Avvocato, sai come funziona il social marketing?

I social network, nel corso degli ultimi 15 anni, hanno cambiato completamente le nostre vite e il nostro modo di lavorare. I dati non mentono: 5,3 miliardi di persone al mondo utilizzano un cellulare, e quasi il 60% della popolazione di tutto il mondo è iscritta ad almeno un social.

Sono nate nuove professioni in questo mondo parallelo, come quella dell’influencer. Ma anche i lavori un “più tradizionali” si sono dovuti buttare sui vari social per poter restare nel mercato, come gli avvocati.

Social e Codice Deontologico Forense

Il codice deontologico forense è un testo che raccoglie tutti i doveri di correttezza e lealtà che un avvocato dovrà rispettare con i suoi clienti, con i colleghi, con la controparte e con i magistrati. Il divieto di accaparramento della clientela, presente nell’articolo 37 del codice, vieta di offrire le proprie prestazioni professionali direttamente presso il domicilio di clienti, nei luoghi lavorativi, di svago e di riposo.

Per questo, gli avvocati si sono chiesti se anche utilizzare i social fosse una pratica vietata dal codice. Il CNF, tuttavia, ha permesso di superare il limite del web, andando ad introdurre una modifica: «L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale».

Eliminato, inoltre, il comma 10 dell’art.35: «L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito».

Qualsiasi mezzo, quindi, è ammesso, pur rispettando i limiti di correttezza, verità, segretezza, trasparenza e riservatezza.

Cominci da zero? Niente paura

Se cominci da zero e non sai da che parte girarti, chiedi ad amici e parenti. Potrebbe essere difficile, ma avere almeno 100-200 persone che ti supportano online sin dal principio sarà veramente utile.

Poi, cerca i tuoi colleghi avvocati che hanno cominciato prima di te e seguili: è molto semplice che questi ricambino il tuo follow. Ma non limitarti a questo, dato che siete colleghi e i doveri esistono dappertutto, anche online.

Scrivi un messaggio per presentarti, spiegando di ciò che ti occupi e chiedendo loro di che cosa si occupano. Potrebbe nascere anche qualcosa di bello e utile a livello lavorativo, non si sa mai.

Nei social non puoi aspettarti che le persone interagiscano con te, a meno che tu non sia un personaggio pubblico importante: devi prima farlo tu con loro. Ricordati, però, che sei un avvocato, e che sei sui social in quanto professionista.

Oltre a pubblicare contenuti inerenti alla tua professione, commenta in modo interessante e pertinente i contenuti degli altri. Non soltanto ti farai notare, ma spingerai anche i tuoi colleghi a fare la stessa cosa con te.

Non sei sui social per accaparrarti la clientela, ma per promuovere la tua immagine. Dunque, dovrai fare una buona informazione giuridica, non prestare consulenze online gratuite.

Non puoi scrivere Venite tutti nel mio studio!, ma puoi condividere il tuo sapere, le tue conoscenze e far sì che le persone capiscano la tua bravura e che si convincano che la soluzione ai loro problemi sia proprio venire da te.

E non sarai tu a dirlo: lo diranno direttamente le persone. I tuoi contenuti saranno utili, di valore, gratuiti. Ti occupi di diritto di famiglia? Bene: crea brevi video dove spieghi il funzionamento della negoziazione assistita! Insomma, dai informazioni utili.

Sei il miglior avvocato nel tuo campo, giusto?

La tua promozione professionale sui social network è una sorta di palestra: se vuoi raggiungere dei risultati, dovrai allenarti con molta costanza, per almeno un anno, magari anche di più. Per crescere sui social ci vuole del tempo, numerosi tentativi, apertura mentale, impegno e costanza.

Non perderai tempo sui social, perché ci lavorerai, in quanto avvocato. Devi dire ai tuoi clienti che esisti, e che sei il miglior avvocato nel tuo campo. E sai perché sei il miglior avvocato nel tuo campo? Perché sei organizzato.

Utilizzi già Service1 per organizzare al meglio le tue giornate, vero?

Service1 ti permette di accedere alla tua agenda fascicoli, alle scadenze termini e alle tue udienze anche da smartphone grazie a Giustizia Servicematica e all’integrazione col PDA.

Service1 è un gestionale dalle funzionalità esclusive e un’interfaccia semplice utilizzabile da magistrati, cancellieri, avvocati e ctu.

