Tutela dei minori online: dall’UE nuove linee guida per una rete più sicura

L’Unione europea compie un passo significativo nella lotta ai pericoli digitali per bambini e adolescenti. Il 14 luglio 2025 la Commissione europea ha ufficialmente adottato le linee guida sulla sicurezza online dei minori nell’ambito del Digital Services Act (DSA), il regolamento UE n. 2022/2065 entrato in vigore con l’obiettivo di regolamentare i servizi digitali in modo coerente e armonizzato.

Le nuove disposizioni mirano a contrastare fenomeni sempre più diffusi come cyberbullismo, molestie sessuali online, diffusione non consensuale di immagini, stalking e dipendenza da social media, che colpiscono i più giovani con conseguenze devastanti sulla loro salute mentale, fisica e sociale.

Obblighi per le piattaforme digitali

Le linee guida si applicano a tutte le piattaforme digitali, ad eccezione di micro e piccole imprese, e introducono standard stringenti su come i servizi online devono gestire l’accesso e l’interazione dei minori.

Tra le principali novità:

  • Profili predefiniti in modalità privata: gli account dei minori dovranno essere impostati automaticamente in modalità privata per tutelare l’identità e impedire la diffusione involontaria di dati personali.
  • Filtri sui contenuti: i sistemi di raccomandazione dovranno essere ricalibrati per escludere contenuti potenzialmente dannosi, limitando l’esposizione dei minori a materiale inappropriato.
  • Avvisi proattivi: le piattaforme saranno tenute a fornire segnali espliciti per informare i minori dei rischi digitali legati ai contenuti visualizzati o condivisi.
  • Controllo delle interazioni: sarà obbligatorio consentire il blocco di utenti indesiderati, impedire l’aggiunta forzata a gruppi e vietare lo screenshot o il download di contenuti pubblicati dai minori, al fine di prevenire la diffusione non autorizzata di immagini intime o sessualizzate.

Oltre alla protezione tecnica, la Commissione chiede anche misure per rafforzare la consapevolezza dei giovani utenti, con strumenti di alfabetizzazione digitale e programmi educativi mirati, nonché il divieto di utilizzo commerciale dei dati e dell’interazione dei minori per finalità pubblicitarie o manipolative.

L’attuazione dell’articolo 28 del DSA

Questi orientamenti rappresentano l’attuazione concreta dell’articolo 28 del DSA, secondo cui le piattaforme devono assicurare un elevato livello di tutela della privacy, della sicurezza e del benessere psicofisico dei minori.

In particolare, il regolamento proibisce:

  • pubblicità mirata basata sulla profilazione dei minori;
  • interfacce manipolative che sfruttano vulnerabilità cognitive o emotive dei giovani utenti (le cosiddette dark patterns);
  • impostazioni che incentivano comportamenti compulsivi, come notifiche push e ricevute di lettura non necessarie.

Verso una responsabilità digitale condivisa

Con l’introduzione di queste linee guida, Bruxelles intende rafforzare il quadro di responsabilità delle piattaforme nell’ambiente digitale. Il principio alla base è chiaro: la protezione dei minori non può essere un’opzione, ma un obbligo giuridico.

Una svolta attesa, in un’epoca in cui la vita digitale dei più giovani inizia sempre prima e si svolge in ambienti spesso poco controllati. L’obiettivo è ambizioso: creare uno spazio digitale in cui i minori possano navigare, crescere e socializzare senza essere esposti a rischi sproporzionati, e in cui le aziende tecnologiche siano chiamate a fare la loro parte, non solo con strumenti di moderazione, ma con un vero e proprio cambio di paradigma nella progettazione dei servizi.


LEGGI ANCHE

Notifica dell’appello tramite PEC non valida se il processo tributario telematico non operativo

La Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che la notifica dell'atto di appello effettuata via PEC è giuridicamente inesistente se avviene prima dell'attivazione del processo…

Più sicurezza per i minori online: limite alla pubblicità e sistemi per la verifica dell’età

L’obiettivo del regolamento Ue 2022/2065 è rendere sempre più sicuro il mondo online. Il Dsa punta anche alla difesa dei minori che devono fare i…

Influencer e content creator: nuove regole contrattuali e contributive

Con l’evoluzione del mercato digitale e il crescente peso dell’influencer marketing, le aziende dovranno prestare maggiore attenzione alla qualificazione dei rapporti di collaborazione per evitare…

Clima e responsabilità civile: la Cassazione apre alla giustiziabilità contro imprese e Stato

Un passaggio che potrebbe segnare una svolta storica nella giustiziabilità climatica in Italia. Con l’ordinanza n. 13085/2024, pubblicata il 21 luglio 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario nell’ambito di una controversia promossa da Greenpeace Italia, ReCommon e un gruppo di cittadini contro ENI, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., accusati di violazione degli obblighi climatici internazionali e responsabilità per danni ambientali derivanti dal cambiamento climatico.

La causa – la prima nel suo genere a livello nazionale – si distingue per l’articolazione inedita del petitum, che accanto a richieste risarcitorie per danni già subiti, comprende anche istanze inibitorie e coercitive nei confronti non solo dello Stato, ma anche di soggetti privati e a partecipazione pubblica, come appunto ENI e CDP.

Il cuore giuridico della controversia

I ricorrenti hanno fondato la loro azione su norme del codice civile (artt. 2043, 2050, 2051 c.c.), su disposizioni costituzionali (artt. 2, 9, 32 e 41 Cost.), e su fonti sovranazionali, in particolare l’art. 8 della CEDU e l’Accordo di Parigi. Una delle tesi centrali dell’azione è proprio la richiesta di riconoscere l’efficacia diretta di tali obblighi internazionali anche nei rapporti tra privati, sulla base della responsabilità extracontrattuale per condotte climalteranti.

