Riforma Cartabia: il governo cambia la Legge Severino

Martedì 11 aprile 2023

È arrivata una modifica da parte del Ministero dell’Interno: con la Riforma Cartabia viene ufficialmente modificata la legge Severino. Chi in passato ha patteggiato una pena sino a 2 anni, dunque, potrà candidarsi alle elezioni.

In sostanza, chi ha patteggiato una pena sino a 2 anni, evitando in tal modo la condanna definitiva all’interno di un processo ordinario, potrà candidarsi alle prossime elezioni. Questo è quanto stabilito da una recente circolare del ministero dell’Interno, che contiene un parere del Dipartimento per gli Affari interni e per gli Enti locali.

La legge Severino, risalente al 2012 e nata al fine di mettere un freno alle infiltrazioni criminali e alla corruzione, d’ora in poi sarà meno stringente. Tutto questo per un motivo tecnico: la riforma Cartabia, nata con il Governo Draghi, ha stabilito che gli effetti non penali derivanti da una condanna non debbano essere applicati in caso di patteggiamento.

Con la legge Severino, che fu approvata sotto il governo Monti nel 2012, si stabilì che coloro che avevano ricevuto una condanna superiore a 2 anni «per delitti non colposi», non avrebbero potuto candidarsi alle elezioni per 6 anni.

Ma con la Riforma Cartabia, per il governo, coloro che patteggiano non hanno diritto a perdere la possibilità di candidarsi. Leggiamo nel parere come l’incandidabilità «perde i suoi effetti», e quindi i condannati che hanno patteggiato «non incorrono più in una situazione di incandidabilità, potendo così concorrere alle prossime elezioni».

Tale modifica ha valore retroattivo, e per questo potrà essere applicata già dalle prossime elezioni. Ma la modifica riguarda soltanto alcuni casi: per esempio, se il giudice decide di applicare una pena accessoria, quale l’interdizione dai pubblici uffici, resta l’incandidabilità nonostante il patteggiamento.

Si tratta della stessa identica legge che ha condotto, nel 2013, al decadimento di Silvio Berlusconi dalla sua carica di senatore, in quanto condannato a 4 anni per frode fiscale.

Nel passato, anche il Guardasigilli aveva criticato la legge anticorruzione. Nel 2021 aveva sostenuto i referendum della Lega finalizzati alla sua abrogazione, definendola «incostituzionale e inopportuna», dichiarando inoltre che era nata «per ragioni di demagogia politica e nata male come tutte le norme che nascono con questa motivazione».

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Carcere per gli «eco-vandali»: in arrivo un nuovo ddl

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Martedì 11 aprile 2023

FdI ha deciso di dichiarare guerra agli eco-vandali con un nuovo disegno di legge che mira a rafforzare le misure di sicurezza per quanto riguarda la tutela del decoro, con maggiori sanzioni penali per coloro che imbrattano beni ambientali e culturali.

Negli ultimi tempi, infatti, come abbiamo visto, sono aumentate le azioni dimostrative degli attivisti di “Ultima Generazione”, giovanissimi in prima linea per la lotta contro il cambiamento climatico. Si pensi, per esempio, al liquido nero che è stato versato in Piazza di Spagna, nella fontana della Barcaccia, oppure alla vernice arancione lanciata a Firenze contro Palazzo Vecchio. La stessa, tra l’altro, utilizzata per imbrattare la sede del Senato, Palazzo Madama.

Tali iniziative sono decisamente stigmatizzate dal governo Meloni, che oggi vorrebbe ricorrere ai ripari da queste azioni grazie ad un decreto legge ad hoc, che vede il senatore Marco Lisei come primo firmatario.

Attualmente la bozza del testo è in fase di perfezionamento, e sembra essere composta da un unico articolo, contenente le modifiche al DL 14/2017 e all’art. 635 del Codice Penale. In particolare, chi riporta una o più denunce oppure ha subito una condanna per danneggiamento volontario di beni culturali o per vandalismo, non potrà più avvicinarsi per minimo sei mesi o massimo un anno, ad una distanza inferiore a 10 m, agli edifici che sono sottoposti a tutela.

