Violenza donne: una nuova banca dati per la prevenzione e la tutela

È arrivato, finalmente, uno strumento in più per conoscere e contrastare la violenza di genere. Il Ministero della Giustizia, dal 1° gennaio 2023 è in grado di rilevare i dati dei procedimenti giudiziari che riguardano la violenza sulle donne.

Verranno realizzate analisi statistiche, pubblicate periodicamente al fine di far emergere evoluzioni e nuove caratteristiche delle condotte criminali.

Età delle vittime, tipo di crimine commesso, modi per metterlo in atto e relazione con l’autore del reato: queste le informazioni che verranno trasmesse al fine di alimentare la banca dati dedicata alla violenza di genere.

Con un intervento sui sistemi informativi dell’area penale, tutti gli uffici giudiziari italiani saranno nelle condizioni di registrare questi dati importanti.

Una nota specifica è stata inviata dal Ministero direttamente agli uffici, per riuscire ad illustrare lo scopo dell’intervento e le modalità operative per inserire i dati. Via Arenula vuole «rilevare le informazioni utili a formulare le risposte più efficaci nella prospettiva della prevenzione dei reati e dell’innalzamento degli standard di tutela delle vittime».

L’aggiornamento previsto dei sistemi informativi, per alimentare la banca dati relativa alla violenza di genere è completamente in linea con gli obiettivi stabiliti dalla collaborazione tra il Ministero della Giustizia e l’Istituto Nazionale di Statistica.

Le iniziative seguono le misure preventive stabilite dalla Convenzione del Consiglio d’Europa e tutte le ultime norme che riguardano le rilevazioni statistiche sulla violenza di genere, così come previsto dalla legge 53/2022.

La norma in questione ha introdotto l’obbligo per uffici, enti, organismi e alcuni soggetti pubblici e privati di fornire dati e notizie per perseguire il programma statistico nazionale.

Coinvolte tutte le strutture sanitarie pubbliche, in particolar modo le unità operative di pronto soccorso, che dovranno fornire dati e informazioni sulla violenza di genere.

La legge valorizza anche le rilevazioni condotte ogni anno da Istat riguardo i servizi e le prestazioni offerte dalle case rifugio e dai Centri antiviolenza.

Secondo Fabio Roia, presidente del Tribunale di Milano, con questa trasmissione è cominciata una nuova fase nella rilevazione di questa tipologia di dati.

«E’ uno strumento molto importante, perché consente di analizzare l’evoluzione della violenza di genere che ha molte sfaccettature e molte declinazioni». Un valore aggiunto, dice Roia, dipende anche dalla tipologia dei dati trasmessi.

«Parliamo di procedimenti giudiziari, quindi di emerso, elemento che ci consente di capire molte cose, ad iniziare dalle caratteristiche sociali della vittima come dell’imputato». Infatti, è il sommerso il grande problema su cui lavorare.

Conclude Roia: «Dalle rilevazioni del 2021/2022 risulta che il 70% delle vittime di violenza di genere sono italiane. Un dato, evidenziato sempre nelle rilevazioni che facciamo ogni anno: per le donne straniere c’è un sommerso che si fa fatica a registrare. Diverse le ragioni delle difficoltà ad essere agganciate dalla rete territoriale: dall’intimidazione da parte dei “clan” familiari, alla lingua che limita la capacità di esprimersi. Questo strumento è comunque un’occasione per avere una fotografia nazionale del fenomeno e non a macchia di leopardo».

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SOS: una tecnica per sconfiggere lo Stress

Gli ultimi due anni ci hanno messo a dura prova: la pandemia e la guerra ci hanno costretto a cambiare le nostre abitudini, ma anche le nostre relazioni.

Non sarà difficile capire, dunque, perché incontriamo sempre più spesso persone con sintomi di ansia e stress. Sintomi che peggiorano la routine e che rendono difficile la gestione della nostra sfera personale e professionale.

Che cos’è lo stress?

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, lo stress è «la risposta psicologica e fisiologica che l’organismo mette in atto nei confronti di compiti, difficoltà o eventi della vita valutati come eccessivi o pericolosi. La sensazione che si prova in una situazione di stress è di essere di fronte ad una forte pressione mentale ed emotiva».

Non è detto che provochi necessariamente effetti negativi, dato che favorisce l’adattamento ad alcuni stimoli quotidiani, mentali e fisici.

Dobbiamo, quindi, distinguere lo stress positivo da quello negativo.

