Convivenza prematrimoniale: per la Cassazione conta per l’assegno di divorzio

Nella decisione sul diritto all’assegno di divorzio, il giudice dovrà tenere in considerazione anche della convivenza precedente al matrimonio.

Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la stessa identica valenza del matrimonio al tempo trascorso come coppia di fatto. Si tratta di una decisione storica, che strizza l’occhio ai cambiamenti culturali, ignorati completamente dalla legge n. 898 del 1970.

Per i giudici «la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali».

La Suprema Corte ha invitato a considerare i casi in cui prima del matrimonio ci sia stata una convivenza, «avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase “di fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica”».

Nella decisione relativa al diritto e all’entità dell’assegno, il giudice dovrà procedere con la verifica del contributo dato a chi lo richiede «alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi».

Si deve valutare l’esistenza, nel corso della convivenza prematrimoniale, delle «scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».

Dunque, la giurisprudenza si fa carico dell’evoluzione dei costumi sociali, adeguandosi alla nuova interpretazione di «famiglia, un concetto caratterizzato da una commistione intrinseca di fatto e diritto».

Dunque, ad oggi, non si può ignorare la convivenza prematrimoniale, soprattutto se protratta nel tempo, con la nascita di un figlio e con il «consolidamento» dei ruoli domestici, possibile causa di «scompensi» che si proiettano sul matrimonio e sul divorzio.

Leggiamo nella sentenza: «Non si tratta, quindi, di introdurre una, non consentita “anticipazione” dell’insorgenza dei fatti costitutivi dell’assegno divorzile, in quanto essi si collocano soltanto dopo il matrimonio, che rappresenta, per l’appunto, il fatto generatore dell’assegno divorzile, ma di consentire che il giudice, nella verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno al coniuge economicamente più debole, nell’ambito della solidarietà post coniugale, tenga conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale, quando emerga una relazione di continuità tra la fase “di fatto” di quella medesima unione, nella quale proprio quelle scelta siano state fatte, e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale».

I sacrifici reddituali e professionali «non dipendono dall’esistenza tra le parti di un vincolo matrimoniale, ma dalla configurabilità di una vita familiare, tutelata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo».


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Pensione Avvocato: cosa cambia dal 2024

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Dal 2024 verranno introdotte alcune novità relative alla pensione degli avvocati, che si basano sulla riforma del sistema di previdenza forense.

Con la riforma della previdenza forense è stato rivisto il sistema pensionistico dell’Avvocatura. In particolar modo, si prevede il passaggio dal calcolo retributivo al calcolo contributivo. Presenti anche alcune modifiche importanti che aumentano l’incentivazione per l’iscrizione dei neoiscritti, che potranno versare una quota molto inferiore.

Si prevede, inoltre, la possibilità di scelta per tutti i praticanti di iscriversi o meno a Cassa Forense. L’iscrizione alla Cassa sarà obbligatoria soltanto nel momento di iscrizione all’Albo.

Cassa Forense adempie a due obiettivi differenti, ovvero alla previdenza (l’erogazione della pensione) e alla protezione (incentivi per affrontare eventi gravi quali premorienza o invalidità). Dunque, la Cassa assicura ad ogni iscritto mezzi adeguati per affrontare tutte le esigenze.

Per accedere alla pensione di vecchiaia si dovranno rispettare alcuni requisiti:

  • la pensione di vecchiaia è prevista a 70 anni d’età e con 35 anni di contributi;
  • la pensione anticipata è prevista tra i 65/70 anni d’età e con 35 anni di contributi;
  • la pensione di vecchiaia contributiva è prevista a 70 anni d’età e con 5 anni di contributi;
  • la pensione di anzianità è prevista a 62 anni e con 40 anni di contributi.

Dal 2024, le pensioni di vecchiaia, anticipata e anzianità verranno riunite nella pensione di vecchiaia, e ci saranno anche dei requisiti d’accesso differenti. Saranno sufficienti 20 anni di anzianità e un calcolo completamente contributivo.

