sottoscrizione illeggibile

Procura alle liti con sottoscrizione illeggibile: valida o no?

Se non è possibile decifrare la firma, la procura alle liti può essere considerata valida? Con l’ordinanza n. 6426/2021, pubblicata il 9 marzo 2021, la Corte di Cassazione si è espressa sulla validità o meno della procura alle liti in caso di sottoscrizione illeggibile.

SOTTOSCRIZIONE ILLEGGIBILE, IL CASO

Il ricorso di una società contro l’Agenzia delle Entrate viene dichiarato inammissibile dalla Commissione Tributaria Provinciale a causa dell’illeggibilità della sottoscrizione del mandato conferito al legale e la mancanza del nome e della qualità del mandante.

Successivamente il ricorso viene però accolto dalla Commissione Tributaria Regionale.
La Commissione rileva che la sottoscrizione illeggibile non è rilevante, poiché la firma è riconducibile al soggetto che aveva svolto la funzione di amministratore unico prima della procedura della liquidazione, diventando poi il liquidatore.

L’Agenzia delle Entrate ricorre e la questione giunge in Cassazione.

L’AdE, fra e viarie, sostiene la violazione dell’art.83 c.p.c. poiché il ricorso originario è stato considerato ammissibile nonostante gli atti del fascicolo processuale non presentassero alcuna prova dell’esistenza del conferimento della procura alle liti al difensore e di elementi da cui dedurre l’identità del sottoscrittore.

LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ribadendo che: “l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese”.

La Corte ha inoltre sottolineato che al Processo Tributario si applicano i principi previsti dall’art. 182 c.p.c. Ciò è valido anche in presenza della norma speciale di cui all’art. 18, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 “per cui il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in rappresentanza organica di un altro soggetto può essere sanato, in ogni stato e grado del giudizio (e, dunque, anche in appello), con efficacia retroattiva, rispetto agli atti processuali già compiuti, a seguito della costituzione in causa del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza, che manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la condotta difensiva del falsus procurator”.

 

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giudici onorari ausiliari servicematica

Giudici ausiliari incostituzionali?

Con la sentenza n.41 depositata il 17 marzo 2021, la Corte Costituzionale definisce incostituzionali le norme che permettono ai giudici ausiliari di avere funzioni collegiali come giudici onorari presso le corti d’appello.

GIUDICI AUSILIARI E ARTICOLO 106

La decisione della Corte Costituzionale trae origine dalla terza sezione civile della Cassazione a proposito di due giudizi relativi a due ricorsi contro sentenze in appello emesse da collegi a cui ha partecipato anche un giudice onorario ausiliario.

Nel trattare la questione, la Cassazione ha preso come riferimento l’art.106 della Costituzione, di cui riportiamo il testo:

Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso.

La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.

Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

L’articolo indica che i giudici onorari non possano dunque coprire funzioni collegiali in appello o cassazione.

La conseguenza è che la loro effettiva partecipazione ai collegi risulta incostituzionale.

LA RIFORMA DELLA MAGISTRATURA E LA SCADENZA DEL 2025

La sentenza della Corte rende quindi incostituzionali gli articoli dal 62 al 72 del Dl n. 69/2013 (convertito dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013).

La Corte Costituzionale ha comunque deciso di lasciare al legislatore un margine di tempo per adeguare la normativa. Il termine di riferimento è quello previsto dall’articolo 32 del d.lgs. n. 116 del 13 luglio 2017, ovvero il 31 ottobre 2025. Entro quella data ci si aspetta una riforma generale della magistratura onoraria.

Nel frattempo viene concessa una “temporanea tollerabilità costituzionale” della situazione corrente, in modo tale da:
evitare l’annullamento di molte decisione prese con la partecipazione dei giudici ausiliari in corte d’Appello;
– continuare a contare sui giudici onorari per lo smaltimento degli arretrati.