Il nodo della giurisdizione

La questione sottoposta alla Corte non ha ancora toccato il merito della responsabilità climatica di ENI e degli altri soggetti citati, ma si è concentrata su un aspetto centrale: può un giudice ordinario pronunciarsi su un’azione che ha implicazioni politiche e strategiche? O si tratta di una materia che spetta solo a Parlamento ed Esecutivo?

Le Sezioni Unite hanno optato per una soluzione di apertura, affermando che la domanda è configurabile come azione risarcitoria per responsabilità civile extracontrattuale e quindi rientra pienamente nella giurisdizione del giudice ordinario. In altre parole, non si tratta di una richiesta politica, ma di una pretesa giuridica fondata su diritti soggettivi tutelabili anche in sede giudiziaria.

Un precedente nel contesto europeo

La decisione si inserisce in un clima giurisprudenziale in fermento, anche a livello europeo. Non a caso, i ricorrenti hanno richiamato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 9 aprile 2024 nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz c. Suisse, che per la prima volta ha riconosciuto una violazione del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU) da parte di uno Stato inadempiente in materia di politiche climatiche.

Verso una nuova stagione per la “climate litigation” in Italia?

La pronuncia della Cassazione, pur avendo natura meramente processuale, si rivela tutt’altro che marginale. Per la prima volta, l’ordinamento italiano apre uno spazio concreto per azioni giudiziarie finalizzate a far valere obblighi climatici nei confronti di imprese e attori pubblici, con fondamento nei diritti fondamentali e nei principi costituzionali.

Si apre così la strada a un potenziale controllo giurisdizionale su condotte economiche e politiche ritenute climalteranti, ampliando i margini della responsabilità civile per il danno ambientale in un’ottica sistemica e innovativa.

Le prossime tappe

Il procedimento ora proseguirà davanti al giudice ordinario, che sarà chiamato ad accertare, nel merito, se le condotte contestate a ENI, al MEF e a CDP abbiano concretamente determinato o aggravato l’emergenza climatica, e se tali comportamenti siano suscettibili di generare responsabilità giuridiche. L’effetto deterrente di una possibile condanna, anche in termini di policy pubblica, potrebbe essere significativo.

Nel frattempo, questa ordinanza pone al centro del dibattito giuridico e politico il ruolo del diritto nella lotta al cambiamento climatico, e rafforza l’idea che i giudici possano rappresentare un faro di tutela attiva in un tempo in cui la crisi ambientale interroga tutte le istituzioni.


LEGGI ANCHE

Liquidazione del compenso dell’avvocato: nessuna decadenza nel gratuito patrocinio

Liquidazione del compenso dell’avvocato: nessuna decadenza nel gratuito patrocinio

Quando va presentata l’istanza di liquidazione del compenso dell’avvocato nel gratuito patrocinio? Esiste un termine preciso oltre il quale decade il diritto di presentare l’istanza?…

tavolo con pc

Magistratura: a Milano convegno su test psico-attitudinali e formazione

Milano, 27 giugno 2024 – Venerdì 28 giugno, presso l’Università Statale di Milano, si terrà un convegno dal titolo “Accesso alla magistratura: test psico-attitudinali e…

Femminicidio e risposte legislative: perché l’inasprimento delle pene non basta

Le Camere Penali: "La norma varata dal CdM va unicamente nell’ultima direzione indicata: una novella legislativa volta a soddisfare unicamente le “grida” di manzoniana memoria,…

File di log e reati sul web, il GIP di Catania interpella la Corte UE: “Servono regole chiare anche per i reati non gravi”

Un’ordinanza destinata a far discutere e, forse, a incidere sulla futura interpretazione delle norme europee in materia di dati digitali e procedimenti penali. Con ordinanza del 26 giugno 2025, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, dott. Ragazzi, ha sospeso un procedimento penale contro ignoti per sostituzione di persona (art. 494 c.p.), sollevando due quesiti pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Il caso riguarda la creazione di un profilo Facebook falso, ritenuto lesivo della reputazione e dell’identità della persona offesa, una giovane vittima di un possibile raggiro online. Per tentare di risalire all’autore o agli autori, era stata richiesta l’acquisizione dei file di log del profilo incriminato: dati tecnici (indirizzi IP, date e orari di accesso) che rappresentano, in molti casi, l’unico strumento utile per l’identificazione di chi opera dietro pseudonimi o identità fittizie sul web.

Il diniego iniziale e la svolta

La richiesta, avanzata ai sensi dell’art. 132 del D.lgs. 196/2003 (Codice della privacy), era stata respinta. La ragione? La pena edittale prevista per il reato di sostituzione di persona non consente l’accesso ai dati di traffico telematico, riservato – secondo la normativa italiana – ai procedimenti per reati gravi.

A seguito della richiesta di archiviazione del procedimento, il giudice ha riaperto la riflessione giuridica, attivando il contraddittorio previsto dall’art. 409 c.p.p., e ha deciso di coinvolgere la Corte di Giustizia UE per verificare la conformità della normativa nazionale ai principi europei.