Per i nuovi iscritti, alla quota versata verrà aggiunto un nuovo punto percentuale, in veste di contributo integrativo. In caso di maternità, paternità e adozione, calcolando la nascita oppure l’adozione dei figli, verrà aumentato un anno rispetto all’età anagrafica, aumentando la pensione di vecchiaia per tutti gli iscritti con sistema contributivo.


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Secondo l’articolo 98 della Costituzione, i dipendenti pubblici sono al servizio esclusivo della Nazione. Questo è quanto stabilito nei giorni scorsi dalla Corte di Cassazione, con l’ord. n. 31776: un dipendente pubblico non può assolutamente essere a “metà” servizio della Nazione.

La Suprema Corte, infatti, ha confermato un orientamento orientato costituzionalmente quanto ineccepibile normativamente. L’incompatibilità a livello forense dovrà essere interpretata con estrema intransigenza, consentendo l’indipendente e l’autonomo svolgimento del mandato professionale nell’interesse pubblico.

Tale principio non può essere in alcun modo violato da leggi finanziarie o di stabilità o da fonti di livello secondario o subordinato. La legge forense, secondo la Consulta è stata ritenuta “straordinaria”, in quanto dedita alla regolazione della difesa dei diritti inviolabili dell’uomo.

Con la legge n. 662/1996 si rimosse l’incompatibilità tra i dipendenti pubblici part-time e le professioni intellettuali, senza fare affidamento alle norme costituzionali. Il dipendente pubblico diviene infatti al pieno servizio della Nazione, e assumerà doveri di terzietà e imparzialità.

Per quanto riguarda la professione forense, invece, è stata trascurata l’assoluta incompatibilità con tutti gli impieghi pubblici retribuiti, a prescindere dall’orario, ad eccezione degli avvocati dipendenti pubblici, assegnati esclusivamente e stabilmente ad un ufficio legale indipendente ed autonomo dalle altre strutture dell’Ente.

L’attività del dipendente pubblico, d’altra parte, è contraddistinta da alcuni obblighi e da determinate facoltà che vanno ad identificare un particolare status di lavoratore subordinato, con un obbligo di fedeltà alla PA.

Dunque, il rapporto di servizio è basato «sul dovere d’ufficio di perseguire e proteggere l’interesse pubblico primario affidato alla cura dell’amministrazione stessa, in base al principio di legalità dell’azione amministrativa».

In questo contesto pesano, sul dipendente pubblico, obblighi specifici in base ai principi di imparzialità e di buon andamento della PA, come l’obbligo di fedeltà esclusiva alla Nazione.

Lo scorso 15 novembre la Corte di Cassazione ha ricordato che non è necessaria una prova della derivazione di un «disservizio, danno o pericolo», relativo alla violazione da parte del dipendente, poiché il rischio è intrinseco nell’opzione legislativa della valutazione pericolosa della «commistione» riguardante la professione forense.


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Nordio, stretta sulla intercettazioni: ddl entro febbraio

Ai Act: nuove sfide per gli avvocati

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Carlo Nordio, durante la festa di Fratelli d’Italia ha affermato che la riforma della separazione delle carriere dei giudici e dei pm «non è stata insabbiata». Oltre a questo ha annunciato anche una stretta sul sequestro di pc e telefoni degli indagati.

Ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, si è molto parlato di giustizia e di scontro tra politica e toghe, ritornato in voga negli ultimi tempi.

Il Guardasigilli Nordio, durante un’intervista ad Adnkronos, ha garantito come il governo rispetterà completamente il programma previsto dalle riforme, come la separazione delle carriere, che richiede una modifica della Costituzione. Dichiara: «La riforma del premierato ha la priorità, ma quella giustizia non verrà insabbiata, arriverà subito dopo».

Un altro tema importante è quello delle intercettazioni. In particolar modo, si parla di una stretta sul sequestro di pc e di cellulari degli indagati da parte dei pm. «Sequestrare un telefonino è sequestrare una vita, in quanto ormai è pieno di atti riservati, anche se per fortuna la Consulta ha fatto piazza pulita sulla corrispondenza».

