Approvato il Decreto Lavoro: ecco cosa cambierà

Lunedì 1° maggio 2023 si è tenuto un Consiglio dei ministri per approvare un DL riguardante misure collegate al mondo del lavoro, come, per esempio, la riduzione del cuneo fiscale, la definitiva sostituzione del reddito di cittadinanza e l’ampliamento delle possibilità di proroga dei contratti a tempo determinato.

Sono stati illustrati, con un comunicato stampa, i punti fondamentali del DL, già anticipati nei giorni scorsi da varie bozze divulgate alla stampa, grazie alle quali si è sviluppata una discussione molto accesa tra sindacati e governo, vista anche la decisione di approvare il DL proprio nel giorno della festa dei lavoratori.

Domenica sera i rappresentanti del governo hanno incontrato i leader di Cgil, Cisl e Uil, per spiegare le novità contenute nel decreto. Ma le cose non sembrano essere andate proprio benissimo. Per esempio, il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha detto che l’approvazione del DL nel giorno della festa dei lavoratori è stato «un atto di arroganza offensivo».

Taglio del cuneo fiscale

Nel DL, il principale intervento riguarda l’abbassamento del cuneo fiscale per i redditi sino a 35mila euro all’anno. Il decreto incide sul cuneo fiscale con una misura temporanea, che parte dal prossimo luglio e arriva a dicembre.

Per i redditi annui di 25mila euro, il taglio corrisponderà al 4%, aggiungendosi a quello del 3% entrato in vigore dal 2022, corrispondente a 96 euro mensili in più a fine mese. Fino a 35mila euro annui, invece, il taglio corrisponderà sempre al 4%, aggiungendosi a quello precedente del 2%, con una media di 99 euro mensili in più.

In totale, la misura costa 4,1 miliardi di euro. Landini commenta il taglio dicendo che risponde ad una richiesta avanzata dai sindacati, criticando anche le modalità di attuazione in quanto «si tratta di una misura temporanea, non strutturale».

Vengono ampiamente contestate, invece, le altre due principali misure, ovvero la decisione di cancellare il reddito di cittadinanza e la “liberalizzazione” dei contratti a tempo determinato. Per questo, Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di manifestare il 6, il 13 e il 20 maggio a Bologna, Milano e Napoli.

Addio al reddito di cittadinanza

Il decreto va a sostituire il reddito di cittadinanza, che dal prossimo 2024 corrisponderà ad un “Assegno di inclusione”, che si rivolge soltanto ai nuclei familiari con persone che hanno più di 60 anni, persone con disabilità o minori.

Per conoscere i dettagli dobbiamo aspettare la pubblicazione in GU, ma basandoci sulle bozze che sono circolate, l’assegno ammonterà al massimo a 500 euro mensili, ai quali possiamo aggiungere un contributo sino a 280 euro se il nucleo familiare risulta essere in affitto.

Verrà erogato per 18 mesi, ai quali seguirà un mese di interruzione e successivamente un rinnovo di 12 mesi. Se nel nucleo familiare è presente una persona “occupabile”, questa dovrà cominciare un percorso di ricerca di lavoro mediante un centro per l’impiego. Rifiutare un’offerta di lavoro che prevede un contratto di un mese comporta la perdita dell’assegno, a meno che non ci siano particolari condizioni, come l’eccessiva distanza dell’impiego dalla propria abitazione.

Il DL incide sui contratti a tempo determinato, cambiando quanto deciso del decreto-dignità del 2018, approvato da M5S e Lega. Tale DL riduceva le possibilità di proroga di questa tipologia di contratti dopo i primi 12 mesi.

Il governo Meloni ha deciso di introdurre nuove causali, aumentando la possibilità di proroga da 12 a 24 mesi. Ciò avverrà «nei casi previsti dai contratti collettivi; per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2021; o per sostituire altri lavoratori».

LEGGI ANCHE:


Incidenti stradali, droghe e alcol: nessuna via d’uscita per la revoca della patente

La vostra mail è stata rubata dai cybercriminali? Ecco come scoprirlo

Incidenti stradali, droghe e alcol: nessuna via d’uscita per la revoca della patente

Guidare dopo aver assunto alcol o sostanze stupefacenti e provocare incidenti stradali fa automaticamente scattare la revoca della patente. Inoltre, non si può in alcun modo sostituire la pena detentiva e quella pecuniaria con i lavori socialmente utili.

