Cassa Forense: polizza infortuni per avvocati

Ecco la copertura assicurativa per i legali con iscrizione a Cassa Forense

Recentemente, Cassa Forense aderisce all’Ente di Mutua Assistenza per i Professionisti Italiani (Emapi) per assicurare una polizza infortuni agli avvocati a essa iscritti. Nello specifico, si tratta di coperture assicurative in forma collettiva – Polizza LTC (long term care) e copertura TCM (temporanea caso morte). Ora, vediamo qui di seguito tutte le specifiche.

Cassa Forense aderisce all’Emapi per permettere agli avvocati iscritti di avere una polizza infortuni

Dunque, Cassa Forense attiva a proprie spese per tutti gli iscritti le due polizze sopracitate e permettono così agli avvocati delle assicurazioni collettive vantaggiose. Quest’ultima si eroga sotto forma di indennizzo che entra in gioco a seguito di un infortunio professionale e non che scaturisce in una condizione di invalidità permanente o morte. Inoltre, la copertura opera in aggiunta e cumulo ad eventuali ulteriori polizze e si elargisce senza limiti d’età.

È dallo scorso 1° marzo – e fino al 28 febbraio 2023 – che tramite Emapi è possibile sottoscrivere tale polizza infortuni. La garanzia assicurativa poi dura un anno, la assicura Reale Mutua Assicurazioni e si rivolge agli avvocati e pensionati iscritti a Cassa Forense. I beneficiari potranno attivarla volontariamente e avranno la possibilità di estenderla al proprio nucleo famigliare.

Tuttavia, per i soggetti ultraottantenni, l’adesione potrà avvenire esclusivamente dietro presentazione di certificato medico che attesti una condizione di buona salute. Tale regola si applica anche ai componenti del nucleo familiare dell’iscritto. Infine, ricordiamo che l’adesione per l’intera annualità deve avvenire entro il 31 marzo 2022. Poi, sarà ugualmente possibile aderirvi e vi corrisponderà un premio in proporzione ai mesi di operatività della garanzia.

Costi e copertura della polizza assicurativa Empi

Nello specifico, la polizza prevede diversi livelli di copertura di cui figurano 4 distinte opzioni, sia per l’individuo che per il proprio nucleo famigliare. Quest’ultima specifica include il coniuge o convivente more uxorio nonché i figli che risultano dallo stato di famiglia al momento del sinistro. Inoltre, tali opzioni prevedono una diaria da convalescenza domiciliare o immobilizzazione. Poi, anche:

  • Spese mediche – che differiscono per gli importi di massimali assicurati;
  • Premio annuale minimo per l’adesione del singolo professionista pari a 109 euro;
  • Un premio annuale minimo per adesione estesa al nucleo familiare di 172 euro.

Polizza infortuni per gli avvocati in caso di invalidità permanente

Infine, che succede se si verifica un caso di infortunio permanente? Innanzitutto, si prevede una franchigia fissa del 3%. Tuttavia, in caso di invalidità con grado superiore al 20% la franchigia si annullerà. Inoltre, si contempla la supervalutazione dell’invalidità permanente al 60% che si considera sempre come al 100%.

Poi, oltre alle quattro opzioni base si prevedono ulteriori garanzie da destinarsi esclusivamente ai singoli professionisti come:

  • Aumento della diaria da immobilizzazione;
  • Rischio professionale HIVepatite B o C;
  • Inabilità temporanea da infortunio.

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Aggiornamento macOS 12.3 può bloccare MacBook M1

Il rilascio del nuovo aggiornamento per il sistema operativo Mac, ovvero macOS Monteray 12.3, sta causando problemi ad alcuni Mac sui quali è stata sostituita la scheda logica, impedendo di avviare normalmente il computer.

L’update a macOS Monterey 12.3 blocca alcuni MacBook Pro

Dopo l’aggiornamento il Mac si riavvia all’infinito impedendo di portare a termine il boot, oppure nella peggiore delle ipotesi, un blocco totale del Mac.

Il problema sembra riguardare gli utenti che hanno effettuato degli interventi nei centri di assistenza, sostituendo la scheda logica di MacBook Pro con M1  e i più recenti MacBook Pro 14″ e 16″.