Le due questioni sollevate

Nel rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 par. 1 lett. b) TFUE, il GIP chiede alla Corte:

  1. Se il diritto dell’Unione europea impedisca di escludere i file di log dalla categoria dei “dati di traffico telematico”, considerandoli invece, come fa parte della giurisprudenza nazionale, dati diversi soggetti a minori tutele e accessibili solo in casi eccezionali;

  2. Se il diritto UE consenta l’accesso a questi dati anche in procedimenti relativi a reati non classificati come gravi, qualora – come spesso avviene nei reati informatici – i file di log rappresentino l’unico strumento realmente utile all’individuazione dell’autore del reato.

Il contesto normativo europeo

L’ordinanza si muove tra riferimenti a fonti consolidate e recenti del diritto europeo. Il giudice catanese fonda la propria argomentazione sull’art. 15 della Direttiva 2002/58/CE, in relazione agli articoli 7, 8, 11 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ampiamente interpretati dalla Corte di Giustizia in materia di privacy, dati personali e libertà di espressione.

Viene inoltre citato il Regolamento UE 2023/1543, parte del pacchetto normativo sull’e-evidence, che disciplina l’acquisizione di prove elettroniche all’estero e che entrerà pienamente in vigore nell’agosto 2026. Un riferimento che dimostra come il legislatore europeo stia già lavorando a un quadro normativo più coerente e funzionale alle indagini digitali transfrontaliere.

Il confronto con la normativa francese

Significativa, infine, l’apertura comparativa dell’ordinanza, che evidenzia come, in Francia, il diritto penale e processuale penale permettano l’accesso ai dati telematici anche per reati meno gravi, a condizione che tali dati siano essenziali per l’identificazione dell’autore. Un approccio più pragmatico, che potrebbe orientare anche la futura giurisprudenza europea.


LEGGI ANCHE

erede-vecchi-crediti

Vecchi crediti? Erede deve riaprire partita Iva

Per i vecchi crediti dell’avvocato, i suoi eredi devono riaprire partita Iva Nel caso di vecchi crediti dell’avvocato, gli eredi del deceduto devono riaprire la…

Gli avvocati guidano la rivoluzione cashless: +78,8% di pagamenti digitali

Secondo l’Osservatorio Professionisti Cashless di SumUp, le transazioni digitali tra le Partite IVA sono in crescita del 16,6% nel 2024. Avellino, Ancona e Benevento le…

Banche venete, la Cassazione conferma le sanzioni Consob

Respinti i ricorsi degli ex vertici di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. La Suprema Corte ribadisce i doveri di vigilanza del collegio sindacale e…

Giustizia, scontro ai massimi livelli: CSM e ANM sfidano Nordio sulla riforma delle carriere

Lo scontro tra il ministro della Giustizia Carlo Nordio e la magistratura entra in una fase esplosiva. In una sola giornata, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) e l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) hanno lanciato un doppio affondo contro il Guardasigilli, impegnato a difendere la riforma costituzionale della giustizia fortemente voluta dal governo.

Il CSM ha approvato a maggioranza la pratica a tutela del sostituto procuratore della Corte di Cassazione Raffaele Piccirillo, pesantemente criticato dal ministro per un’intervista sul caso Almasri. In parallelo, l’ANM ha pubblicato sulla propria rivista una lettera del 1994 in cui Nordio, allora magistrato alla Procura di Venezia, firmava un appello contrario alla separazione delle carriere. Una scelta che punta a smentire la coerenza politica del ministro, oggi primo promotore di quella stessa riforma.

Il caso Piccirillo: tutela e condanna politica

Il fulcro dello scontro nasce dalle parole di Nordio nei confronti del magistrato Piccirillo, colpevole – secondo il Guardasigilli – di aver espresso valutazioni improprie sul caso del generale libico Osama Najeem Almasri. Il ministro aveva persino ventilato un possibile procedimento disciplinare nei suoi confronti. Una presa di posizione che ha provocato la reazione del CSM, culminata ieri nell’approvazione formale della tutela a favore del magistrato.

La decisione è stata accompagnata da una nota durissima in cui si sottolinea «la gravità delle affermazioni del ministro» per il loro «potenziale impatto sulla fiducia dei cittadini nella funzione giudiziaria». Il CSM ha ribadito che tali dichiarazioni sono «idonee a condizionare il sereno e indipendente esercizio della giurisdizione» e ha rinnovato l’appello al rispetto dei principi di autonomia e leale collaborazione tra i poteri dello Stato.

Durissima anche la posizione della presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, che ha parlato di «un tristissimo inedito nella nostra storia repubblicana», definendo «assolutamente incomprensibile» che un ministro attacchi una funzione disciplinare a cui egli stesso concorre.

La memoria che brucia: la lettera del 1994

A rafforzare la pressione sul ministro è arrivata, quasi in simultanea, la pubblicazione da parte dell’ANM di una lettera firmata il 3 maggio 1994 da oltre 1.500 magistrati, tra cui proprio Nordio, allora in servizio a Venezia. Il documento prendeva posizione netta contro la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, considerata una minaccia all’indipendenza della magistratura.

Un gesto che, se da un lato intende richiamare il Nordio di allora a un maggiore rispetto del dibattito interno alla magistratura, dall’altro alimenta le accuse di incoerenza politica. Le opposizioni cavalcano la polemica: «Sulla separazione delle carriere, Nordio dia retta a Nordio», ironizza il Movimento 5 Stelle.

Il percorso della riforma

Intanto, la riforma ha ricevuto martedì scorso l’approvazione del Senato con 106 voti favorevoli e ora è attesa alla Camera per la seconda delle quattro letture previste per le modifiche costituzionali. Il testo prevede, oltre alla separazione delle carriere tra PM e giudici, la creazione di due distinti CSM e l’introduzione di un’Alta Corte disciplinare autonoma. In caso di approvazione con meno dei due terzi dei voti parlamentari, sarà necessario il referendum confermativo.