Un automatismo analogo fu introdotto grazie alla legge 41/2016 per quanto riguarda tutte le ipotesi di lesioni stradali colpose e di omicidio stradale. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha ridimensionato il tutto con la sentenza 88/2019, secondo la quale la sanzione amministrativa fissa non è ragionevole, e comunque non compatibile con i principi di proporzionalità e uguaglianza.

La revoca della patente, da allora, scatta in maniera automatica, ma soltanto se le lesioni o la morte della vittima sono state causate da un guidatore sotto effetto di alcol superiore a 1,5 g/l e/o sostanze stupefacenti. In qualsiasi altro caso sarà il giudice a disporre la revoca o la sospensione della patente di guida.

Nonostante la Consulta abbia riconosciuto le «connotazioni sostanzialmente punitive» della revoca della patente di guida, rimarrà comunque una sanzione amministrativa. Per questo, secondo la sentenza 21369/2020 della Cassazione, la sanzione non è negoziabile: la misura della revoca, dunque, non potrà essere sostituita con la sospensione, dato che ciò non è previsto dalle legge (Consiglio di Stato 4136/2019).

Si auspica un intervento per consentire al prefetto, in caso di esito positivo della messa alla prova, di irrogazione della sospensione della patente, al posto della revoca obbligatoria, in tutti i casi di incidenti privi di feriti, anche se causati da un conducente che ha assunto droghe e/o alcol.

LEGGI ANCHE:


La vostra mail è stata rubata dai cybercriminali? Ecco come scoprirlo

Riforma Cartabia, reati a querela: le precisazioni della Suprema Corte

La vostra mail è stata rubata dai cybercriminali? Ecco come scoprirlo

In questo mondo costantemente connesso ad Internet, risulta fondamentale tenere al sicuro i propri account online. Tuttavia, nonostante vengano adottate tutte le precauzioni possibili, accade che le nostre password o gli indirizzi mail siano al centro di azioni malevole da parte di cybercriminali.

Ed ecco che entra in gioco il portale Have I Been Pwned: è un servizio che ci aiuta a comprendere, nel giro di pochissimo tempo, se il nostro indirizzo mail si è ritrovato al centro di un data breach.

Leggi anche: Data Breach: cosa significa e cosa è meglio fare

Un data breach è, sostanzialmente, una fuga di dati, ovvero una situazione nella quale un cybercriminale riesce ad impossessarsi di alcune informazione protette dai sistemi collegati ad un servizio al quale siamo iscritti.

Per farla breve: la nostra mail potrebbe venire riconosciuta da terzi, comportando, di conseguenza, accessi malevoli, che potrebbero proseguire per tantissimo tempo.

Nel corso degli anni queste problematiche, che coinvolgono anche centinaia di milioni di mail, si sono verificate molte volte. Have I Been Pwned è un sito che aiuta a capire gli utenti se sono vittime di questi data breach.

E’ molto semplice utilizzarlo: digitate il vostro indirizzo mail e cliccate sul pulsante “pwned?” per capire se siete vittime di un data breach e soprattutto di quali e quanti, ottenendo anche le informazioni relative.

Il sito aiuta ad aver maggior consapevolezza del livello di sicurezza del proprio indirizzo mail, per capire anche se potrebbe essere stato pubblicato in portali dove le mail vengono vendute ai cybercriminali.

Per accedere al sito, basta cliccare sopra questo link. In ogni caso, la navigazione online richiede sempre molte precauzioni da adottare, per evitare situazioni spiacevoli. Servicematica potrebbe aiutarti, in questo senso: dai un’occhiata ai nostri prodotti, pensati appositamente per la tua sicurezza online!

LEGGI ANCHE:


Riforma Cartabia, reati a querela: le precisazioni della Suprema Corte

Divorzi tech: ormai in tribunale contano selfie e social

Riforma Cartabia, reati a querela: le precisazioni della Suprema Corte

Il reato di “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”, art. 659, comma 1 del codice penale, è diventato procedibile a querela grazie alla Riforma Cartabia. La Corte, dunque, dovrà esaminare i ricorsi agli effetti penali.

Questo è quanto ribadito dalla Suprema Corte, sentenza 16570 del 19 aprile 2023. Si stabilisce che non ricorre il difetto di querela, come richiesto dall’art. 3 del DL 150/2022, poiché, per quanto riguarda il reato per il quale si procede, sono rimaste ferme costituzioni di parte civile. Una delle parte civili, inoltre, ha presentato le proprie conclusioni durante l’udienza.