Tutto compreso ed illimitato sia da pc che da smartphone: depositi, notifiche, conservazione digitale, webmail, Pec, firma documenti in digitale, gestione calendario udienze/scadenze.

Il tutto condito da un’assistenza help desk apposita contattabile telefonicamente, tramite email, social oppure tramite WhatsApp.

Clicca qui per dare un’occhiata ai nostri prodotti!

LEGGI ANCHE:


Fingerprinting: come i siti tracciano tutto quello che facciamo

Diventa avvocato a 82 anni: «Voglio essere d’aiuto ai più deboli»

Fingerprinting: come i siti tracciano tutto quello che facciamo

I cookies, strumenti in grado di tracciare online le attività degli utenti, stanno scomparendo, lentamente. I principali browser web, come Safari e Firefox, hanno cominciato a limitare la pratica. E ora anche Chrome ha capito i cookies sono un vero incubo per la privacy.

Tuttavia, non basta soltanto fermare i cookies per evitare il tracciamento online. Esiste, infatti, il fingerprinting, tecnica che comporta la raccolta di dettagliate informazioni riguardo le impostazioni del telefono o del browser, per tracciare di nascosto gli utenti, prendendo la loro finger print, l’impronta digitale.

La combinazione di linee e solchi che fanno parte dell’impronta digitale di una persona è assolutamente unica. Ebbene, anche l’impronta digitale del browser corrisponde all’insieme delle informazioni che vengono raccolte da un pc o da un telefono ogni qualvolta queste vengano utilizzate, affinché gli inserzionisti le ricolleghino all’utente.

Dichiara Tanvi Vyas, ingegnere di Firefox: «Il fingerprinting permette di prendere informazioni sul vostro browser, rete o dispositivo e combinarle per creare un insieme di caratteristiche che è per lo più unicamente riconducibile a voi».

I dati dell’impronta digitale includono la lingua utilizzata, il fuso orario, il layout della tastiera, se ci sono o meno i cookies attivi, il sistema operativo del dispositivo e altro ancora. Se si combinano tutte queste informazioni, al fine di formare un’impronta, gli inserzionisti saranno in grado di riconoscere quando un utente si sposta da un sito ad un altro.

Il fingerprinting è una pratica alla quale ricorrono le aziende che si occupano di pubblicità, inserendo un codice nei siti, che viene utilizzato dalle aziende al fine di raccogliere dati sulle attività online degli utenti.

Nonostante la poca trasparenza delle aziende che utilizzano il fingerprinting, la pratica è diffusa praticamente in tutto il web. La maggior parte di siti che visitate, infatti, prende l’impronta del vostro dispositivo.

Ma non sempre il fingerprinting è qualcosa di negativo. David Emm, ricercatore di Kaspersky, sostiene che la tecnica potrebbe essere utilizzata al fine di individuare delle frodi, come nel caso delle banche che la utilizzano per riconoscere comportamenti sospetti.

Il diffuso utilizzo del fingerprinting per la pubblicità mirata e per il monitoraggio dei movimenti online delle persone solleva anche alcuni problemi a livello giuridico. In tutta Europa, infatti, le autorità hanno sollecitato la creazione di misure di limitazione dei cookie banner, ovvero i pannelli che compaiono sui siti, che chiedono il consenso agli utenti per il tracciamento.

Sono banner onnipresenti, e le persone, per frustrazione, cliccano su “Accetta” acconsentendo, inconsapevolmente, al loro tracciamento.

Mentre i cookies possono essere cancellati o bloccati, il fingerprinting è difficile da combattere, dato che è completamente invisibile.

Ci sono vari plugin per browser che contribuiscono a fermare o a ridurre il fingerprinting, con risultati instabili. La cosa migliore da fare, per il momento, è utilizzare un browser che limita il tracciamento, aumentando la privacy. Browser come Tor, Firefox e Brave.

Il caso Meta

Recentemente, Meta ha introdotto la possibilità per gli utenti Facebook e Instagram di opporsi alla pubblicità comportamentale, quella basata sul finger print. Gli utenti, dunque, possono richiedere che i loro dati non vegano utilizzati ai fini del tracciamento e della profilazione, senza aver prestato alcun consenso.

Per farlo, possono utilizzare il tool gratuito presente sul sito Noyb, accedendo da Facebook, oppure fornendo la propria mail, o, ancora, inviando una mail per esprimere la volontà di non essere tracciati.