Dalla maggioranza, Forza Italia difende la riforma come una misura di riequilibrio del sistema, mentre Fratelli d’Italia, con Giovanni Donzelli, precisa: «Non vogliamo chiudere le correnti, ma porre fine alla loro politicizzazione».


LEGGI ANCHE

Aumentano le ore per la formazione della Pa

Circa un quarto dei posti di lavoro cambierà nei prossimi cinque anni, ma la presenza di 3 milioni di Neet (giovani che non studiano né…

Parco della Giustizia di Bari: la partita resta aperta

Il Consiglio di Stato respinge la proroga del bando, la decisione finale il 17 dicembre

uomo che firma

Corte di Giustizia UE, GDPR: firma autografa è dato personale

Una sentenza risponde a diverse questioni poste dalla Corte amministrativa suprema bulgara riguardo all'applicazione del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e la normativa…

Dazi USA-UE, trattative ad alta tensione: accordo vicino, ma resta l’incognita Trump

La trattativa tra Stati Uniti e Unione Europea sui dazi commerciali è entrata nella fase decisiva. «Stiamo andando bene con l’Ue», ha dichiarato il presidente americano Donald Trump, lasciando intendere un possibile esito positivo. Ma l’accordo, seppur «a portata di mano» secondo la Commissione europea, non è ancora stato siglato. Il nodo cruciale resta la definizione di un dazio base al 15%, accompagnato da un pacchetto di esenzioni per comparti strategici.

Una trattativa aperta, ma con il timer attivo. Il conto alla rovescia scade il 1° agosto, termine fissato dall’amministrazione statunitense per l’eventuale inasprimento delle tariffe fino al 30% su larga parte delle esportazioni europee verso gli USA. In risposta, Bruxelles ha già approvato una lista di controdazi per un valore complessivo di 93 miliardi di euro, pronti a scattare dal 7 agosto. Nella lista nera figurano prodotti simbolo del made in USA: dalle Harley-Davidson ai jeans Levi’s, passando per aerei Boeing, pollo e soia.

Von der Leyen: tutte le opzioni restano sul tavolo. Intervenuta da Pechino, dove era impegnata nel vertice Ue-Cina, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ribadito l’approccio dialogante dell’Europa, ma ha precisato che «tutti gli altri strumenti rimarranno disponibili finché non otterremo un risultato soddisfacente».

Proprio ieri, la Commissione ha formalizzato il piano di reazione approvato dalla quasi totalità degli Stati membri, con la sola eccezione dell’Ungheria. Grazie al sostegno di 15 Paesi rappresentanti oltre il 65% della popolazione europea, Bruxelles può ora attivare anche il “bazooka” anti-coercizione, uno strumento difensivo pensato per rispondere a misure economiche unilaterali.

Berlino si schiera, Parigi chiede di accelerare. Determinante nella costruzione della linea comune è stato il cambio di rotta della Germania, convinta ad assumere una posizione più assertiva dopo la lettera inviata da Trump l’11 luglio. La Francia, dal canto suo, spinge per l’immediato utilizzo dello strumento anti-coercitivo, ma la Commissione mantiene una linea più prudente, sottolineando che al momento le condizioni per un’escalation non sono ancora mature.

Il contenuto dell’intesa in discussione. Oltre al dazio del 15%, che includerebbe una quota del 4,8% prevista dalla clausola della nazione più favorita (standard del libero scambio), si lavora a esenzioni mirate su settori come aeronautica, alcolici, dispositivi medici e farmaci generici, oltre ad attrezzature industriali critiche per l’economia statunitense. Sul tavolo anche quote di acciaio e alluminio, con soglie oltre le quali scatterebbero tariffe fino al 50%.

Il segretario al Commercio Usa, Lutnick, interlocutore del commissario europeo Šefčovič, ha scherzato in diretta su CNBC sull’urgenza dell’accordo: «L’Ue vuole un’intesa così tanto, è quasi commovente», ha ironizzato.

L’Italia corre ai ripari sul fronte agricolo. Di fronte al rischio concreto di nuove tariffe sui prodotti agroalimentari, il ministro Francesco Lollobrigida ha annunciato un piano di 1 miliardo di euro, di cui 300 milioni destinati al Fondo per la Sovranità alimentare. Un intervento che mira a sostenere le filiere più esposte all’eventuale ondata di dazi e a contrastare i temuti tagli alla Politica agricola comune, che dal 2027 potrebbero vedere una riduzione del 20%, passando da 386 a 300 miliardi di euro.

Tokyo-Washington come modello. Le trattative Ue-Usa si sviluppano sulla scia dell’accordo raggiunto tra Giappone e Stati Uniti, che ha fornito uno schema di riferimento per la definizione di tariffe e soglie di esportazione. Ma il vero ago della bilancia resta, come sempre, la volontà politica di Trump, il cui orientamento finale potrebbe spostare gli equilibri in un senso o nell’altro.

Nel frattempo, l’Europa continua a muoversi su due binari: pronta al dialogo, ma anche determinata a difendere i propri interessi strategici. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se prevarrà l’intesa o se il braccio di ferro sfocerà in una nuova guerra commerciale.


LEGGI ANCHE

Separazione delle carriere: i magistrati scioperano il 27 febbraio

ANM contro la riforma: "Indebolisce l'indipendenza e non migliora la giustizia". Proteste anche per l'inaugurazione dell'anno giudiziario.