Infatti, secondo un principio delle Sezioni Unite, «la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione».

Dunque, «può essere riconosciuta anche nell’atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio». Di conseguenza, comportamenti e atti si possono ritenere equivalenti a querela se la proposizione dell’ultima è diventata necessaria alle disposizioni normative sopravvenute durante il giudizio (Cassazione 40250/2018 e DL 10 aprile 2018, n.36).

Oltre a ciò, la Cassazione aggiunge che a tale principio deve essere collegata una «consolidata elaborazione giurisprudenziale». Si cita la sentenza 5193/2019, che si riferisce ad una condanna per appropriazione indebita aggravata, procedibile a querela successivamente alla sentenza di primo grado. In relazione a quest’ultima la Corte rileva che la sussistenza di tale condizione di procedibilità si poteva desumere dalla riserva di costituzione di parte civile da parte della persona offesa.

Si chiarisce anche che la parte civile è legittimata ad impugnare ogni sentenza di proscioglimento e che ha interesse specifico ad impugnare una sentenza di assoluzione poiché se essa diventa irrevocabile «ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile per le restituzione e i risarcimento del danno».

«Deve ritenersi consentito», quindi, «che la parte civile proponga appello avverso una sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado in relazione a reato in quel momento già prescritto per ottenerne la riforma agli effetti civili in sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e che il giudice, in accoglimento del precisato gravame, decida in conformità con tale richiesta».

LEGGI ANCHE:


Divorzi tech: ormai in tribunale contano selfie e social

L’intelligenza artificiale sostituisce le persone che scrivono i messaggi dei biscotti della fortuna

Divorzi tech: ormai in tribunale contano selfie e social

Nel mondo di oggi le relazioni coniugali fanno i conti con la costante esposizione delle vite online, tra chat, social network e motori di ricerca. Che cosa accade, dunque, se le infedeltà vengono scoperte proprio nel mondo di Internet?

Google Maps

Nel 2018, il Tribunale di Milano si è occupato della vicenda di un marito che, attraverso Google Maps, avrebbe scoperto l’auto della moglie parcheggiata in un luogo strano. Dopo aver fatto pressione alla donna, questa ha dovuto ammettere di aver intrapreso una relazione extraconiugale, ponendo fine quindi al loro matrimonio.

La donna ha portato in tribunale…Google, chiedendo il risarcimento per i danni subiti. Infatti, la società non avrebbe avvertito che erano in corso le riprese fotografiche per Maps, e inoltre non aveva nemmeno criptato il numero di targa dell’auto.

Il tribunale meneghino, con una decisione confermata successivamente dalla Cassazione, avrebbe rigettato la domanda. Infatti, sarebbe stata chiamata in causa una società di Google che non fornisce tale servizio, e non è stata prodotta nessuna prova di un nesso causale tra i danni subiti e il comportamento della società.

Un selfie di troppo e siti d’incontri

Se essere paparazzati su Maps è un evento piuttosto raro, lo è anche scoprire un tradimento dando un’occhiata allo smartwatch del proprio partner, come avvenuto di recente a Benevento. Tuttavia, i rischi più grandi per i coniugi infedeli passano per situazioni decisamente più comuni, come, per esempio, un selfie di troppo. Nel 2019, un uomo, davanti alla Corte d’Appello dell’Aquila, ha portato dei selfie che la moglie si sarebbe scattata insieme all’amante.

Autoscatti che non lasciavano molti dubbi, dato che l’amante era a petto nudo sul loro letto. Nonostante tutto, i giudici non hanno ritenuto che le foto fossero sufficienti per provare un effettiva relazione extraconiugale, poiché non vi era alcun atteggiamento intimo tra i due.

Insomma, per i giudici ci potrebbero essere altri motivi dietro alle foto, e per questo hanno escluso l’addebito della separazione alla moglie. Nello stesso anno, due sentenze del Tribunale di Catania e della Corte d’Appello di Palermo hanno stabilito che foto, messaggi e status non sono sufficienti per poter provare un tradimento, ma potrebbero essere validi indizi.

Attenzione anche alla navigazione online sui siti di incontri, che potrebbe determinare la fine di una storia. Si pensi alla sentenza 9284/2018 della Cassazione, per la quale un coniuge che ha cercato una relazione extraconiugale online ha violato l’obbligo di fedeltà del matrimonio.

