UNCC contro l’emendamento Rastrelli: “Così si colpisce il diritto di difesa”

Roma – L’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) prende posizione con fermezza contro la proposta di modifica n. 1.200 al DDL Zanettin, presentata dall’on. Rastrelli. Secondo il presidente Avv. Alberto Del Noce, l’emendamento rischia di stravolgere la ratio originaria del disegno di legge, che puntava a chiarire i confini della responsabilità professionale dell’avvocato, limitandola a dolo e colpa grave ed escludendo l’attività interpretativa delle norme.

“Avvocato e giudice hanno ruoli diversi”

La contestata definizione di “colpa grave” riprende infatti la disciplina prevista per la responsabilità dei magistrati, includendo l’inosservanza manifesta della legge e la valutazione di fatti “incontrovertibilmente” provati. Ma, avverte Del Noce, si tratta di un parallelo improprio:

«Il giudice decide, l’avvocato difende. Assimilare i due ruoli significa limitare la libertà di contestazione del difensore e minare il diritto costituzionale di difesa», ha dichiarato il presidente UNCC.

I rischi concreti

Secondo l’UNCC, l’emendamento introduce parametri elastici e indeterminati, che potrebbero trasformare ogni argomentazione “inconferente” in fonte di responsabilità civile. Un rischio che avrebbe conseguenze pesanti:

  • favorirebbe una “difesa conformista”, appiattita sulle giurisprudenze consolidate;
  • frenerebbe l’evoluzione del diritto vivente;
  • spianerebbe la strada a sistemi predittivi basati sull’intelligenza artificiale, riducendo il valore aggiunto dell’avvocato umano.

L’estensione ai notai

L’UNCC critica anche l’ipotesi di estendere la disciplina ai notai. «Due funzioni incomparabili – chiarisce Del Noce –: l’avvocato trova legittimazione nell’art. 24 della Costituzione, a presidio del diritto di difesa; il notaio nell’art. 97, quale pubblico ufficiale garante della certezza degli atti. Assimilarne i regimi di responsabilità sarebbe un errore concettuale e normativo».

La richiesta al Parlamento

Per l’Unione Nazionale delle Camere Civili, il DDL Zanettin deve essere approvato nella sua formulazione originaria:

«Non è un privilegio di categoria – conclude Del Noce – ma una garanzia per i cittadini: senza un avvocato libero di difendere senza timori, il giusto processo rischia di ridursi a mera formalità».


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Dal carcere al lavoro: stanziato un milione per i laboratori di formazione nelle Marche

Roma, 29 settembre 2025 – Dopo l’intervento di circa 2 milioni di euro a favore dell’esecuzione penale esterna, il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, stanzia per la Regione Marche nuove risorse per circa 1 milione di euro per la formazione professionale dei detenuti e lo sviluppo di competenze in laboratori realizzati e attrezzati allo scopo.

Continua e si rafforza l’azione sinergica con il Presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli. Si offriranno nuove opportunità ai detenuti di apprendere una professione nei laboratori di panificazione, pastificio, pasticceria, di lavorazione delle ceramiche e mosaici, lavorazione artigianale di manufatti in legno e altro. Sarà attivato un processo per l’attestazione delle competenze da spendere sul mercato del lavoro una volta fuori dal circuito penitenziario.

Il Progetto, ideato con il supporto di Gabriella De Stradis, Direttore generale per il coordinamento delle politiche di coesione, è finanziato nell’ambito del Piano “Una Giustizia più Inclusiva: Inclusione socio-lavorativa delle persone sottoposte a misura penale anche tramite la riqualificazione delle aree trattamentali” di cui il Ministero della Giustizia è Organismo Intermedio per il Programma Nazionale “Inclusione e lotta alla povertà 2021-2027”.


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Italia sorpassa la Francia: da “malato d’Europa” a motore di crescita

Il nostro Paese non è più considerato il grande “malato d’Europa” e gli italiani non sono più i maggiori tartassati tra i cittadini dell’Area Euro. Attualmente, tale primato negativo spetta alla Francia, che sta attraversando una crisi politica, sociale ed economica molto preoccupante. In termini di crescita del Pil pro capite, consumi e investimenti, l’Italia ha ampiamente superato la Francia nel corso di quest’anno; quest’ultima ci precede esclusivamente per quanto concerne il carico fiscale.