Entro il prossimo febbraio entrerà in vigore un nuovo disegno di legge sulle intercettazioni, che seguirà le proposte avanzate dalla Commissione giustizia del Senato. Il pm, con le nuove regole, dovrà motivare la richiesta di sequestro, per poterla circoscrivere nel tempo.

Inoltre, l’indagato potrà realizzare anche una copia dei dati che si trovano sul cellulare, al fine di verificare se ci sono state manomissioni. Per Nordio questa sarà «una rivoluzione copernicana».


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Ai Act: nuove sfide per gli avvocati

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Il nuovo regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale apre la strada a nuovi scenari giuridici ed economici. Di certo l’Europa ha fatto una scelta importantissima, che inciderà molto sulle nostre vite.

Per Lucilla Gatt, direttrice del Research Centre of European Private Law e docente di diritto privato e diritto delle nuove tecnologie, «questa volta non sono solo parole ma anche fatti: con l’AI Act l’Unione Europea diventa il riferimento non tanto e non solo di una regolamentazione generale di una delle tecnologie più disruptive della storia dell’umanità ma, più incisivamente, si impone, come spazio territoriale e ordinamentale dove, entro breve tempo, si dovranno sviluppare strumenti per classificare le AI in base al livello di rischio di danno sull’essere umano e sull’ambiente, nonché strumenti che ne misurino l’impatto sui diritti fondamentali, mentre per altre sarà necessario dimostrare volta per volta che l’immissione sul mercato è comunque compatibile con il rispetto di questi diritti».

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A Bruxelles, per Gatt, è stata fatta una «scelta etica chiara, nel senso di una prevalenza della dimensione dell’interesse pubblico su quell’interesse privato». Di certo, il mondo dell’avvocatura si ritaglierà un ruolo da protagonista.

«Cambia la prospettiva della tutela dell’essere umano e dell’ambiente di fronte allo sviluppo tecnologico. L’approccio è quello di una tutela ex ante, che si concretizza in processi di misurazione del livello di rischio e di certificazione della compliance ai diritti fondamentali sul modello del GDPR», prosegue.

Gli avvocati «saranno chiamati a contribuire alla creazione di questi strumenti di misurazione del rischio e della compliance ai fundamental rights, nonché a rivedere le categorie civilistiche di quantificazione del danno derivante da un prodotto dotato di AI, dando il giusto peso all’inosservanza totale o parziale di questi obblighi preliminari di misurazione. È un mondo nuovo quello che si apre agli avvocati, abituati a ragionare in termini di risarcimento ex post. E, inoltre, nell’era degli standard e degli indici di misurazione gli avvocati dovranno sempre più ricorrere a programmi di quantificazione automatica del danno».

In ambito giuridico, le applicazioni dotate di intelligenza artificiale «vengono classificate nell’AI Act come ad alto rischio di impatto dannoso sull’essere umano e saranno, dunque, tra le prime a dover essere sottoposte ad una valutazione di conformità ai diritti fondamentali. Allo stato, dunque, lo sviluppo alquanto scomposto dell’AI in ambito forense e giudiziario dovrebbe andare incontro ad un momento di pausa o, meglio, ad una fase di adeguamento alla nuova regolamentazione europea».

Secondo la docente di Scienza politica e riti della legalità nell’era digitale Daniela Piana, l’intelligenza artificiale «rappresenta oggi e per il futuro un orizzonte, un ambito di scoperta e l’origine di molte sfide alle garanzie così come le abbiamo pensate ad attuate sino ad oggi. Gli sviluppi recenti che si sono prospettati a livello internazionale, prima ancora che europeo, ci hanno obbligato a riflettere su quale sia l’asticella al di sotto della quale non siamo disposti ad andare rischiando di sacrificare la tutela della persona al raggiungimento di obiettivi connessi all’efficienza, all’innovazione e al profitto».

Per gli avvocati si pongono delle nuove questioni per quanto concerne l’utilizzo dell’IA. Dichiara Piana: «L’avvocatura è depositaria di una cultura della garanzia nella giurisdizione di una dinamica dialettica. Deve però essere costruito un percorso di consapevolezza in merito alla professionalità forense e su come un algoritmo potrà intervenire e cosa attiene alla cruciale “riserva di umanità”, ossia l’esercizio dell’autonomo giudizio dal quale dipende la legittimazione stessa del rendere giustizia».