 

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Prorogato il termine per la conservazione delle fatture elettroniche 2019

Prorogato il termine per la conservazione delle fatture elettroniche 2019

Il MEF conferma la proroga di tre mesi al termine di conservazione delle fatture elettroniche relative al periodo d’imposta 2019.

CONSERVAZIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE: PERCHÈ LA PROROGA

Come riporta IPSOA, la proroga sorge dalla novità dell’adempimento all’interno del calendario delle scadenze tributarie. Ciò dipende dal fatto che l’obbligo di fatturazione elettronica nelle operazioni tra privati è stato introdotto nel 2019.

IL TESTO DEL COMUNICATO MEF

Nel comunicato stampa del 13 marzo 2021del MEF si legge:

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica che nel decreto ‘Sostegni’ attualmente in corso di redazione verrà prevista la proroga dei termini per la conservazione delle fatture elettroniche relative al 2019 e di quelli per la trasmissione telematica e la consegna della ‘Certificazione Unica’.

In particolare, la prima misura consentirà agli operatori di avere tre mesi in più per portare in conservazione le fatture elettroniche del 2019.

La proroga in via di definizione tiene conto del fatto che l’adempimento in oggetto costituisce una novità nel panorama delle scadenze tributarie, in quanto l’obbligo di fatturazione elettronica nelle operazioni tra privati è stato introdotto a decorrere dalle operazioni effettuate il 1° gennaio 2019, per cui è la prima volta che occorre procedere alla conservazione sostitutiva delle fatture elettroniche emesse e ricevute nel periodo d’imposta.

Vengono così accolte le richieste degli operatori del settore impegnati nella gestione dei numerosi adempimenti connessi alle misure straordinarie varate dal Governo per far fronte alla grave crisi economico-sociale causata dalla pandemia che si sono aggiunti alle scadenze ordinariamente previste dal nostro sistema tributario”.

ALTRE PROROGHE DEL DECRETO SOSTEGNI

La proroga del termine di conservazione delle fatture elettroniche sarà ufficializzata con la pubblicazione del Decreto Sostegni.

Il Decreto prevede anche la proroga al 31 marzo 2021 della scadenza per la trasmissione telematica e la consegna della certificazione unica.

Infine, si ricorda che l’Agenzia delle Entrate renderà disponibile ai cittadini la dichiarazione dei redditi precompilata il 10 maggio 2021 e non più il 30 aprile.

 

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Esercizio della professione forense: al via i controlli Servicematica

Esercizio della professione forense: già iniziati i controlli

Dal 18 febbraio al 30 aprile 2021 si svolgeranno i consueti controlli triennali da parte dei Consigli dell’Ordine per verificare l’effettivo esercizio della professione forense.

La legge professionale forense, all’art.21, indica che l’iscrizione all’albo è soggetta all’esercizio della professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente.

La verifica avviene in considerazione di alcuni criteri indicati dal Decreto Ministeriale n. 47 del 2016.

ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE FORENSE: L’AUTODICHIARAZIONE

È compito dell’avvocato rilasciare una dichiarazione con cui attesta il possesso dei seguenti requisiti:

  • essere titolare di una partita iva attiva;
  • usare locali o avere almeno un’utenza telefonica destinati allo svolgimento dell’attività lavorativa (anche in condivisione con altri avvocati);
  • aver seguito almeno cinque cause all’anno; valgono anche gli incarichi conferiti da altri professionisti;
  • possedere un indirizzo PEC, comunicato al Consiglio dell’Ordine;
  • aver assolto l’obbligo di aggiornamento professionale;
  • essere intestatario di una polizza assicurativa a copertura della responsabilità professionale;
  • essere in regola con i contributi dovuti al Consiglio dell’Ordine e a Cassa Forense.

Gli Ordini mettono a disposizione software o piattaforme telematiche per agevolare l’invio della dichiarazione.

Una volta raccolte tutte le dichiarazioni, gli stessi Consigli dell’Ordine individuano, in modo automatizzato, un “campione” da sottoporre a ulteriori controlli.