A causare questi problemi sarebbe un bug presente nel nuovo firmware e l’unico modo per “risolvere”, nel caso in cui il Mac non si riavvi, è quello di provare ad effettuare un recupero mettendo il computer in DFU (Device Firmware Update) manualmente e reinstallando la versione 12.2.1 che consente pure di mantenere tutti i dati. Per l’attuazione della procedura, però, è necessario avere a propria disposizione un secondo Mac.

Sconsigliamo vivamente di procedere con l’aggiornamento alla versione 12.3 finché Apple non rilasci un ulteriore aggiornamento per risolvere questo bug.

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Cassa Forense: bando contributi per strumenti informatici

Cassa Forense pubblica il bando per l’assegnazione di contributi agli avvocati per digitalizzarsi

Cassa Forense pubblica online il bando n. 1/2022 per l’assegnazione di contributi per l’acquisto di strumenti informatici per lo studio legaleDestinatari dell’iniziativa sono gli avvocati e i praticanti avvocati iscritti o in fase di iscrizione a Cassa Forense. Ora, vediamo assieme tutte le specifiche in merito, come ad esempio i requisiti necessari per usufruirne e come presentare quindi domanda.

Bando n. 1/2022 per l’acquisto di strumentazione digitale per lo studio legale dell’avvocato

Il presidente avv. Valter Mitti pubblica in Cassa Forense il bando per l’assegnazione di contributi per l’acquisto di strumenti informatici per lo studio legale, come da art. 14 lett. a7 Reg. Assistenza. In questo modo gli avvocati parte di Cassa potranno usufruire del 50% della spesa complessiva per l’acquisto della strumentazione. Precisamente, i beneficiari dei contributi sono avvocati e praticanti che:

  • Sono iscritti a Cassa Forense;
  • non sospesi ai sensi dell’art. 20 della Legge n° 247/12;
  • In fase di iscrizione alla Cassa;
  • non cancellati dall’Albo/Registro dei Praticanti Avvocati e in possesso dei requisiti di cui all’art. 4.

Inoltre, sono esclusi coloro che percepivano il contributo dei bandi n. 9/2019III/2020 e n. 4/2021.

Cosa comprende il bando per strumenti informatici per lo studio legale

Come anticipavamo, il contributo è pari al 50% della spesa complessiva, al netto dell’IVA per l’acquisto di strumenti informatici. Questi ultimi, che siano stati utilizzati per la propria professione nel periodo dal 1° gennaio 2021 alla data di pubblicazione di tale bando. Inoltre, non si riconoscono contributi di importo inferiore a 300 euro o superiore a 1.500 euro.

Sono rimborsabili esclusivamente le spese relative all’acquisto dei seguenti strumenti informaticiuno per tipologia:

  • computer fisso;
  • computer portatile;
  • monitor;
  • tablet;
  • cuffie;
  • auricolari, microfono;
  • webcam;
  • stampante multifunzione;
  • sistema per videoconferenze;
  • licenza antivirus e software per la gestione degli studi legali e relativi applicativi e aggiornamenti;
  • firewall;
  • abbonamento per l’utilizzo di piattaforme per videoconferenze;
  • dispositivi per l’archiviazione, protezione e/o condivisione dei dati dello studio.

Requisiti e come fare domanda

Essenzialmente, per poter partecipare al bando si dovrà essere in regola con le comunicazioni di reddito della Cassa – Modello 5. Questo discorso vale per l’intero periodo di iscrizione alla Cassa e per i pensionati dall’anno successivo al pensionamento. Infine, non bisogna aver beneficiato del rimborso totale o parziale per le medesime causali ma da parte di altri Enti.

Per quanto riguarda l’invio della domanda, questa deve inviarsi – a pena di inammissibilità – entro le ore 24.00 del 15 giugno 2022. È da fare esclusivamente tramite la procedura on-line sul sito internet di Cassa Forense. Assieme a questo chiunque richieda il contributo dovrà dare prova di fattura dei prodotti acquistati.

