Giustizia in tilt: l’app del processo telematico non funziona in 87 tribunali

L’app del processo telematico presenta gravi problemi in 87 Tribunali italiani, compresi quelli di Napoli, Roma, Milano e Bologna. La situazione è emersa da una delibera del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), che evidenzia come, già prima della comunicazione ufficiale della Dgsia (Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati), diversi presidenti di Tribunale avevano attestato i malfunzionamenti e autorizzato l’uso di strumenti analogici.

“In molti casi – si legge nella delibera – è stato necessario consentire che atti e documenti fossero redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche, per evitare la paralisi delle attività giudiziarie.”

La ricognizione, ancora incompleta, ha permesso di accertare che “diversi presidenti di Tribunale hanno emanato provvedimenti per gestire l’emergenza, prevedendo in alcuni casi un doppio binario analogico/telematico.”


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Nordio all’attacco: “Super poliziotti senza controllo, processi telematici efficienti entro l’anno”

Roma – Il ministro della Giustizia Carlo Nordio non usa mezzi termini nella sua relazione annuale al Senato, accendendo il dibattito politico e giudiziario. “Oggi i PM non solo dirigono le indagini, ma le creano, senza alcun controllo. È necessario un intervento legislativo per ridimensionare questo potere e garantire maggiore equilibrio,” ha dichiarato il Guardasigilli.

Nordio ha ribadito la necessità di separare le carriere tra magistratura giudicante e requirente, un obiettivo che il ministro si è impegnato a perseguire entro fine anno. Sul tema delle intercettazioni, ha promesso interventi mirati: “Stiamo cambiando le norme per limitarne l’abuso e garantire una maggiore tutela della privacy.”

Il ministro si è poi opposto fermamente a provvedimenti di amnistia o indulto, ritenendoli “un segnale di debolezza dello Stato” e un possibile incentivo alla recidiva. La sua posizione ha suscitato critiche dai banchi dell’opposizione, in particolare dal PD, Italia Viva e Movimento 5 Stelle, che lo accusano di evitare il confronto parlamentare e di sottovalutare il dramma del sovraffollamento carcerario.

Nel 2023 si sono registrati 89 suicidi tra i detenuti e 7 tra gli agenti di polizia penitenziaria. “Le condizioni delle carceri italiane sono indegne,” ha ribattuto Valentina D’Orso, deputata del Movimento 5 Stelle.

Sul fronte delle riforme penali, Nordio ha annunciato che le criticità nei processi telematici saranno risolte entro la fine dell’anno, con il supporto del Consiglio Superiore della Magistratura. Tuttavia, ha sottolineato che “la giustizia italiana soffre di problemi strutturali e di un ritardo accumulato nel tempo, che non si può risolvere con interventi spot.”


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Lavoro trasferito e sostituito dall’IA, l’intelligenza artificiale entra esplicitamente tra le cause di licenziamento

La notizia ha scatenato proteste e preoccupazione. Ieri, sotto gli uffici di Maersk, i sindacati hanno organizzato un presidio, denunciando la decisione dell’azienda di “spostare attività e sostituire parte delle mansioni con l’uso dell’intelligenza artificiale”, come ha spiegato Rinaldo Romagnoli (Filt Cgil). I lavoratori licenziati, tutti tra i 40 e i 50 anni, erano impiegati nel servizio di assistenza clienti.

Sindacati contro il modello di riorganizzazione
Secondo Antonio Vella (Fit Cisl), la modalità di licenziamento adottata da Maersk è particolarmente impattante: “Le famiglie di questi lavoratori sono state colpite senza preavviso significativo. Chiediamo che i dipendenti siano reintegrati e che si eviti di utilizzare simili metodologie in futuro”.

Il gruppo danese, da parte sua, ha precisato che i ruoli interessati non saranno più gestiti dall’Italia e che è stata offerta disponibilità per una conciliazione rispettosa delle leggi. Tuttavia, la decisione sembra ormai definitiva.