DEROGHE AI CRITERI

I suddetti criteri non si applicano a:

– donne avvocato per il periodo di maternità, per i primi due anni di vita del bambino o dal momento dell’adozione;

– avvocati vedovi o separati affidatari della prole in modo esclusivo;

– avvocati che dimostrano di essere affetti o di essere stati affetti da una malattia che ne ha compromesso le possibilità lavorative;

– avvocati che assistono in modo continuativo congiunti o coniugi affetti da una malattia che ne ha compromesso l’autosufficienza;

– avvocati iscritti all’albo da meno di cinque anni.

CONSEGUENZE DEI CONTROLLI ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE

Nel caso i controlli dovessero dimostrare che l’esercizio della professione forense non è portato avanti in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, la conseguenza è la cancellazione dall’albo.

In caso di cancellazione, l’avvocato ha  sempre il diritto di presentare le proprie rimostranze ed essere ascoltato. Inoltre, può sempre chiedere la reiscrizione.

 

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Avvocati e media: quando scatta la violazione del codice deontologico

Con la sentenza n. 5420/2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un avvocato sospeso dal CNF per la violazione del codice deontologico forense.

In particolare, l’avvocato non ha rispettato i principi di decoro, probità, dignità e correttezza, e le norme sulla riservatezza e sull’accaparramento della clientela.

VIOLAZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICO E MEDIA: IL CASO

Il caso in questione tratta di una professionista che:

– ha rilasciato interviste su processi da lei effettivamente seguiti come difensore;
– ha partecipato a trasmissioni televisive in cui sono stati ricostruiti processi inventati, anche con l’uso di figuranti;
– ha proposto giudizi di classe infondati dopo aver anticipato tramite i giornali un risultato positivo certo;
– ha indicato come proprio recapito ai clienti quello di altri professionisti;
– si è procacciata nuovi clienti con modalità poco ortodosse.

Tali condotte rappresentano una violazione del codice deontologico e dei criteri di equilibrio, misura, riservatezza e segretezza richiesti nei rapporti tra avvocati e i media.

LA CONDANNA DEL CNF E LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Il CNF, raccolti i documenti che testimoniavano le condotte improprie, ha deciso per la sospensione dalla professione dell’avvocato, la quale ha presentato ricorso.

Le motivazioni del ricorso sono le seguenti:

  • vizi derivanti dalla violazione delle norme del procedimento svolto davanti al Consiglio dell’Ordine;
  • l’inadeguatezza della sanzione, considerata troppo severa, trattandosi del primo provvedimento disciplinare nei suoi confronti;

La Cassazione conferma però la condanna decisa dal CNF. In particolare, nella sentenza  viene spiegato che “la determinazione della sanzione adeguata costituisce tipico apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 1609 del 24/01/2020), con conseguente inammissibilità della censura al riguardo”.

 

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Esame di abilitazione forense 2021: due prove orali e modalità da remoto

Continua la saga dell’esame di abilitazione forense 2021.

Con un apposito decreto in attesa di firma del Presidente della Repubblica, la prova scritta è sostituita con una prova orale della durata di 1 ora.

La nuova prova scritta sarà incentrata su un caso pratico di cui il candidato dovrà fornire la soluzione. Al candidato verrà data la possibilità di scegliere la materia di riferimento tra civile, penale e amministrativo.

ESAME DI ABILITAZIONE FORENSE: COME FUNZIONA LA NUOVA PROVA ORALE

La nuova prova orale dell’esame di abilitazione forense sarà gestita da una sottocommissione composta da tre membri (con un avvocato per presidente).

Prima della prova di ciascun aspirante, la commissione sceglierà 3 quesiti che saranno posti all’interno di 3 buste chiuse. Il candidato dovrà scegliere la busta e procedere con l’analisi del caso e poi la discussione.

I quesiti saranno predisposti seguendo le linee guida stabilite dalla Commissione Centrale.

Tutta la prova si svolgerà da remoto ma con il candidato presso la sede della prova d’esame. Insieme al candidato sarà presente il segretario della seduta.