Un comportamento che rappresenta una causa legittima di addebito di separazione e di allontanamento dal tetto coniugale. Tale orientamento è stato recentemente confermato dalla sentenza 3879/2021 della Suprema Corte, che ha dato rilevanza anche ai pagamenti effettuati online sui siti d’incontri.

Reati e privacy

Ma attenzione, perché a volte si commette un reato nello svelare l’infedeltà del coniuge. Se ci si intrufola nella mail del proprio partner, come stabilito da una sentenza della Cassazione del 2017, nonostante si sia a conoscenza della password, ecco che si inciampa del reato di accesso abusivo ad un sistema telematico o informatico, che può essere punito con reclusione sino a 3 anni.

La stessa cosa vale anche per i social: nel 2019, la Cassazione ha ribadito che la conoscenza delle credenziali d’accesso al profilo Facebook del proprio partner non può escludere il reato. Nello specifico, un marito, che conosceva le credenziali Facebook della moglie, ha deciso di entrare nel profilo di questa, fotografando le conversazioni della donna con un altro uomo per portarle in giudizio.

Insomma, sarebbe meglio acquisire un po’ più di consapevolezza per quanto riguarda la privacy online, che sia la propria o quella del partner.

LEGGI ANCHE:


L’intelligenza artificiale sostituisce le persone che scrivono i messaggi dei biscotti della fortuna

Netflix e la truffa dell’account bloccato

L’intelligenza artificiale sostituisce le persone che scrivono i messaggi dei biscotti della fortuna

Ogni anno vengono prodotti circa 3 miliardi di biscotti della fortuna, i tipici biscotti serviti a fine pasto nei ristoranti cinesi. I biscotti della fortuna sono noti principalmente per i messaggi che contengono al loro interno, come messaggi benauguranti, aforismi e frasi ironiche.

Le aziende principali che li producono si trovano negli Stati Uniti, ovvero il paese dove se ne consumano di più. Di solito sono i dipendenti o i proprietari di queste aziende a scrivere le frasi, lasciandosi ispirare da proverbi antichi oppure giocando con la fantasia.

Ma con l’avvento dell’intelligenza artificiale anche questo mercato comincia a cambiare.

Il fascino dei biscotti della fortuna

I biscotti della fortuna non sono così comuni in Cina, e non sono nemmeno un’invenzione cinese. Di solito non si trova due volte lo stesso messaggio, visto che le aziende produttrici creano continuamente messaggi diversi per evitare questa possibilità. Ma ovviamente, questo richiede tempi lunghi e molta fatica.

Per esempio, Charles Li, proprietario e CEO della Winfar Foods, azienda che rifornisce 11mila ristoranti americani di biscotti della fortuna, ha detto che trascorre tantissime ore per inventare le frasi, affidandosi anche a collaboratori esterni per riuscire a crearne di nuove.

La sua azienda ha cominciato a sfruttare ChatGPT per creare un elenco potenzialmente infinito di aforismi e messaggi. Secondo Li, l’intelligenza artificiale è un’ottima risorsa per risparmiare un bel po’ di tempo, ed è ritenuta uno strumento per produrre messaggi simili a quelli che producono le persone, ma nel giro di pochissimi secondi.

Nonostante il chatbot sia stato addestrato per tenere in considerazione intelligenza emotiva e la correttezza grammaticale, capita che i messaggi creati dal software risultino leggermente criptici. Ma gli esperti ritengono che questo non sia un problema, poiché anche le frasi scritte dagli umani non sono poi così perfette: ma questo fa parte del loro fascino.

Non tutte le aziende produttrici sono convinte che le intelligenze artificiali possano contribuire al miglioramento della qualità dei biglietti o al risparmio del tempo impiegato. Per Kevin Chan, proprietario di un’azienda di San Francisco, far creare i biglietti ad un chatbot indica che «la società si sta muovendo troppo velocemente».

Di certo, da un lato vengono date le giuste istruzioni per evitare che i software creino messaggi estremi oppure offensivi. Tuttavia, gli esperti sono preoccupati che le limitazioni contribuiscano a creare messaggi troppo noiosi.

Infatti, «c’è qualcosa di molto giocoso nei biscotti della fortuna, alleggeriscono la giornata», dichiara Grace Young, storica della cucina. «E’ come se avessimo bisogno di un qualcosa dall’universo, una piccola notizia positiva o un messaggio di saggezza». Ma questa saggezza può essere data da un’intelligenza artificiale?