Un settore esposto alla tecnologia
La vicenda mette in luce i rischi dell’automazione per il settore delle agenzie marittime e delle spedizioni. “Questa è una delle categorie più vulnerabili alla riorganizzazione tecnologica”, ha sottolineato Enrico Poggi (Filt Cgil). Roberto Gulli (Uiltrasporti) ha aggiunto che le grandi società internazionali, come Maersk, possono ristrutturare il lavoro più facilmente rispetto a industrie locali, creando ulteriore incertezza per i lavoratori.

Prospettive e sfide per il futuro
Secondo Maurizio Calà (Cgil Liguria), il problema non riguarda solo il privato, ma anche la pubblica amministrazione, dove l’arretratezza dei sistemi informatici è cronica. “Dobbiamo discutere misure strutturali che garantiscano un equilibrio: chi adotta l’intelligenza artificiale deve contribuire anche al sistema sociale, come il pagamento delle pensioni”.

D’altra parte, per alcune categorie professionali come avvocati, giudici e notai, l’impatto potrebbe essere meno diretto. Stefano Savi, vicepresidente dell’Ordine degli Avvocati di Genova, spiega: “Il lavoro delle professioni intellettuali implica responsabilità e relazioni umane che l’intelligenza artificiale non può replicare. Ma bisogna monitorare da vicino questi cambiamenti”.


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La Corte di Giustizia dell’UE e la rivoluzione dei titoli di cortesia: una questione di privacy

Il panorama legislativo europeo ha spesso imposto all’Italia la necessità di riforme e modernizzazioni in vari settori, dalla pubblica amministrazione al lavoro, passando per l’ambiente e i servizi. Recentemente, però, una nuova disposizione dell’Unione Europea ha sollevato un dibattito inaspettato: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con la sentenza del 9 gennaio 2025, ha deciso che l’utilizzo degli appellativi di cortesia come “signor” e “signora” da parte delle aziende può risultare in una violazione del principio di “minimizzazione” dei dati sancito dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).

Secondo la decisione della CGUE, le aziende devono limitarsi a raccogliere esclusivamente i dati necessari per la gestione dei servizi richiesti, evitando il trattamento di informazioni superflue. In tal senso, l’uso di titoli di cortesia come “signora” e “signor” sarebbe considerato un’ulteriore raccolta di dati personali non necessari, in quanto non essenziali per l’erogazione di un servizio o prodotto. La Corte ha pertanto disposto che tali appellativi non debbano essere richiesti ai consumatori durante la fruizione dei servizi, come nel caso di acquisto di biglietti online.

Questa decisione solleva interrogativi su una dinamica apparentemente paradossale. Mentre i social media e le piattaforme digitali raccolgono un ampio spettro di informazioni private, inclusi gusti personali, posizione geografica, orientamento sessuale, e persino inclinazioni politiche, l’Europa ora impone alle aziende di evitare il trattamento di dati che possano essere considerati eccessivi o non strettamente necessari. Tale posizione deriva dall’interpretazione rigorosa della privacy come diritto fondamentale.

Il caso che ha portato alla sentenza della CGUE è stato sollevato dall’associazione Mousse, attiva nella difesa dei diritti delle persone LGBT+, che aveva contestato l’uso dei titoli di cortesia “Sig.” e “Sig.ra” da parte di alcune aziende, ritenendoli lesivi della privacy e del diritto all’autodeterminazione dell’identità di genere. La questione era stata inizialmente sollevata dal garante della privacy francese, che tuttavia aveva rimandato la decisione finale alla Corte Europea, nella speranza di un giudizio equilibrato che potesse rispondere alle istanze delle diverse parti coinvolte.

La Corte, nella causa C-394/23, ha esaminato la questione sotto il profilo della minimizzazione dei dati, stabilendo che, sebbene l’utilizzo dei titoli di cortesia non sia tecnicamente indispensabile per la prestazione del servizio, la loro richiesta potrebbe comportare un trattamento dei dati non giustificato. Di conseguenza, le aziende dovranno adeguarsi a questa normativa, evitando di raccogliere informazioni non necessarie, al fine di non esporsi a sanzioni che, secondo il GDPR, possono arrivare fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato annuale.

