BRUXELLES – Gli investitori puramente finanziari non possono detenere partecipazioni in società di avvocati. È questo il principio sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza depositata il 19 dicembre 2024, nella causa C-295/23, che riafferma la centralità dell’indipendenza e dell’integrità della professione forense.
Secondo la Corte, la possibilità per i professionisti legali di esercitare la propria attività in modo indipendente e conforme agli obblighi deontologici è un “motivo imperativo di interesse generale”, tale da giustificare il divieto per gli investitori finanziari di acquisire quote in società di avvocati. Gli Stati membri, dunque, possono escludere la partecipazione di soggetti che non intendano esercitare direttamente la professione forense.
La vicenda: il contenzioso in Germania
Il caso trae origine da una controversia tra una società di avvocati con sede in Germania e l’Ordine forense di Monaco. La società aveva ceduto il 51% delle proprie quote a una società austriaca che non era autorizzata a fornire servizi legali. L’Ordine di Monaco ha disposto la cancellazione della società dall’albo degli avvocati, sostenendo che la normativa tedesca consente solo ai legali di detenere quote di una società forense.
La società tedesca ha impugnato il provvedimento, sostenendo che il divieto violasse l’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2006/123 sui servizi nel mercato interno, che vieta agli Stati membri di introdurre requisiti discriminatori per l’accesso a determinate attività di servizi.
Il Consiglio di disciplina degli avvocati della Baviera, investito della questione, ha chiesto un chiarimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Corte ha stabilito che, in questo caso, la limitazione non è discriminatoria né sproporzionata, in quanto giustificata dalla necessità di garantire l’indipendenza e l’integrità della professione forense.
L’indipendenza degli avvocati come “motivo imperativo di interesse generale”
Il cuore della sentenza è la difesa dell’indipendenza della professione di avvocato. La Corte ha sottolineato che il corretto esercizio della professione forense non può essere condizionato da interessi economici di investitori esterni. Gli avvocati devono operare esclusivamente nell’interesse dei clienti e nel rispetto del segreto professionale, principi che potrebbero essere compromessi dalla presenza di soggetti estranei alla professione.
“Le considerazioni di natura economica orientate verso il profitto a breve termine dell’investitore puramente finanziario potrebbero prevalere su quelle guidate dalla difesa dell’interesse dei clienti”, scrivono i giudici europei.
Per queste ragioni, la Corte ha ritenuto legittimo il divieto di partecipazione dei cosiddetti “soci di capitale” nelle società di avvocati, evidenziando che tale restrizione rientra tra le misure proporzionate e necessarie per garantire l’interesse pubblico.
I criteri di proporzionalità e non discriminazione
Pur ammettendo la possibilità di imporre limiti alla detenzione di quote, la Corte ha specificato che le misure adottate dagli Stati membri devono rispettare i principi di proporzionalità e non discriminazione. Ciò significa che il divieto non può essere applicato solo a società con sede in altri Stati membri o basarsi sulla cittadinanza dei soci, ma deve valere per tutti i soggetti che non siano avvocati.
La Corte ha anche chiarito che le limitazioni devono essere proporzionate, ovvero non eccedere quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato, e che è necessario verificare se esistano misure meno restrittive per ottenere lo stesso risultato. In questo caso, però, il divieto di partecipazione di investitori finanziari è stato ritenuto compatibile con il diritto dell’Unione Europea.
Un messaggio forte per gli Stati membri e le società forensi
La sentenza della Corte UE avrà un impatto significativo sugli ordinamenti nazionali, poiché riguarda non solo la Germania, ma anche altri Paesi in cui le regole di partecipazione nelle società di avvocati sono più flessibili. La decisione costituisce un precedente importante e potrebbe spingere gli Stati membri a rivedere la propria normativa interna.
L’obiettivo è chiaro: evitare che soggetti esterni alla professione possano condizionare le scelte strategiche e operative di una società di avvocati, garantendo così ai clienti il massimo livello di tutela.
Implicazioni per l’Italia
In Italia, la legge già prevede che i soci delle STP (società tra professionisti) debbano essere iscritti agli albi professionali. Tuttavia, la sentenza della Corte di Giustizia potrebbe rafforzare questo principio, impedendo la partecipazione anche di soci non operativi o di “capitale puro”.
Nel nostro ordinamento, il concetto di “socio di capitale” nelle STP è stato oggetto di dibattito, con richieste di maggiore flessibilità per facilitare l’accesso a risorse finanziarie esterne. La pronuncia della Corte UE chiude, almeno in parte, a queste ipotesi, ribadendo la priorità del rispetto dei doveri deontologici e della riservatezza professionale.
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