In seguito alla ricezione delle richieste, Cassa Forense provvederà a stilare una graduatoria online fino ad esaurimento dell’importo complessivo. La graduatoria renderà pubblici i codici meccanografici/numero di protocollo della domanda. Infine, il rilascio dei contributi avverrà dando precedenza in base ad alcuni criteri consultabili nelle specifiche del bando.

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Divieto di accaparramento, sentenza della Cassazione

Se l’avvocato pubblica online un fac-simile della procura è accaparramento di clienti?

Ecco la Sentenza della Cassazione sull’accaparramento di clientela da parte di un avvocato. In particolare, quest’ultimo pubblica online il fac-simile della procura per la sua nomina, incitando a contattarlo. Perciò, la Suprema Corte interviene con la Sentenza n. 7501/2022 che si basa sull’ambito applicativo dell’art. 37 del Codice deontologico forense (CDF).

La Sentenza della Cassazione sull’accaparramento di clientela dell’avvocato sull’ambito applicativo del CDF

L’articolo 37comma 4, del Codice Deontologico Forense vieta proprio il fenomeno di accaparramento della clientela. Ossia, procacciamento di clienti attraverso un comportamento non corretto. Nello specifico, la disposizione contiene un elenco completo di comportamenti che non sono leciti per il professionista.

Ma andiamo per gradi.

La vicenda di specie

Nello specifico, la vicenda coinvolge il procacciamento di clientela nell’ambito di un procedimento penale in corso per disastro ambientale a carico di una società. Il legale della persona offesa pubblicava online sul sito del Comitato apposito un modulo fac-simile di procura alle liti. Qui, invitava chiunque volesse a fare causa alla detta azienda.

Poi, su istanza della tale società il COA di Trento avvia un procedimento disciplinare a scapito dell’avvocato in questione. E, all’esito dell’istruttoria, ritiene il legale colpevole della violazione di cui all’art. 37, comma 4 CDF. Di conseguenza, commina la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

Dunque, per il COA la pubblicazione del fac-simile online corrisponde al voler raggiungere nuovi seguaci in maniera strumentale e anomala. Infatti, l’Ordine Avvocati di Trento rileva nell’istruttoria che l’avvocato era a conoscenza che i propri recapiti e i moduli di procura erano reperibili sul sito del Comitato.

La sentenza della Cassazione sull’accaparramento di clientela dell’avvocato in maniera strumentale

Perciò, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite conferma con la Sentenza n. 7501 la violazione e sanzione dell’avvertimento all’avvocato. Come dicevamo, la condotta del legale integra la fattispecie di accaparramento della clientela, ai sensi dell’art. 37 comma 4 del CDF. Difatti, quest’ultimo afferma che:

“è vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le prestazioni professionali di avvocato al domicilio degli utenti, nonché nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico”.

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Suicidio assistito, ok della Camera

Arriva l’ok della Camera alla possibilità di porre volontariamente fine alla vita

Lo scorso 10 marzo la Camera approva con 253 sì117 no, e 1 astenuto la proposta di legge sul fine vita. Ora, il testo passerà al giudizio del Senato, dove la percezione del ddl varia e, in particolare, a essere contrario alla legge è il centrodestra. Comunque, la mediazione riguarda l’introduzione dell’obiezione di coscienza per i medici e per il personale sanitario. Poi, l’introduzione a condizioni più stringenti per poter accedere al suicidio assistito.

Testo sul suicidio medico assistito, cosa prevede e a chi si riferisce

Il testo sul suicidio medico assistito recepisce la Sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale l’art. 580 del Codice Penale. Quindi, non sarà più punibile il suicidio del paziente assistito dal medico, pratica comunque differente dall’eutanasia. Infatti, in quest’ultima i medici si occupano anche della somministrazione di sostanze che causano la morte o la avvicinano, che rimane illegale.

Inoltre, ricordiamo che la Sentenza del 2019 stabiliva che non si può punire chi agevola il suicidio di una persona malata terminale. Però, questa pratica rimane lecita a patto di alcune precise condizioni. Ovvero, che ci sia:

  • l’irreversibilità della malattia, e che questa sia fonte di gravi sofferenze per il paziente;
  • la piena coscienza del paziente nel merito, così come la sua volontà dichiarata di morire;
  • in atto un trattamento specifico di sostegno per il paziente.

