D’ora in poi i docenti avranno diritto ad un avvocato di Stato

Il personale scolastico che subirà aggressioni non dovrà più rivolgersi al proprio avvocato per tutelarsi, sia in sede civile che penale. Arriva, infatti, l’assistenza legale dell’Avvocatura di Stato per docenti e dirigenti che hanno subito violenza a scuola.

Questo è quanto accaduto recentemente ad una docente della scuola superiore di Rovigo, che era stata aggredita con fucile ad aria compressa da uno studente mentre alcuni riprendevano la scena per diffonderla sui social.

La difesa sostenuta direttamente dallo Stato è una misura annunciata da una circolare firmata da Giuseppe Valditara, ministro dell’istruzione e del merito.

«Il recente, allarmante aumento di episodi di violenza nei confronti degli insegnanti e del personale scolastico, posti in essere all’interno delle scuole, anche nel corso delle lezioni, rende necessario e urgente diramare le seguenti indicazioni», leggiamo nella nota che è stata inviata ai direttori e ai dirigenti scolastici.

Questi episodi «costituiscono atti illeciti intollerabili, suscettibili di provocare danni fisici e psicologici alle vittime, ledendo l’autorità e l’autorevolezza dei docenti e compromettendo seriamente la qualità dei servizi, con pregiudizio del fondamentale diritto allo studio».

Per tale motivo il ministero richiederà l’intervento diretto dell’Avvocatura generale dello Stato, con lo scopo di «assicurare la rappresentanza e la difesa del personale dello Stato ai sensi dell’articolo 44 del Regio Decreto n. 1611 del 1993».

I presidi saranno tenuti a segnalare i fatti illeciti e tutta la documentazione relativa all’ufficio scolastico regionale. Quest’ultimo provvederà ad inoltrare tutto al ministero, che deciderà il seguito nei confronti dell’Avvocatura.

Rino Di Meglio, coordinatore del sindacato Gilda degli insegnanti commenta: «La nostra priorità è riportare responsabilità, serenità e rispetto nelle scuole. I docenti sono in stato d’assedio. Se l’insegnante deve difendersi e intraprendere un percorso giudiziario, è costretto a sopportare delle spese anche ingenti. Siamo dipendenti dello Stato e svolgiamo una funzione di tipo costituzionale».

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«Copyright violato»: gli artisti denunciano l’intelligenza artificiale

Artisti e programmatori si uniscono contro le nuovissime intelligenze artificiali, quelle “generative”, come Dall-E2, ChatGpt e Copilot. Queste due categorie, infatti, hanno deciso di avviare delle cause legali negli Stati Uniti, precisamente a San Francisco, contro le aziende che offrono questi sistemi che stanno acquistando sempre più popolarità.

I sistemi, infatti, sarebbero stati addestrati violando il diritto d’autore di programmatori e artisti, generando opere d’arte che imitano benissimo lo stile di qualche artista oppure la scrittura dei codici di programmazione.

La causa contro Midjourney, DeviantArt e Stability AI

La prima causa riguarda Midjourney, DeviantArt e Stability AI. La causa è stata depositata il mese scorso nel Tribunale distrettuale americano di San Francisco. I querelanti accusano le aziende di violazione del copyright di tantissimi artisti, decine di migliaia.

Uno degli artisti più famosi tra i querelanti è Grzegorz Rutkowski, un’artista fantasy, che ha studiato per anni i grandi maestri del chiaroscuro e della luce, come Rembrandt, Caravaggio e Vermeer, creando opere destinate al mercato dei videogame.

L’artista, tuttavia, si è ritrovato con innumerevoli imitazioni del suo personale stile in giro per il web. Qualsiasi persona, infatti, potrebbe richiedere a uno dei sistemi di disegnare “un drago nello stile di Grzegorz Rutkowski”.

Artisti contro la loro ombra

Gli artisti cominciano a lamentare che si trovano in una situazione paradossale, ovvero quella delle competizione sul mercato contro l’ombra di sé stessi. Tutto questo per colpa delle capacità delle intelligenze artificiali.

Le aziende che hanno ideato tali modelli, per prima cosa hanno dovuto addestrarli raccogliendo le opere online di migliaia di altri artisti – questa operazione prende il nome di scraping. Questo meccanismo si trova alla base di tutte le intelligenze artificiali generative.

Innanzitutto, un’azienda trova oppure crea un insieme di dati abbastanza grande. Dunque, utilizza diversi algoritmi per riuscire ad addestrare il software alla produzione di immagini, testi o specifici codici, sulla base di tali dati.

Le aziende che sono state accusate sostengono di non aver fatto assolutamente nulla di male. Si limitano, semplicemente, a fare come fa qualsiasi essere umano, che apprende in base alle opere esistenti per riuscire a produrne di proprie.

Nella causa in questione le aziende sono state accusate di scraping, che avverrebbe impropriamente, senza autorizzazione, minacciando la remunerazione degli artisti. Per intenderci, il principio è quello della condivisione di musica pirata.

La causa contro Microsoft

Un’altra causa, invece, è rivolta contro Microsoft, per il suo sistema GitHub Copilot, che aiuta i programmatori a completare codici di programmazione.

Le persone che hanno deciso di querelare sostengono che Copilot non fornisca attribuzione agli autori originali, di cui ha utilizzato i codici durante la fase di addestramento. Dunque, Copilot violerebbe alcune licenze open-source, ma anche il Digital Millennium Copyright Act.

Tuttavia, le aziende sotto accusa ribattono, e chiedono al Tribunale di respingere la causa. I programmatori che condividono i loro codici su GitHub e da altre parti non sarebbero riusciti a dimostrare, infatti, come Copilot li abbia effettivamente danneggiati.