  • Stress positivo – ma come diavolo fa ad esistere uno stress positivo?! Beh, tanto per intenderci, è quello stress che incontriamo quando ci stiamo concentrando su un esame. Ci dà la carica necessaria per affrontare le sfide che incontriamo nel lavoro, ma anche nella vita. Ecco, questo è lo stress positivo (eustress).
  • Stress negativo – l’eustress ci fa sentire motivati, capaci di raggiungere gli obiettivi, pronti a migliorare la produttività. Invece, lo stress negativo (distress), ci fa avvertire sensazioni spiacevoli, come ansia, preoccupazioni, e in generale sentimenti negativi. Finiamo per mettere in dubbio le nostre capacità di portare a termine un compito. Spesso il distress è accompagnato da disturbi psicosomatici, come mal di testa e insonnia, e comporta un peggioramento graduale delle nostre condizioni di vita.

Sconfiggere lo stress

Ma come possiamo sconfiggere lo stress (negativo)? Un’efficace tecnica antistress è quella di lanciare un SOS, un segnale di richiesta d’aiuto.

Ci sono momenti della nostra vita in cui ci ritroviamo con troppe cose da fare, in pochissimo tempo, e il nostro primo pensiero è quello di fuggire su un’isola deserta dall’altra parte del mondo.

Dato che non hanno ancora inventato un pulsante anti-stress che ci teletrasporta dove vogliamo, dobbiamo affidarci ad altre tecniche per combattere lo stress – forse più efficaci dell’isola deserta.

Gestire lo stress

L’obiettivo non è quello di eliminare completamente lo stress, dato che siamo di fronte ad una naturale risposta del nostro corpo alle sfide della vita. Difficilmente raggiungiamo i nostri obiettivi senza lo stress.

Per lo stress vale la stessa storia dei due lupi (che trovi alla fine dell’articolo). Esiste lo stress buono e quello cattivo, ma noi non dobbiamo sopprimere nulla, perché dobbiamo soltanto imparare a canalizzare le nostre energie fisiche e mentali verso la direzione giusta.

Come fare? Semplice, con la tecnica SOS.

S – Stop

La prima cosa da fare quando lo stress ci travolge è fermarci! Certo, se gli impegni si accavallano l’uno sopra l’altro sarà difficile pensare di fermarsi. Non è un lusso che ci possiamo permettere, quindi il nostro corpo e/o la nostra mente si imporranno, costringendoci a fermarci.

Sarà uno stop con conseguenze più gravi rispetto ad un momento di semplice ozio. Forse è meglio fermarsi e conservare le energie fisiche e mentali, per ripartire nel migliore dei modi.

O – Organizza

Nello stress, l’emozione dominante è la sopraffazione. Spesso questo accade poiché non siamo riusciti a ritagliarci del tempo per fare un quadro preciso della situazione.

Lo stress ci annebbia la vista e ci fa vedere le cose non per ciò che sono, ma per come ci sentiamo. Attività semplici diventano insopportabilmente faticose se navighiamo nell’ansia.

Ma dopo esserci fermati e aver recuperato le nostre energie, dovremo affrontare le sfide e gli ostacoli in maniera oggettiva. Per farlo, dobbiamo scrivere i nostri impegni, fare una lista che comprende tutte le attività che ci passano per la testa (anche i cereali da comprare al supermercato).

Questo esercizio si chiama “brain dump” e ha l’obiettivo di svuotare del tutto la testa dalle preoccupazioni per riversarle su un pezzo di carta o su un file word. Quando i pensieri si concretizzano all’interno di un supporto fisico, automaticamente perdono la loro capacità di stressare il cervello.

S- Seleziona

L’ultimo passaggio della tecnica SOS, forse il più difficile, consiste nel capire a che impegni dare la priorità. Ciò che distingue, infatti, una persona che si destreggia tra le situazioni stressanti da una che soccombe è la capacità di individuare le priorità, focalizzandosi totalmente sulla loro esecuzione.

Se non ci liberiamo delle manie perfezionistiche e continuiamo a dedicare il nostro tempo ad attività poco importanti otterremo un finto senso di controllo e saremo vittime dello stress.

Un punto di partenza per focalizzarci sulle priorità è definire 3 attività fondamentali per dedicargli le prime ore della nostra giornata lavorativa. Cerca di avere ogni giorno un tempo “sacro” dove lavorare su quello che farà la differenza. Meglio fare abbastanza bene quel che serve piuttosto che fare perfettamente quello che non serve!

Se applichi questi 3 principi antistress riuscirai ad affrontare le emergenze lavorative, trasformando in modo radicale il tuo approccio alle situazioni stressanti.