Se tale divieto viene trasgredito, ci sarà una multa dai 500 euro a 1000 euro. Il DL di Fratelli d’Italia punisce anche con la reclusione, da sei mesi a tre anni, coloro che deturpano o imbrattano edifici di culto e pubblici, oppure quelli sottoposti a tutela in quanto beni culturali.

Il relatore Lisei, nella relazione illustrativa del DL, sottolinea che «il diritto di scegliere di compiere azioni di disobbedienza civile non può essere assolutamente confuso con il diritto a compiere azioni vandaliche per porre all’attenzione delle persone a questo o a quel problema o esigenza». Si tratta di «un non-principio che non può essere in alcun modo legittimato».

Ma Ultima Generazione non è spaventata dal ddl. Dichiara infatti il portavoce Simone Ficicchia: «Siamo molto sorpresi nel vedere una maggioranza che invece di occuparsi della crisi climatica è sempre più attiva nel promuovere leggi ad hoc per punire azioni non violente messe in campo da persone preoccupate per il futuro di tutti».

Aggiunge Ficicchia: «Segnalo che esiste già il reato di danneggiamento, che ci è stato anche contestato come ipotesi di reato per le nostre azioni: ma probabilmente questo reato non può essere perseguito in tribunale proprio perché il danneggiamento non c’è mai stato».

Dunque, «si punta a punire l’imbrattamento, ma questo rischia di portare a una interpretazione arbitraria della legge. È una cosa molto pericolosa. Il ddl di Fratelli d’Italia non ci ferma e non ci spaventa. Siamo pronti a qualsiasi rischio legale e anche ad andare in carcere», conclude.

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Venerdì 7 aprile 2023

A palazzo Madama è stato presentato un disegno di legge, firmato da Alberto Balboni, finalizzato all’abbattimento delle spese di giustizia per le procedure di recupero crediti da parte dei professionisti. In tal modo, si equipara la situazione ai lavoratori dipendenti.

La proposta punta all’estensione delle «esenzioni dal pagamento delle spese processuali e le riduzioni delle medesime spese previste per le controversie di lavoro alle procedure di recupero del credito relativo a compensi professionali».

Entrando ancor più nello specifico, la proposta vorrebbe estendere «il regime delle spese di giustizia previsto per le controversie individuali di lavoro ai procedimenti aventi ad oggetto il recupero dei crediti riguardanti compensi o rimborsi derivanti dall’esercizio di una libera professione organizzata in ordine o collegio, entro la competenza di valore del giudice di pace».

Tutto questo, secondo Balboni, poiché «lavoro subordinato e lavoro autonomo sono uguali e devono garantire le stesse tutele. Questa proposta mira quindi a garantire uguaglianza non solo sul piano costituzionale, ma anche nei fatti e nella vita processuale».

La proposta è stata accolta positivamente da Elisa Demma, presidente del Movimento Forense: «In un momento difficile per l’avvocatura risulta quanto mai essenziale essere vicini alle colleghe e ai colleghi. Il tema è importante e fortemente politico. L’iniziativa supera una concezione ideologica per cui il lavoro, ed i diritti ad esso riconosciuti e connessi, è solo quello subordinato e non quello autonomo».

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Addio alle raccomandate: ecco la Piattaforma delle notifiche digitali

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Venerdì 7 aprile 2023

La Piattaforma delle notifiche digitali è un nuovo e rivoluzionario sistema che stravolgerà il modo in cui verranno inviati ai cittadini gli atti legali dei pubblici uffici, che ad oggi vengono spediti tramite raccomandata oppure Pec.

La nuova Piattaforma delle notifiche digitali è un progetto che fa parte del Pnrr, che in questo caso prevede lo stanziamento di 200 milioni.