Dopo aver confermato la volontà di rinuncia al trattamento dati da parte di Meta, il tool invierà una mail al responsabile per la protezione dei dati, chiedendo che venga interrotto il tracciamento, operazione che avverrà entro 5 giorni lavorativi.

Per il GDPR, infatti, i responsabili del trattamento dei dati dovranno rispettare il diritto di opposizione degli utenti «senza indebito ritardo». Meta, dunque, dovrà agire in tempi brevi per interrompere il tracciamento. Beh, a meno che non abbia voglia di ricevere un’altra denuncia per violazione della privacy, considerando che la società ha già ricevuto una multa da 410 milioni di dollari.

Messa alle strette dall’Ue, Meta ha cominciato ad applicare una nuova politica in materia di privacy, optando per un targeting alternativo di annunci per tutti gli utenti che vogliono rinunciare al trattamento dei dati, ovvero, ad un targeting contestuale.

Anche se non sembra averne alcuna intenzione. Noyb, infatti, dice che il «modulo nascosto e complesso di Facebook per la disattivazione» non è raggiungibile. Ma anche se lo fosse, non garantisce che venga portata a termine la procedura per disattivare la pubblicità comportamentale.

Commenta Max Schrems, fondatore di Noyb: «Queste mosse di Facebook sono semplicemente ridicole e imbarazzanti. Devi trovare ogni elemento nella loro politica sulla privacy con cui non sei d’accordo e spiegare perché la valutazione di Meta è sbagliata nel tuo caso specifico».

«Il nostro modulo ribalta la situazione», aggiunge, «gli utenti possono ora rinunciare al trattamento dei dati e Facebook deve accettare questa obiezione senza indugio. Vogliamo rendere il più semplice possibile per le persone colpite l’esercizio dei loro diritti fondamentali».

LEGGI ANCHE:


Diventa avvocato a 82 anni: «Voglio essere d’aiuto ai più deboli»

Navigare online con maggior privacy: rilasciato il Mullvad Browser

Diventa avvocato a 82 anni: «Voglio essere d’aiuto ai più deboli»

Non si è mai troppo vecchi per reinventare sé stessi. Questa è la storia di Michele Campanile, che ad 82 anni d’età diventa avvocato, dopo 40 anni passati in cattedra come insegnante di storia e filosofia in un liceo classico di Foggia.

Nel 2007 l’uomo va in pensione, ed è allora che decide di riprendere in mano i vecchi libri di diritto, accantonati dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita 57 anni fa. «Il diritto è sempre stato una mia passione», rivela l’uomo.

Una passione che, per motivi lavorativi, ha dovuto accantonare. Campanile racconta a Repubblica: «Avevo famiglia, e avevo bisogno di lavoro. Appena laureato ho conseguito l’abilitazione in filosofia e storia e così mi sono messo a insegnare fino al 2007. Una volta in pensione sono tornato alla giurisprudenza».

Dunque, niente notti insonni, niente lauree in tempi record. L’uomo, comunque, non nasconde di aver riscontrato difficoltà nel rimettersi a studiare, dopo tanti anni di lontananza dai libri. «Un vero e proprio sacrificio, ma studiando sono tornato con la mente a quando ero ragazzo».

La figlia, avvocata a Bologna, l’ha supportato durante il suo percorso, ma soprattutto «mi ha spronato negli studi». Con dedizione e forza di volontà Campanile ha raggiunto il suo obiettivo, svolgendo il praticantato in uno Studio Legale e superando l’esame di abilitazione per diventare avvocato.

Lunedì 3 aprile, Campanile ha prestato giuramento a Foggia, nell’aula della Corte d’Assise, davanti ad amici, nuovi colleghi e consiglio dell’ordine. Con lui le figlie, la moglie Rosa e i nipoti.

L’uomo non si accontenta del semplice titolo, poiché è intenzionato ad esercitare la professione: ma non per guadagnare. «Voglio aiutare la gente. Ho una pensione, posso vivere con quella e per il resto voglio prestare assistenza a chi non può permettersi un avvocato».

«Non mi illudo di avere una grande clientela», conclude, «ma voglio aprire uno studio con mia figlia Luigia che già lavora a Bologna e gli anni che mi restano voglio dedicarli a chi ha bisogno e alla professione. Voglio soprattutto essere d’aiuto ai più deboli».