La leggenda dei due lupi

E ora, come promesso, ecco la leggenda dei due lupi 🙂

Nella versione più famosa della leggenda troviamo un anziano della tribù dei Cherokee intento a spiegare al nipotino che nel suo cuore e in quello di tutti gli esseri umani ci sono due lupi: uno nero e uno bianco. Quello bianco è docile e con un buon animo, e quello nero è rabbioso e violento.

Questi due lupi combattono costantemente tra loro. Il nipote chiede all’anziano quale dei due lupi prevarrà sull’altro, e il Cherokee risponde: «Quello che nutriamo di più».

Ma ne siamo così sicuri? Affamare il lupo nero non è proprio una scelta brillante. Forse sarebbe meglio nutrire entrambi i lupi!

Versione alternativa della leggenda

Un giorno, un anziano Cherokee, decise che era giunto il momento di insegnare al nipotino una grande lezione di vita. Lo portò dentro una foresta, lo fece sedere ai piedi di un grande albero e cominciò a raccontagli la lotta che avviene nel cuore degli esseri umani.

«Nella mente e nel cuore di qualsiasi persona c’è uno scontro continuo. Se non prendiamo consapevolezza di ciò, rischiamo di spaventarci e di sentirci confusi, persi e vittime passive degli eventi. È una battaglia che avviene anche nel cuore di una persona anziana e saggia, come me.

Nel mio animo ci sono due grandi lupi: uno bianco e uno nero. Quello bianco è gentile, buono e amorevole. Insegue l’armonia e combatte soltanto per proteggere se stesso e il suo branco. Quello nero, invece, è violento, scontroso e rabbioso. Tutti i contrattempi sono pretesti per accendere la sua ira e per farlo litigare con tutti, senza ragione. Ma la sua rabbia è completamente inutile, dato che non porta altro che guai. Ci sono giorni in cui sembra quasi impossibile convivere con questi due lupi».

«Ma alla fine quale lupo vince?»

«Tutti e due! Vedi, se nutrissi soltanto il lupo buono, quello cattivo sarebbe sempre lì ad attendermi, affamato, pronto ad attaccare a morte il lupo bianco alla prima occasione. Se, invece, gli presto la giusta attenzione, riesco a comprendere la sua natura e a sfruttarne la potenza e la forza nel momento del bisogno. Soltanto così i due lupi riescono a convivere nel mio animo».

«Ma come fanno a vincere entrambi, nonno?»

«Vedi, nipote, nel lupo nero possiamo trovare molte qualità di cui tutti noi possiamo aver bisogno in alcune circostanze. È temerario, astuto e capace di ideare indispensabili strategie per vincere una battaglia. Ha sensi affinati e occhi che, abituati alle tenebre, sono in grado di scrutare ogni movimento salvandoci da imboscate notturne. Se riusciamo ad addomesticare il lupo nero, diventerà il nostro più valido alleato».

Poi, l’anziano Cherokee estrasse due pezzi di carne dalla sua sacca, li gettò a terra e disse: «Ecco un pezzo di carne per il lupo bianco e un pezzo di carne per il lupo nero. Se entrambi saranno sfamati, non lotteranno tra loro per conquistare la mia mente. Sarò quindi in grado di scegliere da solo a quale lupo rivolgermi nel momento del bisogno.

La rabbia repressa, così come il lupo affamato, è molto pericolosa. Non dobbiamo reprimere le sfaccettature del nostro carattere. Dobbiamo imparare a conoscerle, per accettarle e poi sfruttarle quando ne abbiamo bisogno. È così che la lotta tra i due lupi interiori cesserà».

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Il Processo Civile Telematico risolverà tutti i problemi della Giustizia Italiana?

Il Diritto all’Oblio ora è realtà

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La Corte dei Conti, con la relazione sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha dichiarato che il processo civile telematico è uno strumento utile, anche se la digitalizzazione riesce a ridurre soltanto in parte la durata dei processi.

Le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie svolgono un ruolo fondamentale contro la giustizia lumaca. Le novità introdotte dal PNRR, per la Corte dei Conti, sono apprezzabili, anche se la digitalizzazione dei processi «è un processo lungo e laborioso».

Il professor Eugenio Dalmotto, associato di Diritto processuale civile dell’Università di Torino, sottolinea la centralità della figura dell’avvocato in questo periodo storico caratterizzato dalle riforme.

«Condivido quanto sostiene la Corte dei Conti. Il processo civile telematico non comporta un abbattimento dei tempi di trattazione del processo, ma porta altri benefici. In primo luogo razionalizza e alleggerisce il lavoro delle cancellerie, con l’aggiunta di una riduzione complessiva dei i costi. Il lavoro diventa più rapido per i cancellieri con gli avvocati che svolgono gran parte del lavoro».