Entro il prossimo dicembre, almeno 800 Comuni trasmetteranno degli avvisi attraverso la Piattaforma, rispettando, in tal senso, gli impegni presi con la Commissione Ue. I Comuni, invece, sono tentati dall’infrastruttura di PagoPa, che promette di tagliare tempi e costi delle notifiche di tributi, multe o atti per i quali è necessario essere sicurissimi che il cittadino abbia ricevuto e letto l’avviso.

Ad oggi 5.121 municipi hanno deciso di aderire al bando da 80 milioni di euro, raddoppiato ad ottobre con altri 70 milioni. Sul piatto, ancora 51,7 milioni.

Il Progetto è stato lanciato nel 2022. Quando sarà ufficialmente operativo, cambierà completamente il modo in cui cittadini ed enti pubblici gestiranno raccomandate e documenti pubblici.

Se Maria Rossi, per esempio, prende una multa perché è entrata in una ZTL nel Comune di Bugliano, avrà cinque giorni di tempo per pagare una multa con importo ridotto. Se la signora Rossi non paga, il Comune rileverà il debito: ma non spedirà a casa della signora una sanzione cartacea, poiché depositerà l’atto direttamente sulla Piattaforma delle notifiche digitali.

Sarà la stessa piattaforma a cercare Maria Rossi, avvisandola della multa. Spiega Federica Amoroso, di PagoPa: «La ricerca si fonda su un dato imprescindibile, il codice fiscale». Se la signora ha un domicilio digitale, come nel caso delle Pec, allora le arriveranno almeno due Pec con il link alla piattaforma per visualizzare l’atto.

Inoltre, scatterà anche una notifica di cortesia, come un messaggio sull’app Io, oppure un sms. Tuttavia, se l’invio digitale per qualsiasi motivo non dovesse andare a buon fine, la Piattaforma farà partire la classica raccomandata.

A tutti i cittadini che, invece, non possiedono un domicilio digitale, arriverà comunque una raccomandata con ricevuta di ritorno.

App Io e PagoPA

Ma la Piattaforma, oltre a consegnare gli avvisi, conserverà tutti gli atti, creando cassetti specifici dedicati ai singoli destinatari. Verranno conservati per dieci anni anche gli atti delle persone irreperibili, al posto di distribuirli tra gli archivi dei Comuni o del pubblico ministero, costringendo, in tal modo, a continue notifiche, sprecando tempo e risorse.

Le vie cartacee, si sa, rallentano i tempi. Con il progetto si spera che si verifichi un accelerazione anche nei tempi dei pagamenti, che ad oggi richiedono una media di due mesi. Per questo, l’app Io e PagoPa verranno integrate sulla Piattaforma.

Inoltre, avendo certezza della consegna, si spera anche di abbattere il problema dei contenziosi, che per l’Agenzia delle entrate costano 55 milioni ogni anno.

Utilizzare il software dell’ufficio del protocollo

Verranno abbassati anche i costi degli avvisi: 2 euro per le notifiche digitali, 3,33 per le raccomandate con ricevuta di ritorno e 7,43 euro per le raccomandate ex legge 890 per gli atti giudiziari.

Il Pnrr copre anche l’affidamento degli appalti finalizzati al collegamento dei gestionali dei Comuni alla Piattaforma. Circa 70 aziende informatiche sono già state selezionate per poter agganciare i software locali alla nuova Piattaforma.

«La nostra strategia è usare il software dell’ufficio del protocollo come punto di snodo per agganciarci alla Piattaforma delle notifiche digitali», spiega Luigi Zanella di Deda Next. «Siccome tutti gli atti che vanno fuori sono protocollati, lo uso come punto di contatto e poi lascio che, all’interno, sia il protocollo a interfacciarsi con i gestionali degli altri uffici. Laddove non si può, come nel caso delle multe, che non vengono protocollate facciamo un collegamento diretto».

Continua Zanella: «Dal momento della sottoscrizione del contratto, ci sono 180 giorni per completare gli sviluppi. I Comuni dovranno tenere aperto d’estate per sviluppare l’integrazione». In caso contrario, perderanno i finanziamenti.  Per arrivare preparati ai traguardi di fine anno, occorrerà lavorare non soltanto alla Piattaforma, ma anche a tutte le condizioni per poter farla decollare.