Chi può farne richiesta di suicidio medico assistito

Dunque, con questa proposta di legge può chiedere il suicidio assistito il paziente che è:

  • maggiorenne;
  • in grado di intendere e di volere;
  • coinvolto in un percorso di cure palliative, da lui rifiutate;
  • soggetto di una patologia irreversibile – una prognosi infausta che causa sofferenze fisiche e psicologiche che il paziente ritiene intollerabili;
  • tenuto in vita rigorosamente da trattamenti sanitari di sostegno vitale. Quindi, l’interruzione di questi provocherebbe la morte del paziente stesso.

Poi, a fare richiesta sarà il medico di medicina generale o il medico che ha in cura il paziente. In seguito, deciderà il comitato di valutazione clinica. Comunque, i medici potranno opporsi al trattamento, sollevando l’obiezione di coscienza.

Ad ogni modo, gli ospedali pubblici dovranno assicurare l’esercizio del diritto al suicidio assistito. Poi, il controllo spetterà alle Regioni. I medici che accetteranno di sottoporre un paziente al suicidio medicalmente assistito non potranno essere accusati di istigazione o aiuto al suicidio, né di omissione di soccorso.

Sanatoria retroattiva per chi è stato condannato

Infine, una specifica: per coloro che disponevano il suicidio medicalmente assistito prima dell’entrata in vigore di tale legge, si prevede una sanatoria retroattiva. Ebbene, come si anticipava la morte assistita non equivale all’eutanasia, al momento in giudizio in referendum. Tuttavia, tra le mille polemiche della Consulta quest’ultima riceve la bocciatura.

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Sanzione di 20 milioni di euro alla società americana di riconoscimento facciale

A seguito della richiesta d’intervento da parte di Privacy Network, il Garante della Privacy impone una pesante sanzione di 20 milioni di euro a Clearview AI. L’accusa che volge alla società americana specializzata in riconoscimento facciale è di aver messo in atto un monitoraggio biometrico. Dall’istruttoria del Garante emerge che i dati personali – biometrici e di geolocalizzazione – sono trattati senza base giuridica.

Garante Privacy: maxi-multa a Clearview AI per l’illecito uso dei dati biometrici

Clearview AI è una società di riconoscimento facciale statunitense, che offre tecnologie di sorveglianza a forze dell’ordine e aziende private. In pratica, per allenare i suoi algoritmi di riconoscimento facciale inizia a raccogliere un archivio di volti direttamente dai social network. Lo fa in modo automatico, attraverso tecniche di scraping – estrazione dati grazie a software.

Pare che il database sia di oltre 100 miliardi di foto, che corrisponde a circa 14 scatti per ogni abitante del Pianeta. Dunque, è ovvia la deduzione che la società non può aver chiesto a tutte le persone il consenso per l’uso della propria immagine. Tra l’altro, tra questi volti figurano diversi italiani ed europei.

Il Garante rammenta la normativa europea

Perciò, il Garante fa notare che Clearview ignorava la gran parte dei principi del Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati. Ma Clearview cerca di difendersi sostenendo che il diritto europeo non sarebbe applicabile alla propria attività imprenditoriale. In pratica, secondo Clearview niente clienti europei equivale a niente applicazione del GDPR.

Tuttavia, il Garante evidenzia che la norma europea non fa perno sul concetto di cliente, bensì su quello di interessato. L’interessato non è colui che compra un servizio, ma è colui i cui dati vengono utilizzati per un trattamento. Quindi, a prescindere dal rapporto commerciale tra azienda e interessato.

Tra l’altro, ricordiamo che in Italia esiste il D.l. 139/2021, convertito con modificazioni nella L. 205/2021 – “Decreto Capienze”. Ossia, una moratoria dei sistemi biometrici di riconoscimento facciale in luoghi pubblici o aperti al pubblico fino al 31 dicembre 2023. Si escludono solo quei trattamenti che le autorità effettuano a fini di prevenzione e repressione dei reati, o di esecuzione di sanzioni penali di cui al D.lgs. 51/2018.