La giustizia non è un calcolo, poiché «dipende dall’autonomo e critico esercizio del ragionamento umano, avente una intrinseca dimensione istituzionale che bypassa quella soggettiva individuale. Un ragionamento che si basa sul dubbio, una delle forme dell’intelligenza professionale, deontologica ed istituzionale di cui l’avvocatura è voce nella giurisdizione».

Conclude: «Dobbiamo costruire una cultura che mette le proprie radici nella deontologia, nella conoscenza e nella professionalità. Senza dimenticare la condivisione di certificazioni di strumenti di cui l’avvocatura si può avvalere e di cui è in grado di darne conto».


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Augusto Barbera, 85 anni e professore emerito di diritto all’Università di Bologna, è stato eletto presidente della Corte Costituzionale.

Rispondendo ad una domanda circa la parità di genere, il neo Presidente dichiara: «Per quanto riguarda la questione femminile posso scatenarmi, nel senso che la Corte costituzionale non solo ha le carte in regola ma è andata avanti».

«Tanto è stato fatto anche con le sentenze», prosegue. La Corte, nel 1962 ha «aperto l’accesso alla magistratura e agli altri impieghi pubblici al genere femminile», mentre con la sentenza del 1968 «è intervenuta sul reato di adulterio, che era condannato per le donne ma non per gli uomini».

Nel 1975 arriva la decisione sull’interruzione volontaria di gravidanza che «ha aperto la strada alla legge 194». Recentemente, nel 2022, è arrivata la decisione sul doppio cognome e quest’anno «quella sulla procreazione medicalmente assistita che ha affermato l’irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione».

In ogni caso, per il Presidente il traguardo non è ancora stato raggiunto. «Non è invece ancora stato attuato l’invito della Corte a tenere conto dei diritti del nato anche se frutto di una relazione penalmente non consentita, mi riferisco ad esempio alla gestazione per altri. Lì c’è un problema aperto, una ferita ancora aperta nell’ordinamento italiano che spetta poi al Parlamento chiudere».

Per quanto riguarda l’istituzione del matrimonio, secondo Barbera «la norma è stata sottoposta ad una lettura che è più avanzata, che tiene conto di ciò che è accaduto nella società in questi ultimi decenni». Sottolinea, comunque, che la «rilettura di una norma costituzionale» dev’essere «fatta non in maniera sola e isolata» in quanto appartenente «alla capacità della società, dei giudici, della Corte Costituzionale».

Infatti, «nessun giudice può muoversi da solo, neanche la Corte costituzionale e nessuna maggioranza politica può prescindere dai giudici, cioè si tratta di rinnovare il testo costituzionale leggerlo in un “contesto”, per rinnovare l’ordinamento costituzionale nel suo complesso».

Il codice civile, fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975 stabiliva che «il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza».

Nel nuovo testo, invece, (art. 144 del codice civile), «i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa».


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Fino al 2014 due terzi delle persone laureate in giurisprudenza abbracciavano la libera professione. Tuttavia, per quanto riguarda gli ultimi dati disponibili, risalenti al 2022, soltanto poco più di un terzo decide di impostare la carriera professionale in uno studio legale.

Non siamo di fronte ad un calo delle vocazioni, ma di una reale fuga dalla professione. Se guardiamo ai dati che sono stati pubblicati dall’VIII Rapporto sulle professioni in Italia, presentato da Confprofessioni lo scorso novembre al Cnel, il declino del mondo dell’avvocatura sembra essere un vero segnale d’allarme.

Il numero di persone laureate in giurisprudenza nel 2014 ammontava al 66%, scendendo al 50,1% nel 2018 e arrivando al 36,1% nel 2022.

Spiega Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni: «La forte domanda di lavoro dipendente altamente qualificato accresce la concorrenza interna al mercato del lavoro, sottraendo risorse alla libera professione e in particolare all’avvocatura».