Continua: «Prendiamo, ad esempio, l’iscrizione a ruolo. Un tempo era necessario mandare qualcuno in cancelleria con il fascicolo, c’era un impiegato che lo riceveva, controllava la regolarità dell’iscrizione e svolgeva altre operazioni. Oggi l’iscrizione a ruolo viene fatta dal computer dell’avvocato ed è questo che fa tutto».

Vale lo stesso discorso «per le notifiche che possono essere svolte tutte dallo studio legale con la PEC. La prospettiva, molto futura, potrebbe essere quella di disporre di applicazioni di intelligenza artificiale tali da aiutare i giudici nella redazione delle bozze delle sentenze, nella verifica della regolarità dei presupposti processuali. Tutto questo però mi sembra ancora molto lontano, collocato in un futuro remoto».

Il vero problema «delle durate processuali non è dato dall’inadeguatezza del rito attuale, bensì dal collo di bottiglia creato dai provvedimenti in uscita. Alla fine le cause devono essere decise. Per scrivere più sentenze, dopo lo studio del fascicolo e la redazione delle motivazioni, occorrono più giudici».

Tutto questo ragionamento funge da premessa al fine di sottolineare l’importanza delle procedure Alternative Dispute Resolution (Adr). Per Dalmotto sono «la soluzione per diminuire il numero di cause che debbono essere decise e per fare andare più veloci le altre. In questo contesto gli strumenti di giustizia alternativa sono preziosi».

«Mi riferisco al potenziamento della conciliazione, della mediazione, della negoziazione assistita, con l’aggiunta dell’arbitrato, che potrebbero realizzarsi riconoscendo il gratuito patrocinio. Il gratuito patrocinio è però riconosciuto solo nei casi in cui la mediazione o la negoziazione assistita è obbligatoria e non quando volontaria».

Sempre secondo Dalmotto, è necessario incentivare l’accesso all’Adr. «Se io sono un non abbiente, di sicuro non mi rivolgerò alla giustizia alternativa, ma andrò davanti al giudice. Altro aspetto, a mio avviso rilevante, è quello degli incentivi fiscali. Sono riconosciuti fino ad un certo limite, ma nulla è previsto nella negoziazione assistita. Manca un incentivo ad andare in quella direzione».

Avvalersi «della mediazione, della negoziazione assistita o dell’arbitrato» evita l’affollamento dei Tribunali, consentendo allo Stato «di ottenere un risparmio. Prevedere delle agevolazioni fiscali per le procedure Adr sarebbe una soluzione utile con immediata efficacia. Un istituto che il precedente ministro della Giustizia non ha considerato è stato l’arbitrato di continuazione o di trasferimento, secondo il quale una causa già incardinata può continuare sotto forma di arbitrato. È un istituto previsto in una legge di alcuni anni fa sulla degiurisdizionalizzazione».

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Il Diritto all’Oblio ora è realtà

Addio ai tamponi: le nuove regole per uscire dall’isolamento

Il Diritto all’Oblio ora è realtà

Se sei stato assolto in un processo, ora hai il diritto di richiedere che il tuo nome venga cancellato dai vari motori di ricerca.

La storia dell’inchiesta, dalle prime indagini al dibattimento resteranno disponibili; ma se sei innocente e non sei stato condannato potrai pretendere di non essere trovato all’interno dei siti che ti hanno citato. Sparirai definitivamente dai motori di ricerca grazie alla riforma Cartabia.

Sparire dal web

Il “diritto all’oblio” non è soltanto oggetto di discussione tra giornalisti e garantisti, perché ora è realtà. E’ l’articolo 64-ter della riforma Cartabia, intitolato “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini”.

Dal primo gennaio, dunque, un assolto potrà chiamare qualsiasi testata giornalistica per richiedere di eliminare il suo nome da tutti gli articoli. Dovrà sparire dal web, e per legge, la testata giornalistica dovrà acconsentire.

Enrico Costa, parlamentare di Azione, era talmente entusiasta dell’entrata in vigore dell’emendamento da lui firmato tanto da twittare: «Dal 1° gennaio 2023 sarà vigente la mia proposta sull’oblio per gli assolti: i motori di ricerca dovranno dissociare i nomi degli assolti dalle notizie circolanti in rete sulle inchieste da cui sono risultati innocenti».

Secondo la legge Cartabia: «L’imputato destinatario di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione possono richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete Internet, dei dati personali riportati o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete Internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento del Parlamento europeo del 27 aprile 2016».

Alcuni deputati del M5S hanno cercato di far passare un ordine del giorno – che alla fine non è passato – per far sì che «le norme non si applichino quando il soggetto o i comportamenti posti in essere dallo stesso abbiano rilevanza pubblica».