 

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Ecco il testo della riforma sulla scuola: dopo 5 anni cittadinanza agli studenti extracomunitari

Recentemente, si presenta in Commissione Affari costituzionali il testo unificato della Riforma della cittadinanza. Il relatore è Giuseppe Brescia del M5S e il fine è eliminare dal tavolo il tema “ius soli”, fonte di divisioni in Parlamento. In particolare, il punto chiave della Riforma è attribuire agli studenti stranieri la cittadinanza dopo cinque anni di scuola in Italia.

Ius scholae: cittadinanza ai minori stranieri dopo 5 anni e secondo alcuni criteri

La riforma si chiama “Ius Scholae” e prevede l’acquisizione della cittadinanza italiana a coloro che:

  • Nascono in Italia;
  • Fanno il loro ingresso nel Bel Paese entro il compimento del 12esimo anno d’età;
  • Risiedono legalmente e senza interruzioni in Italia

che frequentano regolarmente in Italia per almeno 5 anni uno o più cicli scolastici o percorsi d’istruzione. La cittadinanza si acquista a seguito “di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia”. Tale richiesta dovrà elargirsi all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, che lo annoterà nel registro dello stato civile.

Inoltre, il testo prosegue illustrando delle specifiche:

Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza”. Qualora genitori del minore, pur essendoci i requisiti per chiedere la cittadinanza italiana per il figlio non la abbiano richiesta, “l’interessato acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età”.

In CommissioneBrescia sottolinea che tale riforma parte dall’incongruenza dell’attuale norma dello “ius sanguinis”. Infatti, secondo quest’ultima ha la cittadinanza italiana chiunque abbia un avo italiano, anche se è nato e vive all’estero, e non parla l’italiano.

Il parere dei partiti politici

La proposta riceve apprezzamenti da Movimento 5 Stelle e PD mentre Lega non è d’accordo. E, ricordiamo che in Commissione si presentavano anche tre proposte di legge che s’incentrano sullo “ius soli temperato”. A presentare tali proposte sono: Matteo Orfini (PD), da Renata Polverini (Fi) e Laura Boldrini.

Dunque, Brescia sostiene che:

È una scelta di fiducia non solo negli stranieri che vogliono integrare i loro figli, ma nel lavoro della comunità didattica, nella dedizione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti che in classe costruiscono la nostra Repubblica e insegnano i valori della nostra Costituzione”.

Tra l’altro, si tratta di un concetto che sottolinea anche la capogruppo di M5s in CommissioneVittoria Baldino. Il responsabile cittadinanza del PD, l’ex viceministro all’Interno Matteo Mauri, ha espresso “apprezzamento” per il testo Brescia:

Faremo di tutto per farla passare e perché sia la più avanzata possibile”, aggiunge. Al contrario, il maggiore oppositore è il leghista Igor Iezzi, che parla di “ius soli mascherato”. Invece, al momento Fdi e Fi non si schierano. Ora, la seduta della Commissione durante la prossima settimana darà l’opportunità di chiarire tutte le posizioni.

 

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Stop assegno di mantenimento al figlio, conseguenze all’ex?

Se il figlio non riceve più assegno, c’è diritto all’aumento automatico?

Ad un certo punto il figlio di una coppia divorziata ha capacità di autonomia economica e non necessità più dell’assegno di mantenimento. Quali sono le conseguenze per la madre, l’ex moglie? Ha un automatico diritto all’aumento per sostenersi? Ne parla la Corte di Cassazione, che interviene nel merito del caso con la Sentenza 7665/2022.

Stop dell’assegno al figlio: quali le conseguenze per l’ex?

L’autonomia dei due contributi autorizza la presunzione in merito al peggioramento delle condizioni finanziarie della madre convivente? Effettivamente, con lo stop all’assegno del figlio si trova a sopportare da sola le spese di manutenzione e locazione dell’immobile che condividevano. Ma facciamo un passo indietro, all’origine della vicenda.

Un ex marito decide di fare ricorso contro la decisione della Corte d’Appello di aumentare di 800 euro l’assegno che versa all’ex. In precedenza, la somma ammontava a 500 euro, nei tempi di convivenza col figlio. Dunque, la Corte di merito concludeva che l’ex avrebbe necessitato di maggior supporto economico per la casa.