LEGGI ANCHE:


Navigare online con maggior privacy: rilasciato il Mullvad Browser

Donne e lavoro: parità di genere solo sulla carta

Navigare online con maggior privacy: rilasciato il Mullvad Browser

Mullvad, il provider svedese di Vpn, e Tor Project, hanno fatto nascere il Mullvad Browser. Si tratta di un software completamente gratuito e scaricabile da tutti, progettato appositamente per garantire riservatezza alle attività e ai dati degli utenti.

Il nuovo browser, rilasciato il 3 aprile, rende molto difficile tracciare le attività delle persone che navigano online da parte dei siti che queste visitano. È la versione rivisitata di Tor, il browser progettato per accedere alla rete Tor, che garantisce il massimo dell’anonimato per le persone che ci navigano.

Leggi il nostro articolo: Dark Web: tutto quello che c’è da sapere sul lato oscuro del web per conoscere come funziona Tor 😊

La rete Tor, per le attività di tutti i giorni potrebbe offrire una protezione eccessiva. Dunque, Mullvad e Tor Project hanno cominciato una collaborazione per sviluppare un nuovo browser, che ha ereditato tutte le caratteristiche di sicurezza di base che offre Tor, ma garantendo una navigazione più puntuale e veloce.

Mullvad Browser maschera funzionalità e parametri che di solito vengono utilizzati per estrarre da un dispositivo le informazioni che identificano un utente. Si attiva automaticamente in modalità privata, bloccando cookie di terze parti e tracker ed eliminando velocemente tutti i cookie delle pagine visitate in una sessione.

Rispetto agli altri browser finalizzati alla salvaguardia della privacy, questo browser ha meno estensioni e meno plug-in, riducendo quindi il numero degli identificatori ed evitando che l’identità di un utente venga svelata in qualche modo.

Quello che non fa, tuttavia, è offrire l’accesso alla Vpn Mullvad: sarà l’utente a scegliere se acquistare un piano offerto dall’azienda, con la quale integrare la Vpn al browser. Sai che cos’è una Vpn e perché è così importante per la nostra sicurezza? Clicca un po’ qui per scoprirlo 😊

Jan Jonsson, CEO di Mullvad ha dichiarato: «Vogliamo liberare Internet dalla sorveglianza di massa, e una Vpn da sola non è sufficiente per ottenere la privacy. Dal nostro punto di vista, c’era un vuoto nel mercato per coloro che desiderano utilizzare un browser incentrato sulla privacy come Tor Browser, ma con una Vpn invece della rete Tor. Si tratta di fornire più alternative per la privacy per raggiungere il maggior numero possibile di persone e rendere la vita più difficile a coloro che raccolgono i vostri dati».

Ehi, hai bisogno di un buon antivirus? Servicematica ti aiuta a proteggere il tuo pc, clicca qui per dare un’occhiata 🙂 

LEGGI ANCHE:


Donne e lavoro: parità di genere solo sulla carta

Diritto all’oblio oncologico: un disegno di legge sulla scia di #iononsonoilmiotumore

Donne e lavoro: parità di genere solo sulla carta

Parità di genere? Solo sulla carta.

Secondo gli ultimi dati raccolti da Jobiri, per riuscire a inserirsi nel mercato del lavoro e per costruire un percorso che sia all’altezza delle proprie competenze e aspettative, le donne devono scontrarsi (ancora) con domande scomode, ricatti e pregiudizi, che compromettono le loro carriere sin dal primissimo colloquio.

Lo studio si basa sulle risposte di 1053 donne tra i 18 e i 25 anni, che confermano le criticità da sempre denunciate riguardo l’occupazione femminile. Nonostante il vantaggio conquistato a livello di istruzione – il 23% delle donne ha una laurea contro il 17% degli uomini –  nel mondo del lavoro femminile il quadro generale continua a preoccupare.

Solitudine, confusione, rassegnazione: queste le sensazioni prevalenti tra le donne mentre ricercano lavoro, influendo negativamente sulle loro performance.

La situazione peggiora quando si è faccia a faccia con il recruiter. Il 56% delle donne si è sentita a disagio a causa di domande, implicite o esplicite, riguardo la loro vita privata, mentre il 55% dalla curiosità eccessivamente invadente rispetto alla cura dei propri figli.

Un altro problema è quello delle molestie, purtroppo ancora eccessivamente radicato: complimenti indesiderati, commenti a sfondo sessuale, contatti fisici decisamente inopportuni, promozioni scambiate con favori di tipo sessuale.

Inoltre, non accenna a diminuire nemmeno il gender pay gap: le donne, infatti, per il 68% del campione intervistato sono ancora costrette ad accettare stipendi più bassi e molti meno benefit rispetto a quelli dedicati agli uomini.