Ogni membro della commissione potrà valutare il candidato con un massimo di 10 punti. Per accedere alla seconda prova, il candidato dovrà ottenere almeno un punteggio di 18.

La seconda prova consisterà nella discussione di argomenti relativi a 5 materie scelte dal candidato: una tra diritto civile o penale, una tra diritto processuale civile o diritto processuale penale, e tre tra diritto costituzionale, amministrativo, commerciale, tributario lavoro, internazionale privato, dell’Unione europea o ecclesiastico.

I DUBBI DEL CNF

Il CNF ha collaborato con il Ministero della Giustizia per giungere a una soluzione che permettesse lo svolgimento dell’esame di abilitazione forense durante l’emergenza Covid. Nonostante ciò, Maria Masi, presidente facente funzioni del CNF, ha sollevato alcuni dubbi sul testo del decreto:

«il Cnf nutre alcune perplessità, relativamente alla formulazione del testo del decreto, per l’effettiva garanzia di equilibrio e parità di trattamento nei confronti di tutti coloro che affronteranno il primo colloquio orale. […] Il Cnf aveva suggerito che i quesiti del primo orale, sostitutivo della prova scritta e della durata di una sola ora, fossero elaborati centralmente dal Ministero stesso in modo di assicurare a tutti i candidati una condizione di omogeneità. Il Cnf interloquirà con il ministero della Giustizia e con la commissione centrale d’esame per verificare che non sussista un eventuale rischio di disparità di trattamento per gli aspiranti avvocati»

[Fonte: Sole24Ore – “Esame avvocati: niente prove scritte e due orali”]

 

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Scadenze proroghe Giustizia e COVID: le tabelle riassuntive

L‘Osservatorio sulla legislazione presso la Camera dei Deputati ha pubblicato un documento che riassume le proroghe alle normative decise durante l’emergenza sanitaria.

PANORAMICA DEL DOCUMENTO

Il documento “Emergenza COVID-19. Proroghe termini e discipline speciali” suddivide le norme in 12 materie di intervento:

  • Affari costituzionali
  • Giustizia
  • Difesa
  • Bilancio
  • Finanze
  • Cultura
  • Ambiente
  • Trasporti
  • Attività produttive
  • Lavoro
  • Affari sociali
  • Agricoltura

Sono presenti diverse tabelle con i termini originari delle disposizioni indicate e le proroghe stabilite da:
– l’allegato al decreto legge n. 83 del 2020,
– le modifiche al precedente allegato introdotte dal decreto legge n. 125 del 2020,
– l’allegato al decreto legge n. 183 del 2020,
– altre disposizioni.

Nelle tabelle compaiono, in rosso, anche i termini ultimi di applicazione delle norme vigenti.

In totale sono riportate 154 disposizioni, 57 cessate e 97 ancora in vigore grazie alle proroghe.
Di queste, 46 sono state prorogate con disposizioni diverse dagli allegati indicati. 8 non hanno un termine preciso ma dipendente dalla durata dello stato d’emergenza.

LE PROGOGHE DEL SETTORE GIUSTIZIA

Il destino del settore Giustizia è fortemente legato al perdurare dello stato di emergenza, fino al termine del quale rimangono valide:
– le modalità speciali per la trattazione dei procedimenti civili, penali e contabili (cfr. artt. 23, 23-bis, 23-ter e 24, D.L. n. 137/2020, e art. 26 del DL n. 137 del 2020),
– le disposizioni per lo svolgimento a distanza dei colloqui negli istituti penitenziari,
– la sospensione del termine per la redazione del rendiconto consuntivo condominiale,
– la possibilità di svolgere da remoto le udienze degli organi di giustizia tributaria.