Il difficile compito dei giudici

Ai giudici spetta un compito molto difficile. Infatti, dovranno posare le primissime pietre di una giurisprudenza che potrebbe impattare enormemente sullo sviluppo di tecnologie, ma anche sull’utilizzo di queste da parte di utenti e aziende.

Questi, a loro volta, rischierebbero infatti di essere accusati di violazione del copyright, nel caso in cui si avvalgano di prodotti dell’AI generativa, in un videogame, in un software o negli spot pubblicitari.

Google investe nell’IA

Nel frattempo, Google ha deciso di investire 300 milioni di dollari nella startup Anthropic, specializzata in soluzioni di intelligenza artificiale.

Nell’accordo, Google dovrà partecipare alla startup con il 10%. Questa mossa riflette la sempre maggior influenza che hanno le aziende che lavorano sulle intelligenze artificiali, che necessitano di accedere a grandi piattaforme di cloud computing per la gestione dei grandissimi modelli di calcolo che fanno funzionare questa tipologia di piattaforme.

L’investimento di Google segue quello di Microsoft, che partecipa alle risorse di OpenAI, che ha creato ChatGpt. Tuttavia, il ruolo di Google, per il momento, è limitato a quello di fornitore di tecnologia dell’azienda.

Anthropic è nata nel 2021, dopo che un gruppo di ricercatori ha deciso di lasciare OpenAI. Questi hanno creato una chatbot, che hanno chiamato Claude, capace di competere con ChatGpt. Attualmente, Claude deve ancora essere rilasciato pubblicamente.

La startup, prima dell’investimento di Google, aveva già raccolto 700 milioni di dollari. Uno dei più grandi investitori è Alameda Research, che, dopo aver riversato nella startup 500 milioni di dollari, ha dichiarato bancarotta.

Le IA funzionano come i piccioni

Un gruppo di ricercatori avrebbe scoperto che i piccioni utilizzano un processo di apprendimento simile alle IA avanzate. Parliamo dell’apprendimento per associazione, che è considerato un basilare metodo di ragionamento.

Alcuni psicologi dell’Università dell’Iowa avrebbero messo alla prova dei piccioni con alcuni test complessi di categorizzazione, che non potevano essere risolti con l’aiuto di ragionamenti o della logica. Grazie all’apprendimento per tentativi e per errori, i piccioni hanno ottenuto risultati notevoli.

I ricercatori hanno paragonato questo approccio a quello delle intelligenze artificiali, che funzionano allo stesso modo, in quanto programmate per l’identificazione di oggetti e schemi riconoscibili dagli umani.

Le IA ci stupiscono sempre più, dato che sembrano pensare come gli esseri umani. Per Ed Wasserman, l’autore dello studio, potremmo aver sottovalutato il potere dell’apprendimento per associazione, tanto negli animali quanto negli umani.

Per confermare l’ipotesi, il team di Wasserman avrebbe progettato un test “diabolicamente difficile”. I piccioni sono stati sottoposti ad alcuni stimoli visivi, ognuno diverso dal precedente. Tutte le volte che gli stimoli venivano associati alla categoria corretta, ai piccioni veniva dato un premio.

Nessuna logica avrebbe aiutato a dare la risposta esatta. Ma dopo alcuni tentativi, i piccioni avevano conquistato una percentuale di successo pari al 68%. «I piccioni sono come le migliori IA. Utilizzano un algoritmo biologico, donato dalla natura, mentre le IA ne usano uno artificiale, donato dagli umani», afferma Wasserman.

«Le persone sono impressionate dalle IA in grado di usare algoritmi di apprendimento come quelli dei piccioni, ma quando si parla di esseri umani o animali, tendiamo a non dargli credito poiché ritenuti rigidi e poco sofisticati».

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Digitalizzazione dei cantieri: un’idea di una startup under 30

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Chiara, Giulio e Marco sono un trio ben assortito. Hanno tra i 28 e i 29 anni, e rappresentano la nuova generazione di imprenditori che non teme di cambiare i settori economici, ancora poco propensi all’innovazione.

Chiara Maresca parla molto, Giulio Santabarbara è predisposto all’ascolto e Marco Apollonia ha già lavorato in 3 startup. myAedes è nata nel 2019, con lo scopo di digitalizzare la reportistica dei cantieri. L’anno scorso ha avuto un grosso riconoscimento, ovvero un investimento da 585mila euro, al quale ha partecipato anche Cdp Venture Capital, società nota come Fondo Nazionale Innovazione.

La formazione del trio

Giulio e Marco sono due ingegneri elettronici. Nel 2017 hanno deciso di partecipare ad un hackathon a tema settore edile, organizzato dal Comune di Benevento. I due volevano semplicemente «trascorrere un weekend diverso», e per questo si sono rivolti a Giulia, che studiava ingegneria edile.

«Io avevo appena fatto l’esame sulla gestione dei cantieri e ogni tanto facevo anche l’assistente di direzione lavori», dice Giulia, «visto che mio padre ha una società di progettazione e sicurezza sul lavoro: il mio compito era trascrivere una marea di dati».

Proprio da qui è nata l’idea di creare un software in grado di gestire i cantieri, attraverso una semplice app da utilizzare sullo smartphone.

Spiega Marco: «In cantiere c’è un ingegnere, un direttore dei lavori che fa le veci del committente, assumendosi la responsabilità tecnica di quel che si fa e accade. Noi ci rivolgiamo a questa figura e al coordinatore della sicurezza, che devono tenere il diario dei lavori e controllare che vengano applicate tutte le norme del settore, spesso disattese».

Il professionista di solito prende appunti, oppure riempie dei moduli cartacei. Quando ritorna in ufficio, ci mette ore per trasferire informazioni e dati sul pc, oppure delega il compito direttamente ad un collaboratore. Con myAedes, si può fare direttamente tutto con lo smartphone, anche mentre si è in cantiere, aggiungendo, talvolta, le foto necessarie.