LEGGI ANCHE:


Diritto all’oblio oncologico: un disegno di legge sulla scia di #iononsonoilmiotumore

#quittok: i giovani che danno le dimissioni in diretta su TikTok

Diritto all’oblio oncologico: un disegno di legge sulla scia di #iononsonoilmiotumore

Approda in Parlamento la prima campagna per il diritto all’oblio oncologico, grazie a 100mila firme raccolte.

Il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, ha presentato alle Camere un disegno di legge, sulla scia di #iononsonoilmiotumore, campagna di comunicazione promossa dalla Fondazione Aiom. La norma, se approvata, consentirebbe a chi è guarito da un tumore di riprendere in mano la propria vita senza subire alcuna discriminazione.

Infatti, per richiedere alcuni servizi, come l’ottenimento di mutui o la stipula di assicurazioni, bisogna dichiarare di avere avuto un tumore, nonostante la guarigione. Sono in molti ad incontrare difficoltà, come rifiuti o premi incrementati.

#iononsonoilmotumore ha realizzato un portale web e una guida sul tema, un gran mobilitazione online per promuovere una raccolta firme e due camminate, a Modena e a Pescara.

Dichiara Giordano Beretta, presidente di Aiom: «Siamo molto soddisfatti dell’alto numero di persone raggiunte con la campagna e ringraziamo il Cnel per l’attenzione che ha dedicato a questo bisogno, molto sentito in tutta la popolazione di malati, ex pazienti, familiari e caregiver».

«Ora che questa legge è arrivata in Parlamento», continua Beretta, «non è più solo una speranza, ma può e deve diventare realtà: per questo, chiediamo ai presidenti di Camera e Senato e alla presidente del Consiglio di approvare questa norma, in un gesto di cura e ascolto verso un milione di italiani. Dobbiamo seguire l’esempio virtuoso di Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda, Portogallo e Romania, che hanno già emanato una legge a tutela dei cittadini guariti dal cancro».

Ogni tumore, sottolinea Beretta, «richiede un tempo diverso perché chi ne soffre sia definito “guarito”: per il cancro della tiroide sono necessari meno di 5 anni dalla conclusione delle cure, per il melanoma e il tumore del colon meno di 10. Molti linfomi, mielomi, leucemie, tumori della vescica e del rene richiedono 15 anni. Per essere guariti dalle malattie della mammella e della prostata ne servono fino a 20. Il riconoscimento del diritto rappresenta la condizione essenziale per il ritorno a una vita dignitosa».

Il numero di persone che guariranno dai tumori, grazie alla ricerca, ma anche all’innovazione tecnologica, è destinato ad aumentare, come riporta il consigliere di Cnel, Francesco Riva, autore della proposta di legge. «Per questo abbiamo ritenuto necessario portare questo progetto in Parlamento, perché se ne parli e si proceda a un’iniziativa legislativa in grado di offrire supporto e tutela a tutti i pazienti di oggi e domani».

«È fondamentale riempire questo vuoto normativo in tempi stretti, perché dopo cinque anni da un tumore pediatrico e dieci da una malattia dell’età adulta si possa essere finalmente considerati guariti anche dalla burocrazia», continua Riva.

Commenta Saverio Cinieri, il presidente di Aiom: «Esprimiamo tutta la nostra gratitudine a Tiziano Treu, presidente del Cnel, e al consigliere Francesco Riva. Il loro sostegno è stato decisivo per permettere a questa richiesta di arrivare ai grandi organi istituzionali. Ora a loro non resta che approvarla, in un gesto di civiltà, per farla diventare legge a tutti gli effetti. Chiediamo che questo avvenga rapidamente, perché non si affievolisca la luce su questa importante iniziativa e perché gli ex pazienti non debbano più aspettare per vivere la vita che meritano».

LEGGI ANCHE:


#quittok: i giovani che danno le dimissioni in diretta su TikTok

Settore Tech: le imprese straniere rubano talenti italiani

#quittok: i giovani che danno le dimissioni in diretta su TikTok

Su TikTok sta diventando virale dare le dimissioni in diretta. Infatti, in questi giorni, tantissimi utenti stanno condividendo video che immortalano l’esatto momento in cui danno le dimissioni dal loro lavoro, che sia una vera e propria consegna fisica della lettera di dimissioni o su Zoom.