Tale risultato, però, non può certo essere un motivo di vanto. Anzi. Con un prelievo fiscale pari al 45,2 per cento del Pil, è come se lo scorso anno i contribuenti francesi avessero versato complessivamente 57 miliardi di euro di tasse/contributi in più rispetto a noi italiani[1]. Un importo da far tremare i polsi. Tra tutti i paesi dell’Area Euro nessun altro conta una pressione fiscale superiore a quella francese. Sebbene le famiglie d’oltralpe con figli beneficino di un sistema fiscale ancora favorevole, il prelievo fiscale ha toccato livelli che in Italia non abbiamo mai raggiunto. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Nel confronto con Parigi, vinciamo noi

Ricordiamo, inoltre, che rispetto ai nostri cugini transalpini abbiamo due punti percentuali di disoccupazione in meno[2], l’anno scorso il nostro export è stato superiore di oltre 33 miliardi di dollari[3], lo spread è ai minimi storici e la situazione dei nostri conti pubblici è in netto miglioramento.  Per contro, l’aumento del deficit e del debito pubblico francese hanno causato nelle settimane scorse le dimissioni del primo ministro François Bayrou, che è stato il terzo premier a lasciare l’incarico in poco più di un anno.

I problemi rimangono: ma con PNRR e ZES Unica stiamo meglio

Sia chiaro: i problemi strutturali del nostro Paese sono ancora molto diffusi. Sarebbe scorretto non riconoscerlo. Segnaliamo, ad esempio,  che abbiamo il tasso di occupazione femminile più basso dell’UE, così come il saggio più basso di crescita delle retribuzioni medie, senza contare che in questi ultimi anni si sono accentuate le disuguaglianze sociali. La burocrazia, il fisco, i costi energetici e i deficit infrastrutturali continuano a condizionare negativamente la competitività del nostro sistema produttivo.

Tuttavia, abbiamo superato con maggiore slancio dei principali big europei gli effetti delle crisi che si sono succedute nel triennio 2020-2022, riconducibili, in particolare, al Covid e all’impennata dei costi energetici che ha sospinto all’insù l’inflazione. Un risultato che è stato ottenuto grazie alle tante misure pubbliche di sostegno al reddito che sono state erogate dagli ultimi tre esecutivi e alla grande reazione manifestata da tutto il nostro sistema economico. Inoltre – sottolinea la CGIA – sono stati determinanti anche gli investimenti realizzati dal Governo Meloni con il PNRR e con le risorse impiegate nella ZES Unica[4] che stanno rilanciando il Mezzogiorno. Una ripartizione geografica che, finalmente, si sta lasciando alle spalle decenni e decenni caratterizzati da disoccupazione, difficoltà e ritardi economici.

Post pandemia: in Italia crescita record. In Germania è crisi nera

Grazie alla spinta economica registrata nel biennio 2021-2022, l’economia italiana è quella che tra i principali paesi dell’UE è “uscita” meglio dalla crisi pandemica. Se, infatti, analizziamo l’andamento del Pil reale[5] tra il 2019 e il 2024, l’Italia ha ottenuto una crescita del 5,8 per cento, la Francia del 4,3 e la Germania dello zero. Tra i big europei, solo la Spagna, con il +6,8 per cento, può contare su un incremento della ricchezza prodotta superiore al nostro. La media dei 20 paesi dell’Area Euro è stata del +4,9 per cento. Ci “prendiamo” la leadership, invece, quando analizziamo il trend del Pil reale pro-capite. Sempre tra il 2019 e il 2024, in Italia il “salto” in avanti è stato del 7,2 per cento, in Spagna del 3, in Francia del 2,6, mentre la Germania ha subito una contrazione dell’1,6 per cento.

La media Ue è stata del +3,2 per cento. In virtù del fatto che Germania e Francia sono i due principali paesi di destinazione del nostro export, la CGIA segnala che non possiamo certo rallegrarci se lì le cose non vanno bene. Purtroppo, le ricadute negative si faranno sentire anche nel nostro Paese che dovrà affrontare anche gli effetti negativi causati dai dazi imposti dall’Amministrazione USA guidata dal presidente Trump.

[1] Elaborazione CGIA su dati Eurostat.

[2] Questa comparazione e quelle richiamate più sopra sono state estrapolate dall’ultimo rapporto della EC “European Economic Forecast”, Spring 2025, Institutional paper 318 – may 2025.  

[3] Dati di fonte Ocse.