Il trio ha, ovviamente, vinto l’hackathon. Ricorda Chiara: «Ci ha acceso la luce lo studio del mercato, dei competitor, la definizione di un cliente target. Cominciavamo a capire che non sarebbe stato male coltivare il progetto».

Dopo aver finito la triennale, i tre hanno cominciato a lavorare, mentre cominciava il giro delle startup competition. Per Marco «in quell’anno e mezzo abbiamo capito come poter diventare imprenditori».

La svolta è arrivata nel 2019, grazie all’ingresso nel programma LVenture Group: «Siamo stati selezionati su oltre 400 candidati, il team più giovane mai entrato, anche se non avevamo venduto ancora nulla. Hanno creduto in noi».

Per conquistarsi il posto, tuttavia, serviva almeno un cliente. I tre avevano «fatto un po’ di promozione online e ci ha chiamato un geometra di Genova che faceva il coordinatore della sicurezza: ci ha chiesto il modello che serviva a lui che non trovava sull’app».

Questo perché non c’era, dato che il trio aveva pensato soltanto al direttore dei lavori. «Giulio si è chiuso per due giorni e ha fatto lo sviluppo. I geometri Baldoni e Tasso di Genova sono stati tra i nostri primi clienti e lo sono ancora».

Un po’ di numeri

Oggi, i clienti di myAedes, in Italia, sono oltre 500. Il successo della startup è presto dimostrato dai documenti caricati, dai verbali di sicurezza e sopralluogo al giornale dei lavori: 3.000 alla fine di giugno, mentre ora ce ne sono 300mila.

Dunque, l’app viene utilizzata sempre di più. Continua Marco: «Quello che colpisce è che il nostro prodotto può servire al singolo professionista come alla grande impresa, un cantiere va gestito allo stesso modo. Rispondiamo all’esigenza di chi fino ad oggi ha lavorato sulla carta e vuole essere più efficiente, più rispettoso delle norme e più trasparente grazie al digitale».

La situazione in Italia

In Italia, il mercato delle costruzioni è molto frammentato. Per l’Ance, l’associazione di categoria, esistono meno di 500mila imprese, e soltanto 497 superano 20 milioni di euro di fatturato annuo. «Il profitto medio di un cantiere è molto basso, quindi è difficile permettersi i rischi dell’innovazione».

«A questo mercato devi proporre un ritorno immediato, qualcosa che permetta al cliente di far risparmiare subito, riducendo costi e ritardi». Questo può essere fatto soltanto con l’innovazione.

In questo campo, la digitalizzazione del settore dell’immobiliare e delle costruzioni prende il nome di proptech. E’ un settore in forte crescita anche nel nostro paese, anche se ci posizioniamo dietro Germania, Francia e Inghilterra. Nel 2018 esistevano 43 startup, e nel 2022 hanno subito un aumento del 33%.

Il maggior sviluppo si vede nel contech, ossia nel campo delle tecnologie delle costruzioni. Proprio dove si trova myAedes.

Digitalizzazioni complicate

«Adesso sono quasi un mezzo maratoneta», dice Marco, che corre sempre di più, poiché deve guidare tutto il team, fatto da sei persone, che lavorano da remoto, in direzione della scena internazionale.

Infatti, da un po’ di tempo myAedes è «in Germania e Spagna dove abbiamo già clienti con lo stesso prodotto, tradotto e senza alcun adattamento alle esigenze locali. C’è quindi grande possibilità di sviluppo. E poi dobbiamo lavorare per acquisire clienti più grandi, imprese che possono poi portare il digitale a tutti i subappaltatori».

La concorrenza sembra essere soltanto «internazionale, con prodotti complessi pensati per le grandi aziende. Nessuno ha pensato ai professionisti. Purtroppo in Italia siamo soli e questo non aiuta perché, se devi portare la cultura del digitale in un settore e sei solo, fai più fatica».

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Come inserire una nuova risorsa all’interno dello Studio Legale?

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Tutte le più grandi aziende si basano sulle risorse umane: grandi imprenditori come Leonardo del Vecchio, Adriano Olivetti ed Enzo Ferrari si sono basati su questo principio.

Oggi, le risorse umane sono diventate capitale umano, un reale investimento da parte di aziende e studi legali. Questo investimento prevede alcune fasi importanti: prima di tutto, la selezione delle risorse migliori, e successivamente l’inserimento di tali risorse nello studio, facendo sì che queste manifestino il loro talento.

La fase di selezione

La prima fase di selezione è molto delicata. Infatti, non è soltanto lo studio a selezionare il candidato, ma anche il candidato deve selezionare lo studio.

In questo processo entrano in gioco fattori economici e logistici, ma anche fattori ambientali, come il clima che si respira nello studio, valoriali, sociali, di work-life balance, prospettive di crescita e carriera.

La selezione, partendo anche dalla descrizione del lavoro e arrivando al colloquio, che sia in presenza oppure online, dovrebbe tener conto di tutti questi aspetti, che andranno definiti, affrontati e condivisi sin dalle prime fasi del colloquio.

On-boarding: l’ingresso nello Studio

Per rendere un risorsa umana un reale capitale per un’azienda, bisogna porre l’accento sull’efficacia della selezione, che dovrà essere in grado di individuare, nella marea di candidati, quelli che sono effettivamente in linea con le esigenze e con lo stile dello studio.

Tuttavia, non è da escludere nemmeno il modo in cui avviene l’ingresso della risorsa, e tutte le condizioni in cui verrà collocata al fine di dare il massimo delle sue potenzialità.