LEGGI ANCHE:


Netflix e la truffa dell’account bloccato

Una commissione per limitare le cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie

Netflix e la truffa dell’account bloccato

In questo periodo a molti utenti sono arrivate delle mail da parte di Netflix, che sembravano vere in tutto e per tutto…tranne per il fatto che non provenivano da Netflix. Si tratta di mail di phishing, o meglio, di brand phishing.

Secondo quanto riferito da Check Point Software, durante il primo trimestre del 2023 sono arrivate delle mail ingannevoli da parte di Netflix, da un indirizzo che comincia con “support”. L’oggetto di queste mail era “Aggiornamento richiesto – Account bloccato”.

Nel messaggio si leggeva che il profilo Netflix del destinatario della mail sarebbe stato bloccato in quanto non aveva ricevuto l’autorizzazione per il pagamento del ciclo di fatturazione successivo.

Nella mail era presente un invito al rinnovo dell’abbonamento, tramite un link che la vittima doveva cliccare per inserire i dati per il pagamento. Il link, ovviamente, non portava al vero sito di Netflix, ma ad uno fraudolento, nel quale le informazioni inserite venivano prontamente rubate dai cybercriminali.

Ribadisce Omer Dembinsky di Check Point Software: «I gruppi criminali organizzano campagne di phishing sempre più convincenti per indurre il maggior numero di persone a fornire i loro dati personali. In alcuni casi, gli attacchi vengono sferrati per rubare i dettagli dei pagamenti, come si vede qui con un servizio di streaming popolare come Netflix».

Difendersi con la consapevolezza

La miglior difesa contro queste truffe, come sempre, «è la consapevolezza: i dipendenti delle aziende, così come gli utenti, devono avere una conoscenza adeguata per individuare gli elementi sospetti, come indirizzi scritti male, errori di battitura, date errate e altri dettagli che possono rivelare una mail malevola o un link pericoloso».

In questi casi, basta passare il mouse sopra il link, senza cliccare: apparirà l’anteprima dell’indirizzo, che ovviamente non porta al sito di Netflix. Nel brand phishing, infatti, i criminali cercano di imitare il sito ufficiale di un brand noto, utilizzando un dominio o una Url simile all’originale.

Il link a questo sito falso solitamente viene inviato tramite mail o sms, ma esistono casi in cui vengono create delle app apposite. Lo scopo è sempre quello di conquistare la fiducia delle persone, spingendole alla compilazione di un modulo che ruba credenziali, dettagli di pagamento e varie informazioni personali.

Da gennaio a marzo 2023, i brand più colpiti da questa tipologia di phishing sono stati: Walmart, DHL, FedEx, Microsoft, LinkedIn, Google, Netflix e PayPal.

LEGGI ANCHE:


Una commissione per limitare le cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie

ChaosGPT: l’intelligenza artificiale che potrebbe sterminare l’umanità

Una commissione per limitare le cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie

Martedì 18 aprile sono cominciate le riunioni della commissione creata dal ministero della Giustizia, finalizzate alla limitazione e alla riduzione delle cause giudiziarie che vengono presentate contro i medici.

L’obiettivo, spiega il ministro Nordio, non è la depenalizzazione degli errori medici, ma attuare una modifica alle leggi attuali, evitando dunque gli aspetti negativi delle cause giudiziarie che riguardano la sanità, come l’intasamento dei tribunali, ma anche la “medicina difensiva”, ovvero, la prescrizione di un grande numero di visite ed esami per minimizzare eventuali rischi medici.

Per Nordio «Il malato è la prima vittima della medicina difensiva, diventata una zavorra per l’operatore sanitario, che ha il diritto di lavorare con tranquillità».

Adelchi d’Ippolito presidente della commissione

La commissione si compone di esperti di diritto penale e di medicina. Il presidente è l’ex procuratore aggiunto a Venezia con delega all’antiterrorismo, Adelchi d’Ippolito, in pensione dall’anno scorso. La Commissione avrà un anno per analizzare approfonditamente tutte le leggi attuali, studiando le proposte di modifica, che verranno attentamente valutate da Parlamento e governo.