[4] La Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno, è stata istituita il 1° gennaio 2024 con il Decreto-Legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito in Legge n. 162 del 13 novembre 2023 (GU n. 268 del 16 novembre 2023) e  comprende i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna. La Zona Economica Speciale è definita dalla legge come una zona delimitata del territorio dello Stato, nella quale l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali, da parte sia delle aziende già operative nei relativi territori, sia di quelle che vi si insedieranno, può beneficiare di speciali condizioni, in relazione agli investimenti e alle attività di sviluppo d’impresa. La ZES unica Mezzogiorno mira a fornire un approccio integrato e coerente per sostenere lo sviluppo economico e la crescita nelle regioni interessate attraverso la semplificazione amministrativa (Autorizzazione unica) e l’agevolazione degli investimenti.

[5] Al netto dell’inflazione.


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Avvocati, notai e commercialisti: ecco le nuove regole sull’uso dell’intelligenza artificiale

La legge 132/2025 sull’intelligenza artificiale segna un punto di svolta per tutte le professioni intellettuali. Non si tratta soltanto di un adattamento tecnico, ma di una ridefinizione del rapporto tra tecnologia e competenze umane. Il principio cardine è chiaro: l’IA potrà affiancare il lavoro dei professionisti, ma non sostituirlo. L’attività intellettuale dovrà restare prevalente, mentre gli algoritmi saranno confinati a compiti di supporto e strumenti operativi.

Obbligo di informativa ai clienti

Dal 10 ottobre, ogni professionista che utilizzi sistemi di intelligenza artificiale dovrà comunicarlo ai propri clienti con linguaggio “chiaro, semplice ed esaustivo”. Una formula che lascia spazio a diverse interpretazioni pratiche, ma che impone comunque trasparenza. Molti ordini professionali stanno già predisponendo modelli e linee guida, sebbene la legge non preveda fac-simile uniformi: ogni informativa dovrà essere adattata al singolo caso.

Secondo i rappresentanti di avvocati, notai e commercialisti, l’informativa dovrà essere inserita nella lettera di incarico, accompagnata da una spiegazione diretta. L’obiettivo è rassicurare il cliente, garantendo che la responsabilità della prestazione resta in capo al professionista, coperto anche da polizze di responsabilità civile.

Codici deontologici da aggiornare

Non tutti i codici professionali contengono già norme dedicate all’uso dell’IA. Alcune categorie, come i giornalisti, hanno introdotto da poco obblighi specifici, mentre per avvocati e notai sono in corso i lavori di aggiornamento. La direzione è quella di inserire l’obbligo di informativa tra i doveri deontologici, a tutela del rapporto fiduciario con il cliente.

Il nodo della formazione

Un futuro decreto delegato disciplinerà i percorsi di formazione e alfabetizzazione digitale, affidati agli Ordini e anche alle associazioni delle professioni non ordinistiche (legge 4/2013). Non sono previsti fondi aggiuntivi, ma il tema è già all’attenzione di molte organizzazioni, che stanno elaborando linee guida e manuali operativi.

La giurisprudenza si muove

Nel frattempo, i tribunali hanno iniziato a fissare i primi paletti. Lo scorso 16 settembre, il Tribunale di Torino ha condannato un avvocato per lite temeraria dopo aver depositato un ricorso generato con il supporto dell’IA: l’atto è stato giudicato “inconferente” e privo di coerenza logica. Una sentenza destinata a fare scuola e che mette in guardia chi pensava di delegare alle macchine la sostanza del proprio lavoro.

Etica e responsabilità

Al di là delle regole, resta centrale la questione etica: l’IA può essere un prezioso alleato, ma solo se usata con consapevolezza e sotto la supervisione costante del professionista. L’essere umano resta il dominus della prestazione, unico garante della qualità, della responsabilità e del rispetto del cliente.


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Servicematica e Reyer Venezia femminile: insieme tra le prime 16 d’Europa

Il basket femminile italiano ha scritto una nuova pagina di storia: la Reyer Venezia ha superato 70-63 il KKZ Crvena Zvezda, conquistando l’accesso all’Eurolega e posizionandosi tra le prime 16 squadre d’Europa. Un risultato straordinario, che Servicematica celebra con orgoglio come top sponsor della formazione orogranata.

Per Servicematica, questa partnership è molto più di un logo sulla maglia: è la condivisione di valori che uniscono sport e impresa. Determinazione, resilienza, spirito di squadra, fiducia nelle donne e nel talento femminile: gli stessi principi che guidano l’innovazione tecnologica dell’azienda trovano nel basket Reyer la loro espressione più autentica.