Parliamo di una fase delicata, quella dell’on boarding. È un’espressione che nasce dall’idea che un’azienda o uno studio legale sia una nave, su cui far salire i vari collaboratori, ognuno con il suo ruolo e la sua funzione.

Ogni collaboratore dovrà contribuire alla navigazione dello studio, per renderlo più efficiente e competitivo rispetto alle altre navi che navigheranno nello stesso mare. L’efficienza delle risorse non dipenderà soltanto dalle caratteristiche personali, ma anche dalle condizioni lavorative in cui si ritroverà.

Ogni persona, se inserita nel giusto contesto, riuscirà a sviluppare talenti e a sentirsi abbastanza motivato da crescere e dare il meglio. In caso contrario, ovvero se ci si ritrova in un contesto o ambiente disincentivante e molto rigido, si finirà per perdersi lungo il cammino.

Il processo d’inserimento di una risorsa umana nello studio legale potrebbe determinare le sue performance e la sua intera carriera lavorativa.

Il mentoring: prendere per mano i nuovi arrivati

Qual è il primo step del procedimento d’inserimento di una nuova risorsa nello studio legale?

Che la nuova risorsa sia un giovane o un professionista con molta esperienza, ci troveremo sempre di fronte ad una persona che entra in un nuovo contesto, fatto di persone con regole, abitudini e prassi.

Dietro ogni ruolo c’è una persona, con il suo carattere, le sue emozioni, i suoi talenti e i suoi limiti. In qualsiasi studio si creano relazioni, dinamiche, amicizie e invidie. È normale.

La nuova risorsa dovrà essere accompagnata per mano in questo mondo, per comprendere al meglio le dinamiche del nuovo contesto in cui andrà ad inserirsi. Non dovrà mai sentirsi come un “pesce fuor d’acqua”, evitando così di farla entrare in conflitto con i colleghi, portandola alla demotivazione e all’ansia.

Nella prima fase dell’inserimento un soggetto diventerà un mentore per il nuovo entrato, facendogli, in tal modo, da guida. Questo è il processo del mentoring, dove si prende per mano la risorsa per mostrarle l’organizzazione dello studio, gli aspetti salienti del lavoro, tutte le procedure e gli strumenti da utilizzare, aiutandola anche a comprendere relazioni e dinamiche.

Dunque il mentore fa, e la nuova risorsa ascolta, guarda, prende appunti. Il principio alla base di tutto questo è l’apprendimento per imitazione. Il nuovo entrato, in questo modo, si sentirà curato, apprenderà tutto quello che è necessario che apprenda evitando che commetta errori, che spesso creano equivoci e attriti.

Il tutoring: poniamoci accanto alla nuova risorsa

Durante la seconda fase “ci si sporca le mani”. Il mentore, qui, si trasforma in tutor, ovvero una persona che non si pone davanti, ma accanto alla nuova risorsa.

Adesso “il nuovo collaboratore fa le cose, e il tutor lo corregge”. Infatti, se non si fanno le cose, sbagliando, non si impara nulla. La teoria fine a se stessa è inutile nel saper fare.

Dunque, la nuova risorsa si metterà alla prova, mentre il tutor lo correggerà, spiegandogli anche perché e come rimediare. Questa pratica porta velocemente la nuova risorsa ad imparare direttamente sul campo, diventando così autonoma.

La delega: testare la propria autonomia sul campo

Dopo la fase del tutoring finisce la prima parte del processo d’inserimento. Ora, anche se la nuova risorsa è stata messa nella condizione di agire, non è ancora completamente autonoma.

Ed ecco che le verranno delegate alcune attività, perimetrate e di breve durata, in modo tale che la persona riesca a verificare direttamente sul campo il suo livello d’autonomia.

In questa fase, si dovranno fissare riunioni di confronto per riuscire a monitorare il lavoro, ma anche eventuali difficoltà che il nuovo collega sta incontrando.

Continuiamo a fare incontri di verifica

L’ultimo step dell’inserimento della nuova risorsa prevede la fase di autonomia.

È vero che non si finisce mai di imparare, quindi per un po’ di tempo è consigliato continuare a fare degli incontri di verifica, in cui è possibile confrontarsi e capire se le cose funzionano per il meglio.

Tale procedura è molto semplice da comprendere, ma di solito non viene eseguita, che sia per mancanza di tempo, di cultura o di personale. Tuttavia, permetterebbe di evitare situazioni di conflitto, inefficienze, turnover e demotivazione.

Senza tutto questo, lasceremo la nuova risorsa in balìa degli eventi: i primi a rimetterci, saremmo proprio noi.

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Il Tribunale supremo spagnolo, che rappresenta l’ultimo grado della giustizia spagnola, ha deciso che non c’è alcuna ragione di escludere la corrida dalle attività alle quali possono accedere i più giovani grazie ad un bonus cultura apposito, dedicato interamente a loro.

Il Tribunale ha infatti dato ragione ad un’organizzazione che aveva deciso di fare causa contro la decisione presa dal governo Socialista di escludere dal bonus l’accesso ai combattimenti con i tori. Questa sentenza ha riaperto un importante dibattito che va avanti in Spagna da parecchio tempo.

Per alcuni, la corrida è una tradizione storica, che costituisce la cultura spagnola. Altri, invece, vedono la corrida come un qualcosa di assolutamente crudele, e che bisognerebbe eliminare.

Il Bono Cultural Joven

Nel 2022 è stato introdotto il “bono cultural joven”, che funziona in maniera simile a 18app, ovvero il bonus da 500 euro destinato ai neo 18enni, introdotto dal governo Renzi nel 2016. Il bonus spagnolo ha il valore di 400 euro, e consente ai giovani che compiono 18 anni di spendere 200 euro per testi scolastici, libri, strumenti musicali e computer, e gli altri 200 per attività culturali, come mostre, concerti e spettacoli.