Il Ministero perde pezzi: si dimette il direttore generale DGSIA

Era il direttore generale dei sistemi informativi automatizzati

Croce al posto della firma: la procura alle liti non è valida

Croce al posto della firma: la procura alle liti non è valida

Cosa succede se la procura alle liti presenta una croce al posto della firma? Può essere ritenuta valida? L’ordinanza n. 16948/20 emessa dalla Corte di…

Italia verso il baratro demografico: entro il 2060 12 milioni di lavoratori in meno

L’Italia si avvia verso una crisi demografica senza precedenti che rischia di compromettere crescita economica, sostenibilità del welfare e tenuta del mercato del lavoro. Secondo l’Employment Outlook 2025 presentato dall’Ocse al CNEL, entro il 2060 il nostro Paese perderà 12 milioni di persone in età lavorativa, con una flessione del 34%: una caduta quattro volte più grave rispetto alla media dei 38 Paesi Ocse, ferma all’8%.

Le conseguenze si annunciano pesanti: se la produttività del lavoro dovesse mantenersi sui livelli medi del periodo 2006-2019 (0,31%), il PIL pro capite italiano calerebbe dello 0,5% ogni anno, con una contrazione complessiva del 22% entro la metà del secolo.

I numeri di una crisi annunciata

Il rapporto tra lavoratori e popolazione totale in Italia è destinato a diminuire di 5,1 punti percentuali, evidenziando il peso crescente della componente inattiva sul sistema economico. A complicare il quadro, il divario occupazionale di genere che resta tra i più elevati in Europa: oltre 17 punti percentuali, con le donne che continuano a permanere nell’inattività in misura maggiore rispetto agli uomini (+4 punti percentuali). Appena il 20% delle ragazze sceglie percorsi universitari in ambito STEM, contro il 40% dei ragazzi: una disparità che si riflette anche sull’accesso alle professioni più richieste.

Secondo l’Ocse, ridurre il gender gap tra i più giovani potrebbe contribuire a incrementare il PIL pro capite nazionale di oltre 0,35 punti percentuali annui, il maggior potenziale di crescita stimato tra tutti i Paesi dell’Unione Europea.

Anziani e giovani: il potenziale non valorizzato

Sebbene negli ultimi vent’anni l’Italia abbia aumentato significativamente il tasso di occupazione tra i lavoratori senior (tra i 55 e i 59 anni +31,8 punti percentuali; tra i 60 e i 64 anni +25,7 punti), la partecipazione degli over 60 al mercato del lavoro rimane sotto la media Ocse. Nel 2024, il tasso di occupazione nella fascia 60–64 anni era del 47%, contro il 56% della media Ocse.

Sul fronte opposto, il potenziale giovanile resta largamente inutilizzato: nel 2024 l’Istat ha registrato 1,34 milioni di Neet, con una concentrazione nel Mezzogiorno più che doppia rispetto al Nord. Il presidente del Cnel, Renato Brunetta, ha sottolineato la necessità di misure per attrarre e trattenere i talenti, avvicinando formazione e mercato e sostenendo i redditi reali delle nuove generazioni.

Produttività e salari: le altre sfide

La leva della produttività rappresenta l’altro grande nodo: se l’Italia riuscisse a raddoppiare il proprio tasso di crescita al livello medio Ocse degli anni ’90 (circa l’1%), il PIL pro capite potrebbe aumentare fino all’1,34% annuo. Ma il report dell’Ocse è netto: alla luce delle performance degli ultimi decenni, l’obiettivo appare irrealistico senza una svolta strutturale.

Intanto, i salari reali continuano a soffrire: nonostante una ripresa nell’ultimo anno, a inizio 2025 risultavano inferiori del 7,5% rispetto al 2021, a causa dell’ondata inflattiva post-pandemia. Le previsioni indicano una crescita dei salari nominali del 2,6% nel 2025 e del 2,2% nel 2026, a fronte di un’inflazione stimata rispettivamente al 2,2% e all’1,8%. Una dinamica che, almeno in teoria, dovrebbe garantire un recupero del potere d’acquisto.

Un’agenda per il futuro

Per contrastare l’inverno demografico e il declino economico, l’Ocse propone una strategia articolata su quattro direttrici:

  • riduzione del gender gap,

  • valorizzazione del capitale giovanile,

  • attivazione degli anziani in buona salute,

  • governo dei flussi migratori regolari.

Il presidente della Commissione parlamentare sulla transizione demografica, Elena Bonetti, ha parlato della necessità di «riformare il welfare, rivedere il sistema pensionistico e puntare con decisione sulla produttività per evitare una recessione strutturale».

Un quadro complesso, dunque, che richiede non solo consapevolezza politica ma anche azioni rapide e coordinate. Come ha ricordato Michele Tiraboschi, presidente della Commissione dell’informazione del Cnel, «serve una valutazione periodica dell’evoluzione del mercato del lavoro da parte delle forze sociali, per trasformare i dati in scelte concrete e operative».


LEGGI ANCHE

Docenti-avvocati contro il Ministero: la Cassazione fa chiarezza

Con l’ordinanza n. 12204 dell’8 maggio 2025, la Suprema Corte ribadisce che i docenti possono patrocinare cause contro l’amministrazione scolastica, purché autorizzati e in assenza…

Giustizia a rischio: le preoccupazioni del Presidente CNF

Regole sempre più rigide, processi-spettacolo, intelligenza artificiale nei tribunali e carenze di organico: l’avvocatura lancia l’allarme sul giusto processo

Cosa pensano gli avvocati dello smart working?