Il trend sembra aver acquisito visibilità lo scorso settembre da Christina Zumbo, che sul social aveva condiviso il video del momento in cui inviava, tramite mail, le sue dimissioni, ottenendo 3000 commenti e 53.000 likes.

Zumbo avrebbe dichiarato poco dopo a BBC: «Non avevo idea che così tante persone avrebbero visto, raccontato e condiviso le proprie storie, o la loro paura di lasciare il loro attuale posto di lavoro, o il forte desiderio di fare quello che ho fatto io. E’ sorprendente il senso di comunità che provi se ti apri a mostrare una vulnerabilità reale e riconoscibile online».

#quittok

Molti altri hanno deciso di utilizzare TikTok per dare le dimissioni, come Jo Mayes, che dichiara di aver utilizzato il social come uno «sfogo divertente e creativo» e come aiuto per «combattere l’infelicità sul lavoro».

A settembre 2020, Mayes ha deciso di dire addio al suo lavoro: l’ha fatto in diretta, condividendo un video con l’hashtag #quittok, che ancora oggi è uno dei contenuti maggiormente visti sul social, con i suoi oltre 200mila likes.

Ma che cosa porta i più giovani a dare le dimissioni in diretta sul social più in voga del momento? Per prima cosa, dobbiamo tenere presente che i giovanissimi sono nativi digitali, abituati a condividere online i momenti più importanti delle loro vite, come quello delle loro dimissioni.

Spiega ai microfoni di BBC la terapeuta Tess Brigham: «E’ così che questa generazione ha esperienze, è come hanno imparato ad essere nel mondo. Se cresci abituato a registrare e condividere cose, perché non dovresti condividere questi momenti più grandi e significativi nel tempo?».

Ma non è soltanto questo a portare i più giovani a seguire il trend e l’hashtag #quittok. Dopo aver visto i propri genitori affrontare la crisi economica del 2008, e dopo aver lavorato in smart working a causa della pandemia, i Millennials e la Generazione Z oggi danno piena priorità alla loro salute mentale, agli ambienti positivi e alla felicità.

È proprio per questo che condividono questa tipologia di contenuti, che li ritraggono mentre si allontanano da ambienti tossici. Tutto questo impatterà sulle loro future opportunità professionali?

LEGGI ANCHE:


Settore Tech: le imprese straniere rubano talenti italiani

È ufficiale: Spid verrà sostituito dalla Carta d’Identità Elettronica

Settore Tech: le imprese straniere rubano talenti italiani

Un problema ormai cronico dell’attuale mercato del lavoro è il disallineamento tra domanda e offerta.

Soltanto nel 2022, Unioncamere ha calcolato una perdita di 38 miliardi di euro a causa dell’inserimento ritardato di professionisti parecchio difficili da trovare. Il conto finale potrebbe essere decisamente salato.

Se ci limitiamo soltanto alla parte dei lavoratori tech, il tema si allarga sempre più, non soltanto perché sono pochi e ricercatissimi, ma anche perché la domanda arriva da aziende straniere, vista la possibilità di lavorare da remoto.

Infatti, come emerso dal Tech talent outlook di Epicode (una delle società edu-tech maggiormente in crescita in Europa), su 500 aziende italiane circa il 7% delle richieste proviene da aziende straniere, interessate ai nostri esperti in ambito digital e tech. Offrendo compensi decisamente più alti.

In questo disallineamento vanno ad intrecciarsi più fattori, come l’inverno demografico e il dialogo non così semplice tra imprese e sistema educativo. Infatti, tra il 2023 e il 2027 il mercato del lavoro italiano avrà necessità di quasi 4 milioni di lavoratori. Il 72%, ovvero quasi 3 milioni di lavoratori, andranno a sostituire le persone che usciranno dal mondo del lavoro.

Sempre secondo il Tech talent outlook, le figure maggiormente ricercate sono gli sviluppatori, desiderati da 7 aziende su 10: parliamo di Front End Developer, Back End Developer, Full Stack Developer, data analyst ed esperti di cyber security.

Ivan Ranza di Epicode spiega che questa analisi consente di osservare «l’evoluzione delle figure e delle competenze più ricercate dalle aziende che operano nel nostro Paese. I dati di questa prima edizione confermano che siamo di fronte ad un panorama molto vivace: le professioni tech e ICT offrono tante opportunità di carriera e le aziende sono continuamente alla ricerca di figure in grado di supportarle nel percorso di transizione digitale che riguarda tutte le realtà, dalle multinazionali alle pmi».