PROROGHE PROCESSO PENALE

Per i procedimenti penali vengono confermati:
– l’uso di collegamenti da remoto nella fase delle indagini preliminari,
– il deposito di atti, documenti e istanze inerente alla chiusura delle indagini preliminari tramite il portale del processo penale telematico,
– lo svolgimento da remoto delle udienze che non richiedono la presenza di altri soggetti che non siano il PM, le parti e i difensori, gli ausiliari del giudice, la polizia giudiziaria, eventuali interpreti, consulenti e periti.

PROROGHE PROCESSO CIVILE

Per i procedimenti civili vengono confermati:
– obbligo del deposito telematico di atti e documenti da parte del difensore,
– svolgimento delle udienze che non richiedono la presenza di altri soggetti che non siano i difensori delle parti tramite il deposito telematico di note scritte,
– lo svolgimento da remoto di udienze su richiesta dei difensori e delle parti,
– trattazione da remoto dell’udienza, con il consenso delle parti e se non è prevista la partecipazione di soggetti diversi da difensori, parti e ausiliari del giudice;
– giuramento del CTU tramite documento scritto e con deposito telematico.

Per un quadro esaustivo vi invitiamo a visionare il documento ufficiale “Emergenza COVID-19. Proroghe termini e discipline speciali” della Camera dei Deputati.

 

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Rapporto Censis: le difficoltà degli avvocati in Italia

Il V rapporto Censis offre una fotografia della la situazione, poco rosea, degli avvocati in Italia.

La pandemia ha avuto conseguenze negative su tutta la categoria, con ben 7 professionisti su 10 che ritengono critica la propria situazione lavorativa.

Svolto su un campione di più di 14.000 avvocati, il rapporto Censis offre informazioni sulla situazione reddituale e sulle modalità di lavoro durante l’emergenza. Inoltre, racconta quale percezione i cittadini abbiano della giustizia nazionale e il loro accesso ai servizi legali.

IL REDDITO DEGLI AVVOCATI IN ITALIA

Dal 2014 in poi c’è stata una ripresa dei redditi degli avvocati, più sostenuta negli ultimi due anni.  Questa crescita è però stata interrotta dagli effetti dell’emergenza sanitaria.

Il reddito medio 2019 dichiarato dagli iscritti alla Cassa Forense è di 40.180 euro.

Le donne dichiarano un reddito più basso, pari al 62,5% di quello medio complessivo. Va notato che il 2020 è stato l’anno in cui le donneiscritte a Cassa Forense hanno superato gli uomini.

Anche i giovani dichiarano redditi più bassi, così come gli avvocati residenti al Sud.

GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA

Gli effetti della pandemia che più hanno influenzato l’attività degli avvocati italiani sono:

la chiusura dei tribunali e la sospensione dell’attività giudiziaria (per il 34,6%),
– la riduzione delle entrate economiche (30,7%),
– le difficoltà legate all’organizzazione familiare alla luce delle nuove condizioni di lavoro (8,2%),
– la nuova complessità nel rapporto con gli assistiti (6,6%),
– le difficoltà nei contatti con le amministrazioni pubbliche (5,2%).

EMERGENZA SANITARIA, CLIMA DI SFIDUCIA

L’emergenza sanitaria ha esasperato la percezione dell’incertezza da parte dei professionisti forensi:
– il 32,9% dichiara che le difficoltà sono aumentate,
– il 39,5% cerca di sopravvivere ma riconosce che il contesto non lascia grandi speranze,
– il 29,9% è fiducioso in un miglioramento nei prossimi anni.

LE MISURE DI SOSTEGNO

Davanti alle difficoltà, gli avvocati italiani sono ricorsi alle misure di sostegno economico disponibili. In particolare:

– il 61,5% del campione ha sfruttato il bonus Covid previsto per i professionisti nei mesi di marzo e aprile 2020;
– il 7,9% ha richiesto il bonus baby sitter (la percentuale sale all’11,9% nel caso delle donne avvocato);
– il 3,5% ha chiesto la sospensione del pagamento di mutui o finanziamenti.