In queste settimane, comunque, i Comuni sono coinvolti anche nel lancio di un’altra piattaforma nazionale prevista dal Pnrr: stiamo parlando della Piattaforma dei dati, ovvero, un sistema di interscambio delle informazioni tra i vari enti pubblici. Dunque, al posto di costringere un cittadino a ripetere molte volte gli stessi dati in moduli diversi, saranno le singole amministrazioni a far dialogare tra loro le banche dati.

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I social network, nel corso degli ultimi 15 anni, hanno cambiato completamente le nostre vite e il nostro modo di lavorare. I dati non mentono: 5,3 miliardi di persone al mondo utilizzano un cellulare, e quasi il 60% della popolazione di tutto il mondo è iscritta ad almeno un social.

Sono nate nuove professioni in questo mondo parallelo, come quella dell’influencer. Ma anche i lavori un “più tradizionali” si sono dovuti buttare sui vari social per poter restare nel mercato, come gli avvocati.

Social e Codice Deontologico Forense

Il codice deontologico forense è un testo che raccoglie tutti i doveri di correttezza e lealtà che un avvocato dovrà rispettare con i suoi clienti, con i colleghi, con la controparte e con i magistrati. Il divieto di accaparramento della clientela, presente nell’articolo 37 del codice, vieta di offrire le proprie prestazioni professionali direttamente presso il domicilio di clienti, nei luoghi lavorativi, di svago e di riposo.

Per questo, gli avvocati si sono chiesti se anche utilizzare i social fosse una pratica vietata dal codice. Il CNF, tuttavia, ha permesso di superare il limite del web, andando ad introdurre una modifica: «L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale».

Eliminato, inoltre, il comma 10 dell’art.35: «L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito».

Qualsiasi mezzo, quindi, è ammesso, pur rispettando i limiti di correttezza, verità, segretezza, trasparenza e riservatezza.

Cominci da zero? Niente paura

Se cominci da zero e non sai da che parte girarti, chiedi ad amici e parenti. Potrebbe essere difficile, ma avere almeno 100-200 persone che ti supportano online sin dal principio sarà veramente utile.

Poi, cerca i tuoi colleghi avvocati che hanno cominciato prima di te e seguili: è molto semplice che questi ricambino il tuo follow. Ma non limitarti a questo, dato che siete colleghi e i doveri esistono dappertutto, anche online.

Scrivi un messaggio per presentarti, spiegando di ciò che ti occupi e chiedendo loro di che cosa si occupano. Potrebbe nascere anche qualcosa di bello e utile a livello lavorativo, non si sa mai.

Nei social non puoi aspettarti che le persone interagiscano con te, a meno che tu non sia un personaggio pubblico importante: devi prima farlo tu con loro. Ricordati, però, che sei un avvocato, e che sei sui social in quanto professionista.

Oltre a pubblicare contenuti inerenti alla tua professione, commenta in modo interessante e pertinente i contenuti degli altri. Non soltanto ti farai notare, ma spingerai anche i tuoi colleghi a fare la stessa cosa con te.

Non sei sui social per accaparrarti la clientela, ma per promuovere la tua immagine. Dunque, dovrai fare una buona informazione giuridica, non prestare consulenze online gratuite.

Non puoi scrivere Venite tutti nel mio studio!, ma puoi condividere il tuo sapere, le tue conoscenze e far sì che le persone capiscano la tua bravura e che si convincano che la soluzione ai loro problemi sia proprio venire da te.

E non sarai tu a dirlo: lo diranno direttamente le persone. I tuoi contenuti saranno utili, di valore, gratuiti. Ti occupi di diritto di famiglia? Bene: crea brevi video dove spieghi il funzionamento della negoziazione assistita! Insomma, dai informazioni utili.

Sei il miglior avvocato nel tuo campo, giusto?