Infatti, con un ragionamento presuntivo affermava che necessitava di disponibilità di somme per far fronte alle spese comuni, dal condominio al riscaldamento. Questo aggrava la situazione economica della donna, facendo scattare un diritto all’incremento. Tuttavia, la Corte di Cassazione è di un altro parere e accoglie il ricorso dell’ex marito/padre.

La Sentenza della Corte di Cassazione

Al proposito, la Corte di Cassazione chiarisce che un’autonomia di contenuto tra i due assegni necessita di dimostrazioni. Infatti, specifica che il denaro che si versava in favore del figlio aveva lo scopo di assicurare: “la cura, l’educazione e l’istruzione, le frequentazioni e le opportunità di crescita sociale e professionale del figlio”.

Perciò, anche la Corte di Cassazione conclude che chiunque voglia far valere un diritto all’incremento deve fornire delle prove. Prove di come il venire meno del contributo incida in peggio nell’economia domestica dell’ex.

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Aggiornamenti dal 1° marzo per la presentazione delle domande per assegni familiari

Il 28 febbraio INPS pubblica la Circolare n. 34 che ha per oggetto l’assegno per il nucleo familiare Assegni familiari. Nello specifico, si tratta di nuove disposizioni attive dal 1° marzo dopo l’istituzione dell’Assegno unico e universale. Ossia, al decreto legislativo n. 230/2021 in Gazzetta Ufficiale n. 309 del 30 dicembre 2021.

Novità su Assegni famigliari e ANF: ecco la Circolare INPS con le specifiche

Dunque, ecco le novità in vigore dall’emanazione di questa Circolare. Innanzitutto, non si riconoscono più alcune prestazioni di Assegno per il nucleo familiare e di Assegni familiari. Nello specifico, ci si riferisce ai nuclei familiari con figli e orfanili per i quali subentra la tutela dell’Assegno unico.

Invece, continueranno a riconoscersi le prestazioni di Assegno per il nucleo familiare e di Assegni familiari per i nuclei familiari composti unicamente dai coniugi, con esclusione di:

  • Coniuge legalmente ed effettivamente separato;
  • fratelli, sorelle;
  • nipoti di età inferiore a 18 anni. Oppure:

“senza limiti di età qualora si trovino a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti.”

Ora, in merito ai nuclei orfanili si ricorda che il nucleo familiare può essere composto da una sola persona qualora la stessa:

  • sia titolare di pensione ai superstiti da lavoro dipendente;
  • abbia un’età inferiore a 18 anni. Oppure:

“maggiorenne che si trovi, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi a un proficuo lavoro. È equiparato, altresì, al nucleo orfanile il nucleo composto dal solo coniuge superstite, ovviamente se in possesso dei presupposti fondamentali per l’esistenza di un nucleo composto da una sola persona (minore età o inabilità).”

Pertanto, a partire dal 1° marzo 2022, se il nucleo orfanile si compone da figli minori o maggiorenni inabili, non spetteranno l’Assegno per il nucleo familiare e gli Assegni familiari. Tuttavia, sarà possibile riconoscere esclusivamente l’Assegno unico.

Novità su Assegni famigliari e ANF dal 1 marzo

Ora, parliamo del caso in cui il nucleo familiare si componga dal coniuge titolare di pensione ai superstiti nell’assoluta e continua impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. In questo caso specifico si potrà richiedere l’ANF.

Infine, una precisazione in relazione all’Assegno per il nucleo familiare per i nipoti “a carico dell’ascendente” dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 180/1999. A partire dal 1° marzo 2022 non potranno più accogliersi le domande per l’ottenimento di tale prestazione. Effettivamente, vengono meno i requisiti che tale sentenza prevede.

Inoltre, l’Assegno per il nucleo familiare non si potrà più erogare nei casi di:

  • collocamento del minore;
  • accasamento;
  • collocamento etero-familiare, per i quali valgono le nuove disposizioni dell’Assegno unico.