Questa sentenza implica che, da ora in poi, le aziende che utilizzano titoli di cortesia dovranno rivedere le proprie prassi. Il rischio di incorrere in sanzioni potrebbe portare a una maggiore neutralità nelle comunicazioni, con l’omissione di riferimenti che possano rivelare l’identità di genere degli utenti. Sebbene la misura possa sembrare una forma di “impersonalizzazione” del rapporto con i consumatori, essa si giustifica come una tutela della privacy, una questione di rilevanza crescente nell’era digitale.


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Consulta e Autonomia: Zaia esulta, “La riforma è costituzionale e salverà anche il Sud”

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo sull’autonomia differenziata, dando il via libera alla riforma tanto cara al governatore del Veneto, Luca Zaia. Per il leader leghista, questa decisione conferma la piena costituzionalità della riforma e ne sancisce la centralità per il futuro del Paese.

“Questa sentenza dimostra che l’autonomia non mina l’unità nazionale, ma è uno strumento per migliorare i servizi e ridurre le disuguaglianze”, ha affermato Zaia, che nel suo libro “Autonomia, la rivoluzione necessaria” racconta il percorso della riforma.

Il governatore ha ribadito che l’autonomia non rappresenta una secessione per i ricchi, ma un’opportunità per tutta l’Italia, Sud compreso: “Nord e Sud sono come gemelli siamesi, legati da un destino comune. Dobbiamo eliminare il dualismo e le disuguaglianze che penalizzano entrambe le aree del Paese”.

Zaia ha inoltre sottolineato che l’autonomia porterà lo Stato più vicino ai cittadini, seguendo modelli di successo come Stati Uniti, Germania e Spagna, e ha ringraziato la sinistra per le modifiche al Titolo V della Costituzione che hanno reso possibile questo percorso.

Il governatore ha infine evitato di sbilanciarsi sul tema di un possibile terzo mandato, dichiarando: “Aspettiamo la sentenza sulla Campania. Potrebbe cambiare molte cose”.


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Dl Giustizia: la Camera dà il via libera definitivo

La Camera ha approvato in via definitiva il Decreto Legge Giustizia con 163 voti favorevoli, nessun voto contrario e 103 astensioni, tutte provenienti dalle fila delle opposizioni. Il provvedimento, già passato al vaglio del Senato, diventa così legge dello Stato.

Il testo introduce diverse misure di riforma per l’organizzazione del sistema giudiziario, accompagnate da norme specifiche sulla gestione dell’edilizia penitenziaria e sull’uso dei braccialetti elettronici per il controllo dei detenuti.


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Giovanni Amoroso è il nuovo presidente della Corte Costituzionale

Giovanni Amoroso, 76 anni, è stato eletto nuovo presidente della Corte Costituzionale, succedendo ad Augusto Barbera. Il suo mandato si concluderà il 13 novembre 2026. Durante la prima conferenza stampa, ha sottolineato l’importanza della Costituzione come bussola per l’operato della Corte, definendo l’Europa una “stella polare”.

Tra i temi toccati da Amoroso, spiccano la riforma dell’autonomia, la situazione nelle carceri, la giustizia e i diritti fondamentali. Ha ribadito la necessità di una collaborazione leale tra le istituzioni per affrontare sfide come il sovraffollamento carcerario e le riforme giudiziarie. “Il legislatore deve definire i criteri per i Lep, pilastro della legge 86”, ha aggiunto, riferendosi ai livelli essenziali delle prestazioni.

Amoroso ha anche evidenziato il ruolo neutrale della Consulta, sottolineando che, nonostante il ritardo del Parlamento nella nomina di quattro giudici mancanti, la Corte continua a operare efficacemente anche con undici membri.

I vice presidenti
Francesco Viganò e Luca Antonini sono stati nominati vice presidenti. Entrambi giuristi di alto livello, ricoprono ruoli fondamentali nella Consulta.