La tua promozione professionale sui social network è una sorta di palestra: se vuoi raggiungere dei risultati, dovrai allenarti con molta costanza, per almeno un anno, magari anche di più. Per crescere sui social ci vuole del tempo, numerosi tentativi, apertura mentale, impegno e costanza.

Non perderai tempo sui social, perché ci lavorerai, in quanto avvocato. Devi dire ai tuoi clienti che esisti, e che sei il miglior avvocato nel tuo campo. E sai perché sei il miglior avvocato nel tuo campo? Perché sei organizzato.

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I cookies, strumenti in grado di tracciare online le attività degli utenti, stanno scomparendo, lentamente. I principali browser web, come Safari e Firefox, hanno cominciato a limitare la pratica. E ora anche Chrome ha capito i cookies sono un vero incubo per la privacy.

Tuttavia, non basta soltanto fermare i cookies per evitare il tracciamento online. Esiste, infatti, il fingerprinting, tecnica che comporta la raccolta di dettagliate informazioni riguardo le impostazioni del telefono o del browser, per tracciare di nascosto gli utenti, prendendo la loro finger print, l’impronta digitale.

La combinazione di linee e solchi che fanno parte dell’impronta digitale di una persona è assolutamente unica. Ebbene, anche l’impronta digitale del browser corrisponde all’insieme delle informazioni che vengono raccolte da un pc o da un telefono ogni qualvolta queste vengano utilizzate, affinché gli inserzionisti le ricolleghino all’utente.

Dichiara Tanvi Vyas, ingegnere di Firefox: «Il fingerprinting permette di prendere informazioni sul vostro browser, rete o dispositivo e combinarle per creare un insieme di caratteristiche che è per lo più unicamente riconducibile a voi».

I dati dell’impronta digitale includono la lingua utilizzata, il fuso orario, il layout della tastiera, se ci sono o meno i cookies attivi, il sistema operativo del dispositivo e altro ancora. Se si combinano tutte queste informazioni, al fine di formare un’impronta, gli inserzionisti saranno in grado di riconoscere quando un utente si sposta da un sito ad un altro.

Il fingerprinting è una pratica alla quale ricorrono le aziende che si occupano di pubblicità, inserendo un codice nei siti, che viene utilizzato dalle aziende al fine di raccogliere dati sulle attività online degli utenti.

Nonostante la poca trasparenza delle aziende che utilizzano il fingerprinting, la pratica è diffusa praticamente in tutto il web. La maggior parte di siti che visitate, infatti, prende l’impronta del vostro dispositivo.

Ma non sempre il fingerprinting è qualcosa di negativo. David Emm, ricercatore di Kaspersky, sostiene che la tecnica potrebbe essere utilizzata al fine di individuare delle frodi, come nel caso delle banche che la utilizzano per riconoscere comportamenti sospetti.

Il diffuso utilizzo del fingerprinting per la pubblicità mirata e per il monitoraggio dei movimenti online delle persone solleva anche alcuni problemi a livello giuridico. In tutta Europa, infatti, le autorità hanno sollecitato la creazione di misure di limitazione dei cookie banner, ovvero i pannelli che compaiono sui siti, che chiedono il consenso agli utenti per il tracciamento.

Sono banner onnipresenti, e le persone, per frustrazione, cliccano su “Accetta” acconsentendo, inconsapevolmente, al loro tracciamento.

Mentre i cookies possono essere cancellati o bloccati, il fingerprinting è difficile da combattere, dato che è completamente invisibile.

Ci sono vari plugin per browser che contribuiscono a fermare o a ridurre il fingerprinting, con risultati instabili. La cosa migliore da fare, per il momento, è utilizzare un browser che limita il tracciamento, aumentando la privacy. Browser come Tor, Firefox e Brave.

Il caso Meta

Recentemente, Meta ha introdotto la possibilità per gli utenti Facebook e Instagram di opporsi alla pubblicità comportamentale, quella basata sul finger print. Gli utenti, dunque, possono richiedere che i loro dati non vegano utilizzati ai fini del tracciamento e della profilazione, senza aver prestato alcun consenso.