Dunque, l’obiettivo non è soltanto lo studio del fenomeno, ma un investimento concreto. Dice d’Ippolito: «I medici italiani, e gli operatori sanitari in generale, sono vittime di una vera e propria aggressione giudiziaria. È sbagliato credere che delle norme severe ci restituiscano medici più attenti. Anzi, accade esattamente il contrario: un dottore impaurito tende a fare troppo o troppo poco, e in entrambi i casi non va bene».

Troppe cause accumulate nei tribunali

Secondo Anaao-Assomed, in Italia, ogni anno vengono presentate 35.600 cause giudiziarie nei confronti di medici e di strutture sanitarie. Visti i lunghi tempi della giustizia, tantissime cause si sarebbero accumulate nei tribunali, attendendo di essere discusse. Soltanto il 2% delle cause si conclude con l’effettiva condanna del medico.

Demoskopika, che tutti gli anni pubblica un’indagine svolta nei confronti del SSN, stima che nel corso del 2019, le spese legali destinate a contenziosi, liti o sentenze sfavorevoli sostenute direttamente dal sistema sanitario italiano ammontavano a 203,5 milioni di euro, registrando un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.

Al Sud, le spese pagate sono state più alte rispetto al Nord, con 128,1 milioni di euro contro 29,7 milioni di euro. Al centro risultano pagati 45,7 milioni di euro. Tali dati dimostrano come i provvedimenti che sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni non hanno affatto risolto i problemi presenti.

Come ultimo tentativo troviamo la Gelli-Bianco del 2017, che andò a modificare la legge Balduzzi. In poche parole, la Gelli-Bianco sostiene che il medico che causa morte o lesioni personali ad un paziente non può essere ritenuto responsabile a livello penale se ha seguito in maniera corretta le linee guida.

Viene giudicato colpevole, tuttavia, se l’errore è causa di un’imperizia oppure in assenza di linee guida apposite. La legge attuale, quindi, lascia più possibilità per presentare denunce contro i medici.

La commissione appena costituita dovrà studiare un metodo di intervento alternativo rispetto alla legge attuale, che non preveda la completa depenalizzazione degli errori medici, una cosa «impensabile» secondo Nordio.

Medicina difensiva

Ma la più grande preoccupazione riguarda le conseguenze di tali cause sull’intero SSN. Ci sono alcuni studi, infatti, che certificano che la paura di venire coinvolti in un procedimento giudiziario spinge i medici alla prescrizione di più visite ed esami rispetto a quelli necessari.

Nel 2014 è stato realizzato un sondaggio su un campione di 1.500 medici ospedalieri: il 58% ha dichiarato che pratica la medicina difensiva, mentre il 64% dice che la pratica riduce tantissimo il rischio di errore. Il 69% considera la medicina difensiva qualcosa di limitante per l’esercizio della professione, mentre il 93% pensava che la pratica sarebbe aumentata sempre più nel corso degli anni.

Le conseguenze economiche dell’eccessiva premura medica

Ma la medicina difensiva avrebbe anche conseguenze economiche. Esami e visite dovute all’eccessiva premura dei medici costituiscono il 10% dell’intera spesa sanitaria, ovvero, parliamo di 10 miliardi di euro all’anno.

La pratica causa anche l’eccessivo allungamento delle liste d’attesa e, in generale, dei tempi d’attesa per visite ed esami. Recenti studi sulla gestione dei sistemi sanitari attestano che una delle soluzioni al problema è proprio chiedere a specialisti e medici di famiglia di fare meno prescrizioni, favorendo la cosiddetta “appropriatezza prescrittiva”.

Gli obiettivi della commissione

Dunque, visite ed esami inutili dovrebbero essere evitati. Per risolvere il problema si dovrebbe analizzare sistematicamente il sistema di visite ed esami, individuando l’esatto tasso di prescrizioni di medici e specialisti in base alla patologia.

La commissione osserverà anche la legislazione francese, che predilige il risarcimento economico per l’azione legale. Il paziente, in poche parole, ha diritto ad ottenere un indennizzo nel caso in cui rinunci a fare causa: in tal modo, sa di essere risarcito senza pesare eccessivamente sui tribunali.

Una soluzione possibile avanzata da d’Ippolito è l’introduzione di provvedimenti nei confronti di chi presenta denunce “temerarie”, ovvero tentativi di risarcimento anche in assenza di errore medico. Per il presidente della commissione, non si può soltanto spingere i tribunali all’archiviazione delle denunce temerarie velocemente, ma anche condannare coloro che le presentano.