Tuttavia, le opportunità non sembrano essere omogeneamente sparse lungo la penisola. Le maggiori opportunità sono presenti in Lombardia e Veneto, seguite da Emilia, Campania e Lazio.

Il 7% delle richieste arriva da aziende straniere interessate ai nostri esperti. Opportunità resa possibile anche dallo smart working. Continua Ranza: «E’ un fenomeno a cui bisogna prestare attenzione, perché quel 7% di giovani con queste competenze che lavora per aziende straniere pur risiedendo in Italia, sottrae preziose competenze che servono al nostro Paese. Fondamentale, dunque, lavorare sul tema delle competenze e fare in modo che l’offerta si allinei alla domanda e che il digitale possa essere, ancora di più, uno dei propulsori dell’economia del Paese».

LEGGI ANCHE:


È ufficiale: Spid verrà sostituito dalla Carta d’Identità Elettronica

Fincantieri: a Venezia un processo per sfruttamento degli operai

È ufficiale: Spid verrà sostituito dalla Carta d’Identità Elettronica

Si vocifera, ormai da un po’, che Spid verrà abbandonato e sostituito dalla Cie, la Carta d’Identità Elettronica. Ebbene, è arrivato il momento della conferma.

Il ministero degli Interni ha infatti attivato delle nuove funzionalità per Cie, che renderanno il suo utilizzo molto più semplice. Come aveva spiegato Alessio Butti, il sottosegretario di Stato con delega all’innovazione tecnologica, lo Stato «deve essere l’unico a poter disporre ed erogare certificati di identità anche digitali, mentre Spid usa identity provider privati».

Il ministero, sul sito cartaidentita.it, ha pubblicato tutte le novità in materia di Cie. D’ora in poi sarà sufficiente possedere «le credenziali di livello 1 e 2, associate alla propria carta di identità elettronica, per accedere in modo più semplice e veloce ai servizi online della Pubblica Amministrazione e a quelli dei privati dotati del pulsante “Entra con Cie”».

Per poter accedere ai servizi online della Pubblica Amministrazione con la Cie, fino ad ora, si doveva ricorrere necessariamente al livello 3, quello che richiede o uno smartphone con tecnologia NFC, oppure la presenza di un lettore smart card per pc.

Leggiamo sul sito del Ministero che «tutti i cittadini in possesso di Cie possono accedere ai servizi online in pochi passi e da qualsiasi dispositivo, semplicemente attivando una coppia di credenziali (username e password). O, se richiesto dal servizio, un secondo fattore di autenticazione (codice temporaneo OTP, scansione QR Code)».

Senza carta fisica, invece, basterà procedere a digitare il codice PUK e il numero di serie della Carta d’Identità Elettronica, che vengono consegnati dal Comune quando si fa richiesta per il rilascio della Cie. Per utilizzare la Cie, spiega il ministero, al fine di accedere ai siti della Pubblica Amministrazione, bisognerà attivarla online in precedenza. Per eseguire l’operazione basterà aver fatto richiesta di emissione della Cie e fornire i propri contatti.

Tali credenziali potranno essere attivate prima della consegna della Cie, inserendo il numero di serie della Cie, il codice fiscale e la prima metà del PUK. Sul sito Cartadidentita.it vengono indicate anche tutte le procedure atte al recupero del PUK, in caso di smarrimento; tuttavia, la generazione della nuova serie non è immediata, dato che avverrà in 48 ore.

Sarà sempre possibile utilizzare il livello 3, con un lettore smart card per pc o tecnologia NFC per smartphone. La PA, comunque, non richiederà più questo livello di sicurezza, ancora necessario, invece, per apporre la firma digitale su determinati documenti.

In ogni caso, ci saranno alcuni problemi per quanto riguarda le tempistiche. Certo, siamo di fronte ad un importantissimo passo verso un unico servizio nazionale. Un passo limitato, per il momento, dato che sono ancora poche le PA che consentono l’accesso con CIE (il Comune di Genova e il Comune di Roma).

Dunque, la sostituzione di Spid con Cie non è ancora definitiva, ma stiamo percorrendo proprio quella strada.

LEGGI ANCHE:


L’identità digitale SPID rischia di essere spenta definitivamente

Italia sempre più digitale: i numeri di SPID e CIE

Com’è andato l’incontro tra i gestori SPID e Agid?

Siamo sempre più vicini all’identità digitale europea. È la fine di Spid?