LAVORO DA REMOTO

Gli avvocati hanno imparato ad affidarsi alle tecnologie digitali per proseguire le attività:

  • il 29,6% ha scelto di lavorare esclusivamente da remoto,
  • Il 43,2 ha scelto sia la modalità da remoto che la presenza in studio,
  • Il 15,9% ha continuato a recarsi presso lo studio

Per quanto riguarda la gestione delle consulenze:
– nel 48,3% dei casi, i professionisti hanno offerto consulenze online,
– nel 33,1%, in modalità ibrida, con incontri presso lo studio e anche online.

GLI ITALIANI E LA GIUSTIZIA

Durante il 2020, il 14,4% degli italiani (7,2 milioni di persone) si è rivolto a un legale.

Le controversie principali sono state:
casa, condominio e proprietà (il 28,3% dei casi),
lavoro, previdenza e assistenza (20%),
sinistri, infortuni e risarcimenti (11,7%),

Il rapporto Censis sottolinea però che il 5,6% di italiani (2,8 milioni di persone) ha dovuto rinunciare ai servizi legali, non solo per motivi economici (21,1%) ma soprattutto a causa della limitazione agli spostamenti dovuta alle misure di contenimento (24,6%).

Gli italiani sembrano avere poi una visione sull’avvocatura più positiva rispetto agli stessi professionisti. Infatti:
– il 27% ritiene che le difficoltà degli avvocati dipendano da un eccesso di norme e dalla loro bassa qualità,
– il 35% ritiene prioritaria una riforma della giustizia per fare uscire il Paese dalla crisi economica.
– il 22,3% vede delle opportunità in materie giuridiche nuove, come la privacy, l’e-commerce, la tutela dell’ambiente e dei diritti di individui e famiglie (famiglie non tradizionali, procreazione assistita, discriminazioni, ecc.).

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Autorità e utenti stanchi del potere delle big tech, quali prospettive?

La pandemia ha dimostrato quanto le tecnologie e i servizi digitali siano utili per portare avanti la nostra esistenza. Ma la loro importanza ha accentrato potere e ricchezza in mano di pochi colossi digitali, le Big Tech (Google, Facebook, Amazon, ecc.).

Tale accentramento sta influenzando la vita delle persone, non solo livello individuale ma anche sociale. Gli eventi di Capitol Hill e il successivo ban dell’ex presidente Trump dai principali social, le ingerenze straniere nelle campagne elettorali, ma anche semplicemente le polemiche per le modifiche all’informativa privacy di WhatsApp sono solo gli esempi più recenti.

L’attenzione dei governi verso i comportamenti delle Big Tech sta dunque crescendo di giorno in giorno, così come quella degli utenti che chiedono maggiori tutele.

LE PROPOSTE PER RIDURRE IL POTERE DELLE BIG TECH

Riprendiamo l’articolo di Agenda Digitale “Big Tech, troppo potere: tutte le proposte per risolvere il dilemma del decennio” e vi indichiamo che, tra queste, figurano:

– imporre una digital tax per restituire la sovranità fiscale agli stati,

– considerare le Big Tech come servizi pubblici,

smembrarle

– obbligarle a condividere i dati con i concorrenti più piccoli,

– offrire un’amnistia nel caso cedano dati ai concorrenti o li cancellino,

tassarne i ricavi derivanti dalla pubblicità targettizzata,

– sviluppare dei software che medino tra le piattaforme e i loro contenuti,

aumentare la forza delle autorità di controllo.

PREVISIONI A LIVELLO NORMATIVO, ANDARE OLTRE IL GDPR

Le diverse soluzioni non possono concretizzarsi senza una adeguata base normativa.

In materia di protezione della privacy, trattamento dei dati e condotte connesse, il riferimento per eccellenza è il GDPR.

Ad esso presto si affiancheranno due ulteriori normative per contrastare il potere delle Big Tech: il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA).