Per farlo, possono utilizzare il tool gratuito presente sul sito Noyb, accedendo da Facebook, oppure fornendo la propria mail, o, ancora, inviando una mail per esprimere la volontà di non essere tracciati.

Dopo aver confermato la volontà di rinuncia al trattamento dati da parte di Meta, il tool invierà una mail al responsabile per la protezione dei dati, chiedendo che venga interrotto il tracciamento, operazione che avverrà entro 5 giorni lavorativi.

Per il GDPR, infatti, i responsabili del trattamento dei dati dovranno rispettare il diritto di opposizione degli utenti «senza indebito ritardo». Meta, dunque, dovrà agire in tempi brevi per interrompere il tracciamento. Beh, a meno che non abbia voglia di ricevere un’altra denuncia per violazione della privacy, considerando che la società ha già ricevuto una multa da 410 milioni di dollari.

Messa alle strette dall’Ue, Meta ha cominciato ad applicare una nuova politica in materia di privacy, optando per un targeting alternativo di annunci per tutti gli utenti che vogliono rinunciare al trattamento dei dati, ovvero, ad un targeting contestuale.

Anche se non sembra averne alcuna intenzione. Noyb, infatti, dice che il «modulo nascosto e complesso di Facebook per la disattivazione» non è raggiungibile. Ma anche se lo fosse, non garantisce che venga portata a termine la procedura per disattivare la pubblicità comportamentale.

Commenta Max Schrems, fondatore di Noyb: «Queste mosse di Facebook sono semplicemente ridicole e imbarazzanti. Devi trovare ogni elemento nella loro politica sulla privacy con cui non sei d’accordo e spiegare perché la valutazione di Meta è sbagliata nel tuo caso specifico».

«Il nostro modulo ribalta la situazione», aggiunge, «gli utenti possono ora rinunciare al trattamento dei dati e Facebook deve accettare questa obiezione senza indugio. Vogliamo rendere il più semplice possibile per le persone colpite l’esercizio dei loro diritti fondamentali».

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Non si è mai troppo vecchi per reinventare sé stessi. Questa è la storia di Michele Campanile, che ad 82 anni d’età diventa avvocato, dopo 40 anni passati in cattedra come insegnante di storia e filosofia in un liceo classico di Foggia.

Nel 2007 l’uomo va in pensione, ed è allora che decide di riprendere in mano i vecchi libri di diritto, accantonati dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita 57 anni fa. «Il diritto è sempre stato una mia passione», rivela l’uomo.

Una passione che, per motivi lavorativi, ha dovuto accantonare. Campanile racconta a Repubblica: «Avevo famiglia, e avevo bisogno di lavoro. Appena laureato ho conseguito l’abilitazione in filosofia e storia e così mi sono messo a insegnare fino al 2007. Una volta in pensione sono tornato alla giurisprudenza».

Dunque, niente notti insonni, niente lauree in tempi record. L’uomo, comunque, non nasconde di aver riscontrato difficoltà nel rimettersi a studiare, dopo tanti anni di lontananza dai libri. «Un vero e proprio sacrificio, ma studiando sono tornato con la mente a quando ero ragazzo».

La figlia, avvocata a Bologna, l’ha supportato durante il suo percorso, ma soprattutto «mi ha spronato negli studi». Con dedizione e forza di volontà Campanile ha raggiunto il suo obiettivo, svolgendo il praticantato in uno Studio Legale e superando l’esame di abilitazione per diventare avvocato.

Lunedì 3 aprile, Campanile ha prestato giuramento a Foggia, nell’aula della Corte d’Assise, davanti ad amici, nuovi colleghi e consiglio dell’ordine. Con lui le figlie, la moglie Rosa e i nipoti.

L’uomo non si accontenta del semplice titolo, poiché è intenzionato ad esercitare la professione: ma non per guadagnare. «Voglio aiutare la gente. Ho una pensione, posso vivere con quella e per il resto voglio prestare assistenza a chi non può permettersi un avvocato».

