Ultime novità in materia di notifiche telematiche

Ultime novità in materia di notifiche telematiche

Nel Supplemento ordinario n. 35 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 241 del 29.9.2020 contiene la ripubblicazione del testo del decreto-legge n. 76/2020, coordinato con la legge di conversione n. 120/2020, recante Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, corredato delle relative note. L’art. 28 del predetto decreto-legge (al quale la legge di conversione non ha apportato modifiche) ha introdotto significative novità in materia di notificazioni telematiche, riformando gli artt. 16, commi 12 e 13, e 16 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012).

In particolare, i commi 12 e 13 dell’art. 16 (rubricato Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica) d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) oggi recitano:

“12. Al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, comunicano al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati. Con le medesime modalità, le amministrazioni pubbliche possono comunicare altresì gli indirizzi di posta elettronica certificata di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale. Per il caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, le amministrazioni pubbliche possono altresì comunicare ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata, riportati in una speciale sezione dello stesso elenco di cui al presente articolo e corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio.

13. In caso di mancata comunicazione ai sensi del comma 12, le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria si effettuano ai sensi dei commi 6 e 8 e le notificazioni ad istanza di parte si effettuano ai sensi dell’articolo 16 ter, comma 1 ter.”

L’art. 16 ter (rubricato Pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni) d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) oggi recita:

“1. A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6 bis , 6 quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia.

1 bis. Le disposizioni dei commi 1 e 1 ter si applicano anche alla giustizia amministrativa.

1 ter. Fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’articolo 16, comma 12, la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell’elenco previsto dall’articolo 6 ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e, ove nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, la notificazione è effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID, nella sezione ente dell’amministrazione pubblica destinataria. Nel caso in cui sussista l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie presso organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni, la notificazione può essere eseguita all’indirizzo di posta elettronica certificata espressamente indicato nell’elenco di cui all’articolo 6 ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, per detti organi o articolazioni.”

Il comma 1 ter dell’art. 16 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) è di immediata applicazione (ex art. 28 comma 2 n. 76/2020).

L’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) è oggi pubblico elenco ai fini della validità delle notifiche telematiche ex art. 3 bis l. n. 53/1994

Ai fini della validità della notifica, l’art. 3 bis l. n. 53/1994 stabilisce che, per effettuare una notifica telematica, l’avvocato deve utilizzare una casella di posta elettronica risultante da un “pubblico elenco” e che anche l’indirizzo PEC del destinatario risulti da tale elenco.

L’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA), ad accesso libero in cui si trovano quasi tutte le PEC delle PP.AA., da tempo non era più legalmente utilizzabile ai fini delle notifiche telematiche. In particolare, dal 19.8.2014 non era più un “pubblico elenco” ai fini delle notificazioni telematiche l’IPA, previsto dall’art. 6 ter CAD (e già dall’art. 57 bis CAD), realizzato e gestito dall’AgID, il quale costituisce l’archivio ufficiale contenente i riferimenti organizzativi, telematici e toponomastici delle PP.AA. e dei gestori di pubblici servizi. Per effetto di modifiche legislative succedutesi nel tempo, l’IPA è stato in passato un “pubblico elenco” ai fini della validità delle notifiche telematiche dal 15.12.2013 al 18.8.2014.

Grazie al c.d. “decreto semplificazioni”, IPA è tornato a essere un “pubblico elenco” ai fini della validità delle notifiche telematiche alle PP.AA. Come già accennato, il comma 1 ter dell’art. 16 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) prevede oggi che, in caso di mancata indicazione nel predetto registro PP.AA., la notificazione alle PP.AA. degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale (in caso di più domicili, alla p.e.c. primaria) indicato nell’IPA.