Si tratta di un fenomeno sicuramente «aggravato dagli squilibri demografici e dal profondo divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord. Sotto questo profilo vanno anche considerate le crescenti difficoltà che i professionisti singoli incontrano nell’affermarsi come soggetti competitivi in un sistema economico che si trasforma e si evolve con estrema rapidità e che richiede dunque continui investimenti in tecnologie, network e conoscenza: investimenti che difficilmente sono alla portata di un giovane neolaureato che si affaccia sul mercato del lavoro».

La fuga dei giovani laureati si riflette anche sul numero degli iscritti a Cassa Forense, che è calato del 2% tra il 2020 e il 2022. Tuttavia, si registra anche una ripresa dei redditi, che nel 2020 ammontavano al 40.180 euro mentre nel 2022 a 42.386 euro, registrando una progressione del 5,5%.

Tuttavia, non accenna a calare il gender pay gap. Anche se ci sono sempre più donne togate, la disparità a livello reddituale rimane un grande problema tutto da risolvere: nel 2021 le donne guadagnavano 27.357 euro in meno rispetto agli uomini, e nel 2022 il gap è arrivato a 30mila euro.

Osserva Stella: «L’aumento dei datori di lavoro professionisti è un chiaro sintomo della necessità di accelerare i processi di aggregazione, anche tra discipline diverse, per favorire la crescita dimensionale degli studi professionali e sostenere la loro competitività sul mercato nazionale e internazionale. L’insieme di questi fattori ci spinge a sottolineare l’esigenza di un intervento della politica per rendere più attrattivo e competitivo il nostro settore. E i segnali che arrivano in questa direzione dalle forze di governo e dalle opposizioni ci lasciano ben sperare».


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Sai come riconoscere una fake news?

Novità sulle notifiche degli atti tributari via PEC

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La disinformazione si trova ovunque: tra fake news, falsificazioni, mezze verità, propaganda, bugie e deepfake, in rete non si è mai al sicuro.

In che modo possiamo distinguere la realtà dalle bugie? Non esiste una bacchetta magica per capirlo, e forse, nel futuro, l’intelligenza artificiale potrebbe aiutarci. Per il momento, tuttavia, dobbiamo fare affidamento alla nostra intelligenza.

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Fondamentale, come prima cosa, la conoscenza delle fonti: alcune, infatti, sono più affidabili rispetto ad altre. È giusto essere scettici di fronte ad un post di uno sconosciuto su Facebook rispetto ad una notizia condivisa dal Corriere della Sera (o da Servicematica!).

Se un’informazione è reale sarà verificata e supportata da più persone o enti. State guardando il video di un evento? Cercate in rete le registrazioni che sono state fatte da altre persone, anche da angolazioni differenti.

È utile anche verificare la storia: i social media, in questo caso, ci aiutano moltissimo. Il post più recente risulta in linea con quello che è stato pubblicato precedentemente? Quanti followers ha la fonte, e in che modo interagisce con loro?

Un altro punto importante è il controllo del contesto. Fare affidamento soltanto ai social non basta, bisogna esaminare anche qual è il contesto che ruota attorno a tali contenuti.

Per esempio, se state visionando un contenuto inerente ad una manifestazione, cercate altri filmati online e chiediamoci se i contenuti corrispondono esattamente al luogo in cui sostengono di essere stati registrati.

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Lo scopo di una fake news è quello di diffondersi in più velocemente possibile. Quanto più scandaloso, scioccante e provocatorio sarà il contenuto, tanto più sarà possibile che si diffonda rapidamente.

Quindi attenzione ai contenuti che sembrano essere stati appositamente creati con lo scopo di divenire virali, e non per informare.

In ogni caso, ad oggi esistono vari servizi dedicati appositamente alle segnalazioni delle fake news, come il sito web Snopes. È possibile utilizzare anche FactCheck.org, che esamina le affermazioni di organizzazioni e governi e spiega quanto c’è di vero e quanto c’è di falso.