In un articolo del 5 aprile 2022, pubblicato su The Law Society, viene riportato un sondaggio sullo Smart Working. A quanto pare, la maggior parte degli avvocati…

Logistica in crisi di manodopera: 4 addetti su 10 introvabili, cresce il divario tra domanda e offerta

Il mondo del lavoro sta vivendo una delle sue fasi più complesse, caratterizzata da un crescente disallineamento tra domanda e offerta di competenze. E il settore logistico è oggi uno dei fronti più esposti. Secondo l’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano, il 40% delle figure professionali richieste in questo comparto risulta difficile da reperire. Solo tre anni fa la percentuale si fermava al 27%, segno di un divario strutturale che continua ad ampliarsi.

Nel 2023, a fronte di oltre 4,6 milioni di ricerche di personale da parte delle aziende, circa 800mila posizioni nel comparto logistico sono rimaste vacanti. Il fenomeno del “talent shortage”, ovvero la carenza di personale con competenze adeguate, riguarda soprattutto profili tecnici e specializzati. Ma il paradosso è doppio: non solo mancano lavoratori qualificati, ma cresce anche la quota di candidati sovraqualificati costretti ad accettare ruoli al di sotto delle proprie competenze e aspirazioni.

Una dinamica aggravata dall’emorragia di lavoratori registrata nell’ultimo anno. Nel 2024 oltre un milione di italiani ha lasciato volontariamente il proprio impiego, malgrado due terzi fossero assunti a tempo indeterminato. Un dato che racconta di insoddisfazione, precarietà psicologica e mancato riconoscimento del valore professionale.

Le competenze più carenti? Quelle legate alle discipline STEM — scienza, tecnologia, ingegneria e matematica — oggi imprescindibili in un mercato del lavoro sempre più digitalizzato e interconnesso. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) stima che a livello globale oltre 1,3 miliardi di lavoratori non possiedano le skill richieste dal mercato contemporaneo, con un impatto economico annuo stimato in circa 8.000 miliardi di dollari. In Italia, il disallineamento coinvolge circa 10 milioni di lavoratori: il 35% dei candidati risulta sotto o sovra qualificato rispetto alle posizioni disponibili.

Ma non si tratta solo di competenze. È il modello stesso di lavoro che appare in crisi. Il fenomeno del “quiet quitting” — l’abbandono silenzioso, emotivo e motivazionale del posto di lavoro prima delle dimissioni formali — si sta diffondendo anche in Italia, sintomo di un malessere diffuso e di un rapporto deteriorato tra lavoratori e imprese.

Le aziende, nel frattempo, provano ad adattarsi. Secondo l’Osservatorio, rispetto al 2020 le offerte di lavoro online sono aumentate dell’80%, mentre quelle che prevedono flessibilità oraria sono cresciute del 2400%. Un segnale chiaro: oggi non basta più offrire un impiego, serve ascoltare, costruire ambienti inclusivi, investire in welfare e formazione continua, e soprattutto dare un senso condiviso all’esperienza lavorativa.

In uno scenario che cambia rapidamente, la logistica diventa un indicatore privilegiato delle trasformazioni in atto: un settore centrale per l’economia, ma incapace, oggi, di attrarre e trattenere i talenti di cui ha bisogno. E se il sistema non riuscirà a colmare presto questo gap, il rischio è che a rallentare non siano solo i trasporti, ma l’intero motore produttivo del Paese.


LEGGI ANCHE

malware agenzia entrate

Attenzione al malware dell’Agenzia delle Entrate

È stata scoperta un’altra campagna malware contro le aziende italiane. Una società americana che lavora nel campo della sicurezza informatica ha scoperto che il gruppo…

Il nuovo Governo vuole modificare il reato di Abuso d’Ufficio

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, lo scorso giovedì, durante l’assemblea nazionale dell’Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani, ha annunciato che il governo vuole modificare i…

Corte di Cassazione

Salerno, il Presidente COA non era eleggibile

Un fulmine a ciel sereno nell’avvocatura di Salerno: Gaetano Paolino, presidente dell’Ordine degli Avvocati, non era candidabile (e di conseguenza non era eleggibile) al Consiglio…

Professionisti malati, ma non per il Fisco: l’Agenzia delle Entrate ignora la legge sulla sospensione

La malattia di un professionista non sempre basta a fermare le scadenze fiscali. È quanto emerso da un caso emblematico segnalato dall’Associazione Nazionale Commercialisti (Anc), che ha riportato l’attenzione su una norma in vigore dal 2021 ma tuttora largamente disapplicata. La legge prevede, infatti, la possibilità di sospendere gli adempimenti tributari in caso di gravi patologie che impediscano l’esercizio dell’attività professionale. Eppure, a distanza di oltre tre anni dalla sua approvazione, è ancora necessario l’intervento delle istituzioni per farla rispettare.

Il caso riguarda una commercialista che, colpita da una grave malattia e ricoverata in terapia intensiva a febbraio, ha inoltrato regolare richiesta all’Agenzia delle Entrate per sospendere gli obblighi fiscali previsti per il 16 febbraio. La risposta, tuttavia, è stata negativa: le è stato consigliato di ricorrere al “ravvedimento operoso”, ovvero di sanare la propria posizione versando le somme dovute con una piccola sanzione. Un’opzione inaccettabile, considerate le circostanze straordinarie.