Sono state micidiali, hanno dimostrato una grande forza mentale – ha commentato coach Andrea Mazzon –. È stata una vittoria di squadra, con 43 punti arrivati dalla panchina”. Una forza confermata dalle parole di Mariella Santucci, MVP della gara: “Abbiamo dimostrato che la nostra vera ricchezza è la compattezza. Tutte hanno contribuito, anche nei momenti più difficili”.

Lo sport femminile è un terreno dove il valore della squadra e la crescita individuale si intrecciano, proprio come accade in un’azienda che crede nelle persone e nei progetti condivisi. Per questo, Servicematica vede nella Reyer Venezia femminile una testimonianza viva di come la passione, unita alla professionalità, possa raggiungere i massimi livelli europei.

La vittoria dell’altro ieri non è solo un traguardo sportivo: è la conferma che, con coraggio e impegno, si possono superare limiti e costruire futuro. Servicematica sarà al fianco della Reyer anche in questa nuova avventura, pronta a trasformare ogni sfida in opportunità, dentro e fuori dal parquet.


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Giustizia civile, primo sì al decreto: tra obiettivi ambiziosi e scarsa adesione dei magistrati

La Camera ha approvato il decreto legge che introduce un pacchetto di misure per accelerare i tempi della giustizia civile, con l’obiettivo di ridurre del 40% la durata dei processi nei tre gradi di giudizio entro giugno 2026, come richiesto dal Pnrr e dai recenti accordi con Bruxelles. Ora il testo passa al Senato per un via libera definitivo, che dovrà arrivare entro il 7 ottobre.

Un obiettivo considerato centrale ma al tempo stesso arduo, se non irrealistico, sia per i tempi stretti sia per la scarsa adesione degli stessi magistrati alle misure previste. Il provvedimento punta infatti anche sull’impiego da remoto di 500 giudici civili, incentivati con un riconoscimento economico (12mila euro lordi) e di carriera, chiamati a definire almeno 50 procedimenti ciascuno. Ma la risposta è stata deludente: soltanto 212 candidature hanno risposto al bando del Csm.

Lo stesso copione si ripete sulle applicazioni in Corte d’appello: dei 20 posti messi a disposizione, ben 4 sono rimasti vacanti. L’ultima versione del decreto tenta di correre ai ripari riaprendo i termini per l’interpello.

Le critiche delle opposizioni

Per le opposizioni si tratta di un provvedimento inefficace. Deborah Serracchiani (Pd) lo ha definito «una toppa peggiore del buco», mentre Roberto Giachetti (Italia Viva) ha parlato senza mezzi termini di «un decreto-sòla».

Le altre novità del decreto

Il testo contiene comunque disposizioni che appaiono di più immediata applicazione. Tra queste:

  • l’utilizzo straordinario dei consiglieri del Massimario in Cassazione per smaltire i ricorsi civili;
  • la possibilità di impiegare i giudici di pace in supplenza quando mancano magistrati togati;
  • la scelta del regime esclusivo per i magistrati onorari anche nell’anno di immissione in ruolo;
  • poteri ai capi degli uffici giudiziari per riorganizzare i carichi di lavoro, in caso di ritardi o squilibri;
  • anticipo dell’operatività per i tirocinanti del concorso ordinario bandito nell’ottobre 2023.

Slittano i tribunali specializzati

Vengono invece rinviate due scadenze importanti: il nuovo Tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie entrerà in funzione solo dal 18 ottobre 2026, mentre il pacchetto di competenze aggiuntive dei giudici di pace slitterà al 31 ottobre dello stesso anno. Soppressa, invece, l’idea di attribuire a questi ultimi nuove competenze in materia tavolare.


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La minaccia invisibile che paralizza i voli: il ransomware sfida il settore aereo

Un weekend di caos nei principali scali europei ha riportato l’attenzione su una minaccia ormai costante: la vulnerabilità del trasporto aereo di fronte agli attacchi informatici. Sabato scorso gli aeroporti di Berlino, Londra, Bruxelles e Dublino sono stati colpiti da un ransomware che ha messo fuori uso i sistemi di check-in e imbarco, costringendo migliaia di passeggeri a lunghe attese e provocando ritardi a catena.