Il profilo di Giovanni Amoroso
Nato a Mercato San Severino (Salerno) nel 1949, Amoroso è stato eletto giudice costituzionale dalla Corte di Cassazione nel 2017. La sua lunga carriera è iniziata come pretore penale a Bergamo nel 1976. È stato anche direttore del Massimario della Cassazione e componente delle Sezioni Unite civili.

La telefonata con Giorgia Meloni
Dopo l’elezione, Amoroso ha telefonato alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che gli ha rivolto i suoi auguri di buon lavoro.


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Codice della Strada, allarme della psichiatria: «Psicofarmaci non sono droghe»

La Società Italiana di Psichiatria (Sip) lancia l’allarme sulla riforma del Codice della Strada, che equipara alcuni psicofarmaci, come antidepressivi e ansiolitici, alle droghe nei test per la sicurezza alla guida. Una misura che, secondo la Sip, rischia di discriminare milioni di pazienti in cura.

«Le cure psichiatriche non possono essere assimilate alle droghe: vengono assunte dietro prescrizione e sotto controllo medico», ha dichiarato il comitato esecutivo della Sip.

Rischio confusione per milioni di pazienti
La presidente Liliana Dell’Osso avverte che questa norma potrebbe generare pericolosi fraintendimenti: «I trattamenti psicofarmacologici, se prescritti correttamente, migliorano la sicurezza alla guida, non il contrario. Chiediamo immediati chiarimenti per tutelare la salute e i diritti dei pazienti».

Appello al ministero: «Urgente un tavolo tecnico»
Emi Bondi, presidente uscente, sollecita un intervento del ministero competente: «Chiediamo di essere convocati per correggere questa norma e garantire la sicurezza stradale senza penalizzare chi segue terapie salvavita».


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Autonomia differenziata: la Consulta boccia il referendum

Roma, 21 gennaio 2025 – La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo della legge sull’Autonomia Differenziata, nota anche come “legge Calderoli”. La decisione è stata presa dagli undici giudici della Consulta, che hanno motivato il verdetto sottolineando come “l’oggetto e la finalità del quesito non risultino chiari”, compromettendo la possibilità di un voto consapevole.

Secondo la sentenza, che sarà depositata nei prossimi giorni, il quesito referendario avrebbe inciso sull’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, richiedendo di fatto una revisione costituzionale piuttosto che un referendum abrogativo. La Consulta aveva già rilevato in passato criticità nella legge, tra cui questioni legate ai Livelli Essenziali di Prestazione (LEP) e al regime fiscale.

Ammissibili cinque referendum

La Consulta ha invece dichiarato ammissibili altri cinque referendum su temi che spaziano dalla cittadinanza alla disciplina dei contratti di lavoro. I cittadini saranno chiamati alle urne in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Tra i quesiti ammessi figurano:

  • Riduzione dei tempi di residenza per la cittadinanza: da 10 a 5 anni per gli stranieri extracomunitari maggiorenni.
  • Tutela contro i licenziamenti illegittimi: modifica del contratto a tutele crescenti.
  • Disciplina delle indennità di licenziamento per piccole imprese.
  • Norme sui contratti a termine: limitazioni a proroghe e rinnovi.
  • Responsabilità solidale nei contratti di appalto: esclusione della responsabilità per infortuni causati da rischi specifici delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

Reazioni politiche

La decisione della Consulta ha suscitato reazioni contrastanti tra le forze politiche.

Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha celebrato la bocciatura del referendum come un segnale di solidità del percorso verso l’autonomia regionale: “Questo è il momento di proseguire con determinazione. L’autonomia rappresenta un’opportunità per tutto il Paese”. Dello stesso avviso Fabrizio Cecchetti della Lega e Maurizio Gasparri di Forza Italia, che hanno sottolineato l’importanza di correggere la legge in Parlamento seguendo i rilievi della Consulta.

Di tono opposto le dichiarazioni delle opposizioni. Alessandro Alfieri del PD ha definito la legge sull’autonomia differenziata “un fattore di disgregazione dell’unità nazionale”, mentre Riccardo Magi di Più Europa ha ribadito l’importanza della partecipazione ai referendum ammessi: “I referendum si uccidono con la mancata partecipazione. Invitiamo tutti a votare”.