Quindi, dal 1° marzo 2022, non si potrà richiedere l’Assegno per il nucleo familiare se nel nucleo familiare c’è:

  • Almeno un figlio a carico con età inferiore ai 21 anni;
  • Un figlio a carico con disabilità, senza limiti di età, per il quale si ha diritto all’Assegno unico.

Domanda prestazione ANF

Dopo i 21 anni, per i figli – non disabili – per i quali si ha diritto all’Assegno unico, si può presentare domanda per la prestazione ANF. Tuttavia, vale esclusivamente per soggetti diversi dai figli, ad esempio:

  • Coniuge;
  • Eventuali sorelle, fratelli;
  • Nipoti.

Con figli con meno di 21 anni, si potrà richiedere la prestazione ANF per i soggetti sopracitati a patto di alcuni requisiti. Questi ultimi si leggono al comma 1 dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 230/2021.

In particolare, la prestazione ANF si potrà riconoscere per tali ultimi soggetti se nel nucleo non è presente:

  • un figlio minorenne a carico;
  • un figlio maggiorenne a carico, fino al compimento dei ventuno anni di età.

Per quanto riguarda quest’ultimo, devono ricorrere una delle seguenti condizioni:

  • frequentare di un corso di formazione scolastica o professionale, ovvero un corso di laurea;
  • svolgere un tirocinio ovvero un’attività lavorativa e possedere un reddito complessivo inferiore a 8.000 euro annui;
  • essere disoccupato e in cerca di un lavoro presso i servizi pubblici per l’impiego;
  • svolgere il servizio civile universale
  • figlio con disabilità a carico, senza limiti di età.

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Cassazione su falsificazione di materiale della procura ex art. 182 c.p.c

Recentemente, la Corte di Cassazione si esprime in merito a un caso di procura falsa e impossibilità di sanatoria con l’ordinanza n. 38735/2021. Così, accoglie il ricorso di un avvocato e si appella all’art. 182 del Codice di Procedura Civile. Dunque, dichiara la falsificazione materiale della procura e l’invalidazione di tutti gli atti processuali successivi per impossibilità di sanatoria.

Procura falsa e impossibilità di sanatoria: la vicenda e l’ordinanza della Cassazione

La vicenda risale a un ricorso prefallimentare: si allegava una procura contraffatta mediante fotomontaggio di un’altra procura. Quest’ultima si conferiva per un precedente procedimento monitorio. Nello specifico, si sostituiva il Tribunale di Benevento con il Tribunale di Teramo e si rimuoveva la parte sull’eliminazione di domicilio.

Poi, l’esponente in sede di reclamo fallimentare obietta tale circostanza con la presentazione di una querela di falso in via incidentale. Tuttavia, questa non viene ammessa dalla Corte di Appello di Ancona in quanto la ritiene irrilevante – sanatoria ex art. 182 c.p.c. del difetto di rappresentanza.

L’intervento della Corte di Cassazione

A questo punto, la Corte di Cassazione emana l’ordinanza con cui annulla la sentenza della Corte marchigiana. Lo fa in ragione dell’errore di diritto commesso per l’uso semplicistico dell’art. 182 del Codice di Procedura Civile. Quindi, afferma che la falsità materiale della procura determina l’invalidità dell’intera procedura.

Infatti, non si tratta di difetto sanabile ex art. 182 c.p.c. Così prosegue la Cassazione:

“La falsità materiale, dovendo essere intesa come invalidità assoluta, rilevabile anche d’ufficio, di un elemento indispensabile per la formazione dell’atto introduttivo del giudizio – incide in via diretta sulla validità dell’instaurazione del rapporto processuale, impedendo la produzione di qualsiasi effetto giuridico. Per tale motivo l’originario difetto di rappresentanza non risulta sanabile, sic et simpliciter, invocando la sanatoria prevista dall’art. 182 c.p.c., ma risulta di preliminare rilievo, qualora richiesto, procedere all’accertamento della falsità materiale della procura stessa per il tramite di giudizio di querela di falso.”

Ora, la Corte di Appello di Ancona, dovrà valutare la rilevanza della querela di falso proposta in via incidentale in applicazione del principio di dritto affermato dalla Corte di Cassazione.

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