A raccontare l’episodio è Marco Cuchel, presidente dell’Anc: «La collega aveva presentato tutta la documentazione prevista dalla normativa vigente. Ma l’Agenzia non ha riconosciuto il suo diritto alla sospensione. È stato un episodio che ha suscitato molta indignazione, anche sui social». Cuchel ha deciso allora di intervenire personalmente, portando il caso all’attenzione del sottosegretario all’Economia, Maurizio Leo, e del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Vincenzo Carbone.

Il riscontro non si è fatto attendere: in meno di un mese, l’Agenzia ha comunicato ufficialmente di aver accolto la posizione della professionista. Qualora dovessero arrivare in futuro delle contestazioni, sarà possibile presentare istanza di annullamento, che — assicura l’Agenzia — verrà accolta senza riserve.

«Ringraziamo il sottosegretario Leo e il direttore Carbone per la sensibilità dimostrata», commenta Cuchel. «Ma resta il problema di fondo: il diritto alla sospensione è tutelato solo quando intervengono i sindacati o le autorità politiche. Questo non può bastare».

L’episodio solleva interrogativi non solo sull’effettiva applicazione della norma, ma anche sulla sua conoscibilità e sulla preparazione dell’apparato amministrativo. Tre, secondo Cuchel, i principali limiti da affrontare: «Innanzitutto, la norma è poco conosciuta tra i professionisti, anche perché è mancata una campagna informativa adeguata. Poi c’è la Pubblica amministrazione, che in molti casi ignora il dettato legislativo. Infine, il perimetro della tutela è troppo ristretto: riguarda solo gli adempimenti tributari, escludendo scadenze di altro tipo altrettanto rilevanti».

Il caso, risolto solo grazie a un intervento diretto ai vertici, dimostra come anche diritti formalmente acquisiti restino, nella pratica, spesso soggetti all’arbitrio o alla disattenzione dell’apparato burocratico. Per i professionisti, il messaggio è chiaro: la tutela c’è, ma va rivendicata con forza.


LEGGI ANCHE

La truffa su WhatsApp: la ballerina e il falso sondaggio, l’ultimo inganno digitale

Dopo il “falso curriculum”, arriva una nuova truffa che sfrutta la fiducia tra amici per sottrarre dati e compromettere account

donne giovani avvocati

Boom di donne tra i giovani avvocati: ma non diminuisce il gender gap

Secondo i dati dell’Associazione italiana avvocati d’impresa, le donne hanno superato gli uomini tra i giovani avvocati. Permangono, tuttavia, alcune problematiche.   Dichiara Antonello Martinez,…

A che punto siamo con tutte le riforme che riguardano la professione forense?

A che punto siamo con tutte le riforme che riguardano la professione forense?

Il COVID ha certamente scombinato molti piani e nonostante la (ormai) conclusa fase di riapertura abbia dato una nuova spinta alle riforme, l’incertezza data dall’aumento…

Separazione delle carriere, Nordio confessa il cambio di rotta: «Nel ’94 ero contrario alla separazione delle carriere, poi capii che serviva»

A trent’anni di distanza, Carlo Nordio torna su un tema che segna da sempre il dibattito sulla riforma della giustizia: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Lo fa con una dichiarazione che sorprende solo chi non ha seguito la sua evoluzione di pensiero: «Nel 1994 ero contrario alla separazione delle carriere, poi cambiai idea», ha dichiarato il Guardasigilli in un’intervista all’ANSA, spiegando le ragioni di una presa di coscienza maturata poco dopo quell’anno.

A riaccendere i riflettori su quella fase della sua carriera è stato un documento pubblicato sui canali social dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm): una lettera datata 3 maggio 1994 e firmata da diversi magistrati della Procura della Repubblica di Venezia, tra cui proprio Nordio, allora in servizio nella città lagunare. Nella missiva, i firmatari ribadivano la loro adesione alla posizione dell’Anm, nettamente contraria alla divisione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti.

«All’epoca — spiega oggi il ministro — auspicavo che la magistratura restasse unita, in un contesto segnato dalle stragi mafiose e da Tangentopoli. Ma poi accadde un fatto che mi segnò profondamente: il suicidio di un indagato coinvolto in un’inchiesta che conducevo a Venezia. Capì che stavamo andando oltre, che c’era bisogno di un riequilibrio tra le parti nel processo. E così nel 1995 cambiai posizione. Lo raccontarono anche i giornali, titolando sulla mia nuova visione».

Non fu, sottolinea Nordio, un ripensamento isolato. «Non sono stato certo l’unico, né tra i magistrati, né tra i politici, né tra i giornalisti, a rivedere le proprie idee. Nel 1997 fui convocato dai probiviri dell’Anm per rendere conto di quella mia posizione, che ribadii senza esitazione».

Il caso riporta sotto i riflettori il nodo irrisolto della separazione delle carriere, tema cardine della riforma Nordio, attualmente all’esame del Parlamento. Se da un lato il documento del ’94 dimostra quanto fosse diffusa l’opposizione alla riforma all’interno della magistratura, dall’altro la vicenda personale del ministro testimonia la possibilità, e forse la necessità, di riconsiderare certe posizioni alla luce dell’esperienza e dei mutamenti del contesto giuridico e sociale.

Il dibattito è destinato a riaccendersi, ma intanto il ministro ha scelto la strada della trasparenza, raccontando con onestà il proprio percorso intellettuale. Un cambiamento non frutto di calcolo, ma di un’esperienza drammatica che, nelle sue parole, «insegnò i limiti di un sistema senza contrappesi».