Anche il Movimento 5 Stelle ha criticato la legge Calderoli, definendola “uno zombie legislativo” già depotenziato dalla Consulta a novembre.

 


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Lavoro: crescono i posti fissi, ma restano 190mila posizioni vacanti

Si tratta di uno dei “paradossi” del nostro mercato del lavoro. Nonostante le numerose crisi aziendali che affliggono il Paese stiano mettendo a rischio quasi 120mila posti di lavoro, entro i prossimi tre mesi le imprese italiane hanno dichiarato all’Unioncamere/Ministero del Lavoro l’intenzione di assumere 1,37 milioni di lavoratori, di cui 380mila circa a tempo indeterminato. Tuttavia, in un caso su due, sussiste il rischio di non poter procedere alle assunzioni a causa della carenza di candidati o dell’impreparazione delle persone che si presentano ai colloqui. Pertanto, a fronte di 120mila lavoratori che potrebbero perdere il posto, nei primi tre mesi di quest’anno le imprese non sarebbero nelle condizioni di coprire, nemmeno offrendo un posto fisso, almeno 190mila posizioni lavorative. Con un costante decremento della popolazione giovanile e un incremento significativo della fascia più anziana, gli imprenditori manifestano una crescente preoccupazione per la mancanza di personale che è decisamente superiore ai possibili effetti di una nuova crisi che, tuttavia, si sta diffondendo in buona parte dell’Unione Europea. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

  • Sempre meno giovani che entrano nel mercato del lavoro

Il numero dei giovani presenti nel mercato del lavoro è in costante diminuzione, un trend che, comunque, sta interessando la gran parte dei principali paesi del mondo occidentale. In Italia, però, la situazione è molto più critica: “…La fascia di età 25-34 è passata da circa 8,5 milioni di persone nel 2004 ai 6,2 milioni attuali. Si tratta di un crollo inedito rispetto al passato e tra i più accentuati in Europa. La forte riduzione del rinnovo della popolazione attiva va trascinare via via verso il basso la forza lavoro potenziale. In particolare la fascia 35-49 è passata da oltre 14 milioni di residenti nel 2014 a meno di 11,5 milioni nel 2024, con la previsione di scendere a meno 10 milioni entro il 2040…”.

  • Nel contempo entro il 2028 ben 3 milioni di addetti andranno in pensione. Sostituirli sarà un problema

Auspicando che le crisi industriali scoppiate in questi ultimi mesi si concludano con soluzioni che garantiscano la continuità aziendale e la salvaguardia dei posti di lavoro interessati, con pochi giovani e il conseguente invecchiamento della popolazione in atto nel nostro Paese provocheranno nei prossimi anni moltissime criticità, anche al sistema economico e produttivo del Paese. Squilibri che nessuno, in tempi ragionevolmente brevi, sembra avere gli strumenti appropriati per  affrontare con successo. A tal proposito è utile ricordare che, alla luce

delle informazioni riportate nel report “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia nel medio termine (2024-2028)”, il fabbisogno occupazionale delle imprese pubbliche e private presenti in Italia in questo quinquennio dovrebbe attestarsi attorno ai 3,6 milioni di occupati. Di questi, l’83 per cento circa, pari in valore assoluto a quasi 3 milioni di addetti, dovrebbe sostituire chi è destinato a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. Pertanto, considerando le difficoltà nel reperimento di personale e il numero esiguo di giovani alla ricerca della prima occupazione, nel prossimo decennio la vera sfida non consisterà tanto nella reintegrazione di coloro che hanno perso il lavoro a causa di crisi aziendali, quanto piuttosto nella copertura dei posti vacanti.