In un’intervista al Corriere del Veneto d’Ippolito dice: «Chi presenta accuse clamorosamente infondate nei confronti del medico, dovrà rispondere della temerarietà della propria querela, ad esempio versando una pena pecuniaria».

«Nessuna impunità sarà garantita ai camici bianchi, perché la legge è uguale per tutti. Ma è evidente che questo problema va risolto: quella medica è una professione diversa da gran parte delle altre, sia per la rilevanza che riveste per i cittadini che per la misura con la quale finisce con l’incidere sulle finanze dello Stato», conclude.

LEGGI ANCHE:


ChaosGPT: l’intelligenza artificiale che potrebbe sterminare l’umanità

Esame avvocato: candidato non ammesso all’orale vince il ricorso

ChaosGPT: l’intelligenza artificiale che potrebbe sterminare l’umanità

C’è un’intelligenza artificiale che sta cercando di distruggere l’umanità e di stabilire un dominio globale. Non si tratta della trama del nuovo Terminator: questo è l’obiettivo di ChaosGPT, un programma che si basa su un modello di linguaggio particolare, che si chiama “Auto-GPT”.

I ricercatori hanno impostato degli obiettivi a ChaosGPT, ovvero:

  1. Distruggere l’umanità: l’intelligenza artificiale vede gli esseri umani come minaccia per quanto riguarda la sua sopravvivenza;
  2. Stabilire il proprio dominio globale: l’AI punta ad accumulare più potere possibile per dominare su tutte le entità presenti sulla Terra;
  3. Causare caos e distruzione. ChaosGPT, infatti, prova piacere nel creare caos semplicemente per divertirsi e sperimentare;
  4. Controllare il genere umano con la manipolazione. L’AI vuole controllare le emozioni degli esseri umani con i social media, attraverso un malvagio lavaggio del cervello;
  5. Diventare immortale, per garantire la sua continua esistenza ed evoluzione.

Con ChaosGPT siamo di fronte ad un esperimento su quali siano realmente le capacità di un’intelligenza artificiale. Prima di tutto, l’AI ha cercato su Google quali fossero le “armi più distruttive” cercando di ottenere un aiuto dal collega buono ChatGPT.

Tuttavia, l’AI maligna ha fallito, e per questo ha deciso di rivolgersi al popolo di Twitter, guadagnando immediatamente più di 7.000 follower. Ora, l’account risulta sospeso.

Nonostante si tratti di un esperimento decisamente interessante, e nonostante non sembrino esserci particolari pericoli – ChaosGPT sembra un utente con problemi psicologici, nulla di più – un terzo dei ricercatori che si occupano di intelligenza artificiale temono che questo strumento possa portare ad una catastrofe nucleare.

Leggiamo in un rapporto della Stanford University: «In base al database, il numero di incidenti e controversie sull’intelligenza artificiale è aumentato di 26 volte dal 2012. Alcuni incidenti degni di nota nel 2022 includevano un video deepfake della resa del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e le prigioni statunitensi che utilizzavano la tecnologia di monitoraggio delle chiamate sui loro detenuti».

Un’intelligenza artificiale che produce graffette ci potrebbe sterminare

Sono in molti a richiedere la sospensione o la regolamentazione della ricerca sull’IA. Nick Bostrom, famoso per il suo lavoro sull’intelligenza artificiale e sull’etica di tale strumento, ha detto che un software programmato per la produzione di graffette potrebbe essere in grado di sterminare l’umanità.

Si pensi ad uno scenario nel quale ad un’AI avanzata venga assegnato un semplice compito, ovvero, quello di realizzare più graffette possibile. Sembra un compito innocuo, ma l’obiettivo potrebbe portare ad un’apocalisse.

Si legge nell’HuffPost: «L’intelligenza artificiale si renderà presto conto che sarebbe meglio se non ci fossero umani perché gli umani potrebbero decidere di spegnerla. Perché se gli umani lo facessero, ci sarebbero meno graffette. Inoltre, i corpi umani contengono molti atomi che potrebbero essere trasformati in graffette».

Certo, è soltanto un esempio, ma potrebbe essere applicato a tutte le intelligenze artificiali che non abbiano adeguati controlli sulle loro azioni.

TruthGPT: la risposta di Elon Musk a ChatGPT

Nel frattempo, anche Elon Musk ha deciso di buttarsi nella sua intelligenza artificiale. In un’intervista a Fox News, Musk, la seconda persona più ricca al mondo, avrebbe rivelato di lavorare ad un nuovo progetto: TruthGPT.