Il Digital Service Act si concentra su:

– chiarire le responsabilità dei servizi digitali,
– favorire la parità delle condizioni nei diversi mercati digitali europei,
– favorire l’omogeneità normativa tra i paesi in modo da ridurre la circolazione di contenuti dannosi,
potenziare la governance e la sorveglianza sui servizi digitali e i loro algoritmi di funzionamento,
– assicurare maggiore sicurezza agli utenti di fronte alla disponibilità online di prodotti, servizi e informazioni illegali o dannosi.
– incentivare il rispetto delle regole di concorrenza.

Il Digital Markets Act è uno strumento normativo ex ante basato su divieti e obblighi. Queste misure sono riferite a condotte commerciali inserite in una specifica black list.
In particolare, alle Big Tech vengono imposti i  seguenti divieti e gli obblighi:

divieto di discriminazione per favorire i propri servizi,
– obbligo di garantire l’interoperabilità tra la propria piattaforma e quelle dei concorrenti,
– obbligo di condividere, nel rispetto della privacy, i dati forniti o generati dalle interazioni degli utenti commerciali con i loro clienti attraverso le piattaforme dei Big Tech.

I colossi digitali hanno il dovere di modificare le proprie pratiche commerciali “scorrette” e favorire la concorrenza.
Nel caso di violazioni, il DMA prevede non solo sanzioni fino al 10% del fatturato, ma anche la cessione di asset e proprietà aziendali.

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Passaporto vaccinale, come affrontare il rischio di discriminazione

Davanti al perdurare della pandemia e alle difficoltà socio-economiche, il dibattito sui passaporti vaccinali è sempre più di attualità, in Italia e in Europa. L’applicazione di un pass personale comporta però una lunga serie di questioni legati alla privacy e anche all’etica che non possono essere tralasciate e, anzi, devono essere affrontate già nell’eventuale fase di progettazione.

L’avvocato Rocco Panetta, esperto di Internet e Privacy, parlava già un anno fa di quanto la pandemia potesse mettere a dura prova la tenuta dei principi Costituzionali.

PASSAPORTO VACCINALE, IL PRESENTE

In Europa, Ursula von der Leyen ha comunicato che è in corso di presentazione una proposta legislativa per un Digital Green Pass che provi l’avvenuta vaccinazione, i risultati di tamponi e test, e informazioni su malattia e guarigione. Il tutto nel rispetto della privacy.

In Italia, il Garante della Privacy ha pubblicato un comunicato stampa in cui suggerisce che «il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini a fini di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza».

IL PROSSIMO FUTURO E I RISCHI DI DISCRIMINAZIONE

Uno dei possibili scenari ci vede tutti in possesso di un documento, più probabilmente una app per smartphone, che indicherà il nostro status sanitario.

La società si dividerebbe dunque in due grandi gruppi.

Da una parte coloro che, grazie alla app che attesta l’avvenuta vaccinazione, potranno accedere nuovamente a luoghi, attività e diritti che in questo ultimo anno ci sono stati più o meno tolti. Dall’altra, coloro che, non vaccinati, vedrebbero la loro vita e i loro diritti ancora limitati.

Il passaporto vaccinale comporta dunque una forma di discriminazione?

DECIDERE NEL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE

L’art.3 della Costituzione incarica la Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, il loro sviluppo e la loro partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il passaporto vaccinale rischia di essere una misura in contrasto con tale principi.

Ma far combaciare il diritto alla salute pubblica con la privacy, l’uguaglianza e l’etica è possibile. Ciò richiede un grande lavoro di bilanciamento e di discussione, senza passare per “scorciatoie giuridiche”.

Come suggerisce l’Avv. Panetta: «sarebbe pertanto auspicabile che l’eventuale introduzione nel nostro ordinamento di pass e passaporti vaccinali passasse attraverso il confronto in Parlamento, da concretizzarsi poi in una legge condivisa, accuratamente pesata ed equilibrata. Vista la particolare situazione e dato lo stato attuale della campagna vaccinale, personalmente non intravedo motivi che potrebbero imporre di bypassare il dibattito parlamentare con un decreto-legge o un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri».

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