  • Ma a novembre record storico di dipendenti con il posto fisso

Sebbene le ore di Cassa Integrazione Guadagni (CIG) totale autorizzate siano in deciso aumento e la questione salariale sia tornata prepotentemente a infiammare il dibattito politico nazionale dopo la grave perdita di potere d’acquisto registrata negli anni post-Covid, in valore assoluto il numero dei lavoratori dipendenti italiani con il posto fisso ha toccato, nel novembre scorso, il suo record storico pari a 16.264.000 addetti. Per contro, i lavoratori a termine sono in flessione; sempre nello scorso mese di novembre si attestano attorno alla stessa soglia che avevamo a novembre del 2020, vale a dire 2.652.000 occupati. Un risultato importante che, comunque, va analizzato attentamente. Il livello retributivo in Italia si presenta mediamente inferiore rispetto a quello riconosciuto ai dipendenti dei paesi con cui competiamo quotidianamente. E sebbene un lavoratore possa beneficiare del cosiddetto posto fisso, non è da escludere che, a causa di uno stipendio molto contenuto, si trovi invischiato nelle nuove forme di povertà[7] sempre più diffuse soprattutto nelle grandi aree urbane. Fenomeni di profondo disagio che sino a un decennio fa non avvertivamo con la stessa preoccupazione con cui si presentano ora. Tuttavia, se l’alternativa alla crescita dei lavoratori con il contratto a tempo indeterminato è la disoccupazione, la precarietà o, peggio ancora, il lavoro sommerso, non possiamo che salutare con soddisfazione il record ottenuto.

  • E’ raddoppiata la difficoltà nel trovare il personale: in 2 casi su 3 dirigenti e operai specializzati sono irreperibili

Secondo gli imprenditori italiani, tra il 2017 e l’inizio di quest’anno la percentuale di difficoltà nel reperire il personale è più che raddoppiata. Se otto anni fa 21,5 imprenditori su cento avevano denunciato la grave difficoltà nel trovare collaboratori da assumere nella propria attività, per l’anno in corso la soglia è salita al 49,4. In buona sostanza un imprenditore su due non riesce a trovare addetti da assumere nella propria azienda. Le differenze a livello regionale sono molto importanti. L’Umbria è la realtà territoriale maggiormente in crisi; sempre secondo l’indagine Unioncamere/Ministero del Lavoro presentata nei giorni scorsi, il 55,7 per cento degli imprenditori intervistati ha denunciato la difficoltà di reperimento. Seguono le Marche con il 55,6, il Friuli Venezia Giulia e il Veneto con il 55,1. Infine, degli 1,37 milioni di nuovi assunti previsti in questi primi tre mesi del 2025, oltre 414.300 unità dovrebbero interessare il Nordovest. Seguono il Sud con 362.400, il Nordest con 315.350 e il Centro con 281.100. Il Nordest dovrebbe essere la ripartizione geografica dove la difficoltà di reperimento del personale è più elevata e pari al 54,3 per cento. Seguono il Centro con il 49,1, il Nordovest con il 48,8 e il Mezzogiorno con il 46,1. Le categorie professionali che più delle altre si faticano a trovare sul mercato del lavoro sono i dirigenti nel 68,2 per cento dei casi e gli operai specializzati nel 66,9.

  • Quest’anno solo al Sud le assunzioni sono previste in aumento

Ad eccezione di Benevento e Chieti, in tutte le province del Mezzogiorno nel primo trimestre di quest’anno è previsto un aumento delle assunzioni rispetto alle previsioni riferite allo stesso periodo del 2024. Nel resto d’Italia, invece, per 45 province del Nord e del Centro le variazioni saranno anticipate dal segno meno. La situazione più virtuosa è attesa a Siracusa con il +29,8 per cento (+1.770 entrate). Seguono Foggia con il +25,9 (+2.070), Matera con il +23,6 (+670), Vibo Valentia con il + 20,1 (+350) e Messina con il + 19,1 (+1.700) (vedi Tab. 2). Nonostante il depotenziamento previsto per il 2025, la decontribuzione relativa alle assunzioni nella Zona Economica Speciale (ZES) unica per il Mezzogiorno e l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresentano i due elementi fondamentali in grado di “giustificare” l’eccellente performance occupazionale attesa nel Mezzogiorno in questi primi mesi dell’anno.


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