«Non mi illudo di avere una grande clientela», conclude, «ma voglio aprire uno studio con mia figlia Luigia che già lavora a Bologna e gli anni che mi restano voglio dedicarli a chi ha bisogno e alla professione. Voglio soprattutto essere d’aiuto ai più deboli».

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Mullvad, il provider svedese di Vpn, e Tor Project, hanno fatto nascere il Mullvad Browser. Si tratta di un software completamente gratuito e scaricabile da tutti, progettato appositamente per garantire riservatezza alle attività e ai dati degli utenti.

Il nuovo browser, rilasciato il 3 aprile, rende molto difficile tracciare le attività delle persone che navigano online da parte dei siti che queste visitano. È la versione rivisitata di Tor, il browser progettato per accedere alla rete Tor, che garantisce il massimo dell’anonimato per le persone che ci navigano.

Leggi il nostro articolo: Dark Web: tutto quello che c’è da sapere sul lato oscuro del web per conoscere come funziona Tor 😊

La rete Tor, per le attività di tutti i giorni potrebbe offrire una protezione eccessiva. Dunque, Mullvad e Tor Project hanno cominciato una collaborazione per sviluppare un nuovo browser, che ha ereditato tutte le caratteristiche di sicurezza di base che offre Tor, ma garantendo una navigazione più puntuale e veloce.

Mullvad Browser maschera funzionalità e parametri che di solito vengono utilizzati per estrarre da un dispositivo le informazioni che identificano un utente. Si attiva automaticamente in modalità privata, bloccando cookie di terze parti e tracker ed eliminando velocemente tutti i cookie delle pagine visitate in una sessione.

Rispetto agli altri browser finalizzati alla salvaguardia della privacy, questo browser ha meno estensioni e meno plug-in, riducendo quindi il numero degli identificatori ed evitando che l’identità di un utente venga svelata in qualche modo.

Quello che non fa, tuttavia, è offrire l’accesso alla Vpn Mullvad: sarà l’utente a scegliere se acquistare un piano offerto dall’azienda, con la quale integrare la Vpn al browser. Sai che cos’è una Vpn e perché è così importante per la nostra sicurezza? Clicca un po’ qui per scoprirlo 😊

Jan Jonsson, CEO di Mullvad ha dichiarato: «Vogliamo liberare Internet dalla sorveglianza di massa, e una Vpn da sola non è sufficiente per ottenere la privacy. Dal nostro punto di vista, c’era un vuoto nel mercato per coloro che desiderano utilizzare un browser incentrato sulla privacy come Tor Browser, ma con una Vpn invece della rete Tor. Si tratta di fornire più alternative per la privacy per raggiungere il maggior numero possibile di persone e rendere la vita più difficile a coloro che raccolgono i vostri dati».

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Parità di genere? Solo sulla carta.

Secondo gli ultimi dati raccolti da Jobiri, per riuscire a inserirsi nel mercato del lavoro e per costruire un percorso che sia all’altezza delle proprie competenze e aspettative, le donne devono scontrarsi (ancora) con domande scomode, ricatti e pregiudizi, che compromettono le loro carriere sin dal primissimo colloquio.

Lo studio si basa sulle risposte di 1053 donne tra i 18 e i 25 anni, che confermano le criticità da sempre denunciate riguardo l’occupazione femminile. Nonostante il vantaggio conquistato a livello di istruzione – il 23% delle donne ha una laurea contro il 17% degli uomini –  nel mondo del lavoro femminile il quadro generale continua a preoccupare.

Solitudine, confusione, rassegnazione: queste le sensazioni prevalenti tra le donne mentre ricercano lavoro, influendo negativamente sulle loro performance.

La situazione peggiora quando si è faccia a faccia con il recruiter. Il 56% delle donne si è sentita a disagio a causa di domande, implicite o esplicite, riguardo la loro vita privata, mentre il 55% dalla curiosità eccessivamente invadente rispetto alla cura dei propri figli.