Infatti, l’art. 16 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012), attualmente, stabilisce che, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, sono “pubblici elenchi” dai quali possono essere attinti gli indirizzi p.e.c. dei destinatari delle notifiche telematiche quelli previsti dalle seguenti norme:

  1. art. 6 bis d. lgs n. 82/2005 (“CAD”) (rubricato Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti), il quale prevede la istituzione di un pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero dello sviluppo economico;
  2. art. 6 quater CAD (rubricato Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese), che non risulta essere stato ancora istituito;
  3. art. 62 CAD (rubricato Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR), non ancora istituito. Al completamento dell’ANPR di cui all’art. 62, l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) provvede al trasferimento dei domicili digitali contenuti nell’elenco di cui all’art. 6 quater CAD nell’ANPR;
  4. art. 16 comma 12 d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012), il quale prevede la istituzione di un registro, formato dal Ministero della giustizia, contenente gli indirizzi di PEC delle PP.AA., consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati;
  5. art. 16 comma 6 d.l. n. 185/2008 (conv. con modif. dalla l. n. 2/2009) ovvero il Registro delle Imprese;
  6. il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della giustizia, il quale contiene i dati identificativi nonché l’indirizzo di PEC dei soggetti abilitati esterni;
  7. art. 6 ter CAD (rubricato Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi), realizzato e gestito dall’AgID, ma solo in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) dell’indirizzo di PEC della PA.

Con le nuove disposizioni, da un lato, la PA può inserire in tale Registro gli indirizzi PEC di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire comunicazioni o notificazioni telematiche in caso di obbligo di notifica presso questi degli atti introduttivi di giudizio per specifiche materie ovvero di autonoma capacità o legittimazione processuale; dall’altro, per il caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, le PP.AA. possono comunicare in una speciale sezione dello stesso elenco ulteriori indirizzi PEC di specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio.

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Avvocato Ione Ferranti

Avvocato dal 1998, nel 2004 ha fondato lo Studio legale Ferranti a Roma. Autrice di numerose pubblicazioni fin dal 1996. Dal 1998 al 2016 ha collaborato con il Prof. Nicola Picardi all’aggiornamento del commento di alcuni articoli del Codice di Procedura Civile, edito dalla Giuffré Editore nella Collana "Le fonti del diritto italiano".
Nel 2008/2009 ha vinto una procedura di selezione per una docenza a contratto indetta dall’Università di Perugia, dove ha insegnato diritto dell’Unione Europea. Pubblica periodicamente anche articoli in materia di giustizia digitale, IT/IP e processi telematici

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Il marketing legale non viola il codice deontologico, a patto che…

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Nulla vieta a un’avvocato o a uno studio legale di farsi pubblicità, a patto che l’attività di marketing legale sia svolta nel rispetto dei principi indicati dal codice deontologico.

Per qualcuno questo può sembrare un ossimoro; in realtà il codice deontologico non solo non esclude questa la possibilità ma, anzi, suggerisce una condotta comportamentale che è a tutto favore di un marketing di qualità.

Tre sono gli articoli di particolare rilevanza.

MARKETING LEGALE: 3 ARTICOLI DI RIFERIMENTO

Il primo articolo utile a definire come fare marketing legale è l’art.37 sul divieto di accaparramento della clientela:

“1. L’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro.
2. L’avvocato non deve offrire o corrispondere a colleghi o a terzi provvigioni o altri compensi quale corrispettivo per la presentazione di un cliente o per l’ottenimento di incarichi professionali.
3. Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.
4. E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
5. E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per uno specifico affare.”

Il secondo è l’art.17:

“1. È consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti.
2. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.
3. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.”

Infine, l’art.35 offre dei veri e proprio spunti pratici per offrire una “corretta informazione”:

  1. ” L’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.
  2. L’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività professionale.
  3. L’avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza.
  4. L’avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche; specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.
  5. L’iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l’eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio” qualora abbia conseguito tale abilitazione.
  6. Non è consentita l’indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell’avvocato.
  7. L’avvocato non può utilizzare nell’informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
  8. Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano.
  9. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.”

Presi nel loro complesso, questi 3 articoli offrono ad avvocati e studi legali il perimetro entro cui muoversi.
È evidente che il codice deontologico non neghi affatto la possibilità di fare marketing legale, in particolare attraverso i mezzi digitali a disposizione oggi (sito, blog, social, podcast, ecc.), ma che spinga per una comunicazione che sia indirizzata verso la condivisione trasparente di informazioni e la creazione di una relazione onesta con l’utente, e non una comunicazione basata su messaggi puramente commerciali.

Questi non sono affatto limiti; al contrario, sono indicazioni perfettamente in linea con i principi del marketing di qualità.

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Uno degli effetti del Decreto Semplificazioni 76/2020 è quello di aver reso più veloce la procedura di liquidazione dei compensi degli avvocati che si prestano al gratuito patrocinio.
All’art. 37-bis si legge:

1. Al fine di favorire una celere evasione delle richieste di liquidazione dei compensi spettanti al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e al difensore d’ufficio ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, le istanze prodotte dal giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono depositate presso la cancelleria del magistrato competente esclusivamente mediante modalità telematica individuata e regolata con provvedimento del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.

Il deposito telematico delle istanze di pagamento decorre dunque a partire dal 16 settembre 2020, giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione n. 120/2020.

L’emendamento che ha introdotto questa novità è stato voluto dalla senatrice Anna Rossomando (Pd) che ha spiegato che «il governo si è impegnato a prevedere nel primo provvedimento utile, tutte le misure di carattere economico ed amministrativo necessarie a favorire il pagamento dei compensi degli avvocati difensori in tempi certi e ragionevoli. Impegno che viene indicato chiamando in causa il reperimento delle risorse necessarie e, in particolare, che il relativo capitolo di bilancio sia sufficientemente capiente».

GRATUITO PATROCINIO: IL COSTANTE RITARDO NEL PAGAMENTO DEI COMPENSI

La liquidazione dei compensi degli avvocati che si prestano al gratuito patrocinio è afflitta da cronici ritardi, che a volte possono tradursi in anni di attesa.
Le cause sono molteplici, prima fra tutte la scarsità di risorse economiche.

Il Rendiconto del Ministero della Giustizia del 20 gennaio 2020 indicava quanto segue:

nell’anno 2019 lo stanziamento iniziale di bilancio del cap. 1360, p.g. 1, “spese di giustizia” è pari ad euro 516.626.730, a fronte di una spesa che, su base previsionale, può essere quantificata in misura superiore a 628 milioni di euro.

Anche dalla gestione dell’anno 2019, dunque, è derivata una consistente esposizione debitoria.

Le maggiori esigenze sono principalmente correlate all’aumento della spesa per difensori d’ufficio di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, passata da circa 271 milioni di euro dell’anno 2016 ai circa 323 milioni circa dell’anno 2017 e fino ai circa 366 milioni di euro dell’anno 2018 (comprensivi di IVA e cassa forense – dati consuntivi di spesa).

Le risorse a disposizione sono scarse e, parallelamente, le richieste di accesso al gratuito patrocinio sono aumentate. Con tutta probabilità, la situazione è destinata a esasperarsi a causa degli effetti dell’emergenza COVID sull’economia nazionale, che potrebbero portare a una più diffusa povertà e, quindi, a un ulteriore aumento delle richieste.

LE CONSEGUENZE SUL DIRITTO ALLA GIUSTIZIA

A subire le conseguenze di tale situazione sono, in primis, gli avvocati. Ma anche l’istituto stesso del gratuito patrocinio ne esce indebolito.

Il patrocinio a spese dello Stato è disciplinato dall’art.74 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002:

1. È assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
2. E’, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate.

Gli avvocati che si prestano al gratuito patrocinio offrono una prestazione professionale con un alto valore sociale. Assicurare i loro compensi non è solo un atto di correttezza ‘contrattuale’, ma un punto fondamentale per mantenere in vita l’istituto e conseguentemente, come suggerisce la Sen. Rossomando, «garantire la piena applicazione del diritto alla difesa per tutti i cittadini indipendentemente dal reddito».

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Come stabilito dal Decreto “Semplificazioni” (DL. 76/2020), dal 1° ottobre aziende e professionisti sono tenuti a comunicare il proprio indirizzo PEC, o meglio il proprio domicilio digitale, al Registro Imprese o all’ordine professionale di appartenenza.

Chi ha già comunicato il proprio indirizzo PEC valido al Registro Imprese o all’ordine professionale di riferimento è già in regola con l’obbligo di comunicazione e non deve preoccuparsi.
Vediamo ora cosa succede in caso di inadempimento.

DOMICLIO DIGITALE: IMPRESE INADEMPIENTI

Le imprese che non comunicano il proprio domicilio digitale rischiano le seguenti sanzioni economiche:
tra i 206 e i 2.064 €, per le società,
tra i 30 a 1548 € per le imprese individuali.

Va notato che il Registro Imprese può assegnare d’ufficio al soggetto inadempiente un domicilio digitale presso il cassetto digitale dell’imprenditore disponibile all’indirizzo impresa.italia.it. Questo domicilio sarà valido solo per ricevere comunicazioni e notifiche e sarà accessibile tramite identità digitale (SPID, CNS e CIE).

DOMICLIO DIGITALE: PROFESSIONISTI INADEMPIENTI

Per i professionisti iscritti a un albo non sono previste sanzioni economiche, ma l’ordine può diffidare il professionista ad adempiere all’obbligo entro 30 giorni e, in caso di ulteriore inadempienza, può sospendere il professionista fino alla comunicazione del domicilio digitale.

Per i professionisti non iscritti a ordini o collegi non sono previste sanzioni di alcun genere e possono pertanto continuare a non avere un domicilio digitale/indirizzo PEC.

COSA FARE

Per assicurarsi di essere in regola con l’obbligo di comunicare il proprio domicilio digitale bisogna:
– verificare di possedere un indirizzo PEC attivo e in regola,
– verificare l’iscrizione del domicilio digitale presso il Registro delle Imprese attraverso il cassetto digitale dell’imprenditore,
– verificare la presenza della propria attività sul sito www.registroimprese.it 

Nel caso non si fosse in possesso di una PEC, potete richiedere a Servicematica l’attivazione di una casella. Scopri di più sulla PEC Servicematica.

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Liquidazione del compenso dell’avvocato: nessuna decadenza nel gratuito patrocinio

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Quando va presentata l’istanza di liquidazione del compenso dell’avvocato nel gratuito patrocinio?
Esiste un termine preciso oltre il quale decade il diritto di presentare l’istanza?

RIGETTATA L’ISTANZA DI LIQUIDAZIONE DEL COMPENSO DELL’AVVOCATO

la Corte d’Appello rigetta la richiesta di liquidazione del compenso presentata da un avvocato per l’attività di difensore svolta a favore di un’azienda in fallimento ammessa al gratuito patrocinio.

La Corte fonda la sua decisione su una sua interpretazione dell’art. 83 comma 3 bis del DPR n. 115/200 che stabilisce che l’emissione del decreto di pagamento avviene contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la richiesta. Nel caso in questione, la richiesta è stata presentata successivamente, quando ormai il giudice aveva perso la potestas iudicanti.

L’AVVOCATO DELLA PARTE AMMESSA AL GRATUITO PATROCINIO NON È L’AUSILIARIO

L’avvocato ricorre in Cassazione ritenendo errata l’interpretazione data dalla Corte d’Appello.

L’art. 83 infatti non fissa un termine preciso per la presentazione dell’istanza di liquidazione del compenso dell’avvocato difensore nel gratuito patrocinio, come avviene per il compenso dell’ausiliario che ha 100 giorni a sua disposizione dal compimento delle operazioni.

La Cassazione accoglie il ricorso, e con la sentenza n. 19733/2020 evidenzia che «l’art.83 per il quale il decreto di pagamento deve essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento ha lo scopo di raccomandare la sollecita definizione delle procedure di liquidazione del compenso del difensore, senza tuttavia imporre alcuna decadenza a carico del professionista».

Dunque, «nel patrocinio a spese dello Stato non è prevista alcuna decadenza per l’avvocato che depositi l’istanza di liquidazione dei compensi in un momento successivo alla pronuncia».

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Il certificato medico inviato in ritardo motiva eventuali provvedimenti disciplinari, tra cui il licenziamento, perché configura l’assenza ingiustificata da parte del lavoratore.

Questo il principio ribadito dalla sentenza n. 18956/2020 della Cassazione.

IL CASO

Una lavoratrice non si reca a lavoro per malattia dal 3 ottobre al 2 novembre 2014 e nei giorni 8 e 9 febbraio 2015, ma il certificato medico giunge in ritardo all’azienda. La titolare procede con il licenziamento disciplinare a causa delle assenze ingiustificate.

Si procede per vie legali e la Corte d’Appello conferma l’assenza ingiustificata della lavoratrice tra il 3 e l’8 ottobre 2014, periodo non coperto dal certificato medico, giunto in ritardo, e ritiene adeguato il licenziamento, considerando l’esistenza di una precedente contestazione e una successiva ulteriore assenza ingiustificata nei giorni 8 e 9 febbraio 2015.

L’ASSENZA INGIUSTIFICATA LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO

La lavoratrice non accetta la decisione della Corte e ricorre in Cassazione sollevando quattro motivi. Tra questi, proprio il fatto che le sia stata contestata l’assenza ingiustificata nonostante avesse presentato la certificazione medica e che tale condotta sia stata erroneamente ritenuta rilevante ai fini del successivo licenziamento, sanzione considerata sproporzionata.

La Cassazione ritiene infondate tutte le lagnanze della lavoratrice e conferma quanto espresso dalla Corte territoriale, ovvero che «devono qualificarsi in termini di assenza ingiustificata i giorni di assenza risultati solo a seguito del tardivo invio di certificazione medica riconducibili a uno stato di malattia».

Ciò significa che la condotta della lavoratrice giustifica la legittimità del licenziamento deciso dall’azienda.

Qui il link al testo della sentenza n. 18956/2020 della Cassazione sul licenziamento legittimo in caso di assenza ingiustificata e certificato medico in ritardo.

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La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito che in caso di giudizio promossi con opposizione a decreto ingiuntivo l’onere della proposta di mediazione ricade sull’opposto e non sull’opponente.

Nella sentenza 19596/20 si legge:

«Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art.5, Comma 1-bis, del d.lgs. n.28 del 2010, i cui i giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo».

Questo principio rettifica quanto in precedenza stabilito dalla Terza Sezione Civile della Cassazione con la sentenza 24629/15, di orientamento completamente opposto:

«poiché è l’opponente il soggetto interessato alla proposizione del giudizio di cognizione è su di lui che deve gravare l’onere di avviare la procedura di mediazione».

DECRETO INGIUNTIVO. PERCHÈ L’ONERE DI PROMUOVERE LA MEDIAZIONE RICADE SULL’OPPOSTO

Come spiega l’Avv. Giancarlo Renzetti, Delegato di Cassa Forense, la rettifica è così giustificata:

1) seguendo quanto indicato dall’artt. 4 e 5 del d.lgs. 28/2010, l’onere di promuovere la mediazione è a carico del creditore e in caso di opposizione a decreto ingiuntivo si può considerare l’opposto come creditore;

2) se l’onere della promozione della mediazione fosse a carico dell’opponente, la sua mancanza comporterebbe l’improcedibilità dell’opposizione e il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. Con l’onere a carico dell’opposto, in caso non fosse proposta la mediazione, l’improcedibilità comporterebbe la sola revoca del decreto ingiuntivo che però potrebbe essere nuovamente proposto. In questo modo viene maggiormente tutelato il diritto di difesa.

Qui l’articolo originale pubblicato sul sito di Cassa Forense.

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Sospensione per l’avvocato che finge una grave malattia per ottenere denaro

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Con la sentenza n. 172/2019, il CNF conferma la sanzione della sospensione disciplinare per l’avvocato che ha finto una malattia grave al fine di ottenere denaro da una cliente.

IL CASO

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense riceve un esposto dal parte del COA a proposito dell’avvio di un’azione penale per truffa aggravata (artt. 61 n. 7 e 640 c.p.) contro un avvocato iscritto.

A quando pare, l’avvocato «mediante artifizi e raggiri consistiti nel prospettare falsamente una patologia tumorale agli occhi richiedente un urgente intervento chirurgico non coperto da convenzione del S.S.N.» ha convinto una donna a prestargli denaro per un totale di 60.000€.

Il Consiglio di Disciplina avvia una procedura contro l’avvocato, invitandolo a chiarire la sua posizione entro 30 giorni, ma questo non offre alcuna risposta.

Il Consiglio allora ottiene dalla Procura gli atti processuali e decide di sospendere il provvedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale.

La causa viene estinta per remissione della querela e il Consiglio riprende il procedimento disciplinare evidenziando la violazione di diverse norme deontologiche.
In particolare, l’avvocato ha violato i principi di decoro, probità e dignità estorcendo il denaro mentendo e facendo leva sull’emotività della donna raggirata. Pertanto, stabilisce l’applicazione della sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per quattro mesi.

Il RICORSO E LA CONFERMA DELLA SOSPENSIONE

L’avvocato si rivolge al CNF che, con la sentenza n. 172/2019, ne respinge il ricorso per le seguenti ragioni:

  • – l’avvocato attribuisce la propria condotta agli effetti di una depressione maggiore certificata da documenti medici, che però non si può affermare abbia inciso «sulla sfera di discrimine volitivo» come sostenuto dallo stesso;
  • – a proposito della differenza tra illecito istantaneo con effetti permanenti e illecito permanente che il ricorrente sostiene non sia stata presa in considerazione al momento della sentenza e che incide sulla prescrizione della pena, il Cnf spiega che:
       – questa risiede «nel rapporto causale tra evento e condotta contra ius del soggetto agente con la conseguenza che mentre nell’illecito istantaneo tale comportamento si esaurisce con il verificarsi del fatto, pur se l’esistenza di questo si protragga poi autonomamente (fatto illecito ad effetti permanenti); di contro nell’illecito permanente applicabile alla fattispecie, la condotta oltre a produrre l’evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell’uno e dell’altro»
    e che:
       – «la mancata restituzione di somme sono comportamenti pregiudizievoli che si protraggono nel tempo fintantoché non venga a cessare la stessa condotta indebitamente appropriativa ed è solo da tale eventuale cessazione che inizia a decorrere la prescrizione della azione disciplinare»;
  • – sulla presunta sproporzione della sospensione, rileva che la «gravità dell’uso di artifici e raggiri (profitto indebito fondato sullo stato emozionale gravemente compressivo della libera determinazione del terzo, profittando di una conoscenza occasionale in sede di pregressa consulenza prestata (…) aggravato dalla falsità delle affermazioni (patologia tumorale maligna inesistente)» giustifica la sanzione. Inoltre, fa notare che sono previste sanzioni più severe per casi meno gravi di quello in questione.

Qui il link alla sentenza CNF n. 172/2019.

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Tramite il comunicato stampa del 22 settembre 2020, l’Agenzia delle Entrate comunica l’esistenza di una nuova truffa via mail (phishing).

Le mail di phishing segnalano false incongruenze nei dati delle “eliminazioni periodiche IVA”.

COS’È IL PHISHING

Il phishing è un tipo di truffa via mail il cui scopo è rubare dati sensibili, come numeri di carte di credito, password e pin, informazioni personali, ecc.

Per farlo, viene generalmente chiesto al destinatario di:
– cliccare su un link fraudolento,
scaricare degli allegati apparentemente innocui che, invece, nascondono malware (virus informatici) che possono potenzialmente “sequestrare” il pc o lo smartphone fintantoché non viene pagato un riscatto.

L’efficacia del phishing si deve all’aspetto assolutamente credibile delle mail.

IL COMUNICATO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Nel comunicato, l’Agenzia delle Entrate spiega che l’attuale truffa via mail è caratterizzata da messaggi che nell’intestazione riportano la dicitura “IL DIRETTORE DELL’AGENZIA” o “GLI ORGANI DELL’AGENZIA” e che nel testo invitano a visionare i documenti in allegato al fine di verificare «alcune incoerenze» risultanti «dall’esame dei dati e dei saldi relativi alla divulgazione delle eliminazioni periodiche IVA».

Condividiamo le due immagini di esempio rilasciate dall’AdE.

L’Agenzia delle Entrate precisa di essere totalmente estranea a tali messaggi e invita gli utenti a cancellarli subito e a non aprire gli allegati.

COME DIFENDERSI DALLA TRUFFA VIA MAIL

L’Agenzia ricorda che per nessun motivo è sua abitudine inviare ai propri utenti mail con la richiesta di comunicare dati personali. Tutte le informazioni che li riguardano sono consultabili tramite il Cassetto Fiscale, presente nell’area riservata del sito dell’Agenzia stessa.

Vi ricordiamo che per tutelarvi dai tentativi di truffa via mail (phishing) è importante prestare attenzione ad alcuni dettagli dei messaggi di posta elettronica che ricevete.
In particolare:
– diffidate dai messaggi provenienti da mittenti sconosciuti o da enti, banche e società che, come suggerito poco sopra, non richiedono mai ai propri clienti di comunicare informazioni private tramite mail,
– non aprite mai allegati presenti in mail sospette,
– non cliccate sui link contenuti in mail sospette,
  se avete dubbi, contattate il mittente per assicurarvi che la mail sia davvero voluta.

Potete capire meglio come difendervi leggendo gli articoli suggeriti qui sotto.

Qui il link al comunicato ufficiale dell’Agenzia delle Entrate.

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Fattura elettronica: nuove specifiche tecniche a partire dal 1° ottobre

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Con il provvedimento n.166579/2020 del 20 aprile 2020, l’Agenzia delle Entrate ha aggiornato le specifiche tecniche dei tracciati xml della fattura elettronica, abbandonando alcuni codici e inserendone di altri.

Le nuove specifiche tecniche, la versione 1.6.1, vengono introdotte attraverso un periodo di transizione che parte dal 1° ottobre 2020.
Durante tale periodo il Sistema di Interscambio accetterà fatture elettroniche e note di variazione predisposte seguendo sia il nuovo schema che quello precedente (versione 1.5).

Dal 1° gennaio 2021 il Sistema di Interscambio accetterà solo le fatture e le note di variazione conformi al nuovo schema.

FATTURA ELETTRONICA E SPECIFICHE TECNICHE: QUALI NOVITÀ

Tra le novità introdotte dalla versione 1.6 delle specifiche tecniche evidenziamo:

– nuovi codici «TipoDocumento»
Viene ampliata la gamma di documenti che possono essere emessi e trasmessi.
Un esempio è il codice TD20, al momento utilizzabile in diversi casi, tra i quali il reverse charge. Con le nuove specifiche, il reverse charge presenta 3 nuovi codici:
TD16 per quello interno,
TD17 per acquisti di servizi da soggetti UE ed extra-UE,
TD18 per acquisti da fornitori UE;

– nuovi codici «Natura IVA»
I nuovi codici faciliteranno la dichiarazione Iva precompilata;

– nuovi codici «Tipo ritenuta»
Viene introdotta la possibilità di inserire più ritenute all’interno della stessa fattura. Sono ammesse ritenute di tipo previdenziale e la ritenuta d’acconto.
Si passa dai seguenti codici:
RT0 ritenuta persone fisiche,
RT02 ritenuta persone giuridiche,
a questi:
RT01 ritenuta persone fisiche,
RT02 ritenuta persone giuridiche,
RT03 contributo Inps,
RT04 contributo Enasarco,
RT05 contributo Enpam,
RT06 altro contributo previdenziale;

– nuovi codici «Modalità pagamento»
Viene introdotto il codice per i pagamenti tramite PagoPA.

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