Tuttavia, il ministero spagnolo della Cultura e dello Sport aveva escluso delle attività culturali la tauromachia, ovvero lo spettacolo che prevede il combattimento contro i tori. Questa decisione è stata ampiamente contestata dalla Fundación del Toro de Lidia, un’organizzazione che difende e promuove la pratica della corrida.

L’organizzazione aveva deciso di fare ricorso, e il Tribunale supremo, alla fine, ha dato ragione alla fondazione. La tauromachia, infatti, è un patrimonio culturale in Spagna, grazie ad una legge introdotta nel 2013. Non ci sarebbero quindi sufficienti motivi per poter escludere tale pratica, soprattutto in virtù del suo «valore culturale, storico e artistico».

Alcune fonti del ministero della Cultura hanno fatto sapere che tale decisione verrà rispettata. Dunque, i neo 18enni potranno richiedere di partecipare alla corrida con il bono cultural joven.

La corrida è una tradizione molto antica, diffusa in Spagna ma anche in alcuni paesi del Sud America. Per molto tempo è stata considerata come un’occasione di ritrovo sociale. Funziona così: il toro viene istigato al combattimento dal matador, il torero, che dovrà infilzarlo ed ucciderlo con apposite spade.

Dopo la crisi economica del 2008-2009, in Spagna il numero delle corride ha cominciato a diminuire. Tuttavia, gli attivisti ritengono che sia una pratica crudele, e cercano di fare pressioni per abolire tale pratica.

La decisione del Tribunale spagnolo è stata accolta in maniera positiva dalla Fundación del Toro de Lidia, ma anche da alcuni politici spagnoli conservatori. Per esempio, Isabel Díaz Ayuso, la presidente della regione di Madrid ha detto che la corrida non può essere messa da parte per dei «preconcetti ideologici».

Sergio Torres, un attivista per i diritti degli animali, denuncia come la legge che protegge la pratica definendola patrimonio culturale debba essere completamente rivista. Per il giornalista Pedro Vallín, l’effetto della sentenza potrebbe accelerare le discussioni per vietare la tauromachia.

Dal 1991 gli spettacoli con i combattimenti dei tori sono vietati alle Isole Canarie. Nel 2010 il divieto si estese anche alla Catalogna, ma la Corte costituzionale annullò la sentenza nel 2016.

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Non ci sono più giudici togati che vogliono fare i giudici tributari. Lo certifica il flop del bando sul passaggio tra magistrature, con 100 posti a disposizione.

Sono una decina le manifestazioni di interesse che sono arrivate: lo stesso viceministro dell’Economia Maurizio Leo durante il congresso Uncat ha riconosciuto questo intoppo. «La norma prevedeva 100 magistrati che potevano transitare nei ruoli della giustizia tributaria. Se ci saranno, saranno pochi soggetti interessati al passaggio e ci sarà un delta da coprire già nel 2023».

«Le procedure e le selezioni tradizionali classiche verranno cadenzate dal 2024, quindi bisognerà fare i concorsi. Concorsi che sono abbastanza complessi dove bisognerà avere conoscenza, non solo delle materie giuridiche, ma anche delle materie economiche-aziendali, quindi sarà un procedimento di selezione abbastanza lungo».

Vista l’attuale situazione dei ministeri interessati, ovvero Economia e Giustizia, si ritroveranno ad una scopertura del posti nel 2023. Questo secondo Fiorenzo Sirianni, il direttore del Dipartimento della giustizia tributaria del Mef, che dovrà supportare la commissione d’esame che è stata individuata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con un supporto di tipo logistico.

Dunque, dovremmo «tener conto delle sedi dove fare l’esame e mettere a disposizione la Commissione d’esame e tutto ciò che necessita per fare le prove scritte e le prove orali».

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Il Telefono Azzurro, in occasione del Safer Internet Day del 7 febbraio, ha presentato un nuovo pacchetto di misure, che il Governo sosterrà. La priorità è l’innalzamento dell’età di connessione a 16 anni. Attualmente, l’età è fissata a 14 anni.

Sostanzialmente si tratta di negare la navigazione online ai minori di 16 anni, a meno che non ci sia l’autorizzazione dei genitori. Questo comporta un cambio di limiti e regole per tutti i servizi online, app e social in primis.

Aggirare questi ostacoli non risulta così complesso, dato che chiunque può iscriversi ad un social indicando una data di nascita falsa. Ma è proprio da questa osservazione che nasce la riflessione di creare nuove regole ed educare i più piccoli al digitale.

Le sette proposte avanzate da Telefono Azzurro prevedono di:

  • invalidare i contratti che sono stati conclusi dai minori di 16 anni con i fornitori dei servizi delle società d’informazione;
  • obbligare i fornitori dei servizi all’obbligo di verifica dell’età dell’utente durante l’atto di perfezionamento del contratto;
  • limitare il consenso al trattamento dei dati personali soltanto agli utenti con più di 16 anni;
  • rafforzare il potere del Garante per la Privacy per quanto riguarda la sextortion;
  • potenziare il servizio del 114 mediante l’introduzione del Contratto di emergenza in App;
  • introdurre l’educazione civica digitale.

Come spiegato dal presidente del Telefono Azzurro, Ernesto Caffo, l’obiettivo è «quello di sensibilizzare non solo l’opinione pubblica, ma anche i legislatori affinché adottino misure di maggiore tutela del minore che naviga sul web e utilizza i social network».

Per Maria Teresa Bellucci, viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, le proposte sono «condivisibili, in quanto troviamo che ci debba essere una responsabilità e una consapevolezza della responsabilità a tutti i livelli: istituzionale, delle piattaforme, che devono essere sempre più capaci di introdurre dei sistemi di misurazione dell’età e della scuola che deve formare ed educare per fare in modo che le nuove generazioni che vivono in un mondo digitale possano vedere in quel mondo un luogo delle opportunità e non del malessere e della devianza».

Secondo Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza: «Occorre garantire una navigazione sicura e assicurare i diritti dei minorenni connessi all’uso della rete». Propone, dunque, «l’introduzione di una sorta di Spid per minori per la verifica dell’età di accesso alle app e ai social», in quanto necessario «arginare, anche attraverso la co-regolazione con i provider, la sovraesposizione online dei minorenni».

Alcuni consigli per una navigazione in rete più sicura per i più piccoli

Mai condividere informazioni personali

I bambini della generazione Alpha (i nati dopo il 2012, per intenderci), sono considerati i veri nativi digitali. Per questi bambini, tablet e smartphone non sono soltanto un divertimento, ma anche strumenti primari con i quali imparano a studiare e a relazionarsi.

Tuttavia, il 40% dei bambini sembra disposto a condividere le proprie informazioni personali, perché considerano amiche anche le persone incontrate online. Chiaramente ne derivano diversi rischi, che aumentano nell’ambito del gaming, dove i cybercriminali sono capaci di manipolare le conversazioni facilmente.

Non parlare con persone sconosciute

Internet, il mondo del gaming e dei social media, sono cresciuti molto durante la pandemia. I più giovani hanno potuto continuare ad interagire con le altre persone in un momento molto difficile.

Tuttavia, alcune interazioni potrebbero nascondere lati oscuri, poiché predatori e cyberbulli potrebbero fingere di essere qualcun altro, veicolando messaggi inappropriati, chiedendo al giovane di attivare la webcam e arrivando anche ad organizzare incontri pericolosi nella vita reale.

Giocare online, per esempio, permetterebbe ai predatori di raccogliere le informazioni necessarie per guadagnarsi la fiducia dei più giovani. Dunque, è giusto educare i giovani a non interagire online con le persone che non conoscono nel mondo reale.

Attenzione alla webcam

Oggi, la maggior parte dei dispositivi, come laptop, tablet e smartphone, sono dotati di webcam. Le segnalazioni di violazione da parte degli hacker di questi sistemi continuano ad aumentare sempre più.

Per esempio, nel 2022 negli Stati Uniti più di 4.500 webcam sono state oggetto di attacco, e i contenuti relativi sono stati trasmessi online. Che sia esterna o interna, qualsiasi webcam, microfono o semplicemente un dispositivo audio, potrebbe essere soggette al controllo di criminali, intenzionati a sfruttare ragazzi e bambini.

Per limitare i rischi, bisogna utilizzare un software di sicurezza informatica capace di eseguire una scansione del sistema periodicamente e in tempo reale, rilevando tempestivamente eventuali malware. Meglio verificare, anche che l’impostazione sia impostata su “off” e utilizzare protezioni fisiche, come il classico pezzo di nastro adesivo.

Controllare siti ed e-mail per evitare frodi online

Visto l’aumento del traffico che avviene online, aumentano anche le frodi, come furti d’identità e perdite economiche. Non è così semplice individuare, a prima vista, una truffa. Prima di trasferire denaro o inserire dati sensibili, dunque, meglio dedicare più tempo al controllo delle mail e dei siti web.

I genitori, se lasciano utilizzare ai bambini tablet o smartphone, dovranno disattivare gli “aggiornamenti in-app”, evitando così che si accumulino spese per acquisti senza riuscire a rendersene conto. Per esempio, nel mondo del gaming una frode diffusa è la perdita del denaro, oppure dei progressi che si accumulano durante il gioco.

I malware si nascondono nelle app legittime

Non è raro che gli utenti, mentre cercano fonti alternative per scaricare app di giochi o di streaming, incontrino malware, trojan, backdoor, spyware e altre applicazioni malevole. È importante prestare attenzione alle app che si scaricano, dato che i malware si travestono da app legittime.

Cesare D’Angelo, Manager italiano di Kaspersky, afferma: «Internet oggi rappresenta una preoccupazione per molti genitori perché è diventata la principale fonte di informazione e intrattenimento per i giovani ma nasconde gravi rischi: il Safer Internet Day è quindi un’occasione per sottolineare l’importanza di educare le nuove generazioni ad un uso consapevole e sicuro della rete».

In quest’ottica di educazione, «Kaspersky collabora con il MIUR nello sviluppo del progetto Safer Internet Centre – Generazioni Connesse: si tratta di una testimonianza concreta dell’impegno di Kaspersky nel processo educativo delle nuove generazioni, per aiutare i più piccoli a comprendere i pericoli che il web può nascondere così da consentire di utilizzare le tecnologie in modo consapevole e sicuro».

I rischi nei quali potrebbero incorrere «i più giovani durante la navigazione online sono, infatti, in continua evoluzione, per questo è importante che i ragazzi siano informati e che gli adulti siano sempre aggiornati sulle attività online dei loro figli, stabilendo un dialogo sull’utilizzo sicuro della rete».

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La digitalizzazione che rende liberi: presentato al Tribunale di Rovigo il Progetto Giustizia

Servicematica, insieme all’Ordine degli Avvocati di Rovigo e il Tribunale di Rovigo ha presentato il Progetto Giustizia.

L’obiettivo è quello di perseguire una maggior digitalizzazione degli strumenti analogici, che vengono abitualmente utilizzati dagli attori giudiziali. Dunque, il Progetto Giustizia prevede l’informatizzazione del Tribunale, dell’Avvocato e dell’Ordine degli Avvocati.

Il progetto è stato presentato lunedì 30 gennaio 2023 dall’avvocato Laura Massaro, dal presidente del Tribunale Angelo Risi, da quello uscente dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo Enrico Ubertone e da Matteo Zandonà e Gianluca Zandonà di Servicematica.

Grazie all’installazione di maxi-schermi all’interno del Palazzo di Giustizia, potranno essere visualizzate tutte le udienze, calendarizzate per la giornata, ma anche i flussi, eliminando in tal modo la necessità di stazionare davanti all’aula di udienza.

App Ordine degli Avvocati di Rovigo

L’app, dedicata agli Avvocati del Foro, consentirà agli iscritti di avere sempre a portata di mano il proprio studio. La nuova app dell’Ordine agevola l’accesso alle informazioni e implementa delle funzionalità all’avanguardia.

Il Salta code udienze monitora, in tempo reale, lo stato di aggiornamento del ruolo udienze della giornata. Con le notifiche push l’avvocato sarà avvertito quando si avvicina la convocazione in aula.

L’app permette di prenotare e di disdire gli appuntamenti in qualsiasi ufficio giudiziario che aderisce al sistema. Queste operazioni potranno essere fatte ovunque e in pochissimi click.

E’ presente anche l’Agenda Fascicoli, che sincronizza automaticamente tutti gli eventi in agenda, le scadenze termine e le udienze, basandosi sui Tribunali associati alla propria utenza. Selezionando una giornata specifica, sarà possibile visualizzare tutti gli eventi nel dettaglio, ma anche consultare i fascicoli.

Inoltre, è consentito anche il download degli atti di parte con le sentenze del giudice, anche se firmati digitalmente in. p7m (CAdES).

Con la funzionalità Difese d’Ufficio possiamo, invece, avere sempre a portata di mano i nostri turni di reperibilità. Tutte le nomine vengono aggiornate in maniera automatica e in tempo reale, mostrando anche eventuali annullamenti e tutte le relative motivazioni. Tali aggiornamenti verranno comunicati con notifiche push.

Nell’app è presente anche la sezione Gratuito Patrocinio, dove consultare le istanze e scegliendo se visualizzare le pratiche in ordine cronologico o per stato. C’è anche la possibilità di scaricare gli allegati.

Di prossima implementazione anche la funzione Opinamenti Telematici, con l’avvio del portale dedicato e la visualizzazione dello stato delle varie pratiche direttamente dall’applicazione.

L’informatizzazione non finisce qui

Nuovi strumenti per nuovi servizi: l’informatizzazione dell’Ordine degli Avvocati di Rovigo continua, con:

  • una nuova rete internet per migliori performance: una linea internet che permette ad avvocati e magistrati di migliorare gli strumenti di lavoro e di conseguenza, anche i servizi offerti ai cittadini;
  • segreteria in cloud, che ottimizza gli strumenti messi a disposizione alla segreteria dell’Ordine realizzando gestionali amministrativi dedicati e all’avanguardia.

C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti. (Henry Ford)

Addio alla burocrazia: basterà una PEC per aprire un’impresa

Sta per arrivare un decreto legge finalizzato allo snellimento delle procedure burocratiche che sono previste per avviare un’attività commerciale. La sperimentazione riguarderà 36 categorie di artigiani, per i quali sarà possibile anche avviare la propria attività tramite comunicazione via PEC al Comune di residenza, che sostituirà completamente gli oneri burocratici.

Il nuovo decreto “burocrazia zero”, al quale sta attualmente lavorando Paolo Zangrillo, ministro per la PA, semplificherà 600 procedure entro l’anno 2026. Potrebbe arrivare già entro la fine di febbraio 2023. Fabbri, calzolai, idraulici, falegnami e molti altri potranno risparmiare soldi e tempo, poiché basterà inviare una PEC per cominciare a lavorare.

La PEC andrà, dunque, a velocizzare e a semplificare alcune pratiche amministrative, necessarie per avviare un’attività.

Il decreto burocrazia zero fa parte dell’impegno preso dal Governo grazie al PNRR, con l’obiettivo di arrivare, entro il 2026, a semplificare 600 procedure. Le prime 200 dovranno essere “sfoltite” entro il 2024.

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Spiega il ministro Zangrillo: «Un lavoro non facile, ma di fondamentale importanza perché dovrà costituire la base del nuovo rapporto tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. E’ l’eccessiva burocrazia, la difficoltà a reperire informazioni, presentare istanze, avere risposte, a complicare la vita di cittadini e imprese. Capire dove e cosa semplificare, vuol dire intervenire in maniera efficace nei settori strategici e maggiormente critici».

Questa semplificazione verrà inserita all’interno di un decreto legislativo che verrà approvato con tutta probabilità entro la fine del mese di febbraio. Lo scopo è superare il sistema della Comunicazione Unica d’Impresa, che comprende il modello per Registro Imprese, Inps, Inail, Agenzia delle Entrate e Scia per lo Sportello Unico delle Attività Produttive.

Tali passaggi, attualmente, sono necessari per poter aprire un’attività, e dovrebbero essere completamente sostituiti da una PEC al Comune in cui si svolge l’attività.

Le attività che potranno ricevere l’ok con Burocrazia zero, sono quelle collegate all’edilizia: muratori, idraulici, carpentieri, piastrellisti, elettricisti, falegnami, fabbri, ebanisti, tornitori, restauratori e decoratori. E ancora, sartorie, calzolai e riparatori di elettrodomestici.

Oltre agli artigiani, i primi interventi previsti per febbraio riguarderanno ambiente, disabilità, edilizia, energia e telecomunicazioni. Tuttavia, entro la fine del 2023, il numero di procedure semplificate potrebbe toccare quota cento, includendo anche quelle necessarie all’avvio di attività ricettive quali B&B, agriturismi e breakfast, che ad oggi devono seguire regole differenti a seconda della regione.

Il fine è quello di arrivare ad una normativa semplificata e unica, in modo tale da garantire piena interoperabilità tra le amministrazioni. Per tutte le attività dovrebbe dunque realizzarsi la semplificazione burocratica che permetterà di inviare una PEC per avviare l’attività.

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Spesso immaginiamo un futuro pieno di pandemie, di alieni, o di altre presenze inquietanti. Nessuno pensa, invece, ad un futuro in cui gli umani si libereranno completamente dal corpo per trasformarsi in bit. È un futuro probabile: anzi, è quasi realtà.

L’informatica non è propriamente la scienza dei computer, ma quella dell’informazione, poiché qualsiasi cosa all’interno dei pc produce informazioni, che prendono forma di byte. Il mondo risulta sempre più dipendente dall’informazione, e, di conseguenza, le unità digitali cominciano a dominare il nostro Pianeta

Bit – il termine sta per binary information digit, ed è l’unità di base nelle comunicazioni digitali e dell’informazione in informatica. È la più piccola unità di informazione binaria, e costituisce la base per tutti i dati nella tecnologia digitale. Non esiste nulla di più piccolo del bit: è il contenitore più piccolo in cui un’informazione può essere archiviata. I bit vengono principalmente utilizzati per descrivere l’utilizzo dei dati e la velocità di trasmissione di internet, dei telefoni e dei servizi di streaming. La velocità di trasmissione corrisponde alla quantità di bit che vengono trasmessi ogni secondo.

Byte – i byte sono sequenze di bit e vengono utilizzati per descrivere le capacità di memoria. 1 byte equivale a 8 bit.

Usiamo risorse come petrolio, carbone, silicio, rame e alluminio per realizzare computer e dar forma all’informazione digitale. In tal senso non stiamo redistribuendo soltanto l’informazione, ma la materia in quanto tale. Gli atomi di cui siamo composti cominciano a non essere più le particelle prevalenti: lo sono quelle digitali, che per alcuni studiosi, rappresentano il quinto stato della materia.

Scrive il fisico Melvin M. Vopson: «Attualmente, produciamo circa 10^21 bit digitali di informazioni ogni anno sulla Terra. Ipotizzando un tasso di crescita annuo del 20%, stimiamo che tra circa 350 anni, il numero di bit prodotti supererà il numero di tutti gli atomi sulla Terra, all’incirca 10^50».

L’energia necessaria per tenere in movimento i bit corrisponderà al nostro consumo totale di energia. Già nel 2030 arriveremo a consumarne il 51%, e nel 2070 ci sarà 1 kg di bit immagazzinato all’interno di qualche cloud per ogni nostro telefono cellulare, tablet o computer.

Se l’incremento annuo arrivasse al 50%, tra 150 anni arriveremmo alla saturazione. È una stima molto realistica, se teniamo conto della crescita della popolazione e dell’aumento all’accesso alle varie tecnologie. Per Vopson, ci troviamo di fronte ad una catastrofe dell’informazione, che avverrà in concomitanza a quella energetica, climatica e di migrazione delle popolazioni.

L’informazione è fisica

Il fisico tedesco Rolf Landauer sosteneva che l’eliminazione di un bit produceva una quantità minima di calore, e che il processo fosse irreversibile. L’informazione, dunque, è fisica.

Anche Einstein teorizzò che energia e massa sono equivalenti. L’informazione non è affatto un concetto astratto, ma una cosa fisicamente concreta. Per questi motivi viene considerata come quinto stato della materia, dopo gas, liquido, solido e plasma.

Tra 500 anni, il contenuto digitale rappresenterà oltre la metà della massa della Terra, che nel frattempo diventerà un enorme processore.

Un atomo è grande 10 alla meno 9 – un decimo di miliardesimo di metro. Un bit, invece, è 25 volte più grande. La massa totale di bit prodotti ogni anno è di 23,3 x 10 -17 kg. Poca roba, direte voi: ma questo non impedirà che nel 2245, l’intera massa del nostro Pianeta sarà composta da bit.

Senza troppi dati e giri di parole, tutto questo significa che il mondo sarà completamente dominato da bit e codici del computer. Tutto questo è partito dalla prima messa a punto dei transistor, ovvero nel 1947.

Un lasso di tempo brevissimo, insomma. Si pensi, inoltre, che il 90% dei dati attualmente presenti sono stati creati soltanto negli ultimi dieci anni – e con la pandemia abbiamo cominciato a produrne una mole significativa.

Tra cento anni, sempre secondo Vopson, la linea che separa realtà virtuale e materia fisica comincerà ad assottigliarsi sempre più, cominciando a non essere più visibile. Se vogliamo evitare di arrivare al punto in cui, dopo aver impostato la società sulla tecnologia, non avremo più abbastanza energia o spazio per sostenerla, sarà fondamentale far sì che l’informazione cominci ad occupare meno spazio possibile.

Per esempio, potrebbero essere utilizzati i fotoni, oppure gli ologrammi. Anche in natura, d’altronde, l’informazione è veicolata dal Dna e dall’Rna. Molti ricercatori starebbero studiando proprio la possibilità di utilizzare tali molecole per immagazzinare i bit.

Il primo a pensare a questo metodo è stato Mijhail Neiman, uno scienziato sovietico, che riuscì a tradurre in Dna un testo con linguaggio Html. Un grammo di Dna è in grado di ospitare 215 milioni di gigabyte: dura migliaia di anni ed è ultra compatto. Tutti i dati prodotti fino ad ora, in questo modo potrebbero essere messi in contenitori grandi quanto un paio di camion.

Oppure, se vogliamo continuare ad immagazzinare i dati, dovremmo cominciare a cercarci un nuovo pianeta dove trasferire alcune delle nostre operazioni.

Questo articolo è basato su uno scritto apparso nel 2020 su Business Insider.

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