La conferma è arrivata lunedì 22 dall’Enisa, l’Agenzia europea per la sicurezza informatica, che ha individuato il tipo di malware responsabile dell’attacco. A essere compromesso, secondo le prime indagini, è stato il software Muse di Collins Aerospace, utilizzato in diversi scali internazionali per le postazioni self-service. Un punto debole che, come in un effetto domino, ha bloccato più aeroporti e più compagnie contemporaneamente.

Una minaccia in costante crescita

Per gli esperti di Check Point Research non si tratta di un episodio isolato. Il settore dei trasporti e della logistica è infatti tra i più colpiti al mondo: in media registra 1.143 attacchi a settimana, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente. Nel solo mese di agosto, il numero è salito a 1.258. Una tendenza aggravata dalla scelta strategica dei cybercriminali di colpire nei fine settimana o nei giorni festivi, quando i team IT lavorano a ranghi ridotti e i tempi di reazione si allungano, scaricando i disagi soprattutto sui voli del lunedì.

Dal turismo alle prenotazioni: nessuno è al sicuro

Il settore dei viaggi, già sotto pressione per l’esplosione della domanda post-pandemia e per la corsa alla digitalizzazione, è diventato terreno fertile per ransomware, attacchi DDoS e campagne di phishing. Non solo compagnie aeree e aeroporti, ma anche operatori turistici e piattaforme di prenotazione finiscono nel mirino.

Lo dimostrano i casi recenti: lo scorso marzo un attacco DDoS ha paralizzato un importante rivenditore di biglietti aerei in Germania, Austria e Svizzera, lasciando a secco decine di agenzie di viaggio. A inizio 2025, un’agenzia australiana ha subito una violazione massiccia per un errore di configurazione in cloud su Amazon AWS, con oltre 112mila dati sensibili esposti, tra passaporti, visti e numeri di carte di credito.

Dati sensibili e sistemi obsoleti

L’industria del travel è tra le più esposte perché gestisce enormi flussi di dati in tempo reale, spesso affidandosi a terze parti per pagamenti elettronici, autenticazioni e infrastrutture cloud. A complicare il quadro, l’uso ancora diffuso di sistemi legacy e la mancanza di solide pratiche di DevSecOps, che integrino la sicurezza in ogni fase dello sviluppo software.

La nuova urgenza: resilienza informatica

Secondo gli analisti, l’unica strategia efficace è trattare la sicurezza digitale con la stessa importanza della sicurezza fisica. Significa investire in difese proattive, rafforzare la cooperazione internazionale e predisporre piani di continuità operativa capaci di reggere anche davanti ad attacchi su larga scala.

L’attacco agli scali europei è solo l’ultimo campanello d’allarme. Nel mondo iperconnesso dei viaggi, dove ogni ritardo genera un effetto valanga globale, la resilienza informatica non è più un optional: è la condizione minima per tenere in volo i cieli del futuro.


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Europa, la carta dei consorzi per affrontare crisi e nuove sfide globali

L’Europa si trova a un bivio cruciale: o accelera il passo nella costruzione di strumenti comuni, oppure rischia di restare schiacciata tra le potenze globali che stanno consolidando la loro supremazia tecnologica, militare ed economica. In questa fase segnata dal ritorno massiccio degli Stati sul mercato – per ragioni di sicurezza e stabilità – le piccole e medie imprese europee non possono essere lasciate indietro. La chiave, secondo molti osservatori, è rispolverare una formula già sperimentata con successo: i consorzi europei.

La storia offre precedenti importanti. Nel 1954 fu il CERN a rappresentare la prima grande sfida condivisa nella ricerca scientifica. Qualche anno dopo, nel 1969, la nascita del consorzio Airbus mostrò come la collaborazione tra Paesi e imprese potesse spezzare il monopolio di colossi come Boeing, portando l’Europa a conquistare un ruolo da protagonista nel settore aeronautico.

Oggi, in un contesto di tensioni geopolitiche e di competizione serrata sulle tecnologie di frontiera, si torna a guardare a quel modello come alla strada più efficace per garantire sovranità. Difesa, cybersicurezza e produzione di armamenti sono i primi ambiti in cui l’Unione dovrebbe coordinarsi, creando consorzi capaci di sviluppare progetti comuni e di gestire centralmente gli acquisti per evitare squilibri: senza un meccanismo europeo, il rischio è che il peso maggiore cada solo su singoli Paesi – in primis la Germania – con conseguenze politiche ed economiche delicate.