Sempre secondo Costa, la norma «non interessa i processi di persone estremamente in vista e popolari, ma soprattutto le persone semplici che vanno a cercare un lavoro e potrebbero non ottenerlo perché da una ricerca in rete di chi gli fa l’indagine compare subito la notizia della sua indagine benché sia stato assolto».

Lo spirito dell’emendamento «è molto lineare: lo Stato deve essere messo in condizione di indagare e chiamare a rispondere le persone, ma deve anche garantire, se le persone risultano innocenti e sono state assolte, che possano tornare nella società con la stessa immagine e la stessa reputazione, senza che rimanga una cicatrice indelebile».

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Addio ai tamponi: le nuove regole per uscire dall’isolamento

Il 2022 è stato l’anno con il maggior tasso di suicidi nelle carceri italiane

Addio ai tamponi: le nuove regole per uscire dall’isolamento

Il ministero della Salute ha pubblicato la circolare con le regole aggiornate rispetto alla gestione dei casi di Covid-19.

Sostanzialmente si seguono le indicazioni all’interno del decreto sui cosiddetti “raduni pericolosi”, dove si prevedeva l’abolizione dell’obbligo del tampone negativo per uscire dall’isolamento di cinque giorni previsto per le persone risultate positive al coronavirus.

Le regole, in breve

Per le persone che non hanno mai avuto sintomi, oppure asintomatiche da almeno 2 giorni, l’isolamento si interromperà dopo cinque giorni dal primo tampone positivo oppure dall’inizio dei sintomi – anche senza test molecolare o antigenico.

Se una persona è sempre stata asintomatica può interrompere l’isolamento anche prima dei cinque giorni, con obbligo di test molecolare o antigenico negativo.

Per gli immunodepressi le regole restano invariate. Servirà sempre un tampone negativo per porre fine all’isolamento dopo almeno cinque giorni.

Gli operatori sanitari, invece, potranno terminare il loro isolamento con test negativo, senza limiti temporali.

Per le persone che escono dall’isolamento senza tampone resta l’obbligo di utilizzo di mascherina FFP2 fino a dieci giorni dall’inizio dei sintomi – se asintomatici, dieci giorni dal primo tampone positivo. In ogni caso la circolare raccomanda di evitare posti affollati e al chiuso, oppure di incontrare persone a rischio.

La situazione in Cina

Non sono state introdotte grandi novità. In questo periodo in cui si pensa di aver superato la pandemia, variazioni anche importanti delle regole ricevono pochissima attenzione e vengono interpretate con molta elasticità.

Tuttavia, l’allentamento delle misure arriva proprio quando il governo sembra preoccuparsi molto dell’attuale ondata di contagi in Cina. La paura è che i casi provenienti dalla Cina diffondano in Europa varianti sconosciute, che i vaccini non possono combattere – anche se sono scenari poco certi, tutti da dimostrare.

L’Italia è il primo paese europeo ad aver introdotto un test obbligatorio per tutte le persone provenienti dalla Cina. Nella circolare troviamo anche una regola specifica per le persone che risultano positive dopo essere state in Cina: potranno uscire dall’isolamento dopo due giorni senza sintomi e con tampone negativo.

Il governo Meloni sta cercando di dimostrare una certa discontinuità rispetto all’approccio dei governi precedenti, come nel caso del reintegro dei medici e degli operatori sanitari non vaccinati.

Tuttavia, i test obbligatori per i viaggiatori provenienti dalla Cina fa emergere una certa prudenza da parte di questo governo.

Il 30 dicembre il ministero ha pubblicato un’altra circolare, con le indicazioni destinate alle Regioni per contrastare la pandemia. Sono stati confermati tutti gli allentamenti introdotti negli ultimi mesi, anche se si mantiene uno stato di preallerta se dovessero aumentare sensibilmente i contagi.

In caso di peggioramento della situazione epidemiologica «potrebbe essere indicato l’utilizzo delle mascherine in spazi chiusi, finalizzato in particolare a proteggere le persone ad alto rischio di malattia grave». Verrà valutata, inoltre, «l’adozione temporanea di altre misure, come il lavoro da casa o la limitazione delle dimensioni degli eventi che prevedono assembramenti».

Il 2022 è stato l’anno con il maggior tasso di suicidi nelle carceri italiane

Nel 2022 si sono suicidate 84 persone all’interno delle carceri italiane: 78 uomini e 5 donne – le donne rappresentano il 5% delle persone detenute nelle carceri.