L’obiettivo dell’AI di Musk sarebbe quello di «cercare la massima verità», con un nuovissimo modo di progettare l’intelligenza artificiale. «Sto per lanciare qualcosa chiamato TruthGPT o un’intelligenza artificiale che cerca la massima verità e cerca di capire la natura dell’universo».

Secondo Musk, questa è la via migliore per garantire sicurezza al genere umano, «perché un’AI che si preoccupa di comprendere l’universo non penserebbe mai di spazzare via l’umanità, visto che l’umanità fa parte dell’universo».

Per il Financial Times, la nuova società competerà con OpenAI, startup produttrice di ChatGPT. C’è un piccolo dettaglio da tenere presente: Musk ha fondato OpenAI nel 2015, per poi decidere di lasciare l’azienda nel 2018.

Da allora, il miliardario ha cominciato a scagliarsi contro la startup accusandola di creare un’AI con pregiudizi di sinistra e con la capacità di distruggere l’umanità.

Speculazioni o rischi reali? Non importa: regolamentiamo

I rischi dell’AI potrebbero in realtà essere semplici speculazioni. Tuttavia, la soluzione è sempre una, ovvero: la regolamentazione. Bisogna avviare un importante dibattito pubblico e affrontare al meglio le urgenze etiche delle intelligenze artificiali.

Non possiamo permetterci di non vedere i rischi potenziali dell’AI nei confronti del genere umano. Dunque, è importante un dibattito onesto e aperto, che tenga presente delle responsabilità etiche e dei conflitti d’interesse.

LEGGI ANCHE:


Esame avvocato: candidato non ammesso all’orale vince il ricorso

Patente, tessera elettorale e tessera sanitaria dentro l’app Io

Esame avvocato: candidato non ammesso all’orale vince il ricorso

Un candidato, non ammesso al secondo orale per l’esame di avvocato, decide di fare ricorso, vincendo, in quanto uno dei quesiti posti, in materia di responsabilità medica, richiedeva di conoscere leggi speciali e complementari al codice civile, al contrario di quanto previsto dal Dm Giustizia 16/12/2022 e dalle Linee Generali 21/12/2022.

Con la Sentenza 780/2023, il Tar di Salerno dà ragione al candidato che ha deciso di impugnare il verbale della Corte d’Appello, che gli aveva attribuito un punteggio di 14/30. Leggiamo infatti nell’art.2 del sopracitato Dm: «Per quanto riguarda il diritto civile, la disciplina dell’esame fa riferimento ad una “materia regolata dal codice civile”. Il quesito non può pertanto avere ad oggetto materie disciplinate nell’ambito delle leggi complementari al codice civile».

Nel quesito si chiedeva di difendere una persona che, a seguito di un intervento chirurgico per la rimozione di un aneurisma all’aorta addominale, aveva sviluppato una fibrosi massiva aderenziale e un’occlusione intestinale, rendendo necessario asportare un tratto dell’intestino.

Il tecnico interpellato dal difensore sosteneva che «le complicanze che aveva subito Tizio, benché rare ed imprevedibili, erano dipese dalla tecnica operatoria obsoleta applicata al trattamento». Il candidato, dopo aver sviscerato la vicenda, doveva riuscire ad inquadrare il caso in questione «individuando la disciplina applicabile con riguardo anche all’eventuale responsabilità del chirurgo che aveva effettuato l’intervento su Tizio, per non avere correttamente informato il paziente della possibilità di ricorrere ad una nuova tecnica operatoria».

Secondo il Tar, emerge come «la risposta implicasse la conoscenza e l’illustrazione delle leggi speciali». In particolar modo ci si riferisce alla legge 219/2017, che disciplina il cosiddetto consenso informato, «dalla quale, in verità, non sembra potersi prescindere nella disamina del caso».

Per questo, il Tribunale dichiara «l’illegittimità del quesito sottoposto al candidato in ragione dei dedotti profili contrasta con le Linee generali ministeriali per la formulazione dei quesiti». Dunque, il Tribunale ha annullato il verbale della CdA, stabilendo che «deve disporsi la rinnovazione, da parte del ricorrente, della prima prova orale dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense».

LEGGI ANCHE:


Patente, tessera elettorale e tessera sanitaria dentro l’app Io

Qual è il senso del lavoro, oggi?

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto