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Intercettazioni di Stato, cos’è Pegasus

Siamo certi che abbiate sentito parlare di Pegasus, il software di spionaggio usato per controllare giornalisti, manager, attivisti e anche capi di stato.
Ma cos’è? Come funziona? Come si collega al tema del trojan di stato e delle intercettazioni in Italia?

COS’È LO SPYWARE PEGASUS

Difficile spiegare con accuratezza e nelle poche parole di un articolo cosa sia Pegasus. Tenteremo però di darvi un’idea di riferimento.

Nicola Grandis, ceo di Asc27, definisce Pegasus “un agente attivo per la raccolta delle informazioni”.
È un software sviluppato dalla società israeliana NSO che, una volta “scaricato” inconsapevolmente nel proprio smartphone ne conquista i privilegi di amministratore, assumendone il controllo.

Pegasus è in grado di accedere a tutti dati, presenti e passati. Sfrutta le vulnerabilità e backdoor lasciate dai produttori, e può essere adattato in real time alle caratteristiche del device in cui viene installato.

Il processo può durare qualche frazione di secondo, ma anche settimane. Agisce quando serve, rimanendo silente anche per lunghi periodo per poi attivarsi in concomitanza con specifici trigger (una chiamata da un numero specifico, una mail ricevuta da un mittente particolare, ecc.).

Sviluppato come strumento per contrastare il crimine e il terrorismo, è stato poi usato da alcuni governi per spiare soggetti delicati.

Sfugge ai controlli e non c’è antivirus in grado di fermarlo.

LA NECESSITÀ DI REGOLAMENTARE L’USO DEGLI SPYWARE

La potenza di software come Pegasus è tale che vi sono già legislazioni che li classificano al pari delle armi. 
Regolamentarne l’utilizzo diventa indispensabile, come spiega Stefano Quintarelli, presidente dell’Advisory Group on Advanced technologies delle Nazioni Unite:

Tutti gli spyware sono strumenti essenziali per le indagini criminali, ma il loro uso conferisce un potere enorme, capace di destabilizzare uno Stato. Tutta la supply chain della loro messa in produzione va controllata, al pari del loro uso. Nei nostri dispositivi c’è la copia della nostra vita. Chi prende il controllo del nostro telefono può fare tutto senza essere notato, anche metterci dentro immagini pedopornografiche e poi denunciarci.”

INTERCETTAZIONI E TROJAN DI STATO IN ITALIA

La regolamentazione degli spyware non riguarda solo paesi caratterizzati da regimi autoritari. Anche in Italia si fa uso del trojan di stato per controllare smartphone e computer dei cittadini e raccogliere intercettazioni che vanno oltre le registrazioni telefoniche o ambientali.

L’ordinamento italiano non è ancora del tutto chiaro sulla legittimità dell’utilizzo di questi software. Basti pensare che un’intercettazione telematica che si rivelasse utile a smascherare reati potrebbe essere usata anche se raccolta in modo illecito.

Per questo Stefano Quintarelli sostiene che:

“È urgente affrontare il tema […]. Non si può pensare sempre e solo alle registrazioni telefoniche o ambientali”

Seguiremo con interesse lo sviluppo della materia.

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Udienze giustizia amministrativa in presenza: regole

Udienze giustizia amministrativa in presenza: regole

Dal primo agosto, le udienze Tar e Consiglio di Stato si svolgeranno in presenza

Lo scorso 20 luglio è stato sottoscritto il protocollo d’intesa sullo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio “in presenza”. Ciò sarà possibile per tutti gli uffici giudiziari della giustizia amministrativa, dunque per udienze del Tar e Consiglio di Stato. Esso sarà attuativo a partire dal primo di agosto, con la specifica delle regole atte ad evitare il riacutizzarsi dell’epidemia da Covid-19.

Protocollo per le udienze in presenza: regole per avvocati, parti e pubblico

Il protocollo sottoscritto dal Presidente del Consiglio di Stato, Consiglio Nazionale Forense, Avvocatura dello Stato, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e Associazioni specialistiche degli avvocati amministrativi prevede l’applicazione di nuove regole per il ritorno ad una giustizia amministrativa in presenza. Il fine è, chiaramente, riuscire a svolgere in completa sicurezza udienze pubbliche e camerali, pur tutelando la salute. Dunque, le chiamate preliminari sono soppresse e la presenza degli avvocati nelle sale d’attesa e nelle aule viene limitata.

Infatti, si può richiedere il passaggio in decisione della causa senza discussione preventiva: basta depositarne istanza fino alle 12.00 del giorno prima dell’udienza. Queste udienze saranno chiamate in coda a quelle con discussione, e conterranno a verbale nota della suddetta richiesta per il diretto passaggio in decisione. Invece, le udienze con discussione – di un’ora ciascuna- sono chiamate in fasce orarie distinte; l’elenco viene pubblicato il giorno prima dell’udienza sulla home del sito della Giustizia Amministrativa (- sezione dell’Ufficio giudiziario).

Dal punto di vista strettamente pratico, l’accesso ai palazzi della giustizia amministrativa prevede l’utilizzo della mascherina e il rispetto della distanza di un metro. Inoltre, chi presenti una temperatura -rilevata all’ingresso- superiore a 37,5 gradi non può entrare. Infine, una volta entrati in aula gli avvocati sono esonerati dall’indossare la toga e non possono utilizzare il microfono.

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Domotica, la nuova frontiera degli abusi domestici

La domotica, ovvero l’applicazione dell’informatica alla gestione delle abitazioni, è certamente una bella svolta nella tecnologia applicata alla vita di tutti i giorni. Eppure, potrebbe favorire gli abusi domestici.

Rifacendoci un articolo dell’Avv. Marco Martorana e dell’Avv. Praticante Roberta Savella, vediamo quali sono le principali forme di abuso.

FORME DI ABUSI LEGATI ALLA DOMOTICA

GLI “INTRAMONTABILI” FINI COMMERCIALI

I dispositivi di casa sono ormai quasi tutti “intelligenti”. Sono in grado di comunicare con noi, ma anche tra loro e addirittura con soggetti terzi. Raccolgono costantemente e trasmettono moltissime informazioni sulle nostre abitudini, i nostri gusti e pesino il nostro stato di salute.

Quanto siamo consapevoli dei dati che condividiamo? Questi dati sono anonimizzati oppure sono tutti facilmente collegabili al nostro nome? Che uso ne fanno le compagnie?

Dovremmo preoccuparci di questi interrogativi per una questione di tutela della nostra privacy. Ma tutela da cosa? Come per i dati che condividiamo nel momento in cui usiamo un social o facciamo una ricerca su Google, allo stesso modo anche i dati che provengono dai nostri apparecchi di domotica rappresentano una manna dal cielo per tutte le società che hanno bisogno di raccogliere dati per profilare le persone e influenzarne le decisioni d’acquisto.

I CYBERCRIMINALI

Come tutti i dispositivi digitali, anche i sistemi che controllano telecamere, termostati ed elettrodomestici possono essere hackerati. Malintenzionati potrebbero prenderne il controllo e gestirli da remoto per monitorare e tormentare gli inquilini. A quale scopo? Furti, raccolta di informazioni da utilizzare per attività illegali, ma anche richieste di riscatto pur di essere lasciati in pace.

E SE IL CATTIVO FOSSE UN NOSTRO CONOSCENTE?

Cosa succede se ad avere il controllo di quei sistemi fosse un partner tossico dal quale non riusciamo a liberarci o un ex che non ci lascia stare?
La possibilità di controllare a distanza ciò che avviene in casa e le nostre attività renderebbe molto difficile costruirsi una vita serena.

Potrebbe sembrare fantascienza, ma come fanno notare gli autori dell’articolo di riferimento, oggi un partner abusivo ha a disposizione molti più strumenti di quanti ne avesse dieci anni fa:

“un semplice termostato intelligente può essere utilizzato per comportamenti intimidatori e abusivi, se controllato da remoto da un soggetto che ha intenzione di indurci in uno stato di soggezione e paura e, a tal fine, regola la temperatura della nostra casa in modo da crearci dei disagi. Altre volte, invece, le telecamere inserite di default in alcuni dispositivi smart possono essere usate per osservarci anche quando non vogliamo, come è avvenuto nel Regno Unito dove un uomo è stato condannato per stalking per aver spiato la ex moglie, hackerando il sistema di telecamere smart della casa che un tempo condividevano.”

COME AFFRONTARE IL PROBLEMA

Sicuramente il primo passo è la consapevolezza dei rischi che si celano dietro a innovazioni tecnologiche positive come quelle legate alla domotica.

A ciò va certamente aggiunta tutto la normativa a tutela della privacy e dei dati personali, che però va implementata. Ricordiamo infatti che il GDPR non si applica alle persone fisiche che trattino dati legati ad attività esclusivamente personali e domestiche (articolo 2 paragrafo 2 lettera c) e risulta quindi del tutto inutile contro gli abusi privati.

Sarebbe inoltre opportuno lavorare anche sulla sicurezza in partenza dei dispositivi.
Nel 2018 il governo britannico ha pubblicato il “Code of Practice for consumer IoT security”, che raccoglie le misure pratiche che gli sviluppatori dei device IoT devono seguire per favorire la sicurezza degli utenti. Tra queste:

  • – nessuna password di default (molti utenti non la cambiano mai),
  • – possibilità di segnalare al produttore eventuali vulnerabilità,
  • – obbligo di periodici aggiornamenti di sicurezza,
  • – obbligo di comunicare prima della vendita quando non verranno più rilasciati aggiornamenti,
  • – possibilità di conservare in modo sicuro credenziali di accesso e altri dati nel dispositivo, e assicurare la crittografia dei dati in caso di trasferimento,
  • – facilitare la cancellazione dei dati personali da parte dell’utente.

L’obiettivo è giungere a una forma di sicurezza by design, ovvero che l’onere di occuparsi della sicurezza di un dispositivo elettronico non ricada più sull’utente ma sul produttore stesso, che deve lavorare su tutti gli elementi che favoriscono la sicurezza in fase di progettazione e di realizzazione del dispositivo.

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Avvocati, doveri d'informazione

Avvocato: i doveri d’informazione verso il cliente

Che cosa prevede il Codice deontologico circa i doveri di informazione verso clienti e assistiti

Il codice deontologico stabilisce i doveri posti in capo all’avvocato circa le informazioni dovute al cliente. In effetti, si tratta di un dovere di informazione che va adempiuto sia prima che durante l’esecuzione del mandato. Tale dovere di informazione va a materializzarsi in un compito di guida e indirizzo che il legale compie per render l’assistito/ cliente in grado di valutare i rischi insiti nell’iniziativa giudiziale.

Doveri dell’avvocato: informazione, diligenza professionale, strategia difensiva, attività extragiudiziale

Nel codice deontologico forense sono descritte le linee guida di comportamento che il legale deve tenere nel rapporto con il proprio cliente (assistito).

Innanzitutto, all’art.27 si chiarisce che il professionista deve informare chiaramente l’assistito circa:

  • caratteristiche e importanza dell’incarico -specificando iniziative e possibili soluzioni;
  • possibile durata del processo e oneri;
  • la possibilità di negoziazione assistita;
  • possibilità di patrocinio a spese dello stato.

Inoltre, (sempre da art.27) l’avvocato deve informare il cliente sullo svolgimento del mandato a lui affidato ogniqualvolta gli venga richiesto; identico dovere nel caso di contenuto legittimamente appreso nell’esercizio del mandato. Tra l’altro (art.26 del CDF), qualora l’incarico comporti anche competenze diverse dalle proprie, il legale è tenuto a prospettare al cliente la necessità di integrare l’assistenza con un altro collega competente in materia.

Infatti, la violazione dei doveri di informazione implica la possibilità d’incorrere in sanzioni disciplinari tra cui la censura.

Dunque, riguardo la necessità di mantenere obbligo di diligenza, l’Avvocato deve impegnarsi a sollecitare, dissuadere ed informare il cliente. Ciò implica che, l’Avvocato è responsabile della strategia difensiva anche nel caso in cui essa sia suggerita dal cliente, “essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale”. Infine, il dovere d’informazione ricade sull’avvocato anche nel caso dell’attività stragiudiziale, intesa come accurata formulazione d’un parere ponderato tra rischi e vantaggi.

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Il datore di lavoro può chiedere ai dipendenti l’avvenuta vaccinazione?

Con l’introduzione del Green Pass e la diffusione di nuove varianti COVID negli ambienti di lavoro ci si chiede se non sia il caso di sapere chi sia vaccinato e chi no. Ma il Garante della Privacy è stato chiaro: il datore di lavoro non può chiedere ai dipendenti l’avvenuta vaccinazione né documenti che la attestino.

AVVENUTA VACCINAZIONE DEL DIPENDENTE, PERCHÈ IL DATORE NON PUÒ CHIEDERLA

Pubblicate ancora lo scorso febbraio 2021, le linee guida in materia di vaccinazioni in azienda del Garante della Privacy rispondono a tutti i principali dubbi.

A proposito della possibile richiesta del datore di sapere se il dipendente si sia sottoposto o meno alla vaccinazione, il Garante spiega che il trattamento di questa informazione non è lecito:

«il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro».

IL DATORE PUÒ CHIEDERE AL MEDICO?

Al datore potrebbe venire in mente di rivolgersi al medico competente per conoscere i nominativi dei dipendenti vaccinati e non vaccinati, ma anche in questo caso il Garante della Privacy è chiaro e spiega che:

«il medico competente non può comunicare al datore di lavoro i nominativi dei dipendenti vaccinati. Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica».

Al medico è consentito però valutare l’idoneità dei dipendenti alle proprie mansioni. Il datore deve solo attuare quanto indicato dal medico, senza interessarsi delle motivazioni.

IL TRATTAMENTO NON È PERMESSO NEMMENO CON IL CONSENSO DEL DIPENDENTE

E se fossero gli stessi dipendenti comunicare l’avvenuta vaccinazione?
Il Garante spiega che:

«il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo (considerando 43 del GDPR)».

Nel caso il dipendente fornisse tali informazione, il datore dovrebbe cancellare la mail, il messaggio o la lettera con cui è avvenuta la comunicazione e avvisare il dipendente.

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Euro digitale? La BCE dà il via alla sperimentazione

In un futuro non troppo lontano potremmo trovarci a pagare con l’euro digitale, la versione elettronica delle banconote e delle monete che utilizziamo tutti i giorni.

La digitalizzazione, l’aumento degli acquisti on-line (dovuto anche alla pandemia), il minor uso del contante e la crescita delle criptovalute hanno portato la BCE ad avviare la sperimentazione di una valuta elettronica che non andrà a sostituire i contanti ma li affiancherà.

Christine Lagard, presidente della Banca Centrale Europea, ha spiegato che:

“La digitalizzazione investe la nostra vita in ogni aspetto e trasforma il nostro modo di effettuare i pagamenti. In questa nuova era un euro digitale garantirà ai cittadini dell’area euro di continuare a mantenere l’accesso a mezzi di pagamento semplici, universalmente accettati, sicuri e affidabili.”

COS’È L’EURO DIGITALE

L’euro digitale è l’alternativa elettronica al contante.
Nel sito educativo della Banca d’Italia, si legge che l’euro digitale potrebbe avere due dimensioni d’uso:
off-line assomiglierebbe alle comuni banconote, mezzi per trasferire ricchezza da persona a persona, in modo anonimo, con un importo limitato;
on-line assomiglierebbe al denaro di un conto, il cui possesso e anche i trasferimenti sono registrati e collegati a un nominativo.

VANTAGGI DELL’EURO DIGITALE

In un articolo su Agenda Digitale, Mario Dal Co, economista ed ex direttore dell’Agenzia per l’innovazione, offre un quadro sull’utilità del progetto:

“Il progetto dell’euro digitale risponde infatti all’esigenza di rinsaldare il rapporto fiduciario tra utente e banca centrale, oggi affievolitosi per effetto della diffusione di forme di pagamento alternative, in modo che possa ritornare la confidenza nella fondamentale relazione tra banche commerciali, famiglie, imprese.”

Le “forme di pagamento alternative” di cui parla sono le criptovalute, mezzi di pagamento privati che sfuggono alle dinamiche (e ai controlli) delle valute comuni.

Dunque, quali sono i vantaggi dell’euro digitale? Qui ve ne citiamo alcuni.

  • Sicurezza
    L’euro digitale è un credito nei confronti della Banca Centrale Europea e non correrebbe alcun rischio di liquidità, di credito o di mercato;
  • Un sistema di pagamento elettronico senza costi e accettato ovunque;
  • Privacy garantita
    Le informazione degli utenti saranno accessibili solo dalle autorità che si occupano di combattere attività illecite (riciclaggio di denaro, finanziamenti al terrorismo) e solo per tali finalità;
  • Più innovazione e concorrenza
    Fornendo prodotti e sevizi accessibili tramite i pagamenti con l’euro digitale, le imprese più piccole potrebbero accedere a mercati più vasti;
  • Rafforzamento della BCE
    L’euro digitale salvaguarderebbe il ruolo dell’euro come mezzo di pagamento, dando vita a un nuovo canale per la politica monetaria sotto la BCE, rafforzando l’autonomia dell’Europa nell’era digitale.

La fase di sperimentazione dell’euro digitale durerà 2 anni, al termine della quale si deciderà se procedere con la creazione della valuta elettronica o meno.

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Poche start up in Italia: il Codice Civile è un ostacolo?

L’Europa conta circa 70 unicorni, cioè start up la cui valutazione supera il miliardo. Di queste, nemmeno una è italiana. E se le leggi contenute nel Codice Civile fossero la (con)causa di questa mancata competitività del nostro paese?

CODICE CIVILE E LIMITI DELLE START UP IN ITALIA

Una possibile risposta ce la offre l’analisi di Francesco Vito Tassone nel suo articolo “Startup, tutte le patologie del sistema normativo italiano: il confronto con la Germania” di cui riproponiamo i contenuti.

Tassone immagina questo scenario.

Una start up viene fondata Italia e, per una serie di fattori favorevoli, si costituisce come SPA.

In quanto tale, il Codice Civile chiede che si doti di una governance specifica, quindi un collegio sindacale (normalmente di 3 persone) e un CdA (anche questo di almeno 3 persone), a cui si affianca una società di revisione per la certificazione del bilancio.
In totale ci sono 7 soggetti giuridici che sono amministratori, le cui competenze ed esperienze potrebbero però non avere alcun legame con l’attività effettiva dell’azienda. Senza lavorare per l’azienda, e pur avendo eventuali remunerazioni basse, rappresentano però un costo importante per una società che, essendo una start up, non fattura o fattura ancora poco.
In aggiunta, proprio perché sono amministratori, il Codice Civile li ritiene responsabili nei confronti dei terzi e impone loro, in sede di approvazione di bilancio, di garantire continuità per i 12 mesi successivi, pena la liquidazione dell’azienda.
In questo contesto, tenderanno quindi alla prudenza, dato che in caso di guai ne risponderebbero personalmente e che non ricaverebbero alcun vantaggio da un atteggiamento più spregiudicato.

A ciò va aggiunto che probabilmente la preoccupazione principale di un simile CdA non starebbe nel “far performare bene l’azienda” ma nell’accontentare gli azionisti: “è più un esercizio del controllo che un’espressione della governance dell’azienda. La relazione vale più della capacità manageriale.”.

Infine, è possibile che la dirigenza operativa venga scelta dal CdA che, ricordiamo, potrebbe non avere competenze nel settore in cui si muove la start up: “in sostanza, persone che in larga parte non sanno nulla del business sceglieranno i dirigenti che operativamente gestiranno quel business.

LA SITUAZIONE IN GERMANIA

La forma societaria più diffusa in Germania è la GmbH, simile alla nostra SRL.

Non esiste il consiglio di amministrazione, sono contemplati però più amministratori il cui unico limite ai poteri è dato dalla firma congiunta.

Indipendentemente dal fatturato non esiste il collegio sindacale, ma è possibile istituire un consiglio di sorveglianza, che spesso è interno all’azienda. I poteri di questo consiglio di sorveglianza sono decisi dai soci.

Non esistono libri sociali.
La redazione del bilancio è molto semplice: le aziende con ricavi fino a 12 milioni e 50 dipendenti presentano solo lo stato patrimoniale abbreviato e nota integrativa abbreviata. Al di sopra di tali soglie è necessario l’intervento di un revisore. L’obbligo di deposito del bilancio compare solo oltre i 40 milioni di ricavi e i 250 dipendenti.
Il management è interno e lavora per l’azienda, la gestisce e conosce il settore.

L’OSTACOLO DELLA BUROCRAZIA

Tassone fotografa così la situazione italiana:

“Il legislatore a ogni passaggio si impegna ad inasprire un sistema già eccessivamente orientato al controllo e alla responsabilità. A questa aggravante si aggiunge un profilo di investitori di formazione private equity (principalmente banche) che per storia professionale non vedono i limiti operativi di questi approcci gestionali”.

Lasciamo ai professionisti del settore legale valutare la validità di questa analisi.

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Richiamo verbale agli avvocati: il CNF chiarisce natura e impatto

Il Consiglio Nazionale Forense conferma il carattere afflittivo del richiamo verbale, pur non qualificandolo come sanzione disciplinare.

Avvocati: i laureati in UK possono iscriversi al registro dei praticanti?

Dopo la Brexit, no all’iscrizione automatica al registro praticanti per i laureati in UK.

La decisione del Regno Unito di porre fine alla sua adesione all’UE ha impattato anche sulle regole per l’iscrizione al Registro dei praticanti avvocati. In effetti, la risposta del CNF ad un’interrogazione del COA è chiara e non lascia spazio ad interpretazioni. Dalla Brexit in poi, anche nel riconoscimento del titolo universitario, non sono più applicabili i principi desumibili dal diritto dell’UE.

Laurea conseguita in UK? Necessaria l’omologazione per iscriversi al registro praticanti

L’uscita del Regno Unito dall’UE, o Brexit, ha avuto e sta avendo ripercussioni notevoli, e non solo sul piano strettamente economico. Tuttavia, se di assistenza sanitaria, viaggi e possibilità di Erasmus negate se ne è molto parlato, di un argomento si è poco o nulla trattato. Stiamo parlando del riconoscimento dei titoli universitari conseguiti oltre manica proprio a seguito della data della Brexit.

A tal proposito, il COA capitolino -di fronte alla necessità di acconsentire o meno all’iscrizione nel registro dei praticanti di un soggetto in possesso della laurea in giurisprudenza ottenuta presso una Università del Regno Unito- ha interrogato il CNF. Ora, nel suo parere, il Consiglio Nazionale Forense nega la possibilità di procedere con suddetta iscrizione. La risposta è inequivocabile: “l’avvenuta uscita del Regno Unito dall’UE non rende più applicabili – ai soggetti in possesso di laurea in giurisprudenza ottenuta in quel Paese – i principi desumibili dal diritto dell’UE”.

In effetti, il principio secondo cui “la laurea in giurisprudenza conseguita in un altro Stato membro è conferita, confermata e riconosciuta come equivalente da un’Università del primo Stato” (Corte di Giustizia UE) non è riservato ai casi in cui il titolo è conseguito in uno Stato che membro dell’UE non lo è più. Dunque, sulla base delle considerazioni del CNF: per chi sia in possesso di laurea rilasciata da una Università del Regno Unito, ai fini dell”iscrizione al registro dei praticanti sarà necessario ottenere l’omologazione del titolo di laurea. Solo e soltanto a seguito di tale adempimento, per questi soggetti, sarà possibile iscriversi al registro dei praticanti avvocati.

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Aggiornamento Windows 11 solo su PC con chip TPM 2.0?

Per installare o aggiornare Windows 11, i computer dovranno essere dotati del chip TPM 2.0. Dovremo per forza cambiare pc? Assolutamente no.

Poche settimane fa Microsoft ha presentato la nuova versione del sistema operativo Windows 11. L’azienda ha però confermato che il nuovo aggiornamento potrà essere installato sui computer la cui scheda madre sia dotata di TPM 2.0, un chip che garantisce più alti livelli di sicurezza informatica.

COS’È IL CHIP TPM?

Il TPM, Trusted Platform Module, è un tipo di chip che permette una crittografia più forte. Ciò consente di tutelare meglio pin e password, ma anche di abilitare funzioni di sicurezza più avanzate e installare con più sicurezza le app Android.
Tutto questo protegge meglio il computer da eventuali tentativi di manomissione.

Nei mesi scorsi, Microsoft aveva infatti condiviso le preoccupazioni per l’aumento degli attacchi informatici al firmware. Attraverso il proprio rapporto Security Signals, la società aveva notato come l’83% delle aziende avesse subito un attacco al firmware e solo il 29% stesse investendo risorse per proteggersi.

PERCHÈ QUESTA NOVITÀ?

Esistono due versioni di chip TPM: i TPM 1.2, più vecchi e quindi meno sicuri, e i TPM 2.0, più recenti e sicuri.

Le attuali schede madri, cioè quelle prodotte negli ultimi 5-7 anni, supportano entrambe le versioni.
Quelle dotate di TPM 1.2 potrebbero ora dover essere aggiornate con l’installazione della nuova versione e l’abilitazione tramite il BIOS del computer per supportare ancora Windows 11.
Scriviamo “potrebbero” perché dal 2013 le CPU sia di Intel che di AMD possiedono una tecnologia che svolge le medesime funzioni di un processore TPM 2.0 (Intel PTT – Platform Trust Technology e chiama AMD Platform Security Processor). Questa tecnologia permetterebbe di evitare aggiornamenti hardware, richiedendo solo una semplice abilitazione delle funzionalità.

Ricordiamo inoltre che già dal 2015 Microsoft richiede ai produttori hardware la presenza dei chip TPM per il rilascio della certificazione OEM.

Microsoft ha condiviso l’elenco delle CPU IntelAMD e Qualcomm compatibili con Windows 11.

“DEVO CAMBIARE SUBITO IL PC PER POTER AGGIORNARE WINDOWS 11

L’aggiornamento a Windows 11 sarà disponibile a fine del 2021, c’è dunque ancora tempo per capire cosa sia meglio fare del proprio pc.

In ogni caso, soprattutto per i computer a solo uso personale e non lavorativo, dovrebbe essere possibile sopravvivere con il chip TPM 1.2 per ancora un paio di anni senza incorrere in gravi minacce alla sicurezza informatica.

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La mancata restituzione del denaro in deposito fiduciario causa illecito disciplinare

L’avvocato cui vengono affidate somme di denaro da parte del cliente ha l’obbligo di chiedere istruzioni scritte. L’Avvocato deve altresì rispettare suddette istruzioni e presentarne successivo rendiconto. Infatti, chi viola tali obblighi merita sanzione disciplinare perché viola i doveri di correttezza, diligenza, probità e dignità.

Istruzioni scritte e ricorso per disporre delle somme non sono procedimenti equivalenti

Succede che, indotte dalla legale, in attesa che il Giudice tutelare ne accerti la titolarità, madre e figlia effettuino un bonifico di 16.085,83 euro sul conto corrente bancario della stessa professionista. Succede che, successivamente, l’Avvocata trattenga tale somma, senza restituirla alle titolari e senza nemmeno rendere il conto della gestione. Infatti, messa alle strette, ella confessa di aver depositato il denaro su uno dei conti dello studio e di averlo poi investito.

Quindi, le donne presentano un esposto al C.O.A: la legale restituisce la somma, maggiorata degli interessi e si vede revocato il mandato.

Successivamente, il fascicolo passa al C.D.D., che dichiara la professionista “responsabile per gli addebiti contestati nel capo di incolpazione relativamente all’art. 30 commi 1° e 4° C.D.F (corrispondenti all’art. 41 primo capoverso ed all’art. 41 canone II C.D.F previgente)” e la sanziona con la censura.

Tuttavia, l’Avvocata ricorre al CNF, dichiarando l’equipollenza tra il ricorso per disporre liberamente della somma in deposito e le “istruzioni scritte”. Quindi, il C.N.F. riforma la decisione impugnata solo in parte: la censura viene sostituita con l’avvertimento, tuttavia: “La mancata restituzione di denaro o documentazione ricevuta in deposito fiduciario costituisce illecito disciplinare per violazione dei doveri di correttezza, diligenza, probità e dignità” (C.N.F. 29.7.2019 n. 64).

Infatti, “a norma del codice deontologico, il professionista è obbligato a chiedere istruzioni scritte e ad attenervisi”.

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