È il numero più alto di suicidi registrato in Italia dal 2000, ovvero da quando questi dati sono stati resi disponibili a livello nazionale. I dati relativi agli anni Novanta suggeriscono che il tasso di suicidi non era mai stato così alto.

Mai così tanti suicidi

58 i suicidi nel 2021 e 51 nel 2020. Dieci anni fa, quando la popolazione carceraria era più numerosa – 66.5278 contro 54.841 – si suicidarono 60 detenuti, 24 in meno rispetto all’anno scorso.

Mauro Palma, presidente del Garante nazionale dei diritti dei detenuti dichiara: «Le scelte soggettive vanno anche rispettate nella loro non univoca e difficile leggibilità; resta la responsabilità che è in capo a chi amministra e gestisce la privazione della libertà di una persona di tutelare al massimo la sua vita e la sua integrità fisica e psichica».

L’ultimo ad uccidersi è stato un ventenne italo-albanese, Adolfo Latifaj, impiccandosi nella sua cella. Il cappellano del carcere, don Dario Crotti, ha detto che «era un detenuto molto fragile. Me lo avevano segnalato gli agenti di polizia penitenziaria e gli avevo parlato. Purtroppo non è stato sufficiente».

Il 22 dicembre, invece, Giovanni Carbone, un detenuto del carcere di Lanciano, si è suicidato impiccandosi nella sua cella. Era stato arrestato soltanto tre giorni prima con l’accusa di omicidio della compagna, Eliana Maiori Caratella.

Il segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria, Ruggero Di Giovanni, ha dichiarato che in tutto il piano detentivo dove si trovava Giovanni Carbone era in presente soltanto un agente. «Tanto per dare qualche numero, quel piano detentivo è composto da due sezioni, una con circa 50 detenuti alta sicurezza che richiedono, a causa della tipologia di reati, un’attenzione maggiore e costante».

Invece, la sezione adiacente prevede «la presenza costante di circa 20 detenuti cosiddetti “nuovi giunti”, ovvero detenuti appena arrestati e sottoposti a “grande sorveglianza precauzionale” proprio per prevenire gesti autolesionistici».

Il 20 dicembre, a Rebibbia, si è ucciso un 30enne bangladese, di cui non stato reso noto il nome. Anche lui si è impiccato nella sua cella, mentre scontava una pena di due anni per rapina. Il prossimo luglio sarebbe stato libero.

A Bergamo, nello stesso giorno, è morto F.C., un detenuto di 49 anni, per inalazione del gas della bombola utilizzata in cella per cucinare. Non si sa ancora se si sia trattato di un suicidio o di un incidente, dato che inalare gas come sostituto delle sostanze stupefacenti è una pratica diffusa nelle carceri.

A Napoli, il 31 dicembre, Francesco Terraciano si è ucciso impiccandosi. Il 30enne era detenuto per alcuni reati di droga.

Per Nordio il sistema carcerario è una vergogna

L’elenco è lunghissimo: dal 2012 al 30 dicembre 2022 ci sono stati in totale 615 suicidi, mentre dal 2000 1.308.

Nel 2010, l’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio, disse: «Il sistema carcerario è incompatibile con la rieducazione, perché troppo brutale. Le sue strutture edilizie e le condizioni inumane sono al limite della tolleranza, sono una vergogna della nostra pretesa giuridica».

Lo scorso ottobre Nordio parlò ancora dei suicidi all’interno delle carceri, definendoli «una drammatica emergenza, una dolorosa sconfitta per ciascuno di noi e la conferma della necessità di occuparci da vicino del mondo penitenziario».

Il carcere «per me è una priorità assoluta: riconosco il grande impegno di chi mi ha preceduto e dell’amministrazione penitenziaria, che ha diffuso anche una circolare specifica sul tema dei suicidi. Molteplici possono essere le cause e i problemi dietro questo drammatico record: le urgenze del carcere – compresa la necessità di rinforzare gli organici di tutto il personale – saranno una delle mie priorità».

Qualche numero

Tra i detenuti che si sono uccisi nel 2022:

  • 33 erano persone con fragilità sociali o personali, ovvero persone con disagi psichici o senza fissa dimora;
  • 49 si sono uccisi nei primi sei mesi di detenzione;
  • 21 nei primi tre mesi;
  • 15 nei primi dieci giorni;
  • 9 nelle prime 24 ore;
  • 5 sarebbero stati liberi entro un anno;
  • 39 avevano una pena residua inferiore a tre anni;
  • soltanto 4 avevano una pena residua di più di tre anni e uno doveva scontare 10 anni.

“Da qui non riemergerò mai più”

Per il Garante, non conta molto la durata della pena o della carcerazione preventiva e nemmeno le condizioni della pena. È l’approdo in carcere in sé l’elemento che porta al suicidio.