Accanto alla difesa, c’è il capitolo della tecnologia. I data center europei, cuore pulsante delle infrastrutture digitali, sono oggi dominati da società extra-UE. Un consorzio continentale sarebbe indispensabile per proteggere non solo i dati personali, ma anche la sicurezza strategica delle reti. Lo stesso vale per l’intelligenza artificiale: in Italia, Francia, Germania e Paesi baltici esistono già realtà innovative che sviluppano modelli alternativi, meno dipendenti da enormi quantità di dati e quindi più accessibili. Unirle in consorzi dedicati significherebbe rafforzare un’autonomia tecnologica europea e al tempo stesso fornire strumenti a sostegno di un welfare aggiornato e sostenibile.

La creazione di consorzi avrebbe poi effetti positivi a cascata sui mercati collegati. L’Unione dei risparmi e degli investimenti rappresenta già una corsia preferenziale, capace di attrarre capitali europei oggi spesso gestiti da fondi statunitensi. Lo stesso consolidamento bancario, reso possibile dal quadro normativo esistente, offrirebbe ai risparmiatori un canale sicuro per investire in settori strategici diversi da quello militare, evitando derive pericolose.

Ma a chi spetta la responsabilità di avviare questa nuova stagione di alleanze? Non alla Commissione, che ha il compito di interpretare le regole sugli aiuti di Stato, né al Consiglio dell’Unione, oggi affidato a presidenze non inclini a spingere in questa direzione. Il compito ricade sul Consiglio europeo, l’organo che nei momenti di crisi ha già saputo imprimere svolte decisive: dall’Unione bancaria per rispondere alla crisi finanziaria al Next Generation EU nato per affrontare la pandemia.

La lezione è chiara: quando l’Europa agisce unita, sa trasformare le difficoltà in opportunità. Ora la sfida è ancora più ampia e riguarda la sua stessa capacità di restare un attore di primo piano nello scenario internazionale. In questa partita, Italia e Germania hanno la responsabilità di assumere la leadership, con la Francia – nonostante le sue difficoltà interne – chiamata a fungere da cerniera politica.

I tempi stringono, e l’inerzia potrebbe costare cara. Ma la storia recente insegna che l’Unione, sotto pressione, ha saputo innovare. Resta da vedere se sarà in grado di farlo anche oggi, quando la posta in gioco è la sua autonomia industriale, tecnologica e strategica.


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Fisco e intelligenza artificiale: la nuova frontiera tra efficienza e rischi

L’intelligenza artificiale promette di dare una spinta senza precedenti alla macchina fiscale italiana, potenziando gli strumenti già esistenti nella lotta all’evasione. Ma la stessa potenza che ne fa un alleato prezioso può trasformarla in una fonte di rischi significativi. È questo l’avvertimento lanciato dalla Banca d’Italia durante un’audizione davanti alla commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.

Secondo Giacomo Ricotti, Capo del Servizio Assistenza e Consulenza fiscale di Via Nazionale, i modelli di machine learning e i sistemi di intelligenza artificiale generativa (Llm) offrono prospettive inedite: dall’analisi predittiva dei comportamenti sospetti fino a forme di accertamento in tempo reale basate sui dati dell’anagrafe tributaria e dei conti correnti. Un salto che, se governato, potrebbe ridurre ulteriormente il “tax gap” – stimato dal Mef in 82 miliardi di euro, scesi del 6% tra il 2017 e il 2021.

Gran parte dei progressi degli ultimi anni si deve al digitale: fatturazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi hanno già rafforzato la capacità del Fisco di intercettare anomalie. Ora l’intelligenza artificiale si propone come la leva in grado di ampliare enormemente le possibilità di utilizzo dei dati. La riforma fiscale del 2024, con il decreto sugli accertamenti, ha già aperto la strada, prevedendo l’impiego dell’Ai in chiave predittiva attraverso una task force congiunta Agenzia delle Entrate–Guardia di finanza.

Tuttavia, Bankitalia invita alla prudenza: l’uso dei sistemi generativi comporta almeno quattro criticità. La prima riguarda le cosiddette “allucinazioni”, cioè errori dovuti a modelli non affidabili o a dati distorti, che potrebbero minare il diritto del contribuente a fidarsi delle informazioni ricevute dall’amministrazione, con conseguente aumento dei contenziosi. La seconda si lega alle dinamiche cognitive dell’Ai, basate su schemi probabilistici più che su regole certe, con il rischio di risposte ancorate al passato e incapaci di favorire un’interpretazione evolutiva delle norme. Terzo punto: i costi elevati di hardware e software che spingono verso l’affidamento a provider esterni, sollevando interrogativi sulla sicurezza dei dati sensibili. Infine, la necessità di ribadire un principio fondamentale: la tecnologia può supportare, ma non sostituire, la decisione umana.