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Il panorama legislativo che riguarda la notificazione via PEC degli atti tributari potrebbe essere soggetto a modifica con la nuova bozza del decreto legislativo sul procedimento accertativo.

In Italia la riscossione delle entrate tributarie è regimentata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 660 del 29/09/1973, contenente le disposizioni per l’accertamento delle imposte sui redditi.

Successivamente, con l’art. 3-bis della legge n.53/1994, è stata regolamentata la notifica telematica per quanto riguarda gli avvisi di riscossione, attraverso la PEC all’indirizzo presente nei registri pubblici.

Si tratta di una pratica che non rispetta soltanto la normativa generale, ma anche la normativa regolamentare sulla firma, sulla trasmissione e sulla ricezione dei documenti digitali.

Nel decreto legislativo 179/2012, inoltre, viene specificato che, per quanto riguarda la comunicazione e la notificazione degli atti in materia penale, civile, contabile, amministrativa e stragiudiziale, i pubblici elenchi sono IPA, REGINDE e INI-PEC.

Nella nuova proposta di regolamentazione, tutti i provvedimenti, atti, comunicazioni e avvisi, anche quelli che per legge dovrebbero essere notificati, potranno essere inviati dall’ufficio competente tramite PEC.

Nel caso in cui il destinatario sia una PA oppure un gestore di servizi pubblici, la notifica dovrà avvenire al domicilio che risulta nell’IPA; se il destinatario è un’impresa individuale o in forma societaria, professionisti e altri enti, allora la notifica potrà essere effettuata ai domicili digitali presenti nell’INI-PEC.

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Nel caso in cui il domicilio digitale sia saturo, la notifica non potrà essere consegnata con successo.

Per questo motivo, l’ufficio concederà al destinatario un periodo di 7 giorni per procedere con la liberazione dello spazio nella sua PEC. Successivamente si tenterà di consegnare nuovamente la notifica.

Se anche in questo caso la PEC risulta nuovamente satura, oppure se il domicilio digitale non risulta attivo o valido, verranno applicate le tradizionali norme di notifica, sia degli avvisi che degli atti che per legge dovranno essere notificati al contribuente.

Invece, nel caso di imprese, società, professionisti ed enti, la notificazione avverrà attraverso il deposito telematico nell’atto nell’area riservata del sito di InfoCamere Sepa, con la pubblicazione dell’avviso per i 15 giorni successivi.


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Si sa: le festività di fine anno sono un’ottima opportunità per i criminali informatici interessati alla raccolta dei dati degli utenti, che ne approfittano della loro distrazione.

Per questo motivo il Garante per la protezione dei dati personali ha deciso di condividere alcuni consigli utili per poter evitare regali poco graditi e per proteggere le informazioni personali.

Le cartoline d’auguri, ormai, non esistono più, poiché ora si utilizza la versione digitale. Tuttavia, in alcuni casi potrebbero contenere dei link che conducono a phishing o malware. Dunque, non clicchiamo mai su un link nel caso in cui il mittente è sconosciuto, mentre nel caso in cui il mittente è conosciuto, chiediamo di cosa si tratta.

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È sempre necessario il consenso delle persone nel caso in cui si vogliano condividere foto o video online, soprattutto se ci sono i loro nomi. Il Garante, inoltre, consiglia di non pubblicare video o immagini che ritraggono minorenni: al massimo, limitiamo la visibilità agli amici più stretti, oppure nascondiamo i loro volti.

Nel periodo natalizio è probabile che si possano ricevere dei pacchi indesiderati: gli utenti dovranno prestare molta attenzione alle offerte che sembrano eccessivamente allettanti presenti su siti poco affidabili. Solitamente si parla di truffe finalizzate al furto di dati personali e di pagamento. Infatti, per gli acquisti online, meglio utilizzare una prepagata.

Un altro consiglio del Garante è quello di non scrivere sui social media dove si passeranno le vacanze di Natale: potrebbero essere informazioni importantissime per chi desidera svaligiare le abitazioni.

Attenzione anche alle connessioni WiFi gratuite pubbliche: meglio sempre verificare in precedenza gli standard di sicurezza.


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