Secondo Daniela de Robert, dell’ufficio dell’autorità del Garante: «Il rapporto di quest’anno evidenzia innanzitutto un record negativo: negli ultimi 10 anni non ci sono mai stati così tanti suicidi».

Alcuni «non avevano fatto in tempo neppure ad essere immatricolati perché si sono uccisi subito. Non è il sovraffollamento o il carcere degradato a spingere le persone a gesti estremi, ma la disperazione: quella sensazione terribile di chi entra in carcere e pensa: “da qui non riemergerò mai più”».

Un tempo inutile, sottratto alla vita

Significativo anche l’andamento della media dei suicidi, che raggiungono il picco ad agosto, quando ci sono meno volontari e le varie attività si fermano.

50 delle persone detenute che si sono uccise erano italiane e 34 straniere, di cui 18 senza fissa dimora. Nove avevano tra i 18 e i 25 anni e tre più di 70 anni. 33 detenuti erano in carcerazione preventiva e 7 in attesa del processo d’appello.

Aggiunge De Robert: «E’ il vuoto a caratterizzare ancora troppe carceri italiane: la dimensione di un tempo che scorre inutilmente semplicemente sottratto alla vita che non riesce a diventare un’opportunità di crescita di cambiamento, e poi reinserimento costruttivo per i detenuti, come ci chiede la Costituzione».

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Firma Digitale: tutti i dispositivi continueranno a funzionare anche nel 2023

Giustizia Riparativa: a Treviso un tribunale di studenti che risolve le controversie

Firma Digitale: tutti i dispositivi continueranno a funzionare anche nel 2023

L’OCSI, l’Organismo di Certificazione della Sicurezza Informatica, ha pubblicato sul suo sito la notizia che i dispositivi di firma digitale che dal 2023 non funzioneranno più – come comunicato da Agid lo scorso 24 maggiosaranno validi anche dopo il 31 dicembre 2022. Arriveranno quindi alla loro scadenza naturale senza alcun problema.

È stato completato infatti il processo di notifica alla Commissione europea dei dispositivi di firma elettronica in fase di revoca. Pertanto, potranno essere utilizzati per generare firme elettroniche qualificate anche dopo il 31 dicembre 2022.

Lo scorso 5 dicembre, infatti, OCSI aveva comunicato di aver avviato la verifica della conformità dei requisiti dei dispositivi oggetto della nota di AgID, per valutare la possibilità di estendere il regolare utilizzo di tali dispositivi dopo il 31 dicembre 2022.

In ogni caso, Servicematica non sarebbe stata interessata e non sarà interessata da questa tipologia di problemi.

Giustizia Riparativa: a Treviso un tribunale di studenti che risolve le controversie

Nei giorni scorsi, l’Istituto superiore Besta di Treviso ha inaugurato l’aula di mediazione, ovvero un mini tribunale composto da studenti e professori con lo scopo di risolvere le controversie interne.

Non si tratta di punizioni, sanzioni, o lavori socialmente utili al posto delle sospensioni. La filosofia e la visione pedagogica di Renata Moretti, la dirigente, è tutta un’altra storia. È necessario creare dialogo, riflessione, confronto; dedicarsi alla persona offesa, senza tralasciare chi ha compiuto l’atto contrario.

Dunque, d’ora in poi, quando al Besta ci sarà un litigio, un atto di bullismo o una controversia, tutti i soggetti coinvolti potranno usufruire della mediazione degli studenti, a lungo formati appositamente per rivestire questo importante ruolo.

Dietro il progetto troviamo il concetto di giustizia riparativa, trasportato nei banchi di scuola grazie alla sensibilità dell’associazione “La Voce” e della referente d’istituto per il bullismo.

Spiega la dirigente: «Un’esperienza simile esiste già a Sacile in Friuli Venezia Giulia, dove questa scuola si è gemellata per questo progetto con una realtà spagnola. Anche nel mio istituto abbiamo sposato in pieno questi valori. Vogliamo dare una dimensione diversa al riparare il male facendo altro male; ad esempio somministrando una sanzione se non hai rispettato il regolamento».

«Vogliamo restituire la dignità alla persona offesa», continua, «ma anche stimolare l’empatia di chi ha compiuto qualcosa che non va. Non obblighiamo gli studenti, ma è un principio di volontarietà».

I mediatori sono dieci studenti del triennio, che, grazie a venti docenti, hanno seguito un apposito corso pensato dall’associazione “La Voce”.

Nella primissima fase d’avvio, gli studenti mediatori saranno affiancati dai professori. Quando sarà il momento, procederanno autonomamente.