Fincantieri: a Venezia un processo per sfruttamento degli operai

A Venezia è cominciato un processo per quanto riguarda lo sfruttamento dei lavoratori che costruiscono le navi da crociera.

Sono state imputate 33 persone, tra le quali troviamo 13 dirigenti e dipendenti di Fincantieri, il più importante gruppo navale in tutta Europa, e i titolari di alcune delle ditte che avevano preso in appalto dei lavori di carpenteria all’interno dei cantieri navali di Fincantieri.

La Guardia di finanza, lo scorso 28 marzo, ha annunciato di aver scoperto 1.951 lavoratori delle aziende in appalto che avrebbero ricevuto retribuzioni irregolari, così come confermato dalle varie testimonianze raccolte dalla Federazione italiana operai metalmeccanici (Fiom-Cgil).

Nel 2018, infatti, il sindacato aveva presentato alla procura veneziana un esposto, dal quale era partita l’indagine, della durata di 5 anni e che ha portato, nel frattempo, ad ulteriori 3 processi.

Gli operai, provenienti dall’Europa dell’Est, dal Bangladesh e dal Sud Italia, venivano retribuiti secondo un meccanismo di “paga globale”, ovvero un compenso forfettario dove venivano conteggiate ferie, permessi, TFR e indennità di trasferta.

Secondo la procura, nei cedolini mensili venivano inserite «voci artificiose», come «anticipo stipendio», «bonus 80 euro», «indennità buono pasto», che non venivano pagate, con lo scopo di ottenere notevoli sgravi fiscali.

6 milioni di euro sarebbero stati pagati in nero, mentre 383 lavoratori hanno accettato una paga oraria inferiore a 7 euro lordi, dato che avevano bisogno di lavorare al fine di rinnovare il loro permesso di soggiorno.

Fincantieri si difende dalle accuse, dicendo che nel 2017 aveva firmato un accordo con il ministero dell’Interno, al fine di garantire  trasparenza e legalità degli appalti, soprattutto per bloccare eventuali infiltrazioni mafiose.

Sostiene di esser venuta a conoscenza delle indagini già nel 2019, garantendo piena collaborazione con le forze dell’ordine e con la magistratura, costituendosi parte civile nel processo.

Nella sua relazione di bilancio 2021, Fincantieri, oltre a dichiarare di aver chiuso con un utile di 125 milioni di euro, ha detto di impiegare 10mila persone in Italia, attivando anche ulteriori «90mila posti di lavoro, che raddoppiano su scala mondiale in virtù di una rete produttiva di diciotto stabilimenti in quattro continenti e oltre 20mila lavoratori diretti».

Più della metà di questi sono dirigenti, quadri e impiegati. Gli operai assunti, di solito lavorano nelle officine e nei magazzini, e la costruzione delle navi viene appaltata quasi del tutto a ditte esterne. Per esempio, a Marghera i dipendenti Fincantieri sono 1.057, mentre i lavoratori indiretti, l’anno scorso, erano tra i 4 e i 5mila.

A Venezia, i magistrati hanno scoperto il sistema di appalti sui quali si regge tutta la produzione Fincantieri, che si basa sul metodo del work breakdown structure. Sostanzialmente, la costruzione di una nave si scompone in singole parti, e ognuna di queste viene affidata ad una società appaltante.

In media ogni ditta appaltante ha circa 8 lavoratori: questo consente a Fincantieri di risparmiare, ogni anno, ben 20mila euro a lavoratore. Racconta Fabio Querin, sindacalista della Fiom: «I lavoratori delle ditte mi vedevano in cantiere, si fermavano a raccontarmi cose che si tenevano per sé perché avevano paura di perdere il lavoro».

«Nel 2018», continua Querin, «abbiamo deciso di presentare un esposto, segnalando una serie di aziende che utilizzavano la paga globale e allegando, oltre alle buste paga, anche documenti vari, tra cui alcune sentenze di processi civili già conclusi, dove eravamo parte civile. Sentenze che ci davano ragione e confermavano l’utilizzo di lavoratori sottoinquadrati, a cui non venivano versate le indennità contrattuali, ad esempio per il lavoro notturno, e che venivano pagati con la paga globale 4-5 euro l’ora, con le aziende condannate a versare contributi e differenze retributive».

LEGGI ANCHE:


PA: multe per chi utilizza troppi termini inglesi. La proposta di FdI

Un corpo per l’Intelligenza Artificiale: l’esperimento italiano su ChatGPT

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto