobre, il Garante della Privacy ha dato parere positivo sullo schema del decreto del MEF ma non ancora sul trattamento dei dati.
L’approvazione completa da parte del Garante arriverà solo quando il Ministero dell’Economia e delle Finanze eseguirà la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati personali prevista dall’art. 35 del GDPR.
Inoltre, il Garante sta ancora esaminando la DPIA di PagoPA sull’uso dell’app IO.

Lo scenario a cui si aspira prevede, naturalmente, che i dati raccolti tramite l’App IO vengano usati esclusivamente per le finalità connesse al cashback e non per controllare i cittadini.
Anche i dati relativi agli esercenti dovranno essere usati solo per verificare eventuali reclami sulle transazioni effettuate.

In ogni caso, il MEF potrà utilizzare tutti i dati raccolti tramite il sistema per proprie finalità statistiche.

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