Continua Moretti: «La mediazione viene fatta in diverse fasi e step con più incontri tra lo studente offeso e chi ha compiuto il danno». Tale modello potrebbe aiutare a gestire anche i conflitti tra i professori e la dirigente. «Perché no? Non escludo di utilizzarlo anche per noi adulti, magari con un docente come mediatore al posto di un ragazzo».

«Sembra brutto dirlo, ma aspettiamo qualche controversia per capire come andrà», conclude.

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Parità di Genere: online il sito istituzionale per la certificazione

Addio all’app Immuni: dal 31 dicembre lo stop definitivo

Parità di Genere: online il sito istituzionale per la certificazione

Uno dei punti d’arrivo che il nostro paese doveva raggiungere entro il 31 dicembre per rispettare le varie tappe del Pnrr è il sistema di certificazione della parità di genere delle imprese.

E’ online il sito realizzato da Sogei su mandato del Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio e grazie alla ministra per la famiglia Eugenia Roccella.

Ad oggi ci sono 85 aziende certificate, e si contano quindici organismi certificatori.

Verso il Gender Equality

Il sito ha un duplice scopo: quello di vetrina e quello di sensibilizzazione dei cittadini, per quanto riguarda la parità di genere.

Diventerà uno strumento di lavoro per tutte quelle aziende che, a causa delle loro dimensioni ridotte, incontrano maggiori difficoltà nell’ottenere la certificazione.

Il sito condurrà le realtà economiche verso il gender equality, obiettivo del Pnrr ma anche dell’Unione Europea.

Dal Palazzo Chigi dichiarano: «Quello della certificazione sulla parità di genere è un percorso culturale per tutti: fa bene alle aziende e fa bene alle persone che vi lavorano». Tra qualche mese «sarà operativa anche una banca dati gestita da Unioncamere con i riferimenti delle imprese certificate, le “pioniere” in questo campo in Italia».

Requisiti da rispettare

Il riferimento è la norma UNI/PdR 125:2022, in vigore dallo scorso luglio. È una prassi di riferimento che guida gli organismi certificatori per valutare le aziende.

A questo punto entrano gioco alcuni requisiti di base, come:

  • Governance;
  • Cultura e strategia;
  • Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda;
  • Processi di Human Resources;
  • Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro;
  • Equità remunerativa per genere.

Le aziende dovranno dimostrare di avere tutte le carte in regola basandosi su questi asset. La certificazione, tuttavia, non dovrà soltanto essere ottenuta, ma anche mantenuta.

Ha validità triennale, ma una volta all’anno verrà eseguito un controllo per vedere come procedono le cose. Se non si hanno più le carte in regola, dunque, si rischierà di perderla.

Il Pnrr stesso prevede dei contributi al fine di ottenere la certificazione. Contributi, però, destinati soltanto alle Pmi e che valgono 8 milioni.

La Legge Gribaudo (162/2021) prevede sgravi previdenziali per le aziende certificate. Le aziende ricevono anche punti validi per partecipare a bandi regionali ed europei al fine di ottenere finanziamenti.

Inoltre, il Pnrr prevede un trattamento particolare, in favore della partecipazione alle gare per appalti pubblici.

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Ma ve la ricordate Immuni, l’app di contract tracing ideata nel 2020 per segnalare alle persone se erano entrate in contatto con una persona risultata positiva al Sars-CoV-2?

Beh, il governo ha deciso di spegnere definitivamente Immuni il prossimo 31 dicembre. La comunicazione arriva dal ministero della Salute con una nota ufficiale, informando che «dal prossimo 31 dicembre, sarà dismessa la piattaforma unica nazionale per la gestione del sistema di allerta Covid-19 e la relativa app Immuni, che ha avuto la finalità di allertare le persone entrate in contatto stretto con soggetti risultati positivi».

Immuni, quindi, sparirà dagli store di Apple, Google e Huawei: le persone che l’hanno installata sul proprio telefono si ritroveranno con un’app non funzionante.

Non ci sarà più alcuna possibilità di ricevere notifiche che riguardano i contatti a rischio, utilizzate (con scarso successo) durante le fasi iniziali della pandemia, come strumento di prevenzione dei contagi.

Su Immuni non potranno più essere scaricati i green pass, ma soltanto conservare quelli già scaricati. Si potranno recuperare le nuove certificazioni verdi sull’app Io, sul sito del governo oppure sul fascicolo sanitario elettronico.

Dopo la dismissione di Immuni termineranno ufficialmente i trattamenti dei dati personali, pseudonimizzati ed utilizzati per fini statistici e l’aggiornamento sull’andamento delle notifiche di esposizione.

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