Un argine già è stato previsto: nell’ultimo Piano integrato di attività e organizzazione, l’Agenzia delle Entrate ha indicato la necessità di adottare nuovi modelli di gestione del rischio, in linea con le normative internazionali.


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Chat Control, Europa spaccata: tutela dei minori o sorveglianza di massa?

Il 12 settembre l’Unione Europea è stata chiamata a esprimersi sul regolamento Chat Control (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-10-2025-003250_EN.html), noto come CSAM Regulation. Una misura che mira a contrastare la pedopornografia online imponendo lo scanning preventivo dei contenuti in chat e sui social, persino nelle comunicazioni cifrate end-to-end.

L’obiettivo dichiarato è quello di individuare e bloccare immagini, video o messaggi riconducibili ad abusi su minori, fenomeno disumano e in crescita. Ma dietro l’intento di protezione si nasconde un meccanismo che – secondo il reparto cybersecurity di Servicematica, rischia di aprire la strada a una sorveglianza di massa senza precedenti nonché di perdita ulteriore di dati sensibili.

I nodi tecnici

Gli algoritmi AI previsti dal regolamento dovranno operare su due fronti: confrontare le immagini con database già esistenti e valutare autonomamente nuovi contenuti sospetti.
Ed è qui che emergono i rischi: per il primo “Basta aggiungere piccoli dettagli – spiegano gli esperti di Servicematica – come elementi grafici o immagini accessorie, perché il sistema non riconosca più il materiale illecito (aggiungo agrumi e fiori nella foto per indurre AI ad interpretazione errata) . Gli strumenti rischiano così di essere facilmente bypassati, perdendo efficacia proprio contro i criminali che dovrebbero colpire”.

Ancora più grave, secondo Servicematica, è “per il “secondo fronte” cioè la necessità di un intervento umano, per i nuovi contenuti, ogni volta che l’algoritmo segnala un contenuto sospetto. Molto probabilmente un operatore di terze ditte dovrà leggere le chat, per contestualizzare la foto, visionare foto e messaggi privati anche NON inerenti alla pedopornografia. Dovrà capire innanzitutto se la foto è di un minorenne e se si tratta di un invio ad un pediatra per consiglio medico, piuttosto che al coniuge per adorare/amare il figlio: questo porta molto probabilmente (sicuramente) ad una fuga di dati sensibili e personali come foto, documenti privati, atti civili e penali, password di ogni genere (esempio: password del wi-fi di casa, modem. ecc. con immaginabili conseguenze).

Privacy, economia e secondi fini

Le preoccupazioni non si fermano qui. Indebolire la crittografia end-to-end significa aprire varchi sfruttabili da hacker, gruppi criminali e persino Stati ostili.
Inoltre, la fiducia degli utenti nelle piattaforme digitali potrebbe essere minata, obbligando le aziende a indebolire i sistemi di sicurezza.

Sul piano politico, il regolamento divide governi e Parlamenti. Italia, Francia e Spagna sostengono la misura, mentre Germania, Austria, Belgio e Paesi Bassi guidano il fronte del no. Anche all’Europarlamento le spaccature sono trasversali, con Verdi, social-liberali e parte della destra contrari a quella che definiscono “una sorveglianza di massa mascherata”.

La domanda che resta

Il dubbio di fondo rimane intatto: il Chat Control sarà davvero uno strumento efficace per proteggere i minori o rappresenterà l’inizio di un modello di controllo capillare delle comunicazioni private travestito?

“Dietro l’intento nobile della lotta alla pedopornografia rischiamo di trovarci con un sistema che, più che proteggere, normalizza la sorveglianza digitale e apre scenari pericolosi per la democrazia e i diritti dei cittadini europei”.

Conclude Servicematica indicando che la pedopornografia va combattuta con tutte le nostre forze e mezzi. Sono atti vergognosi, scandalosi e non accettabili.

Un inasprimento importante delle pene non sarebbe forse una buona partenza?

Se scovato il pedofilo poi non abbiamo pene esemplari e certe a cosa serve il sistema CSAM ?


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