Un altro problema è quello delle molestie, purtroppo ancora eccessivamente radicato: complimenti indesiderati, commenti a sfondo sessuale, contatti fisici decisamente inopportuni, promozioni scambiate con favori di tipo sessuale.

Inoltre, non accenna a diminuire nemmeno il gender pay gap: le donne, infatti, per il 68% del campione intervistato sono ancora costrette ad accettare stipendi più bassi e molti meno benefit rispetto a quelli dedicati agli uomini.

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Approda in Parlamento la prima campagna per il diritto all’oblio oncologico, grazie a 100mila firme raccolte.

Il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, ha presentato alle Camere un disegno di legge, sulla scia di #iononsonoilmiotumore, campagna di comunicazione promossa dalla Fondazione Aiom. La norma, se approvata, consentirebbe a chi è guarito da un tumore di riprendere in mano la propria vita senza subire alcuna discriminazione.

Infatti, per richiedere alcuni servizi, come l’ottenimento di mutui o la stipula di assicurazioni, bisogna dichiarare di avere avuto un tumore, nonostante la guarigione. Sono in molti ad incontrare difficoltà, come rifiuti o premi incrementati.

#iononsonoilmotumore ha realizzato un portale web e una guida sul tema, un gran mobilitazione online per promuovere una raccolta firme e due camminate, a Modena e a Pescara.

Dichiara Giordano Beretta, presidente di Aiom: «Siamo molto soddisfatti dell’alto numero di persone raggiunte con la campagna e ringraziamo il Cnel per l’attenzione che ha dedicato a questo bisogno, molto sentito in tutta la popolazione di malati, ex pazienti, familiari e caregiver».

«Ora che questa legge è arrivata in Parlamento», continua Beretta, «non è più solo una speranza, ma può e deve diventare realtà: per questo, chiediamo ai presidenti di Camera e Senato e alla presidente del Consiglio di approvare questa norma, in un gesto di cura e ascolto verso un milione di italiani. Dobbiamo seguire l’esempio virtuoso di Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda, Portogallo e Romania, che hanno già emanato una legge a tutela dei cittadini guariti dal cancro».

Ogni tumore, sottolinea Beretta, «richiede un tempo diverso perché chi ne soffre sia definito “guarito”: per il cancro della tiroide sono necessari meno di 5 anni dalla conclusione delle cure, per il melanoma e il tumore del colon meno di 10. Molti linfomi, mielomi, leucemie, tumori della vescica e del rene richiedono 15 anni. Per essere guariti dalle malattie della mammella e della prostata ne servono fino a 20. Il riconoscimento del diritto rappresenta la condizione essenziale per il ritorno a una vita dignitosa».

Il numero di persone che guariranno dai tumori, grazie alla ricerca, ma anche all’innovazione tecnologica, è destinato ad aumentare, come riporta il consigliere di Cnel, Francesco Riva, autore della proposta di legge. «Per questo abbiamo ritenuto necessario portare questo progetto in Parlamento, perché se ne parli e si proceda a un’iniziativa legislativa in grado di offrire supporto e tutela a tutti i pazienti di oggi e domani».

«È fondamentale riempire questo vuoto normativo in tempi stretti, perché dopo cinque anni da un tumore pediatrico e dieci da una malattia dell’età adulta si possa essere finalmente considerati guariti anche dalla burocrazia», continua Riva.

Commenta Saverio Cinieri, il presidente di Aiom: «Esprimiamo tutta la nostra gratitudine a Tiziano Treu, presidente del Cnel, e al consigliere Francesco Riva. Il loro sostegno è stato decisivo per permettere a questa richiesta di arrivare ai grandi organi istituzionali. Ora a loro non resta che approvarla, in un gesto di civiltà, per farla diventare legge a tutti gli effetti. Chiediamo che questo avvenga rapidamente, perché non si affievolisca la luce su questa importante iniziativa e perché gli ex pazienti non debbano più aspettare per vivere la vita che meritano».

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