LEGGI ANCHE

pec aruba

La PEC è sempre più importante

Gli italiani sono soddisfatti della PEC. Circa 4 milioni di persone hanno già effettuato il riconoscimento dell’identità, ovvero il primo passo per essere conformi allo…

Il giudice può rivalutare il compenso richiesto da un avvocato

Il giudice può rivalutare il compenso richiesto da un avvocato

Il compenso di avvocato può essere rivisto dal giudice? Sì. IL CASO Un avvocato procede per vie legali al fine di ottenere il pagamento del…

Corte d’Appello di Napoli, un protocollo per la creazione di un Osservatorio contro la violenza di genere e domestica

Un’iniziativa per rafforzare la rete di protezione e supporto per le donne e i minori, attraverso un sistema di coordinamento tra istituzioni e servizi territoriali.

Garante, il datore di lavoro non può usare i messaggi social privati contro i dipendenti

Un messaggio in una chat privata può costare caro a un dipendente. Ma può anche costare caro all’azienda, se utilizzato in violazione delle garanzie previste dalla normativa sulla protezione dei dati personali. Lo conferma un recente provvedimento del Garante Privacy del 21 maggio 2025, con cui è stata sanzionata una società autostradale per trattamento illecito di dati personali tratti da messaggi e contenuti scritti da un dipendente su Facebook, WhatsApp e Telegram.

Il caso è destinato a fare giurisprudenza, perché entra nel cuore del rapporto tra diritto disciplinare del datore di lavoro e diritto alla riservatezza del lavoratore. La società, destinataria della sanzione, aveva infatti acquisito i messaggi attraverso una collega del dipendente coinvolto, che li aveva ricevuti direttamente o era inclusa nella lista degli “amici” su Facebook. I contenuti, ritenuti lesivi dell’immagine aziendale, erano stati considerati rilevanti ai fini disciplinari.

La difesa della società faceva leva su un precedente – provvedimento n. 202 del 20 aprile 2017 – in cui lo stesso Garante aveva ritenuto legittimo l’uso di contenuti simili a fini disciplinari. Quella decisione era stata confermata sia in sede giudiziaria che dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15161/2021, rafforzando la convinzione che l’impiego di dati ottenuti per vie informali non costituisse necessariamente una violazione del GDPR.

Tuttavia, nel provvedimento più recente, l’Autorità cambia rotta. Stabilisce infatti che i messaggi scritti in ambiti privati, come le conversazioni via WhatsApp, devono considerarsi coperti da un’aspettativa legittima di riservatezza, indipendentemente dalla modalità con cui giungono nelle mani del datore di lavoro. In questi casi, l’uso dei contenuti è illecito, perché viola la sfera privata del dipendente e non può essere giustificato da esigenze disciplinari.

La nuova impostazione è in linea con le più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, che già con l’ordinanza n. 5334/2025 aveva affermato l’inutilizzabilità, a fini disciplinari, di frasi estrapolate da chat private, anche se acquisite per vie fortuite.

Il nodo dei post pubblici: dove finisce la privacy?

La questione, tuttavia, si complica quando si passa dai messaggi privati ai contenuti pubblicati sui social network. In questo ambito, l’articolazione del diritto alla riservatezza è meno netta. Secondo alcuni orientamenti, un post pubblico o visibile a una cerchia ampia di utenti non può godere delle stesse tutele garantite alla corrispondenza privata, che per definizione presuppone una comunicazione destinata a un numero ristretto di destinatari.

Anche secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, il concetto di “corrispondenza” si applica solo a comunicazioni private e segrete, come lettere, email o messaggi diretti. Un post pubblicato su Facebook o su altre piattaforme social, per quanto limitato agli “amici”, rimane comunque un contenuto potenzialmente condivisibile, accessibile e commentabile, e dunque meno protetto.

Ne consegue che il datore di lavoro, se riceve per vie informali uno screenshot o una segnalazione di contenuti pubblici rilevanti, può in certi casi utilizzarli nell’ambito dei propri poteri disciplinari, purché lo faccia nel rispetto del principio di proporzionalità e finalità, e senza sconfinare nella sorveglianza.

Il principio da bilanciare: tutela del lavoratore e potere disciplinare

Il provvedimento del Garante rappresenta quindi un punto di svolta nell’interpretazione dei limiti al trattamento dei dati personali in ambito lavorativo, ma non chiude del tutto il dibattito. Se da un lato rafforza la tutela dei lavoratori rispetto all’uso improprio dei contenuti privati, dall’altro apre a nuove riflessioni sul confine tra vita privata e visibilità digitale.

Per le aziende, il messaggio è chiaro: nessun trattamento può prescindere dalla base giuridica e dal rispetto della riservatezza, soprattutto se riguarda informazioni raccolte al di fuori dell’ambiente di lavoro. Allo stesso tempo, anche i dipendenti sono chiamati a una maggiore consapevolezza: scrivere su un social network non equivale a scrivere in privato, e i contenuti pubblicati, se lesivi, possono comunque avere conseguenze sul rapporto professionale.


LEGGI ANCHE

Nuovo Regolamento Assistenza di Cassa Forense

Dal 1° gennaio 2024 è in vigore il Nuovo Regolamento per l’erogazione dell’Assistenza. Tale regolamento verrà applicato a qualsiasi domanda presentata successivamente al 1° gennaio…

Iva non versata: nessun reato se il cliente non paga le fatture

Non è più considerato reato il mancato versamento dell'Iva se il manager non ha incassato le fatture a causa dell'inadempienza del cliente.

Tagli ai controlli e meno responsabilità: la riforma della Corte dei conti fa discutere

I giudici contabili denunciano: "Uno scudo per i politici". Le opposizioni parlano di via libera agli sprechi.

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto